Codice Civile art. 1218 - Responsabilità del debitore. [ 641 c.p. ] 1[I]. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta [1176, 1181, 1197] è tenuto al risarcimento del danno [1223 ss., 2740], se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione [1256 1] derivante da causa a lui non imputabile [1176 1; 160 trans.].
[1] Per la responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, v. art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24. InquadramentoIl debitore è responsabile quando non esegue la prestazione dovuta ed esigibile, che non sia soggetta a condizione o termine, ovvero quando la esegue in modo inesatto o in ritardo, salvo che essa divenga impossibile per causa a lui non imputabile. L'impossibilità definitiva e non imputabile della prestazione estingue l'obbligazione e nei contratti a prestazioni corrispettive rende indebita la controprestazione (art. 1463); qualora l'impossibilità si realizzi durante la mora del creditore, il debitore può invece pretendere l'esecuzione della controprestazione (Giorgianni, 260; Visintini, in Comm. S., 1987, 270). In caso di impossibilità temporanea il debitore non è responsabile per il ritardo e l'obbligazione si estingue esclusivamente quando, in relazione al titolo e all'oggetto dell'obbligazione, il suo protrarsi faccia venir meno l'interesse del creditore ovvero il debitore non possa più ritenersi obbligato (art. 1256). L'attività del debitore deve essere ponderata con il metro della diligenza, alla stregua dell'interesse del creditore. Inoltre, l'inadempimento si può verificare anche quando siano violati i doveri di protezione degli interessi o dei beni del creditore nell'esecuzione del rapporto obbligatorio (Giorgianni, 31; Visintini, in Comm. S., 1987, 27). Nelle obbligazioni di diligenza la negligenza del debitore determina in sé un adempimento inesatto (Osti, 294), sempre che si verifichi l'esistenza di un danno risarcibile. In senso contrario si è però rilevato che la negligenza non implica necessariamente un adempimento inesatto, ma può determinarlo solo in via eventuale (Cottino, 110). Si reputa inadempiente il debitore che dichiari di non voler adempiere prima della scadenza (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 15), in forma scritta ovvero con atti inequivoci (Giorgianni, 179). Affinché l'impossibilità sopravvenuta assuma rilevanza giuridica basta l'esistenza di un rapporto obbligatorio, anche se condizionato o sottoposto a termine (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 448). L'inesattezza dell'adempimento può essere oggettiva o soggettiva, può riferirsi anche alle obbligazioni accessorie o a singole obbligazioni nei rapporti complessi (Cass. n. 5239/1979). L'inadempimento può anche consistere nella violazione dei criteri di correttezza e buona fede (Cass. n. 4394/1985). Anche per la giurisprudenza comporta inadempimento la manifestazione della volontà di non adempiere espressa prima della scadenza sia mediante dichiarazione esplicita sia per comportamento concludente (Cass. n. 3900/1977). L'ambito applicativoLa disposizione regola l'intero campo della responsabilità contrattuale (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 1). Sicché essa riguarda tutte le obbligazioni che abbiano una fonte diversa dal fatto illecito, ivi compreso l'inadempimento dell'obbligo di risarcire il danno derivante da illecito (Mengoni, 1072). In senso contrario altro filone della dottrina ritiene che la disposizione sia applicabile alle sole ipotesi di inadempimento derivante da impossibilità della prestazione; cosicché nei casi di inadempimento derivante da altre cause, la regola di responsabilità del debitore dovrebbe essere rintracciata nell'art. 1176 (Giorgianni, 228). Pertanto, la dimostrazione dell'osservanza di una regola di condotta astrattamente idonea a soddisfare l'interesse del creditore dovrebbe esonerare il debitore da responsabilità, anche con riferimento alle obbligazioni generiche (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 110; Giorgianni, 285). La previsione trova applicazione anche verso la pubblica amministrazione (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 5). La giurisprudenza annovera tra le ipotesi di responsabilità contrattuale cui si applica la norma anche l'inadempimento dell'obbligo di risarcire il danno discendente da illecito (Cass. n. 1917/1987). Inoltre, esclude la responsabilità qualora sia rispettata una regola di comportamento in potenza idonea a soddisfare l'interesse creditorio (Cass. n. 6404/1986). Per l'applicazione della previsione alla P.A. optano gli arresti di legittimità, in specie nel caso di omessa o ritardata verifica o collaudo dell'opera pubblica (Cass. n. 12381/1992) o di mancata emissione del titolo di spesa (Cass. n. 2675/1986). All'esito dell'entrata in vigore della l. n. 24/2017, il cui art. 7 regola la responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, la struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, che nell'adempimento della propria obbligazione si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, anche con riferimento alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina, risponde a titolo contrattuale delle loro condotte dolose o colpose. Per converso, l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato