Codice Civile art. 1138 - Regolamento di condominio

Antonio Scarpa

Regolamento di condominio

[I]. Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione [68 ss. att.; 155 trans.].

[II]. Ciascun condomino può prendere l'iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.

[III]. Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell'articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107 (1).

[IV]. Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 [72 att.; 155 trans.].

[V]. Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici (2).

(1) Comma modificato dall'art. 16, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Il testo recitava: «Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136 e trascritto nel registro indicato dall'ultimo comma dell'articolo 1129. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107».

(2) Comma aggiunto dall'art. 16, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013.

Inquadramento

L'art. 1138 detta i criteri in ordine al contenuto del regolamento di condominio, al suo procedimento di formazione ed ai limiti da esso inderogabili.

Tipi di regolamento

Esistono diverse tipologie di regolamento. I regolamenti di condominio si possono distinguere in base a due criteri. Sotto un profilo soggettivo, il regolamento può essere di origine “interna”, ossia proveniente dall'interno del gruppo che si autorganizza (l'esempio tipico è quello approvato collegialmente in sede di assemblea che decide a maggioranza ai sensi dell'art. 1138), o di origine “esterna”, ossia proveniente da un terzo (l'esempio Il regolamento di condominio tipico è quello imposto dal costruttore dell'edificio negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari di cui è composto lo stabile). Sotto un profilo oggettivo, relativo al contenuto, le clausole regolamentari possono avere natura “contrattuale”, se incidono stabilmente sui diritti soggettivi e sulle obbligazioni dei singoli condomini sulle cose comuni e sulle proprietà individuali, o “regolamentare”, se si limitano a disciplinare la gestione e l'amministrazione degli impianti e dei servizi comuni.

Il regolamento assembleare

Il regolamento assembleare organizza ed articola la vita del gruppo dei partecipanti. L'art. 1138  è composto di cinque capoversi che stabiliscono soltanto quando debba essere predisposto, il contenuto dell'atto, le modalità per formarlo, approvarlo ed impugnarlo, ed i limiti della potestà regolamentare. Il regolamento ha efficacia anche nei confronti dei proprietari che hanno dissentito alla sua approvazione (o non hanno partecipato all'assemblea che l'ha approvato), ed anche nei confronti degli aventi causa a titolo particolare da coloro che rivestivano la qualità di condomini al momento della sua adozione (comma 2 dell'art. 1107 richiamato dall'art. 1138, comma 3), a prescindere dalla possibilità, normale, di essere modificato da persone diverse da quelle che l'hanno approvato e, eccezionale, di essere formato e revisionato ad opera dell'autorità giudiziaria.

Il regolamento è il risultato di un accordo tra i diversi proprietari interessati circa l'uso e l'amministrazione delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell'edificio: con tale accordo, gli stessi proprietari mirano a regolare interessi comuni per assicurare a se stessi — ed a tutti quelli che ad essi succederanno nella proprietà degli appartamenti — il miglior godimento delle cose proprie.

Il regolamento contrattuale

Il regolamento contrattuale di origine interna è un atto plurisoggettivo, nel quale tutti i condomini manifestano espressamente la loro adesione ad un dato testo sulla base di singoli atti di accettazione, che si estrinsecano con la sottoscrizione dello stesso regolamento; con tale convenzione, i condomini, da un lato, si attribuiscono alcuni diritti o si vincolano ad osservare certi obblighi, e, dall'altro, specificano in maniera più puntuale l'attribuzione e la gestione delle parti comuni dell'edificio, nonché disciplinano il godimento e la destinazione delle parti di proprietà esclusiva. Il regolamento contrattuale deve trarre la sua fonte da un atto negoziale posto in essere “direttamente” da ciascun condomino in proprio, senza la “mediazione” dell'assemblea.

Il regolamento contrattuale di origine “esterna” è ravvisabile qualora l'originario unico proprietario dell'edificio — successivamente costituito in condominio, a seguito del frazionamento e della vendita della prima unità immobiliare — lo predisponga e lo imponga agli acquirenti delle singole unità immobiliari che fanno parte del fabbricato mediante un richiamo espresso nei relativi atti di trasferimento. I singoli condomini esprimono, cioè, l'accettazione ad una proposta di regolamento formulata fuori dalla compagine condominiale, di regola dal costruttore. In quest'ultimo caso le disposizioni del regolamento o sono allegate nei singoli atti di acquisto ed accettate dagli acquirenti mediante atti di adesione, oppure, anche se non materialmente inserite nel testo del contratto di vendita, fanno corpo con questo, pure se redatte di seguito alla compravendita ma in un atto separato, rientrando per relationem nel contenuto dei singoli atti di acquisto mediante accettazione della relativa clausola da parte degli acquirenti.

