Codice Civile art. 1467 - Contratto con prestazioni corrispettive.

Cesare Trapuzzano

Contratto con prestazioni corrispettive.

[I]. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458 [168 trans.].

[II]. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto.

[III]. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto [1623, 1664].

Inquadramento

L'istituto della risoluzione per eccessiva onerosità riguarda i soli contratti con prestazioni corrispettive a esecuzione continuata o periodica o differita. Per contro nei contratti con prestazioni corrispettive a efficacia istantanea, nei quali la residua attività esecutiva non sia rinviata, né si protragga nel tempo, né sia ripetuta a intervalli periodici, non potrà invocarsi tale forma di risoluzione. In questi casi le parti affrontano consapevolmente il rischio, assunto all'atto della conclusione del contratto, nei limiti previsti dalla legge, che eventi sopravvenuti possano rendere una delle attribuzioni più onerosa rispetto al costo e al sacrificio che allo spostamento patrimoniale erano in origine ricollegati e che erano ragionevolmente prevedibili (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 882). Nell'ambito indicato tale ipotesi di risoluzione del contratto presuppone un'alterazione dell'equilibrio patrimoniale fra le prestazioni (Boselli, 334), dovuta all'eccessiva onerosità sopravvenuta dell'una o alla diminuzione del valore originario dell'altra (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 541). Sul punto si contrappongono due criteri proposti per la valutazione di tale squilibrio sopravvenuto, entrambi di natura dinamica: un criterio di comparazione del sinallagma e un criterio di comparazione della prestazione. In base al primo criterio l'eccessiva onerosità deve essere valutata raffrontando l'equilibrio iniziale tra le prestazioni con l'alterazione successivamente intervenuta (Tartaglia, 164). In ragione del secondo criterio il confronto deve avvenire sulla base della prestazione dovuta, verificando il mutamento di valore che essa subisce tra il momento della conclusione del contratto e quello dell'adempimento, nonché assumendo il valore monetario della prestazione come unità di misura dell'intervenuta sproporzione (Gambino, Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell'alea normale del contratto, in Riv. dir. comm., 1960, I, 416; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 981), sicché non avrebbe alcun rilievo lo svilimento della controprestazione. Comunque la sproporzione è irrilevante qualora intervenga dopo l'adempimento della prestazione (Tartaglia, 163). Essa deve essersi determinata successivamente alla stipulazione del contratto, ma può derivare anche da eventi anteriori alla stipulazione, le cui conseguenze, straordinarie e imprevedibili, si verifichino nel periodo di esecuzione del contratto (Tartaglia, 163). Può agire per richiedere la risoluzione solo la parte che non abbia ancora eseguito la prestazione divenuta eccessivamente onerosa (Tartaglia, 171) e che non sia inadempiente (Boselli, 335) o non abbia dato causa al verificarsi dell'evento o non abbia concorso ad aggravare la propria posizione debitoria (Bianca, 1994, 387; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 656). In ogni caso l'eccessiva onerosità non giustifica la sospensione dell'adempimento (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 660), né può essere fatta valere come eccezione nel giudizio promosso dalla controparte (Boselli, 336; Bianca, 1994, 397). La pronuncia giudiziale di risoluzione per eccessiva onerosità ha natura costitutiva (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 885; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 1001). In ragione dell'espresso rinvio gli effetti della risoluzione per eccessiva onerosità sono quelli regolati nella risoluzione per inadempimento. L'eccessiva onerosità si distingue dall'impossibilità sopravvenuta: mentre la prima delinea un concetto di natura quantitativa, la seconda attiene ad un fenomeno di natura qualitativa (Cagnasso, Impossibilità sopravvenuta della prestazione, in Enc. giur., 1991, 4).

La giurisprudenza puntualizza che l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare la risoluzione del contratto, richiede la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall'altro, la riconducibilità dell'eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell'ambito della normale alea contrattuale (Cass. n. 27152/2023; Cass. n. 22396/2006). Anche la S.C. sostiene che l'eccessiva onerosità non può essere invocata da chi vi abbia dato causa con il proprio comportamento inadempiente (Cass. n. 1739/1985) o abbia rinviato l'adempimento per speculare su di essa (Cass. n. 1462/1954). La richiesta di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto con prestazioni corrispettive costituisce una vera e propria domanda, e non un'eccezione, e la relativa pronuncia ha carattere costitutivo (Cass. n. 26363/2017 ; Cass. n. 20744/2004; Cass. n. 1090/1995). L'onere della prova dell'integrazione dei relativi presupposti ricade sulla parte che chiede la risoluzione (Cass. n. 1462/1954).