a titolo extracontrattuale, salvo che uno specifico contratto sia stato concluso tra il medico e il paziente. Ne consegue che il regime della responsabilità da inadempimento, e segnatamente la disciplina in ordine alla distribuzione dell'onere probatorio di cui all'art. 1218 e ai termini ordinari di prescrizione, varranno per la sola struttura evocata in giudizio, ma non per il medico operante, fatta salva l'ipotesi di obbligazione direttamente contratta dal paziente con il medico. L'inadempimento rilevante Il debitore è tenuto ad eseguire la prestazione verso il creditore al momento dovuto, nel luogo dovuto e secondo le modalità stabilite. La mancata integrazione di detto comportamento costituisce inadempimento dell'obbligo. Si possono realizzare le seguenti forme di inadempimento: a. l'inadempimento imputabile al debitore, del quale questi risponde in via risarcitoria, ovvero l'inadempimento non imputabile, b. l'inadempimento di una prestazione ancora eseguibile e l'inadempimento associato all'impossibilità di esecuzione della prestazione; c. l'inadempimento definitivo, che postula l'impossibilità della prestazione e non permette la purgazione della mora, e l'inadempimento non definitivo; d. l'inadempimento totale e l'inadempimento parziale. Qualora l'inadempimento si associ all'impossibilità di esecuzione della prestazione per causa non imputabile al debitore, il rapporto obbligatorio si estingue. Quando, invece, l'inadempimento discenda da impossibilità imputabile di eseguire la prestazione, sorge a carico del debitore, in sostituzione dell'obbligazione originaria, l'obbligazione di risarcire il danno. In conseguenza di detta trasformazione si determina una perpetuatio obligationis. Nel caso di inesattezza dell'adempimento, il creditore può determinarsi, indipendentemente dalla colpa del debitore, nel senso di richiedere l'eliminazione dell'inesattezza, anche mediante sostituzione della cosa prestata ma non esattamente corrispondente al tipo dovuto (Giorgianni, 74). In specie, qualora si tratti di compravendita di cose generiche, l'acquirente ha la possibilità di richiedere la consegna di cose della qualità dovuta ed esenti da vizi ovvero può richiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. L'inadempimento presuppone che la prestazione sia esigibile, ossia che non penda condizione o termine in favore del debitore. Qualora il debitore si rifiuti di adempiere prima che la prestazione sia esigibile, lo stesso può comunque adempiere, purché tempestivamente al verificarsi della condizione o alla scadenza del termine, mentre solo l'inadempimento successivo a tali eventi legittima la domanda di risoluzione (Natoli-Bigliazzi Geri, 260). L'esistenza di un potere di exceptio in favore del debitore (diritto di ritenzione, prescrizione, eccezione di inadempimento) esclude che vi sia inadempimento quando il debitore faccia valere tale eccezione tempestivamente in giudizio. A fronte dell'inadempimento imputabile, il creditore può reagire chiedendo il risarcimento dei danni ovvero l'adempimento, qualora la prestazione sia ancora possibile (Cass. n. 9278/1999; Cass. n. 4197/1984). Nondimeno non ricorre sempre un automatismo ovvero un'identificazione ontologica tra inadempimento e danno. Nelle obbligazioni di fare, e in specie in quelle professionali (c.d. obbligazioni di diligenza professionale), diversamente dalle obbligazioni di dare, ma più in generale nelle obbligazioni che non implicano uno spostamento patrimoniale di ricchezza, elemento costitutivo della fattispecie è anche il collegamento eziologico in senso materiale tra la condotta, attiva od omissiva, inadempiente del debitore e l'evento lesivo che da essa sia derivato, soggetto alla regola dell'all or nothing, cui segue il rapporto causale in senso giuridico tra l'inadempimento e le conseguenze dannose, soggetto alla regola della non riparabilità delle conseguenze mediate ai sensi dell'art. 1223 (Cass. n. 28991/2019). . Ed invero in queste fattispecie è necessario discriminare tra lesione dell'interesse strumentale e lesione dell'interesse primario presupposto (Cass. n. 26907/2020; Cass. n. 18102/2020; Cass. n. 28991/2019). In queste ipotesi l'onere della prova della causalità dei fatti costitutivi ricade sul creditore, l'onere della prova della causalità dei fatti estintivi è a carico del debitore (Cass. n. 27606/2019; Cass. n. 26700/2018; Cass. n. 18392/2017). Sicché affinché possa invocarsi la riparazione del pregiudizio, dall'inadempimento qualificato deve discendere un inadempimento oggettivo, lesivo dell’interesse primario. Secondo la giurisprudenza, il rifiuto univoco e definitivo del debitore di adempiere integra l'ipotesi dell'inadempimento e giustifica la domanda di risoluzione del contratto a cui l'obbligazione pertiene ( Cass. n. 9637/2001 ; Cass. n. 97/1997 ; Cass. n. 2464/1964 ). Ciò può accadere anche quando, prima della scadenza del termine, il contegno del debitore lasci desumere con sicurezza, o comunque fondatamente presagire, che lo stesso non eseguirà la prestazione nel tempo pattuito ( Cass. n. 7318/1986 ). Da ultimo, una pronuncia di merito ha chiarito, con riguardo alla particolarità del regolamento di interessi che deriva dalla stipulazione di un contratto di sponsorizzazione e alle caratteristiche del soggetto scelto come testimonial , che