Codice Civile art. 905 - Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi.Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi. [I]. Non si possono aprire vedute dirette [900] verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. [II]. Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere. [III]. Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica [907]. InquadramentoStante che le vedute, consentendo l'inspectio e la prospectio in alienum, limitano in maniera più incisiva, rispetto alle luci, la libertà del vicino ed in particolare la sua privacy, la loro apertura è assoggettata a particolari cautele, che consistono nel rispetto di determinate distanze tra le vedute ed il fondo del vicino, e ciò per tutelare quest'ultimo dall'altrui indiscrezione. La norma in commento disciplina l'apertura delle vedute dirette, stabilendo che non si possono aprire tali vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. Parimenti, non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere. Si precisa, infine, che il divieto di cui sopra cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica. L'art. 905, inteso a salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dall'apertura di vedute negli edifici vicini, impone un divieto di carattere assoluto, da rispettarsi prescindendo dal danno in concreto verificatosi in conseguenza alla violazione delle norme in materia di distanze nella realizzazione di opere idonee all'inspectio e alla prospectio, sicché il soggetto leso non è tenuto a fornire alcuna prova del danno subìto, identificatosi quest'ultimo nella violazione stessa, che dà luogo ad un asservimento di fatto del fondo altrui. Resta inteso che l'autorizzazione all'apertura di una veduta a distanza inferiore, da quella legale e la rinuncia a pretenderne l'eliminazione, avendo ad oggetto la costituzione di un vincolo di natura reale sul bene, richiedono, ai sensi dell'art. 1350, la forma scritta ad substantiam. Rapporti con la disciplina in tema di distanze nelle costruzioniÈ opportuno premettere che la disposizione normativa di cui all'art. 873, dettata in tema di distanze tra fabbricati e diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitanti (tale, pertanto, da consentire anche una più rigorosa valutazione in sede locale) non ha alcuna correlazione con la norma di cui all'art. 905, relativa alla distanza delle vedute e volta, dal suo canto, a salvaguardare il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante la realizzazione e l'uso di una opera obbiettivamente destinata a tale scopo”; ne consegue che, ove la maggior distanza tra costruzioni imposta dai regolamenti locali non sia riferita, specificamente, anche al confine, ma risulti sancita in via assoluta, indipendentemente dalla dislocazione delle costruzioni nei rispettivi fondi, la distanza delle vedute dal confine stesso deve intendersi regolata, in via esclusiva, dalla norma di cui al citato art. 905, non potendo una norma sulla distanza sui fabbricati incidere, ex se, su quelle relative alle vedute (Cass. II, n. 18595/2012; Cass. II, n. 2765/2001; Cass. II, n. 5518/1998; cui adde, da ultimo, Cass. II, 15070/2018, conseguendone che non vi è spazio per un'integrazione della previsione dell'art. 905 con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra costruzioni contenute nei regolamenti locali, deponendo in tal senso anche l'assenza nel testo della norma di un rinvio – che è, invece, contemplato nell'art. 873 c.c., ai regolamenti in questione). In senso parzialmente difforme, si è affermato che la disciplina della distanza delle vedute dal confine, in quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua fonte esclusivamente nell'art. 905 (che richiede una distanza di un metro e mezzo), salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regolamenti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme regolamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine (Cass. II, n. 4967/2015). Vedute aperte su spazio comuneSi è, al riguardo, precisato (Cass. II, n. 17480/2018; Cass. II, n. 12989/2008) che, in tema di rispetto delle distanze legali per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. In particolare, nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi, l'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art. 1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio nemini res sua servit, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro (Cass. II, n. 26807/2019). In tema di condominio degli edifici, si è chiarito (Cass. II, n. 11287/2018) che la disciplina sulle distanze legali delle vedute non