Codice Civile art. 1322 - Autonomia contrattuale.

Cesare Trapuzzano

Autonomia contrattuale.

[I]. Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [41 2 Cost.] [e dalle norme corporative] (1).

[II]. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [1470 ss.], purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

(1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.

Inquadramento

Il potere di libera determinazione del contenuto contrattuale, unitamente al potere creativo di contratti non appartenenti ai tipi aventi una disciplina particolare, costituisce il fondamento positivo dell'autonomia negoziale ovvero dell'autonomia privata in ambito contrattuale (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 24). Altro autore si è espresso nel senso che i poteri dell'autonomia privata si pongono oltre il riconoscimento di tali facoltà (Rescigno, 1988, 15). I limiti fissati dalla norma per l'esercizio dell'autonomia negoziale valgono anche per i soggetti diversi dalle persone fisiche e dalle persone giuridiche, cioè per gli enti collettivi non riconosciuti, ma dotati di propria soggettività giuridica, in quanto autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive. Quale espressione della potestà auto-organizzatoria dell'ente, le associazioni non riconosciute adottano lo statuto, che si configura come un atto unilaterale (Rescigno, 1989, 213).

Costituisce un atto generale di autonomia negoziale il contratto aziendale di lavoro, che realizza una disciplina uniforme dell'interesse collettivo dei lavoratori, con l'efficacia normativa generale tipica della contrattazione collettiva, anche se limitata ad una sola azienda; a tale contratto non sono applicabili gli artt. 2113 e 2077, sicché vi può essere anche una deroga in peius al trattamento dei lavoratori previsto da un precedente contratto collettivo, fatti salvi i diritti quesiti (Cass. n. 13960/2014; Cass. n. 3982/2014; Cass. n. 12098/2010; Cass. n. 4342/2008; Cass. n. 21234/2007; Cass. n. 11939/2004; Cass. n. 9175/1987).

La determinazione del contenuto contrattuale

La facoltà riconosciuta alle parti di determinare liberamente il contenuto del contratto si estende dal piano sostanziale al piano formale. Per l'effetto il contenuto di un contratto o di una clausola può essere determinato tramite il rinvio o il riferimento ad elementi estrinseci, che possono consistere in un atto normativo o amministrativo ovvero in un atto di autonomia privata posto in essere dalle stesse parti o da un terzo. Si ammette pertanto la figura del negozio per relationem. Mediante la relatio il contenuto dell'atto richiamato è recepito nel contenuto della dichiarazione negoziale, divenendone elemento integrante, esclusivamente per volontà delle parti che ad esso hanno fatto esplicito e specifico riferimento; sicché tale elemento integrante trae la sua efficacia precettiva, non già dall'atto, di natura pubblica o privata, dal quale è stato attinto, ma esclusivamente dall'atto di autonomia negoziale nel quale è stato assunto come porzione del suo contenuto. Sotto il profilo interpretativo si distingue il rinvio fisso dal rinvio mobile: nel primo caso la fonte esterna incorporata nel testo negoziale è trattenuta come un elemento originario e costante; nel secondo caso il negozio è integrato attraverso il richiamo ad una norma, il cui testo varia con il variare della fonte esterna. In questa ultima ipotesi non è escluso che, modificata o estinta la fonte esterna, il negozio si riveli incompleto o lacunoso, invalido o inefficace. Ove le parti si siano limitate al mero richiamo della fonte esterna, bisognerà presumere la volontà del rinvio fisso, poiché affinché possa aversi il rinvio mobile è richiesta una chiara ed esplicita scelta in tal senso delle parti (Irti, Vicende della norma e rinvio negoziale, in Giust. civ., 1980, I, 181).

Anche secondo la S.C. non è esclusa nel vigente ordinamento la configurabilità dei contratti per relationem contenenti determinazioni non del tutto autonome della volontà, che si completano ab extra mediante rinvio convenzionale a fonti estranee alla volontà di alcunorelazione imperfetta — o di entrambi i contraentirelazione perfetta — (Cass. n. 2922/1969; Cass. n. 581/1965). La relatio a scopo determinativo del contenuto contrattuale può altresì riguardare elementi estrinseci (fattuali o negoziali), che assumono la funzione e il significato di elementi integrativi ex post del medesimo contenuto, in base alla volontà stessa degli autori del negozio, dal momento che rientra nei poteri dispositivi delle parti porre in essere un negozio completabile mediante uno schema definito, rispondente alla volontà delle parti ed al loro interesse dedotto in negozio (Cass. n. 3593/1983).