l'impegno assunto dallo sportivo di comportarsi per l'intera durata del contratto con correttezza e lealtà e in osservanza di elevati principi etici, senza causare alcun danno alla sua immagine e/o reputazione, deve ritenersi riferito principalmente al suo ambito professionale. Sicché non integra inadempimento del contratto di sponsorizzazione contenente tale clausola l' assunzione di scelte di vita che, pur essendo del tutto legittime, potrebbero provocare un offuscamento della propria immagine pubblica, come l'intrattenimento di una relazione sentimentale non approvata dall'opinione pubblica o la rottura di una relazione coniugale o la professione di idee controcorrente o la conversione ad un credo religioso impopolare in un certo contesto storico e sociale, comportamenti che costituiscono espressione del diritto di autodeterminazione del singolo. Pertanto, l'eventuale assunzione da parte del testimonial, al momento della conclusione del contratto, dell'obbligazione di astenersi da condotte di tal genere sarebbe nulla e priva di effetti , perché in contrasto con i principi generali, sanciti anche nella Cost., in tema di diritti della personalità ( Trib. Milano 9 febbraio 2015 ). Il contenuto della previsioneLa tesi della dottrina che annette al contenuto dell'obbligazione il dovere di diligenza esclude che si radichi la responsabilità del debitore quando quest'ultimo si sia attenuto al parametro della diligenza media (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 102). In senso contrario si ritiene invece che il criterio della diligenza valga esclusivamente a misurare l'esattezza dell'adempimento e ad addebitare o imputare la causa dell'impossibilità (Osti, 294; Mengoni, 1090). In ogni caso, la mera difficultas praestandi non è condizione bastevole per liberare il debitore (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 100). Anche secondo la giurisprudenza, ai fini della liberazione del debitore, è sufficiente la mera difficoltà nell'esecuzione della prestazione (Cass. n. 3435/1988). Affinché la causa dell'impossibilità possa reputarsi non imputabile, deve essere dimostrata l'adozione di tutte le misure necessarie a prevenire l'impedimento (Cass. n. 1635/1987; contra Cass. n. 2586/1986). La colpa contrattualeUn filone della dottrina ritiene che la colpa contrattuale si identifichi nel fatto stesso dell'inadempimento o della sua inesattezza, in ciò manifestandosi la differenza con la colpa extracontrattuale (Visintini, in Comm. S., 1987, 225). Altri ritengono che la colpa coincida con la negligenza del debitore, che costituisce criterio di imputabilità dell'impossibilità sopravvenuta; nondimeno, la mancanza di colpa è condizione necessaria ma non sufficiente per l'esonero da responsabilità del debitore (Mengoni, 1091). Sia il dolo sia la colpa presuppongono comunque la capacità di intendere e di volere del debitore. Il dolo si realizza quando il debitore, benché preveda la certezza o l'alta probabilità che l'interesse creditorio non sia soddisfatto, comunque tenga la condotta non satisfattiva, senza che sia necessario né la coscienza di recare danno al creditore né che il fine della sua azione od omissione sia quello di non soddisfare l'interesse creditorio. Altro autore prospetta come fondamento della responsabilità la colpa contrattuale, identificata nell'omissione della diligenza dovuta (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 87). In senso contrario si osserva che la responsabilità per inadempimento è svincolata dall'indagine sulla colpa del debitore (Cottino, 110; Santoro, 9). Per la tesi secondo cui la colpa consiste nell'inadempimento in sé si è espressa anche la giurisprudenza (Cass. n. 5566/1984). Il dolo del debitore non consiste nella coscienza e volontà di provocare danno al creditore, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell'inadempimento (Cass. n. 25271/2008). L'impossibilità della prestazioneAffinché l'impossibilità sopravvenuta della prestazione sia idonea a liberare il debitore, deve essere assoluta, ossia insuperabile, e oggettiva, ossia attinente alla prestazione in sé considerata (Osti, 288). Ma secondo altra impostazione è sufficiente che l'impossibilità sia relativa, nel senso che deve essere riferita alla qualità dei soggetti e al concreto assetto del rapporto obbligatorio (Betti, 130) ovvero nel senso che deve essere ascritta al complesso dei mezzi che in buona fede si può esigere che il debitore appresti o a cui questi in buona fede può ritenersi tenuto (Mengoni, 1086; Visintini, in Comm. S., 1987, 274). Qualora la prestazione sia sin dall'origine impossibile, è nullo il contratto che costituisce fonte dell'obbligazione. Di contro, l'impossibilità della prestazione che esonera da responsabilità il debitore deve essere sopravvenuta, ossia deve manifestarsi nel periodo di tempo compreso tra la nascita dell'obbligazione e il termine per l'adempimento (o comunque sino alla costituzione in mora del debitore). Si ritiene che, qualora la prestazione divenga impossibile prima della scadenza del termine stabilito a favore del debitore, ma successivamente al decorso di un certo intervallo di tempo, entro il quale il debitore avrebbe potuto adempiere, comunque tale evento ha efficacia liberatoria (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 488). L'impossibilità