si applica alle opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117) e l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in deroga (o in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, secondo lo schema della servitù per destinazione del padre di famiglia. Misurazione della distanzaDunque, occorre, in primo luogo, tenere presente che, con il termine fondo, il presente articolo intende far riferimento non soltanto ad un'area inedificata, ma pure alle costruzioni site nel terreno. Poiché nel concetto di fondo va ricompreso qualsiasi immobile recintato o aperto, coperto o scoperto, la norma de qua si applica a vantaggio di qualsiasi costruzione, anche sollevata dal suolo, come ballatoi, ripiani, terrazze e persino muri di confine, dovendo considerarsi sufficiente, perché si applichi il regime legale, anche un'astratta possibilità di danno, com'è attestato anche dall'art. 905, che impone il rispetto delle distanze pure nel caso in cui la veduta dia sul tetto del vicino (Loiacono, 71). A questo punto, è interessante verificare come la giurisprudenza ha misurato in concreto la distanza da applicare per le vedute de quibus. Nell'ipotesi in cui il fondo su cui insiste il fabbricato sul quale si vuole aprire una veduta e quello confinante, edificato o non, sul quale la stessa è destinata ad essere esercitata, siano siti a livelli o a piani diversi, la distanza minima di m. 1,50 che la veduta deve rispettare dal confine del fondo finitimo, ai sensi dell'art. 905, comma 1, deve essere misurata tra la soglia della veduta, o faccia esteriore del muro in cui la stessa si apre, ed il piano ideale elevato perpendicolarmente sulla linea di confine tra i due fondi (Cass. II, n. 2533/2017), Per la misurazione delle distanze dalle vedute l'art. 905, comma 1, pone come dati di riferimento da un lato la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette, dall'altro la linea di confine, dovendo correre dall'uno all'altro lo spazio di almeno un metro e mezzo, sicché la distanza minima da osservare va calcolata con esclusivo riguardo all'immediato piano di superficie dell'apertura verso l'esterno e non al muro sul quale la veduta è stata praticata senza che di conseguenza rilevi l'eventuale maggiore distanza delle altre parti dello stesso muro (Cass. II, n. 4790/1988); v., più di recente, Cass. II, n. 7091/2021, ad avviso della quale la misurazione della distanza di una veduta dal fondo del vicino si effettua dalla faccia esteriore del muro in cui si aprono le finestre ovvero dalla linea estrema del balcone o, in genere, del manufatto dal quale si esercita la veduta stessa). La misurazione della distanza di una veduta dal fondo del vicino si effettua dalla linea esterna della costruzione dalla quale si esercita la veduta, senza tener conto di cornicioni, fregi o di altri simili manufatti che, per non essere destinati all'esercizio della veduta, hanno funzione ornamentale ed accessoria (Cass. II, n. 4773/1980). Posto che, ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed oblique, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare quando siano possibili più posizioni di affaccio, con riferimento ai balconi, rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, o frontale, e due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo, per, pur essendo la tutela delle vedute limitata all'arco massimo di centottanta gradi, con conseguente esclusione di quelle c.d. retroverse, può verificarsi che una delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla parete in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima (Cass. II, n. 8010/2018; Cass. II, n. 220/2011). Poteri del giudiceNell'applicare la norma al caso concreto, si sono perimetrati gli ambiti di intervento da parte del giudice. L'eliminazione delle vedute abusive, le quali consentono di affacciarsi e guardare nel fondo altrui, non deve necessariamente essere disposta dal giudice mediante la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il corpus della violazione denunciata, ben potendo, invece, la violazione medesima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali, pur contemperando i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso concreto (Cass. II, n. 23184/2020, la quale precisa che l'arretramento disposto dal giudice, in alternativa alla demolizione, non fa incorrere nel vizio di ultrapetizione, essendo tale decisione contenuta nella più ampia domanda di demolizione; Cass. II, n. 2959/2005; Cass. II, n. 1450/1996); cui adde, più di recente, Cass. II, n. 4834/2019, la quale precisa che tale principio opera esclusivamente nei casi