Codice Civile art. 219 - Prova della proprietà dei beni (1).Prova della proprietà dei beni (1). [I]. Il coniuge può provare con ogni mezzo [950 2] nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene [197]. [II]. I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. (1) Articolo così sostituito dall'art. 87 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 82 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione. InquadramentoLe norme enucleate dall'art. 219 trovano applicazione nelle controversie tra i coniugi o tra i loro eredi non solo quando la convivenza sia cessata ma anche durante la tessa (Cian, Trabucchi, 334). Cessata la convivenza, della presunzione di cui al comma 2 ci si potrà avvalere in quanto si dimostri che l'acquisto fu effettuato durante la convivenza medesima. L'art. 219 — che riconosce al coniuge la facoltà di provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene (primo comma) ed aggiunge che i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi (comma 2) — concerne essenzialmente le controversie relative a beni mobili ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel comma 2, alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna deroga configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisiti immobiliari (Cass. n. 11327/1997). Regime giuridicoIl coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene: questi, pertanto, può avvalersi di qualunque mezzo di prova senza limitazioni di sorta. Tuttavia, in virtù dell'art. 219 i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. La norma istituisce, così, una presunzione di comproprietà che, però, non può operare a danno dei terzi creditori o aventi causa. A differenza dell'art. 195, l'art. 219 riguarda non solo i beni mobili ma anche gli immobile, pure se in concreto questi ultimi vi sono meno problemi poiché la proprietà risulta generalmente da un titolo non equivoco (Cian, Trabucchi, 335). La Dottrina, al riguardo, propone in generale nel senso che la norma riguardi, infatti, sia i beni mobili che quelli immobili (Sesta, 922). InterposizioneL'art. 219 — riconoscendo al coniuge di poter provare con ogni mezzo, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene, ed aggiungendo che quelli di cui nessuno di essi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa, per pari quota, di entrambi — riguarda essenzialmente le controversie relative a beni mobili, ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel comma 2, alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna eccezione configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari. Pertanto, quando un immobile sia intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d'acquisto, l'altro coniuge, che alleghi l'interposizione reale, non può provarla con giuramento, né con testimoni, giacché l'obbligo dell'interposto di ritrasmettere all'interponente i diritti acquistati deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, salvo che nell'ipotesi di perdita incolpevole del documento e non anche, dunque, nel caso in cui si deduce un semplice principio di prova per iscritto (Cass. n. 18554/2013). Rapporti con i terziIl comma 2 dell'art. 219 (che, con riferimento alla ipotesi di separazione di beni tra coniugi, sancisce una presunzione semplice di comproprietà per i beni mobili dei quali nessuno di essi sia in grado di dimostrare la proprietà esclusiva), pur non contenendo una esplicita limitazione dell'efficacia della presunzione di comunione ai soli rapporti interni tra coniugi (a differenza di quanto stabilito al comma 1, contenente un espresso riferimento ai rapporti predetti), va interpretato secondo criteri ermeneutici di tipo logico — unitari non meno che storici (emergendo dai lavori preparatori che l'efficacia della presunzione era stata inizialmente estesa anche ai terzi), e non consente, pertanto, di estendere gli effetti della presunzione in parola anche ai rapporti di ciascun coniuge con i terzi (Cass. n. 6589/1998). BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |