Codice Civile art. 592 - Figli riconosciuti o riconoscibili (1) (2).Figli riconosciuti o riconoscibili (1) (2). [I]. Se vi sono discendenti legittimi, i figli (2), quando la filiazione è stata riconosciuta [250 ss.] o dichiarata [269 ss.], non possono ricevere per testamento più di quanto avrebbero ricevuto se la successione si fosse devoluta in base alla legge [573 ss.]. [II]. I figli (2) riconoscibili, quando la filiazione risulta nei modi indicati dall'articolo 279, non possono ricevere più di quanto, secondo la disposizione del comma precedente, potrebbero conseguire se la filiazione fosse stata riconosciuta o dichiarata. (1) La Corte cost., con sentenza 28 dicembre 1970, n. 205 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo. Con tale sentenza sono stati dichiarati parzialmente illegittimi i commi 2 e 4 dell'art. 593 e l' art. 599 nella parte in cui si riferisce agli artt. 592 e 593. (2) Ai sensi dell’art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012 n. 219, le parole: «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalla parola: «figli». InquadramentoSolo qualche cenno occorre svolgere con riguardo al tema della capacità di ricevere per testamento disciplinata dagli artt. 592 ss. Essa, infatti, altro non è che una specie della capacità di succedere disciplinata in via generale dall'art. 462, il quale, dopo aver stabilito che sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione ed aver posto a tal fine una presunzione di concepimento, si riferisce espressamente alla capacità di « ricevere per testamento » (art. 462) del concepturus, ossia del figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepito. Ebbene, dell'argomento si è trattato in altra parte dell'opera, alla quale non resta che rinviare. Con specifico riguardo alla norma ora in commento, occorre rammentare la pronuncia, riferita in via diretta all'art. 593, con cui il Giudice delle leggi ha affermato che tale norma, nello stabilire che, quando il testatore lascia figli legittimi e loro discendenti, i figli naturali non riconoscibili non possono singolarmente ricevere per testamento più della metà di quanto consegue nella successione il meno favorito dei figli legittimi e che in nessun caso essi possono complessivamente ricevere più del terzo dell'eredità, pone in essere una gravissima limitazione della capacità di ricevere per testamento di questi figli naturali: per l'effetto, è costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 593, comma 1, per la condizione che esso riserva ai figli naturali non riconoscibili rispetto a tutti gli altri soggetti estranei alla famiglia legittima. Mentre questi ultimi hanno una prima capacità di ricevere per testamento, limitata è invece la capacità dei primi, con la conseguenza che il testatore può lasciare ai terzi estranei l'intera quota disponibile e non può usare lo stesso trattamento nei riguardi dei figli naturali sicché questi, proprio in relazione al loro stato personale e sociale e cioè alla loro nascita avvenuta fuori del matrimonio, vengono a trovarsi in una situazione di sfavore rispetto agli altri estranei, subendo un sacrificio dei propri interessi che non trova giustificazione né nel contenuto né nella finalità della norma. Questo il testo della pronuncia: « 1. Secondo l'ordinanza del tribunale di Milano la limitazione della capacità di ricevere per testamento dei figli naturali non riconoscibili, prevista dall'art. 593, comma 1, sarebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., nonché col precetto costituzionale enunciato nell'art. 30, comma 3, che assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Dei due profili sotto i quali la questione viene prospettata non rilevabile è da ritenere l'asserito contrasto con l'art. 30, comma 3, Cost. Ed invero questa corte ha già avuto occasione di osservare, proprio con riferimento ai diritti ereditari dei figli nati fuori del matrimonio, che la tutela giuridica e sociale assicurata dal precetto costituzionale riguarda, a tali fini, i figli naturali riconosciuti o dichiarati (sent. Corte cost. n. 79/1969). 