Il principio di uguaglianza

La dottrina ritiene che l'autonomia privata soggiaccia al limite del principio di uguaglianza o della parità di trattamento, non già fondato sull'art. 3 Cost., bensì su elementari esigenze di giustizia distributiva, sicché detto principio acquista il carattere di precetto giuridicamente vincolante nel diritto privato ove si accompagni a rapporti di tipo comunitario: l'unione di più persone in una comunità di diritto privato porta con sé l'uguale trattamento dei membri che si trovano in posizioni comparabili nell'ambito di tali comunità (Rescigno, 1988, 16).

La giurisprudenza nega invece che il principio di uguaglianza costituisca un limite dell'autonomia privata, che costituisce piuttosto espressione della libera iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost. Il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge — che obbliga il legislatore a non violare, pur nella sua discrezionalità politica, le regole della ragionevolezza, con la conseguenza di considerare invalida la legge che disponga trattamenti differenziati per determinate categorie di rapporti, allorché dal suo testo, o da altre disposizioni collegate, risulti l'inesistenza della peculiarità dei rapporti regolati, che vengono allegate per giustificare i trattamenti medesimi — non impone ai privati di uniformarsi ad analogo criterio, pena la nullità degli atti, nell'esercizio dell'autonomia loro riservata dall'ordinamento (Cass. n. 2030/1981; Cass. n. 4177/1976). Pertanto, il canone della ragionevolezza, che rappresenta un utile criterio di valutazione del rispetto da parte del legislatore del principio di uguaglianza posto dall'art. 3 Cost., non può essere applicato con la stessa efficacia nella valutazione dei regolamenti privati di interessi che siano frutto dell'autonomia contrattuale (Cass. S.U.n. 17079/2011; Cass. n. 16015/2007; Cass. n. 9643/2004; Cass. n. 10581/1999; Cass. n. 62/1999; Cass. n. 513/1985).

Gli interessi meritevoli di tutela

La valutazione in ordine alla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti attraverso il concreto modello contrattuale prescelto deve essere ragguagliata ai criteri dettati dall'art. 1343: norme imperative, ordine pubblico e buon costume. Quando tali criteri non siano osservati, l'interesse deve essere ritenuto non meritevole di tutela (Ferri, 1968, 406). La ponderazione si distacca invece da tali criteri laddove il giudizio sulla meritevolezza non riguardi l'autonomia patrimoniale sotto il profilo delle finalità e degli scopi che gli stipulanti mirano a realizzare, bensì inerisca all'attitudine dello schema contrattuale atipico ad assumere, come tale, giuridica rilevanza. In tal caso dovrà farsi riferimento ai principi fondamentali dell'ordinamentoin primis ai principi costituzionali. Ed infatti, se in questa prospettiva si identificasse il giudizio sulla meritevolezza di tutela con quello sulla liceità della causa, la norma dell'art. 1322, comma 2, sarebbe privata di qualsiasi contenuto, atteso che i limiti che concernono la liceità sono già posti dall'art. 1343. Perciò, la meritevolezza, lungi dal coincidere con la liceità della causa, esprime un contenuto precettivo più ampio, quantomeno quando si riferisca alla valutazione della rilevanza giuridica dello schema atipico adottato. Dubbia è la riferibilità dell'art. 1322 ai soli contratti atipici, quali negozi privi di una disciplina legislativa e come tali sottoposti in via esclusiva alle sole norme sul contratto in generale. Secondo un'impostazione, sebbene normalmente ad una struttura tipica corrisponda un interesse tipico, nulla vieta a privati di introdurre nel contratto tipico degli elementi extratipici; in questo caso la valutazione dell'ordinamento si deve estendere anche a questi elementi, i quali non sono affatto, in sé e per sé, meritevoli di tutela per la semplice circostanza che siano inseriti in un negozio tipico (Ferri, 1968, 252).

Anche in giurisprudenza si è ritenuto che il giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti può essere condotto avendo riguardo al fatto che tali interessi si prestino ad essere armonicamente integrati nella tavola di valori dell'ordinamento (App. Milano 29 dicembre 1970). Sicché in esso confluiscono le esigenze del mercato e del traffico giuridico, della tutela dei soggetti in posizione debole, dell'utilità sociale del contratto (Cass. n. 6496/1991). Il giudizio di meritevolezza va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, non già alla convenienza, chiarezza o aleatorietà del contratto o delle sue clausole (Cass. n. 7447/2024; Cass. n. 28998/2023). Così in materia di intermediazione finanziaria l'interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell'utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse relative alla gestione di fondi comuni che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela, ponendosi in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 38 e 47 Cost. sulla tutela del risparmio e l'incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace ove si traduca nella concessione all'investitore di un mutuo di durata ragguardevole, finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice, e nel contestuale mandato conferito a quest'ultima per l'acquisto dei prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi (Cass. n. 19559/2015). Per converso, è valido l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (come quando sia concordato il trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie medesima), in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi, diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale (Cass. n. 23713/2012). Allo stesso modo, sempre in materia di famiglia, è di per sé valida la clausola dell'accordo di separazione che contenga l'impegno di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprietà di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che dà vita ad un contratto atipico, distinto dalle convenzioni matrimoniali e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico (Cass. n. 11342/2004). È altresì lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro delle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società mediante l'attribuzione di diritti di vendita (put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società (Cass. n. 17500/2018; Cass. n. 17498/2018). Altri arresti invece legano indissolubilmente la ponderazione in ordine alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, all'esito della conclusione di un contratto atipico, all'inesistenza di un contrasto con la legge, l'ordine pubblico e il buon costume (Cass. n. 2288/2004;  Cass. n. 3142/1980). Il contratto non meritevole di tutela è inefficace sin dalla sua stipulazione (Cass. n. 25630/2017).