della prestazione normalmente non riguarda gli obblighi di consegna di cose generiche, in applicazione del brocardo genus numquam perit, salvo che non si tratti di eventi che colpiscano tutti i produttori di una certa merce, o che comunque la eliminino dal mercato o la rendano incommerciabile (Cottino, 177), ovvero che incidano sulla concreta possibilità per il debitore di procurarsi cose appartenenti allo stesso genus di quelle andate distrutte o smarrite (Barassi, 320). Anche nelle obbligazioni pecuniarie l'impotenza finanziaria del debitore non determina l'impossibilità della prestazione. Nelle obbligazioni di consegna di cose determinate assume un peso decisivo la distruzione o lo smarrimento della cosa da consegnare, ma in questa evenienza l'attenzione deve essere riposta sull'imputabilità di tali eventi, piuttosto che sull'impossibilità della prestazione in senso stretto. Con riguardo alle obbligazioni aventi ad oggetto un facere, l'impossibilità della prestazione si determina quando l'attività dovuta non sia realizzabile oggettivamente o per ragioni soggettive, che abbiano però un'obiettiva portata impeditiva per tutti i soggetti che si trovino nella medesima situazione. Anche secondo la giurisprudenza l'impossibilità liberatoria deve essere assoluta e oggettiva (Cass. n. 1987/1990). La non imputabilitàLa non imputabilità della causa concerne esclusivamente il giudizio di causalità tra attività del debitore e inadempimento (Visintini, in Comm. S., 1987, 296; Realmonte, 12). In senso diverso si rileva che è sufficiente che vi sia difetto di colpa affinché ricorra il caso fortuito (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 154), sicché sarebbe non imputabile il fatto che non può essere evitato con l'uso dell'ordinaria diligenza prescritta. Altro orientamento afferma che la causa non imputabile non corrisponde all'assenza di colpa del debitore mentre la colpa del debitore determina l'imputabilità anche della causa fortuita (Cottino, 381). Lo stato soggettivo di buona fede non è idoneo, di per sé, ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento, incombendo sul debitore, a tal fine, l'onere di provare che l'inadempimento (o il ritardo nell'adempimento) siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivata da causa oggettivamente non imputabile allo stesso, nel cui ambito è riconducibile l'impegno di cooperazione alla realizzazione dell'interesse della controparte a cui l'obbligato — in relazione alla natura del rapporto, alle qualità soggettive del debitore stesso e al complesso delle circostanze del caso concreto — è tenuto e non la sua mera condizione psicologica di buona fede (Cass. n. 7729/2004). Ne consegue che ove il lavoratore, a giustificazione della mancata prestazione, invochi la rilevanza scriminante del putativo esercizio del diritto di sciopero, l'inadempimento è incolpevole solo se il convincimento dello stesso si sia accompagnato ad un comportamento idoneo ad integrare un impegno di cooperazione (Cass. n. 9714/2011). Affinché l'inadempimento possa qualificarsi non imputabile, in ragione del sopravvenire del provvedimento dell'autorità o del fatto del terzo, è comunque necessario che l'obbligato non rimanga inerte, bensì sperimenti ed esaurisca, nei limiti dell'ordinaria diligenza, tutte le possibilità volte a rimuovere l'ostacolo all'adempimento (Cass. n. 119/1982). La giurisprudenza ritiene altresì che gravi sul debitore l'onere della prova dell'incolpevolezza dell'inadempimento (ossia dell'impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e della diligenza nell'adempimento, poiché detta prova è sempre riferibile alla sfera d'azione del debitore, in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche, sconosciute al creditore in quanto estranee al bagaglio della comune esperienza e specificamente proprie di quello del debitore, come accade nel caso di specialista di una professione protetta (Cass. n. 11488/2004). Il collegamento tra non imputabilità e diligenza è confermato da altro arresto, secondo cui, al fine di esonerarsi dalle conseguenze dell'inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, il debitore deve provare che l'inadempimento è stato determinato da causa a sé non imputabile, la quale è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell'impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, bensì solamente da quei fattori che, da un canto, non siano riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di poter adempiere, e, d'altro canto, siano tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo (Cass. n. 15712/2002). Il caso fortuito Secondo un primo orientamento, la causa non imputabile corrisponde al caso fortuito regolato da norme speciali del codice (Visintini, in Comm. S., 1987, 364). In base ad altro orientamento, le disposizioni che si riferiscono al caso fortuito esigono la prova specifica della causa da cui deriva l'inadempimento, prova che non è richiesta dalla disposizione in esame (Mengoni, 1092). Secondo alcuni caso fortuito e forza maggiore devono essere intesi come endiadi (Visintini, in Comm. S., 1987, 297); secondo altra impostazione, le due situazioni potrebbero essere distinte, poiché la forza maggiore sarebbe connotata da una particolare inevitabilità e comprenderebbe anche i fatti umani, come i provvedimenti