L'obbligatorietà

L'art. 1138, comma 1, prescrive che debba essere formato un regolamento, “quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci”. Tale obbligo sorge nell'ipotesi in cui i condomini dell'edificio, intesi come proprietari esclusivi, pro diviso, di una parte dell'edificio medesimo, siano più di dieci, e ciò indipendentemente dalle cause che abbiano potuto determinare tale distribuzione delle proprietà separate (acquisto per atto tra vivi, divisione, successione mortis causa), mentre per la sussistenza di tale presupposto concernente la consistenza, il condominio deve avere almeno undici partecipanti, senza che l'entità delle quote di proprietà di ciascuno abbia alcuna influenza.

L'approvazione e l'efficacia

In forza dell'art. 1138, l'organo legittimato alla formazione del regolamento è l'assemblea dei condomini: invero, salva la possibilità riconosciuta al comma 2 in capo a ciascun condomino di prendere la relativa iniziativa, il capoverso successivo prevede che Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal comma 2 dell'art. 1136 ed allegato al registro indicato nel n. 7) dell'art. 1130. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107. L'obbligo contemplato da tale norma ha come naturale destinatario l'amministratore, il quale dovrà assumere le idonee condotte al riguardo — convocazione, ordine del giorno, idonea informazione sull'oggetto del discutere o sulle modalità con cui operare, eventuale previa trasmissione dello schema da esaminare, comunicazione della deliberazione agli assenti, ecc. — il che non esclude, però, che anche l'autorità giudiziaria possa intervenire nella formazione del regolamento.

L'art. 68 disp. att. prevede, però, che il regolamento di condominio debba anche precisare il valore di ciascuna unità immobiliare e che tali valori siano riportati nelle tabelle millesimali da allegarsi al regolamento stesso: tali tabelle, da un lato, facilitano il conteggio della ripartizione delle spese nelle ipotesi di cui agli artt. 11231124 e 1126, e, dall'altro, agevolano il calcolo dei quorum personali e reali necessari per il funzionamento dell'assemblea ex art. 1136

L'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, e non deve perciò essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2 (Cass, II, n. 6735/2020; Cass. II, n. 27159/2018; Cass. S.U., n. 18477/2010) L'atto di approvazione (o di revisione) delle tabelle deve rivestire la forma scritta ad substantiam, e non può conseguentemente desumersi per facta concludentia (Cass. II, n. 26042/2019).

Il comma 3 dell'art. 1138 continua a prescrivere che il regolamento assembleare “può essere impugnato a norma dell'art. 1107” — norma contemplata in materia di comunione — che prevede la possibilità, per i partecipanti dissenzienti e assenti alla deliberazione di approvazione del regolamento, di impugnare quest'ultimo davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni, decorrenti, per i primi, a cui ora vanno aggiunti gli astenuti, dalla riunione e, per i secondi, dalla comunicazione della decisione, essendo per questi ultimi irrilevante il fatto che siano a conoscenza aliunde dell'esistenza del predetto regolamento.

Quindi, l'efficacia del predetto regolamento, avendo inizio dalla scadenza dei relativi termini di impugnazione, se decorre in tempi diversi per ciascun condomino (dissenziente/astenuto o assente), dovrebbe operare dopo la scadenza più lontana, mentre, se è stata fatta opposizione, la stessa decorrerà dal passaggio in giudicato della sentenza che disattende l'impugnazione (l'art. 1107, comma 1, prescrive, infatti, un'unica sentenza qualora il giudice decida su una pluralità di opposizioni).

Il comma 2 dell'art. 1107 — anch'esso richiamato dall'art. 1138, comma 3 — statuisce, inoltre, che, decorso inutilmente il termine per fare opposizione, il regolamento “ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti”.

I regolamenti approvati a maggioranza, purché nell'esplicazione delle funzioni assembleari, riguardanti la mera gestione e non incidendo sui diritti dei condomini, non devono essere trascritti.

I regolamenti contenenti, invece, limiti alla proprietà individuale hanno efficacia erga omnes, ovvero sono forniti di opponibilità ai terzi acquirenti, purché risultino trascritti nei registri immobiliari o comunque accettati da chi subentra nella proprietà dell'unità immobiliare dell'edificio in condominio (Cass. II, n. 19798/2014Cass. II, n. 395/1993; Cass. II. n. 17886/2009). 