I contratti atipici nell'esperienza giurisprudenziale

Il nostro ordinamento ammette il ricorso a schemi atipici, in attuazione dell'autonomia negoziale, purché siano perseguiti interessi meritevoli di tutela. Il relativo vaglio deve essere compiuto alla stregua della causa concreta che caratterizza il contratto stipulato dalle parti. Sicché l'interesse perseguito deve rispondere ad alcuna delle funzioni (cause) ammesse dalla coscienza sociale, o non deve contrastare con i principi riconosciuti dall'ordinamento. Solo in alcuni particolari settori è espressamente preclusa la possibilità di avvalersi di contratti atipici: si pensi alla tipicità e al numero chiuso dei contratti di società di cui all'art. 2249; ovvero alla necessaria conversione dei contratti agrari nel tipo dell'affitto di fondo rustico, allo scopo di realizzare lo scambio tra il godimento di un fondo rustico e un canone. L'ammissibilità della creazione di schemi atipici opera anche con riguardo ai negozi unilaterali, poiché il principio di necessaria tipicità previsto dall'art. 1987 per le promesse unilaterali non può applicarsi a tutti i negozi unilaterali (Rescigno, 1988, 19).

La S.C. ha analizzato molti schemi di contratti atipici conclusi dalle parti per far fronte alle esigenze concrete che il traffico giuridico e i contatti sociali pongono, ritenendoli per l'effetto meritevoli di tutela. Al contrario altri schemi sono stati reputati non meritevoli di tutela per la lesione di valori di rango costituzionale che la loro adozione importa. Così i contratti My Way e 4You non sono meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, perché la struttura negoziale (che prevede l'acquisto di prodotti finanziari mediante un mutuo erogato dalla stessa banca che gestisce o emette quegli strumenti, poi costituiti in pegno a garanzia dell'eventuale mancato rimborso del finanziamento) pone l'alea dell' operazione in capo al solo risparmiatore, il quale, a fronte dell'obbligo di restituire le somme mutuate ad un saggio d'interesse non tenue, non ha una certa prospettiva di lucro, laddove invece la banca consegue vantaggi certi e garantiti. Né il rischio dell'inadempimento del risparmiatore può farsi rientrare nell'alea contrattuale, l'aleatorietà così incidendo nel meccanismo funzionale del rapporto, atteso che l'interesse al corretto adempimento del proprio debitore è circostanza comune ad ogni contratto (Cass. n. 6201/2020 ; Cass. n. 26057/2017 Cass. n. 22950/2015).

Le violazioni di regole dell'ordinamento sportivo in tema di contratto si riflettono anche sulla validità di quest'ultimo secondo l'ordinamento dello Stato, poiché, seppure non direttamente determinanti la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto, cioè sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, interesse da ritenere mancante allorché il contratto sia posto in essere in frode alle regole dell'ordinamento sportivo e senza l'osservanza delle prescrizioni formali all'uopo richieste e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell'ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi. In applicazione di tale principio, è stata ritenuta la nullità di un contratto di assistenza sportiva intercorso tra un calciatore professionista ed un avvocato, in quanto non stipulato in forma scritta sugli appositi moduli previsti dal regolamento degli agenti dei calciatori della Figc (Cass. n. 5216/2015). Ed ancora, altrettanto immeritevole di tutela è stato ritenuto il contratto regolarmente sottoscritto e depositato presso la Lega calcio, con cui si era provveduto al trasferimento di un giocatore da una società calcistica all'altra, ove parallelamente in altro contratto non conforme alle prescrizioni del regolamento della Lega calcio si era determinato in un importo molto superiore rispetto a quanto risultante dal primo il prezzo effettivo del trasferimento (Cass. n. 3545/2004, in Giust. civ., 2005, 2, I, 495, con nota di Vidiri; Cass. n. 75/1994).

