Codice Civile art. 1463 - Impossibilità totale.Impossibilità totale. [I]. Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta [1256] non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito [2033 ss.]. InquadramentoLa norma regola le conseguenze dell'impossibilità definitiva e totale della prestazione per causa non imputabile alla parte nei contratti con prestazioni corrispettive a efficacia obbligatoria. Tale impossibilità estingue l'obbligazione e conseguentemente il debitore che era tenuto ad eseguirla è liberato. L'impossibilità non imputabile importa altresì il venir meno del fondamento giustificativo della controprestazione, legata alla prestazione divenuta impossibile da un nesso sinallagmatico, determinando l'effetto risolutorio del vincolo contrattuale, cosicché il debitore liberato, qualora non abbia ricevuto la controprestazione, non può pretenderla mentre, ove l'abbia ricevuta, dovrà restituirla, secondo le norme sulla ripetizione dell'indebito (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 878). Viceversa quando la prestazione sia divenuta impossibile per l'ingiustificato rifiuto del creditore di riceverla o di cooperare nell'adempimento, il rapporto si protrae, ma ciò dipende dalla condotta illecita della parte cui è imputabile la perdita della prestazione già offerta (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 878). In conseguenza della verificazione dell'impossibilità sopravvenuta non imputabile la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive si produce ipso iure o di diritto, sicché la relativa pronuncia giudiziale avrà natura meramente dichiarativa di un effetto già integrato nel mondo esterno, e non costitutiva di tale effetto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 646; Bianca, 1994, 373). Alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta si applica la disciplina della risoluzione per inadempimento con riferimento agli effetti retroattivi che ne derivano ex art. 1458 (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 645; Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 531). Proprio alla stregua della riconduzione automatica dell'effetto risolutivo ad un evento sopravvenuto non imputabile, si è posto in dubbio che tale ipotesi rientri nell'istituto della risoluzione in senso tecnico, la quale fa specifico riferimento alle fattispecie di risoluzione potestativa, dipendente cioè da un inadempimento imputabile ovvero da impossibilità parziale; in questa direzione si è ritenuto che la risoluzione in senso tecnico sia propriamente riferibile alle sole risoluzioni potestative, mentre con riguardo alle conseguenze che discendono dalla fortuita impossibilità totale della prestazione sarebbe più corretta una qualificazione giuridica in termini di scioglimento in senso stretto o automatico per impossibilità sopravvenuta (Dalmartello, 128). La risoluzione per impossibilità sopravvenuta opera di diritto (Cass. n. 36329/2021; Cass. n. 1037/1995; Cass. n. 1527/1948). Si applicano le norme sugli effetti retroattivi della risoluzione previste per la risoluzione per inadempimento (Cass. n. 1037/1995). Attesa la diversità dei presupposti, incorre nel vizio di ultrapetizione la sentenza che, all'esito della proposizione di domanda di risoluzione per inadempimento, dichiari la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, e viceversa (Cass. n. 1104/1996; Cass. n. 360/1992). I presuppostiL'impossibilità sopravvenuta con effetti liberatori per il debitore, ossia maturata successivamente alla conclusione del contratto, può aversi solo se concorrono l'elemento oggettivo dell'impossibilità di eseguire l'obbligazione e quello soggettivo dell'assenza di colpa nella realizzazione dell'evento che ha reso impossibile tale prestazione. Per converso non è giustificato il contegno della parte che, pur essendo impossibilitata ad adempiere per causa non imputabile, poteva tuttavia prevedere l'impossibilità (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 531). L'impossibilità deve essere oggettiva, assoluta e definitiva. Ove l'impossibilità sia solo temporanea si determina la sospensione dell'esecuzione del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 646), salvo che non venga meno l'interesse del creditore a ricevere la prestazione oltre il termine pattuito, nel quale caso può avere luogo la risoluzione. Segnatamente può accadere che l'impossibilità temporanea cessi e di conseguenza la prestazione sarà esigibile e dovrà essere eseguita. Ove l'inesecuzione persista essa diviene imputabile e costituisce inadempimento, anche agli effetti della risoluzione e del risarcimento del danno. Nel caso in cui l'impossibilità persista al di là dei limiti indicati dall'art. 1256, essa finisce per equivalere all'impossibilità definitiva, che determina nel contratto quello stesso scioglimento (automatico), che è proprio dell'impossibilità fin dall'origine definitiva (Dalmartello, 129). Ad avviso della S.C. la risoluzione è condizionata soltanto dalla presenza di un impedimento oggettivo e assoluto, da valutare in riferimento alla prestazione in sé e per sé considerata e non alle concrete possibilità del debitore (Cass. n. 5496/1982; Cass. n. 2018/1978). Pertanto la sopravvenuta impossibilità che, ai sensi dell'art. 1256, estingue l'obbligazione, è quella che concerne direttamente la prestazione e non quella che pregiudica le possibilità della sua utilizzazione da parte del creditore (Cass. n. 9304/1994). Tuttavia altri arresti hanno affermato che l'impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l'adempimento della prestazione da parte del debitore o l'utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell'obbligazione (Cass. n. 8766/2019; Cass. n. 20811/2014). L'impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore non determina la risoluzione, ma la sola sospensione del contratto (Cass. n. 8286/2024). L'impossibilità sopravvenuta della prestazione presuppone l'addebitabilità a ragioni obiettive (Cass. n. 