Come da ultimo chiarito in giurisprudenza, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, in modo da incidere sull'esercizio del diritto di ciascun condomino. Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto, delle specifiche clausole limitative. La questione relativa alla mancata trascrizione del regolamento di condominio, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata  (Cass. II, n. 6769/2018Cass. II, n. 21024/2016).

Il contenuto e la portata dei divieti e dei limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerentemente con la loro natura di servitù reciproche, devono essere chiaramente espressi nel regolamento, non potendosi ritenere esplicitati nel caso in cui ci si limiti ad un generico riferimento a pregiudizi che si ha intenzione di evitare (Cass. II, n. 15222/2023).

La Cass. II, n. 10185/2012 ha affermato che anche il conduttore di un immobile sito nel fabbricato condominiale può obbligarsi nei confronti del condominio, mediante accordo con lo stesso, a rispettare un regolamento di condominio, pur se questo sia non impegnativo per il condomino locatore.

Il condominio che faccia valere, nei confronti del proprietario-locatore, la violazione del divieto contenuto nel regolamento condominiale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva a determinati usi e richieda la cessazione della destinazione abusiva al conduttore, deduce l'esistenza di servitù gravanti sulla cosa locata che ledono il diritto di godimento del bene, implicando ciò l'applicabilità dell'art. 1586 c.c. con riguardo al rapporto locativo, di talché, ove il conduttore convenuto in giudizio dal condominio si opponga alla pretesa di quest'ultimo, dimostra la persistenza del suo interesse a rimanere nella lite, agli effetti del secondo comma del citato art. 1586 c.c., al fine dell'inopponibilità del divieto (Cass. II, n. 15222/2023).

La Cass. II, n. 14898/2013, ha  deciso che il regolamento di un supercondominio, predisposto dall'originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l'uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, senza, perciò, infrangere il principio del numero chiuso delle obbligazioni reali.

Le pattuizioni contenute nell'atto di acquisto di un'unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero relative alle parti condominiali dell'edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, atteso che il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano in essere servitù reciproche, oneri reali o, quanto meno, obbligazioni “propter rem”: ne consegue l'invalidità delle clausole che, con formulazione del tutto generica ed inidonea, peraltro, a superare la presunzione ex art. 1117 c.c., limitano il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali, riservando all'originario proprietario l'insindacabile diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti da quello (Cass. II, n. 5336/2017).

Forma del regolamento

Merita qualche riflessione il problema della forma del regolamento che fissi i limiti o regoli l'uso delle parti comuni. Cass. S.U., n. 943/1999, interrogatesi sull'esigenza di una determinata forma per la predisposizione del regolamento (contrattuale e non contrattuale) di condominio, avevano rinvenuto quattro decisivi argomenti, tutti militanti nel senso della necessità della forma scritta ad substantiam. Innanzitutto, l'art. 1138, comma 3, il quale, prima della Riforma del 2012, prevedeva che il regolamento approvato andasse trascritto nel registro del condominio tenuto presso l'associazione professionale dei proprietari di fabbricati (ora nel registro dei verbali dell'assemblea). Poi, l'art. 1136, comma 7, il quale comporta che pure della deliberazione assembleare di approvazione del regolamento di condominio si debba redigere processo verbale da trascriversi nel registro tenuto dall'amministratore. Inoltre, secondo la Corte, in difetto di espressa previsione normativa, non potrebbe riconoscersi rilevanza solo probatoria alla prescrizione documentale concernente il regolamento di condominio. Infine, la forma scritta a pena di invalidità sarebbe innegabile per i regolamenti contrattuali, le cui clausole limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, oppure attribuiscono diritti maggiori ad alcuni condomini rispetto ad altri. Non si manca di considerare le difficoltà di applicazione e di impugnazione di un regolamento non contenuto nello scritto, ritenendosi perciò inconcepibile il rifiuto di un rassicurante riferimento documentale.