È stato considerato non meritevole di tutela anche l'accordo raggiunto tra gli appartenenti all'ordine professionale dei farmacisti, volto a vietare l'apertura al di fuori dei turni minimi e, dunque, a restringere convenzionalmente l'esercizio di facoltà spettanti per legge all'imprenditore nel settore della vendita al dettaglio dei farmaci, trattandosi di contratto atipico che persegue solamente una finalità economica di regolamentazione dei flussi di clientela a beneficio esclusivo dei partecipanti all'intesa, e però comporta una potenziale vanificazione delle finalità di incremento della concorrenza nel settore farmaceutico recepite nelle previsioni regionali e comunque imposte dall'ordinamento nazionale e comunitario (Cass. n. 3080/2013).

Contratto autonomo di garanzia è quello in base al quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad eseguire a prima richiesta la prestazione del debitore indipendentemente dall'esistenza, dalla validità ed efficacia del rapporto di base, e senza sollevare eccezioni (salvo l'exceptio doli). Per la sua indipendenza dall'obbligazione principale si distingue pertanto dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante si obbliga piuttosto a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta. Si distingue altresì dalla garanzia a prima richiesta o a semplice richiesta scritta, nella quale il fideiussore si impegna a rinunziare ad opporre — prima del pagamento — le eccezioni che gli competono, in deroga all'art. 1945, sicché esso si risolve in una clausola solve et repete ex art. 1462 (laddove non valga viceversa a sottolineare l'autonomia dal rapporto principale garantito, in tal caso sostanziandosi in un contratto autonomo di garanzia).Ne consegue una generale inapplicabilità a tale contratto del disposto dell'art. 1957, salvo diversa specifica pattuizione intercorsa tra le parti, purché compatibile con le restanti clausole contrattuali (Cass. n. 6177/2020 ; Cass. n. 7883/2017; Cass. n. 27333/2005; Cass. n. 12979/1995). La lettera di  patronage è un contratto atipico con obbligazioni a carico del solo proponente ex art. 1333, la cui causa è rappresentata dalla volontà di rafforzare le garanzie del creditore ed è, pertanto, diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela a norma dell'art. 1322, comma 2 (Trib. Roma 18 dicembre 2002).

Il contratto di ormeggio non trova alcuna specifica regolamentazione né nel codice civile, né in quello della navigazione, che si limita a dettare norme sulla professione di ormeggiatore, sicché costituisce un contratto atipico, che il diritto non può non riconoscere, in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela; esso non può essere assunto ipso iure nella categoria del contratto di deposito, potendo avere ad oggetto la semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali ovvero estendersi alla custodia dell'imbarcazione: nel primo caso lo stesso è assimilabile alla locazione e solo nel secondo al deposito, da cui discende l'obbligo di custodire il natante e di restituirlo nello stato in cui è stato consegnato. Spetta a colui che fonda sul contratto un determinato diritto (eventualmente il risarcimento del danno per la perdita di oggetti) fornire con ogni mezzo, compreso il ricorso a presunzioni, la prova relativa all'oggetto dell'accordo (Cass. n. 8657/1994, in Giust. civ., 1994, 12, I, 3059, con nota di Grigoli).

Costituisce, inoltre, negozio atipico il contratto di iscrizione scolastica presso un istituto privato, negozio attraverso il quale, previo pagamento di una retta, viene fornito all'alunno l'insegnamento scolastico per un periodo prestabilito (Cass. n. 11934/2002).

Il contratto di albergo è il contratto con cui una parte (albergatore), dietro corrispettivo di un prezzo, si obbliga a fornire al cliente l'alloggio e tutte le prestazioni che renderanno più confortevole il suo soggiorno (servizio di bar-ristorante, lavanderia, stiratura, rifacimento letti, pulizia della camera, ecc.). L'atipicità di questo contratto è affermata facendo riferimento alla circostanza che le previsioni del c.c. (artt. 1783 e 1785) si limitano a regolare il profilo del deposito delle cose portate in albergo o consegnate all'albergatore, mentre esso presenta un contenuto assai più vario, in quanto consiste in prestazioni molteplici ed eterogenee, di dare o facere, dovute dall'albergatore. Diversamente dalla locazione, in cui l'oggetto della prestazione si esaurisce nel godimento del bene, l'albergatore non solo si obbliga a fornire l'alloggio, ma anche tutte quelle prestazioni accessorie attinenti ai mezzi e ai servizi posti a disposizione del cliente per rendere più confortevole e gradito il soggiorno (Cass. n. 10158/1994; Cass. n. 1067/1987). Qualora i servizi strumentali ed accessori all'alloggio acquistino una propria autonomia (allorché eccedano, anche per il costo, quelli comunemente forniti da alberghi della stessa categoria, potendo magari essere utilizzati anche da chi non è ospite dell'albergo), ricorre un contratto misto, avente ad oggetto sia le prestazioni alberghiere sia le altre prestazioni, la cui disciplina giuridica va individuata alla stregua della teoria dell'assorbimento (Cass. n. 2642/2006; Cass. n. 9662/2000).