dell'autorità. L'errore commesso dal debitore e posto a base dell'inadempimento rappresenta causa non imputabile solo se non era evitabile attraverso l'uso dell'ordinaria diligenza (Cass. n. 2430/1962). Un medesimo evento può integrare il caso fortuito rispetto ad un'obbligazione e può non esserlo rispetto ad altra (Cass. n. 2981/1976). Il fatto dell'autorità Il factum principis, consistente nella sopravvenienza di provvedimenti normativi o amministrativi che intralciano l'esecuzione della prestazione, esclude la responsabilità per l'inadempimento, salvo che tale fatto non sia prevedibile dal debitore (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 110). Al contempo, il fatto dell'autorità si considera quale causa non imputabile solo quando l'inadempimento sia risultato inevitabile sebbene il debitore abbia fatto ricorso a tutti i possibili strumenti attuabili, anche oltre l'ordinaria diligenza esigibile (Visintini, in Comm. S., 1987, 365). Diversamente altro autore ritiene sufficiente ai fini di escludere la responsabilità il ricorso ai mezzi esigibili entro la soglia dell'ordinaria diligenza (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 112). Anche in giurisprudenza si sostiene che il factum principis è causa di esonero da responsabilità (Cass. n. 26/1970). Nondimeno, il debitore è responsabile qualora abbia dato causa all'atto impeditivo dell'adempimento (Cass. n. 5231/1977, in Foro it. 1978, I, 2246) o lo abbia provocato mediante la sua inerzia (Cass. n. 2595/1975). Pertanto, affinché l'impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la dimostrazione della non imputabilità, anche remota, di tale evento impeditivo, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del factum principis (Cass. n. 10683/2023; Cass. n. 6594/2012). Ne discende che il debitore non può far valere un ordine o divieto dell'autorità amministrativa sopravvenuto, che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all'atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (Cass. n. 14915/2018; Cass. n. 12093/1998). Sicché, in tema di appalti pubblici, in relazione all'atto dell'autorità che costituisca impedimento alla prestazione contrattuale, incidendo su di un momento strumentale o finale dell'esecuzione, deve escludersi che l'atto amministrativo, pur illegittimo, determini l'esonero da responsabilità del debitore che vi abbia dato causa colposamente e, segnatamente, non si sia diligentemente attivato in modo adeguato per ottenerne la revoca o l'annullamento (Cass. n. 17771/2012; Cass. n. 21973/2007). In senso diverso si è affermato che il fatto dell'autorità esclude l'imputabilità, senza che sia necessaria un'indagine sul grado di diligenza posto in essere al fine di evitarne le conseguenze dannose (Cass. n. 2052/1969). Gli eventi naturali eccezionali In caso di fenomeni climatici non prevedibili e con forza distruttiva eccezionale causalmente collegati con l'esecuzione della prestazione, l'inadempimento del debitore non è imputabile (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 126). In specie, il terremoto, l'incendio, la temperie di mare, l'inondazione costituiscono cause non imputabili dell'impossibilità di adempiere. Così è stata esclusa la responsabilità della banca per la perdita dovuta ad un'alluvione, la cui forza distruttiva poteva essere neutralizzata solo grazie all'uso di mezzi non tipici di quell'attività imprenditoriale (Cass. n. 2981/1976). Diversamente un imponente nubifragio non esclude la responsabilità della banca per la perdita dei beni depositati nelle cassette di sicurezza (Cass. n. 1129/1976). Ancora, il terremoto, quando incide sull'oggetto del contratto di locazione, nel senso che in conseguenza dell'evento sismico l'immobile venga a perdere, in modo non transitorio e senza possibilità di porvi rimedio con le normali opere di manutenzione, l'attitudine ad assicurarne il godimento, è causa idonea a provocare l'estinzione dell'obbligo del conduttore di corrispondere il canone (Cass. n. 3247/1981). Parimenti, in tema di responsabilità medico-chirurgica la ricorrenza di un fattore naturale può costituire causa esclusiva dell'evento pregiudizievole ove il danneggiante provi che lo stesso derivi da una circostanza a sé non imputabile (Cass. n. 12516/2016) oppure può avere un'efficienza concausale, tale da incidere sulla delimitazione del quantum del risarcimento (Cass. n. 10812/2019; Cass. n. 13037/2023). I fatti umani impeditivi Il furto non rappresenta un'esimente qualora costituisca un rischio tipico dell'attività del debitore (Visintini, in Comm. S., 1987, 176). In senso contrario, altra tesi rileva che il furto esonera da responsabilità qualora non poteva essere evitato o prevenuto usando la diligenza media (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 127). Secondo la giurisprudenza, in tema di contratto bancario per il servizio delle cassette di sicurezza, nel caso di sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza a seguito di furto — il quale non integra il caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della natura della prestazione dedotta in contratto — grava sulla banca, ai sensi dell'art. 1218, l'onere di dimostrare che l'inadempimento dell'obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile (per avere tempestivamente predisposto impianti