3440/2006). Essa è esclusa ove l'evento sopravvenuto renda l'adempimento non impossibile ma soltanto più difficoltoso (Cass. n. 25777/2013; Cass. n. 9645/2004; Cass. n. 1409/1975).La non imputabilità ai contraenti giustifica i soli obblighi restitutori derivanti dallo scioglimento del vincolo contrattuale, essendo le prestazioni rese divenute indebite, ma non consente di condannare il debitore al risarcimento del danno da inadempimento imputabile (Cass. n. 23209/2023). Le condizioni applicative e gli effettiLa risoluzione per impossibilità sopravvenuta può essere richiesta anche dalla parte che avrebbe dovuto eseguire la prestazione divenuta impossibile (Dalmartello, 129). L'onere della prova della causa integratrice della risoluzione ricade sulla parte che rivendica tale impossibilità, ossia che sarebbe stata tenuta ad eseguire la prestazione impossibile. La disciplina legale è derogabile in via convenzionale (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 646). La norma si riferisce ai contratti a prestazioni corrispettive, ma si ritiene che lo strumento della risoluzione per impossibilità sopravvenuta sia in generale applicabile ai contratti a titolo oneroso, siano essi commutativi o associativi (Mosco, 437). Con riferimento ai contratti aleatori, benché non vi sia una specifica disposizione che ne escluda l'applicazione, come invece è previsto in tema di risoluzione per eccessiva onerosità, si reputa che nel caso concreto occorrerà verificare la compatibilità della causa del contratto con tale possibilità di risoluzione. Per effetto della risoluzione la parte che ha eseguito la prestazione avrà diritto alla restituzione secondo le norme che regolano la ripetizione dell'indebito (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 646). La domanda di ripetizione potrà essere proposta congiuntamente a quella di accertamento della risoluzione (Mosco, 437). È controverso se, in ragione del rinvio effettuato dall'art. 1463 alla disciplina sulla ripetizione dell'indebito, sia applicabile alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta la previsione specifica dell'art. 2038, con riguardo alle alienazioni a titolo gratuito poste in essere dalla parte tenuta alla restituzione della prestazione eseguita in forza del contratto risoluto, norma che impone un obbligo al terzo acquirente di rispondere verso colui che ha pagato l'indebito nei limiti dell'arricchimento del terzo stesso, posto che tale disposizione si pone in conflitto con l'art. 1458, comma 2, secondo cui la risoluzione non pregiudica i diritti dei terzi. Secondo un primo orientamento prevale la norma specifica in tema di risoluzione, sicché il terzo acquirente a titolo gratuito non risponderà, pena un'ingiustificata disparità di trattamento tra gli acquirenti a titolo gratuito che abbiano tratto il loro diritto da un contratto risolto per inadempimento e gli acquirenti a titolo gratuito che abbiano tratto il loro diritto da un contratto risolto per impossibilità sopravvenuta (Mosco, 440; Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 533). In base ad altro indirizzo dovrebbe prevalere l'applicazione della disposizione in tema di ripetizione dell'indebito allo scopo di non lasciare priva di tutela la parte già divenuta proprietaria del bene in forza di un contratto risolto, atteso che nella risoluzione per inadempimento la parte che ha diritto alla restituzione, se per un verso non recupera la prestazione di cui la controparte ha già disposto per altro verso gode comunque del diritto al risarcimento dei danni verso la parte inadempiente, rimedio che è per definizione precluso quando la risoluzione sia riconducibile all'impossibilità sopravvenuta non imputabile (Bianca, 1994, 380). La disciplina dedicata alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta si applica anche ai contratti di lavoro (Cass. n. 14871/2004; Cass. n. 2811/1973; Cass. n. 855/1959). Inoltre l'impossibilità può riguardare anche i contratti preliminari (Cass. n. 4626/1979; Cass. n. 17/1955), con riferimento alle prestazioni che avrebbero dovuto costituire il contenuto del definitivo (Cass. n. 167/1976). In tal caso la risoluzione può estendersi al definitivo, purché le parti vengano a conoscenza dell'impossibilità della prestazione dopo la stipulazione del definitivo medesimo (Cass. n. 3734/1985). Secondo un arresto della giurisprudenza di merito la risoluzione ha luogo anche quando l'impossibilità derivi dalla mancata cooperazione della controparte, ove questa sia tenuta, in base al canone generale di buona fede, a tenere quei comportamenti necessari a rendere possibile l'adempimento (Trib. Napoli 15 luglio 1974). La risoluzione può essere invocata anche dalla parte che è impossibilitata ad adempiere (Cass. n. 26958/2007; Cass. n. 3222/1956). L'impossibilità liberatoria non è configurabile nelle obbligazioni negative poiché una siffatta evenienza è già inconcepibile sul piano logico (Cass. n. 1094/1951). Le norme sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta non hanno carattere cogente e inderogabile, con la conseguenza che le parti possono disporre una diversa disciplina degli effetti dell'evento che rende la prestazione impossibile (Cass. n. 5592/1977; Cass. n. 275/1976). In questa prospettiva la disciplina legale non è applicabile quando le parti abbiano previsto l'assunzione contrattuale dei rischi relativi all'adempimento (Cass. n. 3694/1984).In difetto di tempestivo mutamento della domanda, non può essere pronunciata la risoluzione per impossibilità ove sia proposta domanda di risoluzione per inadempimento (Cass. n. 6866/2018). 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D.I., Torino, 1969; Grasso, Eccezione di inadempimento e risoluzione del contratto, Napoli, 1973; Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950; Natoli, voce Diffida ad adempiere, in Enc. dir., Milano, 1964; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982; Tartaglia, voce Onerosità eccessiva, in Enc. dir., Milano, 1980. |