Il leasing non è disciplinato da una legge organica, anche se è espressamente richiamato in numerose leggi. Esso consiste nella concessione in godimento di un bene per un determinato tempo, verso un canone, con facoltà per l'utilizzatore, alla scadenza del contratto, di scegliere tra la restituzione del bene, l'opzione di acquisto o il rinnovo del contratto. Nell'ambito di tale figura, il leasing operativo o di godimento, nel quale lo scopo diretto è il conseguimento di un'utilità durevole, si distingue dal leasing finanziario o di trasferimento, nel quale lo scopo perseguito dall'utilizzatore è, in via indiretta, il finanziamento finalizzato all'acquisto di beni strumentali: in luogo di anticipare le somme necessarie per l'acquisto dei beni, l'utilizzatore assume l'obbligo di pagare un canone periodico (al finanziatore). Mentre nel leasing operativo il canone corrisposto dall'utilizzatore si configura come corrispettivo dell'uso, nel leasing finanziario il canone tende a coincidere con un rateo del prezzo del bene. Sulla differenza fra leasing operativo e finanziario la S.C. ha precisato che ricorre la prima ipotesi, quando il contratto ha per oggetto beni inidonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto; ricorre invece la seconda ipotesi, quando alla scadenza del rapporto i beni sono destinati a conservare un valore superiore al prezzo per l'opzione (Cass. n. 1715/2001; Cass. n. 4855/2000; Cass. n. 11614/1998). Il leasing è un contratto innominato non sussumibile in alcuno degli schemi contrattuali tipici previsti dalla legge e come tale non identificabile con alcuno di essi (vendita con riserva di proprietà, locazione pura e semplice, locazione cui accede il patto che statuisce l'acquisto finale del bene locato). La causa di tale contratto si traduce in un finanziamento per l'acquisto della disponibilità immediata del bene ed eventualmente della proprietà di esso (Cass. n. 5623/1988; Cass. n. 8766/1987). La funzione esclusivamente di finanziamento per il godimento e la disponibilità del bene prodotto da terzi, la possibilità di evitare grosse immobilizzazioni finanziarie, la dotazione degli elementi strutturali essenziali all'operatività delle imprese e allo sviluppo della competitività concorrenziale, rendono questo contratto un indispensabile strumento negoziale dei moderni traffici giuridici e ne consacrano la meritevolezza, senza che se ne possa porre in dubbio la rilevanza per il sol fatto che tali risultati possono essere perseguiti con altri schemi tipici (Cass. n. 5573/1989; Cass. n. 6390/1983). Con riguardo alla disciplina applicabile a tale contratto, si sostiene che debba farsi riferimento, trattandosi di un contratto atipico, alla disciplina liberamente determinata dalle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale (Trib. Milano 30 luglio 1987). Ove si tratti di leasing operativo (o di godimento) la risoluzione dell'utilizzatore non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell'art. 1458, comma 1, mentre in caso di leasing finanziario (o di trasferimento) trova applicazione l'art. 1526 (Cass. n. 9417/2001; Cass. n. 1715/2001; Cass. n. 10265/2000). La distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo e le differenti conseguenze applicative che da essa derivano, nell'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, tramite l'art. 59 d.lgs. n. 5/2006, dell'art. 72 quater l. fall. (per la nuova disciplina, v. l'art. 177 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”) (Cass. n. 8687/2015). Nel leasing finanziario non può essere convenzionalmente previsto il trasferimento sull'utilizzatore del rischio della mancata consegna della cosa da parte del fornitore, né della consegna di una cosa con vizi che la rendano diversa da quella pattuita per la mancanza dei requisiti necessari all'uso (Cass. n. 8101/2012; Cass. n. 12279/2004). Nel contratto di locazione finanziaria all'utilizzatore può essere riconosciuta una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa anche in assenza di specifiche clausole contrattuali perché con il contratto in questione l'utilizzatore, nell'ambito dello schema del mandato senza rappresentanza, si appropria degli effetti del rapporto gestorio instaurato dal concedente (Cass. n. 11776/2006; Cass. n. 17767/2005), sebbene parte della giurisprudenza abbia limitato tale tutela all'azione di adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto (Cass. n. 17145/2006). Sulla questione relativa alla legittimazione dell'utilizzatore a proporre anche la domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing (concedente), la S.C., a cui è stata sottoposta la questione, ha statuito che tale legittimazione sussiste soltanto in presenza di una specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale del concedente all'utilizzatore (Cass. S.U., n. 19785/2015). Pertanto, in mancanza di tale specifica clausola, qualora emergano dei vizi della cosa dopo la sua consegna, l'utilizzatore può agire direttamente contro il fornitore soltanto per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa; sarà onere del concedente, una volta informato dall'utilizzatore dell'emersione dei vizi, agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche che si riverberano sul collegato contratto di locazione. Di recente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno confermato l'orientamento dei giudici di legittimità secondo cui la clausola inserita in un contratto di leasing, che faccia dipendere la misura del canone dovuto dall'utilizzatore dalla variazione di un doppio indice finanziario e monetario, non è uno “strumento finanziario derivato” e non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c. (Cass. S.U. n. 5657/2023).