rispondenti alle prescrizioni in tema di sicurezza raccomandate nel settore), non essendo sufficiente, ad escludere la colpa, la prova generica della sua diligenza, dal momento che tale disposizione generale, che regola l'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, si applica anche in presenza di una clausola limitativa della responsabilità della banca, da ricondurre all'art. 1229 e che riguardi l'ammontare del debito risarcitorio, non l'oggetto del contratto (Cass. n. 28835/2011). Anche nel caso di rapina, con riferimento alla cosa oggetto di un contratto di deposito, la responsabilità ex recepto incombe sul depositario, così che il medesimo ha l'onere di provare l'imprevedibilità e l'inevitabilità della perdita della cosa (Cass. n. 8978/2020; Cass. n. 14470/2004). In senso parzialmente diverso, altra pronuncia ha osservato che è senz'altro ravvisabile il fatto non imputabile, quando la cosa depositata venga sottratta al depositario nel luogo in cui è custodita mediante la commissione di rapina a mano armata, senza che rilevi se egli abbia adottato particolari accorgimenti o cautele nella custodia, essendo i medesimi resi inutili dal diretto impiego della violenza sulla sua persona (Cass. n. 13359/2004). Al principio della prova della non imputabilità la giurisprudenza si è attenuta con riferimento alla responsabilità del datore di lavoro verso il dipendente in ragione delle plurime rapine verificatesi nell'ambiente di lavoro in cui questi era stato trasferito (Cass. n. 8855/2013; Cass. n. 14469/2000). Ancora, l'occupazione di un cantiere edile ad opera di terzi costituisce causa di impossibilità temporanea della prestazione, che esonera dall'obbligo di corrispondere le retribuzioni (Cass. n. 498/1983). Lo sciopero Di regola, lo sciopero esclude la responsabilità, salvo che sia stato colpevolmente provocato dal debitore (Cottino, 401). Lo sciopero di categoria integra una tipica causa di esonero da responsabilità per forza maggiore (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 135). Secondo una tesi, l'evento sciopero sarebbe sussumibile nella fattispecie dell'art. 1228 (Visintini, in Comm. S., 1987, 278), poiché il riferimento di tale norma ai fatti dolosi o colposi del terzo non è indicativo della volontà del legislatore di escludere la rilevanza dei fatti non colposi, bensì è significativo dell'estensione della previsione ai fatti dolosi che potrebbero interrompere il nesso con l'attività del debitore. In senso contrario, si è però osservato che lo sciopero non può integrare gli estremi del fatto colposo indicato dall'art. 1228, poiché costituisce atto di esercizio di un diritto (Perlingieri, in Comm. S.B., 1988, 469). Un arresto di legittimità ha espressamente escluso la responsabilità del debitore all'esito di uno sciopero di categoria che aveva impedito la pronta esecuzione della prestazione, richiamandosi all'esigenza di evitare la rovina economica dell'impresa, sulla scorta del sindacato in ordine alla fondatezza e ragionevolezza delle opposte pretese degli scioperanti e del datore di lavoro (Cass. n. 3236/1952). Si è altresì ritenuto che lo sciopero nei servizi pubblici esonera il debitore dall'obbligo del risarcimento (Cass. n. 518/1970). La prestazione inesigibileRicorre l'inesigibilità della prestazione quando vi sia un grave pericolo per la persona o i beni del debitore (Mengoni, 1089) o per l'incolumità dei terzi. La prestazione è altresì ineseguibile quando l'adempimento possa avvenire solo in conseguenza del ricorso a mezzi non compatibili con il contenuto economico del contratto (Visintini, in Comm. S., 1987, 280; Mengoni, 1086). Più specificamente, l'esenzione da responsabilità può avere luogo a causa della sopravvenienza di un impedimento non superabile con le modalità esecutive tipiche del rapporto astrattamente considerato e la responsabilità in tal caso trova un limite nella tutela dei diritti fondamentali del debitore (Osti, 289). Anche la violazione degli obblighi di correttezza, gravanti pure sul creditore, può escludere la responsabilità (Visintini, in Comm. S., 1987, 169). La dottrina che ammette l'esonero da responsabilità nel caso di inesigibilità della prestazione ritiene superata la questione relativa all'applicabilità dell'art. 2045 alla responsabilità contrattuale (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 112). In senso diverso, altra dottrina propende per l'applicazione della norma prevista in tema di responsabilità extracontrattuale sullo stato di necessità anche alla responsabilità contrattuale (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 126). Secondo la giurisprudenza, deve escludersi la responsabilità del debitore di fronte alla violazione da parte del creditore degli obblighi di correttezza che costituiscono il presupposto dell'esecuzione del contratto (Cass. n. 5239/1979). Peraltro, l'obbligo di correttezza che fa carico al creditore non costituisce l'oggetto di un'obbligazione autonoma e in tal caso è esclusa l'esperibilità della prova liberatoria prevista dall'art. 1218 (Cass. n. 809/1986). In giurisprudenza si è affermato che lo stato di necessità ex art. 2045 possa integrare i requisiti della prova liberatoria prevista dall'art. 1218 (Cass. n. 427/1953); tuttavia è esclusa l'applicazione estensiva o analogica dell'art. 2045 alla