2. Fondato, per contro, appare l'altro motivo di illegittimità costituzionale. L'art. 593, comma 1. Stabilisce che, quando il testatore lascia figli legittimi o loro discendenti, i figli naturali non riconoscibili, la cui filiazione risulti nei modi indicati nell'art. 279, non possono singolarmente ricevere per testamento più della metà di quanto consegue nella successione il meno favorito dei figli legittimi e in nessun caso possono complessivamente ricevere più del terzo dell'eredità. Con questa norma il legislatore ha posto in essere una gravissima limitazione della capacità di ricevere per testamento di questi figli naturali. Orbene evidente appare l'incostituzionalità della norma ove si ponga mente alla condizione ch'essa riserva ai figli naturali non riconoscibili rispetto a tutti gli altri soggetti estranei alla famiglia legittima. Mentre per questi ultimi sussiste una piena capacità di ricevere per testamento, limitata è, invece, la capacità dei primi con la conseguenza che il testatore può liberamente disporre a favore dei terzi estranei, lasciando ad essi l'intera quota disponibile e non può usare lo stesso trattamento nei riguardi dei figli naturali. Pertanto, proprio in relazione alla loro condizione personale e sociale e cioè alla loro nascita avvenuta fuori del matrimonio, i figli naturali non riconoscibili vengono a trovarsi in condizione di sfavore rispetto agli altri estranei alla famiglia legittima, subendo un sacrificio dei propri interessi che non trova giustificazione né nel contenuto né nella finalità della norma. Le considerazioni anzidette valgono ovviamente anche nei riguardi delle disposizioni contenute nei commi secondo e quarto dell'art. 593. Concernenti rispettivamente la limitazione della capacità di ricevere dei figli naturali non riconoscibili, nel caso in cui al testatore sopravviva il coniuge e l'applicabilità delle limitazioni della capacità di ricevere per testamento, previste dai commi primo e secondo, anche ai figli non riconosciuti dei quali sarebbe ammissibile il riconoscimento a norma degli artt. 251 e 252, comma 3. L'illegittimità di tali disposizioni discende come conseguenza della pronuncia d'incostituzionalità del comma primo dell'art. 593 e va dichiarata dalla corte a termini dell'art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87 » (Corte cost. n. 205/1970). Ai sensi di quest'ultima norma la Corte costituzionale ha ritenuto di dover dichiarare l'incostituzionalità della limitazione della capacità di ricevere per testamento dei figli naturali riconosciuti o dichiarati o riconoscibili per i quali l'art. 592 dispone che, se vi sono discendenti legittimi, non possono ricevere per testamento più di quanto avrebbero ricevuto se la successione si fosse devoluta in base alla legge, nonché l'illegittimità dell'art. 599 nella parte in cui dispone che le disposizioni testamentarie a vantaggio delle persone incapaci indicate dagli artt. 592 e 593 sono nulle anche se fatte sotto nome di interposta persona (Corte cost. n. 205/1970). Successivamente lo stesso giudice delle leggi è tornato sull'argomento ed ha osservato quanto segue: « Poiché le pronunzie di accoglimento della Corte costituzionale comportano, ai sensi degli art. 136, comma 1, cost. e 30, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87, il venir meno dell'efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime ed il divieto della loro ulteriore applicazione anche a situazioni giuridiche anteriori non ancora definite, non può contestarsi la validità della disposizione testamentaria con la quale il testatore, pur nel vigore dell'art. 592 (dichiarato incostituzionale con la sentenza Corte cost. 28 dicembre 1970, n. 205), in contrasto con il trattamento preferenziale ivi assicurato ai discendenti legittimi rispetto ai figli naturali, abbia attribuito quote uguali del suo patrimonio al figlio legittimo ed ai figli naturali, nel giudizio di divisione ereditaria che sia pendente alla pubblicazione della menzionata sentenza della corte costituzionale; ciò, quand'anche tale disposizione sia stata subordinata alla condizione, poi verificatasi, della eliminazione, perdurante la comunione ereditaria, del divieto di cui all'art. 592 cit., trattandosi di condizione consentita dalla legge (art. 633) e non imponendo nessuna norma che l'evento concretante l'avveramento od il non avveramento della condizione debba realizzarsi in epoca anteriore all'apertura della successione » (Cass. n. 6061/1981). In seguito la Corte costituzionale ha ancora osservato: « La situazione del convivente more uxorio è nettamente diversa da quella del coniuge, poiché i caratteri di stabilità e di certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri nascono solo dal matrimonio; pertanto, gli art. 565 e 592, non sono in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., per il fatto di non includere fra i successibili ab intestato, parificandolo al coniuge, il convivente more uxorio» (Corte cost. n. 310/1989). BibliografiaAllara, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957; Azzariti-Martinez-Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Cannizzo, Successioni testamentarie, Roma, 1996; Capozzi, Successioni e donazioni, I, Milano, 1983; Cicu, Testamento, Milano, 1969; Di Marzio-Matteini Chiari, Le successioni testamentarie, Milano, 2013; Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954; Giannattasio, Delle successioni. 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