Il contratto di leaseback (o sale back o locazione di ritorno) è il contratto con il quale una parte (in genere un'impresa o un lavoratore autonomo), al fine di smobilizzare precedenti investimenti, vende un proprio bene, strumentale all'attività svolta, ad un'impresa di finanziamento che ne acquista la proprietà. La suddetta impresa (acquirente) contestualmente concede l'utilizzo di tale bene al venditore che ne gode pagando un canone. Al termine del rapporto l'originario venditore potrà, qualora lo voglia, esercitando un diritto di opzione per un prezzo già determinato, riacquistare la proprietà del bene, oppure optare per la continuazione della locazione. La causa del contratto è quella di finanziamento (Cass. n. 10805/1995). Rappresenta orientamento consolidato quello che reputa il contratto di leaseback meritevole di tutela e astrattamente lecito in quanto non si pone in violazione dell'art. 2744, essendo l'effetto traslativo immediato e non subordinato all'inadempimento dell'utilizzatore. Ciò nondimeno, laddove si riscontrino delle alterazioni rispetto allo schema socialmente tipizzato, tali da far presumere che lo scopo del contratto diviene quello di fornire al venditore una provvista finanziaria assistita da garanzia reale, allora si potrà dichiarare la nullità del suddetto contratto per violazione della norma imperativa che sancisce il divieto di patti commissori. Sicché tale schema contrattuale non è, per sua natura, nullo per illiceità della causa; questa può scaturire da anomalie che facciano venir meno la qualifica di vendita con scopo di leasing e piuttosto concorrano a realizzare uno scopo di garanzia (Cass. n. 4664/2021 ; Cass. n. 18920/2014; Cass. n. 7296/2006; Cass. n. 5438/2006; Cass. n. 15178/2004; Cass. n. 13580/2004; Cass. n. 6663/1997; Cass. n. 10805/1995). È stato considerato strumento elusivo delle norme tributarie il contratto di lease back tra due società appartenenti al medesimo gruppo di società (Cass. n. 8481/2009).