Contenuto e limiti

L'art. 1138, ultimo comma, contiene due diverse norme, di cui una generica e l'altra specifica. La prima esclude che i regolamenti condominiali possano menomare i diritti spettanti a ciascun condomino in base agli atti di acquisto o alle convenzioni. La seconda dichiara inderogabili le disposizioni del codice concernenti l'impossibilita di sottrarsi all'onere delle spese, l'indivisibilità delle cose comuni, il potere della maggioranza qualificata di disporre innovazioni, la nomina, la revoca ed i poteri dell'amministratore, la posizione dei condomini dissenzienti rispetto alle liti, la validità e l'efficacia delle assemblee, l'impugnazione delle relative delibere.

La prima di tali norme riguarda, dunque, i principi relativi alla posizione del condominio rispetto ai diritti dei condomini sulle parti comuni e sui beni di proprietà individuale e la disciplina di tali diritti, se non e modificabile da un regolamento comune, deliberato a maggioranza, può essere, invece, validamente derogata da un regolamento contrattuale. La secondo norma, invece, concerne le disposizioni relative alla dinamica dell'amministrazione e della gestione condominiale. L'inderogabilità di queste ultime norme e assoluta e, pertanto, la relativa disciplina non può subire modifiche neppure in base a regolamenti contrattuali o ad altre convenzioni intercorse fra le parti. Cass. II, n. 1748/2013  ha ritenuto, così, legittima la norma di un regolamento di condominio — avente natura contrattuale — diretta a dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120, estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.

Inoltre, la clausola del regolamento condominiale che, per le modifiche interne ed esterne delle proprietà individuali incidenti sulle facciate dell'edificio, richieda il benestare scritto dell'architetto progettista del fabbricato, ovvero di altro architetto da nominare, non costituisce deroga agli artt. 1120 e 1122 c.c., dando luogo, piuttosto, a vincoli di carattere reale tipici delle servitù prediali, nel senso di specificare i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni, mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, espressione di autonomia privata, che pone nell'interesse comune una peculiare modalità di definizione dell'indice di decoro architettonico (Cass. II, n. 30528/2017).

La Cass. II, n. 27233/2013 , ha specificato che, non costituendo l'art. 1102 una norma inderogabile, i limiti da essa posti all'uso delle cose comuni possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i «quorum» prescritti dalla legge, fermo restando che non è però consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti condominiali (nello stesso senso, Cass. II, n. 2114/2018).

Ancora, la Cass. II, n. 13011/2013 ha ravvisato la nullità della clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all'assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, visto che l'art. 1138, comma 4, dichiara espressamente non derogabile dal regolamento, tra le altre, la disposizione dell'art. 1129, la quale attribuisce all'assemblea la nomina dell'amministratore e stabilisce la durata dell'incarico. Tale inderogabilità regolamentare delle disposizioni del codice concernenti la nomina dell'amministratore dovrà d'ora in avanti confrontarsi con le più severe discipline del medesimo art. 1129, nonché dell'art. 71-bis disp. att., introdotte dalla l. n. 220/2012.

Così ancora è stata ritenuta nulla la clausola del regolamento di condominio che stabiliva un termine di decadenza di quindici giorni per chiedere all'autorità giudiziaria l'annullamento delle delibere dell'assemblea, atteso che l'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. vieta che con norme regolamentari siano modificate le disposizioni relative alle impugnazioni delle deliberazioni condominiali di cui all'art. 1137 c.c. (Cass. VI, n. 19714/2020).

Sull'interpretazione della clausole del regolamento di condominio, cfr. da ultimo (Cass. VI, n. 16384/2018; Cass. VI, n. 11609/ 2018).

L'unico, ma del tutto ridondante, limite aggiunto espressamente dal legislatore del 2012 ai poteri regolamentari dell'assemblea è quello indicato dall'attuale comma 5 dell'art. 1138, secondo cui l'assemblea non può vietare di possedere o detenere animali domestici

Bibliografia

AA. VV., Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2013; Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative, Milano, 1979; Caruso, Gli obblighi dei condomini, in Il Condominio a cura di C.M. Bianca, Torino, 2007; Celeste - Salciarini L., Il regolamento di condominio e le tabelle millesimali, Milano, 2006; Celeste - Scarpa, La Riforma del Condominio, Milano, 2012; Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio. in Foro it. 1997, I, 872; Corona, Il regime di ripartizione delle spese nel condominio, in Studi economico-giuridici, Milano, 1969; Corona, Contributo alla teoria del condominio negli edifici, Milano, 1974; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960; Scarpa, “Condominio (Riforma del)”, Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento VIII, Torino, 2013; Terzago G. - Terzago P., La ripartizione delle spese nel condominio, Milano, 1994; Triola, Il condominio, Milano, 2007.

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