di violazione delle distanze delle vedute e non pure di quelle tra costruzioni, per le quali la presenza delle vedute è mero presupposto fattuale per l'applicazione della disciplina più restrittiva prevista dall'art. 9 del d.m. n. 1444/1968). Resta inteso che il consenso espresso verbalmente dal proprietario di un fondo alla costruzione da parte del vicino di una terrazza a distanza illegale è inidoneo alla costituzione di un vincolo di natura reale, essendo prescritta per la costituzione delle servitù la forma scritta ad substantiam (art. 1350, n. 4), con la conseguenza che è inammissibile la prova testimoniale articolata sul punto (Cass. II, n. 20958/2018: In applicazione dell'enunciato principio, si era escluso che i convenuti avrebbero potuto provare con testimoni l'esistenza di un accordo volto a consentire il posizionamento di un muro invadendo per mt. 0,75 il fondo confinante; Cass. II, n. 6712/1994). Comunque, la lesione del diritto di proprietà, conseguente all'esercizio abusivo di una servitù di veduta, è di per sé produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attività probatoria e per il risarcimento del quale il giudice deve procedere ai sensi dell'art. 1226, adottando eventualmente, quale parametro di liquidazione equitativa, una percentuale del valore reddituale dell'immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta (Cass. II, n. 12630/2019). Fondi separati da via pubblicaParticolare attenzione è stata rivolta dai giudici di legittimità in ordine alla fattispecie indicata nell'ultimo capoverso della norma in commento: invero, l'ultimo comma dell'art. 905 esclude l'obbligo della distanza prevista per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino, quando tra le due proprietà contigue vi sia una pubblica via, e tale prescrizione non presuppone necessariamente che questa separi i fondi medesimi, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica, indipendentemente dalla loro reciproca collocazione. L'esenzione dall'obbligo del rispetto della distanza stabilita dall'ultimo comma dell'art. 905 per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino non è limitata al solo caso dell'inserimento tra i due fondi di una via pubblica, ma va estesa anche al caso in cui tra le due proprietà fronteggiantisi esista una strada privata soggetta a servitù pubblica di passaggio, al caso cioè in cui il pubblico transito si eserciti su una porzione di terreno appartenente ad uno dei frontisti, sicché ciò che rileva ai fini della esenzione, non è l'appartenenza del suolo, su cui il passaggio si esercita, ad un ente pubblico o ad un privato, ma la pubblicità dell'uso al quale quel passaggio è destinato (Cass. II, n. 13485/2000). La facoltà del proprietario di un immobile, a confine con la via pubblica, di aprire direttamente vedute sulla via medesima, a norma dell'art. 905, comma 3, integra un'estrinsecazione del diritto dominicale, la quale può subire limitazioni od affievolimenti nei rapporti con l'amministrazione, in relazione ad esigenze pubblicistiche, ma mantiene natura e consistenza di diritto soggettivo nei rapporti fra privati; pertanto, ove altro proprietario appoggi una nuova costruzione, sul muro in cui essa è aperta, senza rispettare il distacco previsto dall'art. 907, comma 3, ed operante anche per le vedute godute iure proprietatis deve riconoscersi la possibilità di agire davanti al giudice ordinario per conseguire la rimozione dell'opera abusiva (Cass. S.U., n. 2952/1981). Tuttavia, non può essere assimilato alla “via pubblica” agli effetti della deroga alla disciplina delle distanze per l'apertura di vedute dirette e balconi (art. 905, ultimo comma) un torrente demaniale, quando si tratti di spazio inaccessibile ed inidoneo a consentire la sosta permanente di persone e cose (Cass. II, n. 2297/1980). BibliografiaAlbano, Luci e vedute, in Enc.. giur., XIX, Roma, 1990; Bozza, La distanza delle costruzioni dalle vedute nel condominio, in Giust. civ. 1992, I, 2838; Chinello, Servitù di luci e vedute: limiti all'acquisto per usucapione, in Immob. & proprietà 2006, 78; Colletti, Sulla controversa natura di luci e vedute, in Arch. loc. e cond., 2005, 198; Figone, Luci e vedute, in Dig. civ., XI, Torino, 1994; Fiorani L. - Fiorani G., Il regime delle luci, delle vedute e delle relative servitù nel codice civile, Latina, 1982; Loiacono, Luci e vedute, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Magnani, Criteri distintivi tra luci e vedute, in Not. 1997, 413; Sestant, Brevi note in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute dirette, in Giust. civ. 1994, I, 1091. |