Il contratto di engineering o di progettazione o di esecuzione di opere e servizi consiste nel contratto con il quale una parte (normalmente un'impresa) si obbliga nei confronti dell'altra ad elaborare un progetto di natura industriale, architettonica, urbanistica, ed eventualmente a realizzarlo, ovvero a dare realizzazione a progetti da altre imprese elaborati, provvedendo anche, se ciò sia convenzionalmente pattuito, a svolgere prestazioni accessorie di assistenza tecnica, ricevendo a titolo di corrispettivo una somma di danaro, integrata (o sostituita) eventualmente da royalties, interessenze o partecipazioni agli utili dell'attività imprenditoriale avviata in seguito alla realizzazione del progetto. Il contratto concluso con una società d'ingegneria (Cass. n. 10860/2003) è più articolato di quello di mera opera intellettuale, caratterizzato dall'intuitus personae, in quanto implica un'attività preparatoria e interdisciplinare variegata e complessa (Cass. n. 1405/1989). Dottrina e giurisprudenza distinguono all'interno di tale tipologia negoziale due sottocategorie: il consulting engineering e il commercial engineering (Cass. n. 24922/2007; Cass. n. 10872/1999; Cass. n. 5648/1994). Il consulting engineering racchiude tre modelli contrattuali: quello classico, in cui l'engineer presta la sola consulenza tecnica; quello interno, ove l'engineer  consiglia il committente, che si avvale del proprio personale, nelle varie fasi della progettazione; infine quello di gestione del progetto, nel quale l'engineer si assume tutte le responsabilità per ciò che riguarda l'attività di natura intellettuale per la realizzazione del progetto. In generale nel consulting engineering la prestazione del professionista si esaurisce nella fase di progettazione dell'opera, che non è in alcun modo collegata alla fase successiva di realizzazione della medesima; in ragione di ciò, si ritiene che tale tipo di contratto sia assimilabile ad una prestazione di servizi, configurandosi così in capo all'engineer un'obbligazione di mezzi. Per converso, nel commercial engineering la società di ingegneria adempie un'obbligazione di risultato in quanto fornisce oltre alla progettazione dell'opera, la realizzazione della stessa ed ogni studio preliminare e connesso, consegnando un prodotto chiavi in mano, comprendente gli studi di fattibilità tecnica, economica e sociale, i servizi di progettazione esecutiva e direzione lavori, i servizi di costruzione, i servizi di innovazione tecnologica, il trasferimento di know- how, i servizi di produzione e gestione e quelli commerciali e finanziari, compresa l'assistenza e consulenza sui problemi di marketing. Sicché al committente è consegnata, entro una data prestabilita, l'opera finita e pronta per l'uso. Sotto il profilo della qualificazione giuridica, tale schema negoziale è ricondotto alla figura dell'appalto di servizi, così individuando la disciplina che verrà in soccorso a potenziali lacune del testo contrattuale. Il compimento di un'opera con relativa assunzione del rischio da parte dell'imprenditore è un tratto comune alle due tipologie contrattuali. Tuttavia, gli aspetti di differenziazione sono molteplici. Nell'appalto la realizzazione dell'opera rappresenta l'elemento caratterizzante la prestazione, dal momento che il progetto può essere fornito all'appaltatore dal committente ovvero da un terzo progettista. Nell'engineering, invece, il momento della progettazione assume carattere preminente, data l'accessorietà della fase di realizzazione dell'opera. In ordine alla distribuzione del rischio, per l'appalto trova applicazione l'art. 1664, a norma del quale l'area del rischio dell'appaltatore è delimitata dal rapporto fra corrispettivo e costi: circostanze imprevedibili che comportino un aumento, oltre un decimo del prezzo pattuito, dei costi dei materiali o della mano d'opera; difficoltà di esecuzione dovute a cause idriche, geologiche, o simili, che rendano più onerosa la prestazione dell'appaltatore, determinando uno squilibrio delle prestazioni che deve essere corretto, rispettivamente, con la revisione del prezzo contrattuale e con l'attribuzione di un equo compenso all'appaltatore. Al contrario, al possibile squilibrio delle prestazioni contrattuali è insensibile il contratto di engineering: sulla società di ingegneria grava l'obbligo di effettuare con diligenza gli studi di fattibilità tecnica, al fine di escludere possibili imprevisti in sede di esecuzione dell'opera. In tali contratti è sempre inserita una clausola secondo la quale il committente non risponde dei maggiori costi derivanti da cause imputabili alla società di ingegneria. Emergono, inoltre, rilevanti differenze anche sotto il profilo della controprestazione rispetto ai servizi resi, in quanto, differentemente dall'appalto, nell'engineering il corrispettivo è tendenzialmente fisso e può consistere in royalties. Alla luce di tali asimmetrie tipologiche non può non riconoscersi l'atipicità del contratto di engineering.

Con il contratto di affiliazione commerciale o franchising un produttore o rivenditore di beni od offerente di servizi (franchisor) ed un distributore (franchisee), al fine di allargare il proprio giro commerciale e di aumentare le proprie capacità di penetrazione nel mercato — creando una rete di distribuzione senza dover intervenire direttamente nelle realtà locali —, concede, verso corrispettivo, di entrare a far parte della propria catena di produzione o rivendita di beni o di offerta di servizi ad un autonomo ed indipendente distributore (franchisee) che, con l'utilizzarne il marchio e nel giovarsi del suo prestigio ha modo di intraprendere un'attività commerciale e di inserirsi nel mercato con riduzione del rischio (Cass. n. 647/2007). Il contratto di franchising tra due società costituisce espressione del principio di libertà di iniziativa economica privata garantito dall'art. 1322 e ancor prima dall'art. 41 Cost., il quale consente e tutela l'aggregazione e l'affiliazione e comunque la collaborazione di imprese. Ne deriva che detto contratto attiene a materia disponibile in quanto espressione della libertà di scelta nello svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto tale, con la conseguenza che le controversie nascenti dal contratto medesimo, compresa quella relativa alla facoltà di recesso della società affiliata prima del termine finale previsto dal contratto, sono compromettibili in arbitrato rituale (Cass. n. 8376/2000). Rimanendo il franchisor ed il franchisee soggetti autonomi e distinti tra loro, il primo non può direttamente richiedere a un debitore del secondo il pagamento di un credito del medesimo, né la comunicazione scritta indirizzatagli a nome e per conto di quest'ultimo può valere ad interromperne la prescrizione (Cass. n. 647/2007).

Il contratto di sponsorizzazione comprende una serie di ipotesi nelle quali un soggetto detto sponsorizzato si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l'uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente denominato, mentre la patrimonialità dell'oggetto dell'obbligazione dipende dal fenomeno di commercializzazione del nome e dell'immagine personale affermatasi nel costume sociale (Cass. n. 12801/2006, in Resp. civ. e prev., 2007, 3, II, 554, con nota di Felleti; Cass. n. 5086/1998). Tale uso dell'immagine pubblica può anche prevedere che lo sponsee tenga determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto di commercializzazione (Cass. n. 7083/2006). In quanto rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, in detto contratto atipico assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede (Cass. n. 8153/2014).