responsabilità contrattuale, con l'effetto che non può essere corrisposta l'indennità ivi regolata (Cass. n. 2660/1971). L'onere probatorioLa struttura della previsione si spiega in ragione del fatto che sussiste una presunzione di colpa a carico del debitore inadempiente, che pone a suo carico l'onere della prova liberatoria (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 166). Ma secondo altra parte della dottrina, la regola probatoria ivi stabilita non contempla un'inversione dell'onere della prova né si discosta dalle regole generali. Infatti, il debitore è tenuto a provare il fatto impeditivo o estintivo della pretesa creditoria mentre il creditore deve sempre dimostrarne il fondamento (Barassi, 348; Franzoni, 411). Il creditore è tenuto a provare la colpa del debitore solo quando è richiesta come fatto costitutivo (Natoli, in Tr. C.M., 1974, 78). Il debitore non deve necessariamente identificare la causa specifica che ha determinato l'impossibilità della prestazione (Bianca, in Comm. S.B., 1988, 170; Mengoni 1092; Perlingieri in Comm. S.B., 1988, 481; contra Visintini, in Comm. S., 1987, 364; Cottino, 381). Ne consegue che le cause ignote restano a carico del creditore, non potendosi ritenere la responsabilità del debitore ogniqualvolta la causa specifica dell'impossibilità non possa essere dimostrata (Mengoni, 1092). Ai fini della distribuzione dell'onere probatorio, è ormai superata la distinzione tra obbligazioni di risultato e di mezzi, considerato che l'atteggiarsi di detto onere non muta in ragione dell'appartenenza dell'obbligo alla prima o alla seconda categoria. Pertanto, tale distinzione assume allo stato una valenza meramente descrittiva, peraltro relativa. Sono obbligazioni di risultato quelle in cui l'inadempimento consegue alla mancata realizzazione del risultato promesso, come le obbligazioni aventi ad oggetto la consegna di cose, di specie o di genere, e l'esecuzione di opere (vedi l'appalto); sono, invece, obbligazioni di mezzi quelle in cui l'oggetto non si identifica con la verificazione di un determinato evento, idoneo a soddisfare l'interesse creditorio, bensì con lo svolgimento a cura del debitore di un'attività adeguata al raggiungimento del risultato voluto, come accade negli obblighi di fare tecnico. In tali ultimi rapporti il mancato raggiungimento del risultato non costituisce di per sé inadempimento mentre è il canone della diligenza a definire l'oggetto della prestazione. La presunzione di colpa posta a fondamento della previsione è argomentata anche dalla giurisprudenza (Cass. n. 12921/1991) ed è estensibile alle obbligazioni negative (Cass. n. 22244/2022 ; Cass. n. 2976/2005; Cass. n. 3724/1991). La prova della mancanza di colpa non è condizione sufficiente per escludere la responsabilità del debitore (Cass. n. 1656/1981). Piuttosto, il debitore deve dimostrare che l'inadempimento non è dipeso da oggettiva inidoneità dei mezzi predisposti (Cass. n. 4989/1979). Quando il creditore si è impegnato a cooperare col debitore affinché questi possa adempiere nei tempi e modi pattuiti, il debitore ha solo l'onere di provare l'esistenza del patto di cooperazione e il nesso causale tra la mancata cooperazione e il proprio inadempimento mentre spetta al creditore, per liberarsi da responsabilità, dimostrare di aver fornito la cooperazione promessa (Cass. n. 10702/2014). In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione (Cass. n. 13685/2019; Cass. n. 826/2015; Cass. n. 9439/2008; Cass. S.U., n. 13533/2001). L'onere della prova del nesso causale sia in senso materiale sia in senso giuridico grava sul creditore danneggiato. Invero, l'art. 1218 c.c. esonera il creditore dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e l'inadempimento (Cass. n. 12760/2024; Cass. n. 2114/2024). Ma nel senso che nelle obbligazioni diverse da quelle di facere professionale, il creditore che agisce per il risarcimento del danno, in virtù del principio di persistenza del diritto insoddisfatto, è tenuto soltanto ad allegare l'inadempimento (che assorbe la causalità materiale), ferma restando la necessità di provare il danno-conseguenza in uno al nesso di causalità giuridica Cass. n. 3689/2025.) . Così nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico-chirurgica si è ritenuto che sia onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 29315/2017; contra Cass. n. 20547/2014). In tale ipotesi la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartizione dell'onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l'ordinamento è informato (Cass. n. 22222/2014). Qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile ad una pluralità di cause, i criteri da applicare per la prova del nesso causale sono quelli "della probabilità prevalente" e "del più probabile che non". Quindi, il giudice è tenuto a scegliere l'ipotesi fattuale che, avendo ricevuto il grado di maggiore conferma relativa sulla base dei fatti indiziari disponibili rispetto ad altre ipotesi, si presenta come eventualità più probabile di altre (Cass. n. 25884/2022). Ed ancora, in materia di danni da infezione cd. nosocomiale, si è affermato che, una volta raggiunta la prova, da parte del danneggiato, della diretta riconducibilità causale dell'infezione alla prestazione sanitaria, la struttura sanitaria è tenuta a dimostrare la specifica causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione, da intendersi, non quale mera astratta predisposizione delle misure necessarie per evitare il rischio di infezioni nosocomiali, ma come impossibilità in concreto dell'esatta esecuzione della prestazione riferibile al singolo paziente interessato (Cass. n. 5490/2023). Quanto al risarcimento del danno da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza; tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l'esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità (Cass. S.U., n. 25767/2013). Quanto all'omissione di un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, pur a fronte di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (Cass. n. 2998/2016). Secondo lo stesso principio, il creditore che agisce in sede di verifica del passivo fallimentare in base ad un contratto di mutuo è tenuto a fornire la prova dell'esistenza del titolo, della sua anteriorità al fallimento e della disciplina dell'ammortamento, con le scadenze temporali e con il tasso di interesse convenuti, mentre il debitore mutuatario (e, per esso, il curatore) ha l'onere di provare il pagamento delle rate di mutuo scadute prima della dichiarazione di fallimento, atteso che le rate successive, agli effetti del concorso, si considerano scadute alla data della sentenza dichiarativa, a norma dell'art. 55, comma 2, l. fall. (per la nuova disciplina v. l'art. 154 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), e non è, dunque, necessario, per l'accertamento del capitale residuo, provare la risoluzione del contratto, che rileva solo ai fini degli interessi di mora (Cass. n. 16214/2015). Ancora, le sanzioni alternative di ripristino della locazione o di risarcimento del danno previste dall'art. 31 l. n. 392/1978, a carico del locatore che abbia ottenuto la disponibilità anticipata dell'immobile per una finalità non più realizzata, hanno fondamento contrattuale, sicché incombe sul locatore l'onere di provare di avere adempiuto all'obbligo corrispondente, ovvero di non aver potuto adempiere per cause ostative a lui non imputabili, ai sensi degli artt. 1218 e 2697 (Cass. n. 23794/2014). In tema di danno alla salute del lavoratore, gli oneri probatori spettanti al datore di lavoro ed al lavoratore sono diversamente modulati nel contenuto a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087, che impone l'osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell'insussistenza dell'inadempimento e del nesso eziologico tra quest'ultimo e il danno; nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza innominate, la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. n. 21955/2023; Cass. n. 15082/2014 ). La responsabilità contrattuale del datore di lavoro, per violazione degli obblighi di sicurezza sui luoghi di lavoro, è predicabile nei soli confronti del lavoratore, poiché il datore di lavoro non ha obbligazioni contrattuali di protezione nei confronti dei terzi (Cass. n. 32072/2024) . Il medesimo regime probatorio si applica nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, poiché la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante ha natura contrattuale, atteso che, quanto all'istituto, l'instaurazione del vincolo negoziale consegue all'accoglimento della domanda di iscrizione e, quanto al precettore, il rapporto giuridico con l'allievo sorge per contatto sociale (Cass. n. 3695/2016). Quindi, il danneggiato deve dimostrare che il danno si è verificato durante l'orario scolastico e che è stato causato dall'omissione di controllo o dalla colpa dell'insegnante, mentre incombe sul debitore la prova della causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione (Cass. n. 5118/2023; Cass. n. 2114/2024). Le obbligazioni, siano esse di risultato o di mezzi, sono sempre finalizzate a riversare nella sfera giuridica del creditore una utilitas oggettivamente apprezzabile, fermo restando che, nel primo caso, il risultato stesso è in rapporto di causalità necessaria con l'attività del debitore, non dipendendo da alcun fattore ad essa estraneo, mentre nell'obbligazione di mezzi il risultato dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da fattori ulteriori e concomitanti. Ne consegue che il debitore di mezzi prova l'esatto adempimento dimostrando di aver osservato le regole dell'arte e di essersi conformato ai protocolli dell'attività, mentre non ha l'onere di provare che il risultato è mancato per cause a lui non imputabili (Cass. n. 4876/2014). BibliografiaBarassi, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964; Benatti, La costituzione in mora del debitore, Milano, 1968; Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953; Cottino, L'impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore. Problemi generali, Milano, 1955; Franzoni, Colpa presunta e responsabilità del debitore, Padova, 1988; Giorgianni, L'inadempimento, Milano, 1975; Mengoni, voce Responsabilità contrattuale, in Enc. dir., 1988; Natoli-Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975; Osti, voce Impossibilità sopravveniente, in Nss. D. I., 1962; Realmonte, voce Caso fortuito e forza maggiore, in Dig. civ., 1988; Santoro, La responsabilità contrattuale: il dibattito teorico, in Contr. e impr. 1989; Trimarchi, Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1984. |