Il contratto con cui una parte si obbliga a fornire all'altra prestazioni alimentari, ed eventualmente anche assistenziali, verso il corrispettivo del trasferimento di un immobile o della cessione di un capitale, si configura come un contratto atipico di assistenza o di vitalizio improprio al quale non è applicabile la specifica disciplina dettata dal legislatore in materia di contratto di rendita vitalizia o di vitalizio alimentare e di mantenimento. Il contratto di vitalizio improprio si differenzia dal contratto di rendita sia per l'intuitus personae, che per la prestazione consistente in un fare infungibile in vece del dare (Cass. n. 1080/2020 ; Cass. n. 1280/1996; Cass. n. 12650/1995). A questo contratto non si applica la disciplina di cui all'art. 1878, incompatibile con il tipo di prestazioni che da esso nascono (fare infungibile), ma la disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 (Cass. S.U., n. 8432/1990; Cass. n. 7033/2000; Cass. n. 8854/1998; Cass. n. 8825/1996). Ai fini della configurabilità del contratto atipico di vitalizio alimentare non è d'ostacolo la previsione che l'assistenza possa essere fornita dagli eredi o aventi causa del contraente, atteso che l'infungibilità della prestazione, che caratterizza detto contratto, va riferita alla sua insostituibilità con una prestazione in denaro ed alla correlata incoercibilità (Cass. n. 9764/2012).

È valido il pactum de non exsequendo siccome meritevole di tutela giuridica ed in quanto non contrastante con i principi fondamentali vigenti in materia di processo di esecuzione. Con tale patto, stipulato anche anteriormente alla sentenza, le parti convengono di non avvalersi della esecutorietà ex lege della sentenza fino al momento in cui su essa si formi il giudicato (Cass. n. 8774/1991).

Il contratto di parcheggio delle autovetture è un contratto atipico meritevole di tutela giuridica. Ad esso si applicano le norme giuridiche dettate in materia di contratto di deposito essendovi l'affidamento del veicolo al gestore che è obbligato a custodirlo e a riconsegnarlo nello stesso stato in cui lo ha ricevuto (Cass. n. 18277/2023Cass. n. 10892/1999; Cass. n. 8615/1990). Si deve distinguere il parcheggio a ore o a giornata dal parcheggio a tempo indeterminato o determinato (mese/anno ecc.). Nel primo caso, l'asporto del veicolo da parte dell'utente comporta la scadenza del contratto e del relativo obbligo del gestore di custodire il veicolo, con la conseguenza che è necessario concludere un nuovo contratto ogni volta che il mezzo venga nuovamente riconsegnato. Nella seconda ipotesi, invece, l'asporto della vettura comporta una semplice sospensione dell'obbligo di custodirla per tutto il tempo corrispondente; sussiste una stretta correlazione tra obbligo di custodia e consegna della vettura (Cass. n. 5461/1996). Nel caso di predisposizione di una apposita area per il parcheggio con l'installazione dei parchimetri e con l'indicazione delle tariffe per usufruire del servizio, il contratto di parcheggio si conclude con l'iniectio senza la necessità di un affidamento dell'autovettura ad una persona fisica. Perfezionato il contratto, il gestore sarà obbligato alla custodia senza che possa eccepire uno sciopero del personale se di questo non è stata fornita comunicazione (Cass. n. 11568/1990). Le condizioni generali di contratto, predisposte dal gestore del parcheggio, di esonero dall'obbligo di custodia e dalla connessa responsabilità sono da considerarsi inefficaci se non specificamente approvate per iscritto (Cass. n. 16079/2009; Cass. n. 1957/2009). Tuttavia, il contratto di parcheggio, istituito dai comuni ai sensi dell'art. 15, l. n. 122/1989 e dell'art. 7, comma 1, lett. f, d.lgs. n. 285/1992, non comporta l'esistenza di un obbligo di custodia del veicolo a carico del gestore del parcheggio, non trovando in tal caso applicazione, stante la portata derogatoria della citata normativa speciale, la disciplina generale dettata dall'art. 1766 e ss. in materia di deposito. Trovando l'assenza di un obbligo di custodia la sua fonte direttamente nella legge e non in una clausola contrattuale limitatrice di responsabilità, il regolamento, con espressa avvertenza che il gestore dell'area di parcheggio non risponde del furto del veicolo e di quanto in esso contenuto, non necessita di approvazione per iscritto ai sensi dell'art. 1341 (Cass. n. 6169/2009).

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