Il campo applicativo

La norma si riferisce espressamente ai contratti con prestazioni corrispettive a esecuzione continuata o periodica o differita, anche se tali requisiti attengano ad una sola prestazione (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 992), purché si tratti di una prestazione fondamentale e non accessoria (Tartaglia, 162). Pertanto l'eccessiva onerosità si riferisce essenzialmente ai contratti di durata e non ai contratti traslativi, la cui prestazione si esaurisce con il consenso (Bianca, 1994, 392). Si ritiene che la norma sia applicabile estensivamente anche ai contratti la cui esecuzione, che avrebbe dovuto essere immediata, sia stata consensualmente rinviata (Boselli, 335). La risoluzione trova spazio anche nella vendita a rate con riserva della proprietà (Tartaglia, 162; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 660) nonché nel preliminare e nell'opzione (Bianca, 1994, 394). Qualora il contratto sia sottoposto a condizione sospensiva, si afferma che lo stesso è risolubile nell'ipotesi in cui l'eccessiva onerosità si verifichi prima dell'avveramento dell'evento dedotto in condizione, sempre che il contratto non rimanga inefficace per la mancata realizzazione della condizione, dal momento che il rimedio si riferisce ai contratti efficaci ancora da eseguire (Tartaglia, 162). Secondo una tesi la risoluzione per eccessiva onerosità può riguardare anche i contratti con obbligazioni di una sola parte, purché ciò non arrechi alcun pregiudizio alla parte che deve ricevere la prestazione. Viceversa, quando un contratto a prestazioni corrispettive è stato già eseguito per intero da una sola parte, la sua risolubilità andrebbe esclusa e si dovrebbe applicare l'art. 1468 (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 536; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 986). Le norme sull'eccessiva onerosità non si applicano ai contratti associativi (Boselli, 334) né ai contratti a titolo gratuito. Tuttavia con riferimento al contratto di società si è rilevato che la funzione associativa non escluderebbe il reciproco condizionamento tra le prestazioni dei soci che, se differite nel tempo, possono divenire eccessivamente onerose (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 987).

La giurisprudenza ritiene che la continuazione, la periodicità e il differimento possano concernere anche una sola prestazione (Cass. n. 966/1974). L'istituto non può trovare applicazione con riferimento ai contratti a efficacia reale immediata, ancorché le parti abbiano differito ad un momento successivo la stipula dell'atto notarile (Cass. n. 5480/1991). Sicché tale causa di scioglimento è invocabile per il contratto di compravendita ad efficacia obbligatoria (nel quale cioè per il verificarsi dell'effetto traslativo non basta il semplice consenso, occorrendo altresì il verificarsi di un ulteriore fatto, come la specificazione, per la vendita di cose indicate solo nel genere, o l'acquisto da parte del venditore, per la vendita di cose altrui) e non invece per la vendita con effetti reali immediati, nella quale la prestazione del venditore si intende eseguita al momento della manifestazione del consenso, senza che rilevi in contrario il pattuito differimento della materiale consegna della cosa (Cass. n. 1371/1999; Cass. n. 2415/1967). Né può avere applicazione ad un contratto di compravendita con immediato trasferimento della proprietà e con la consegna del bene, sebbene debba ancora essere corrisposta una parte del prezzo (Cass. n. 11947/2003; Cass. n. 7876/1990). Si applica invece ai contratti i cui effetti siano posticipati rispetto alla stipulazione, in ragione dell'apposizione di una condizione sospensiva o di un termine iniziale (Cass. n. 685/1967), ovvero la cui esecuzione dovuta immediatamente sia stata rinviata per mutuo consenso, anche tacito (Cass. n. 316/1948), o nella vendita a rate con patto di riservato dominio a favore del solo compratore (Cass. n. 2815/1971; contra Cass. n. 1736/1947). È ammessa anche la risoluzione per eccessiva onerosità del preliminare (Cass. n. 5302/1998; Cass. n. 1559/1995; Cass. n. 6574/1984), salvo che i suoi effetti siano stati anticipati (Cass. n. 5349/1997; Cass. n. 1649/1994). Può riferirsi anche ad un contratto atipico di compravendita immobiliare in cui sia prevista l'assunzione della garanzia di redditività del bene venduto (Cass. n. 7225/2009). La S.C. poi chiarisce che l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione nei contratti a titolo gratuito consiste nella sopravvenuta sproporzione tra il valore originario della prestazione ed il valore successivo, mentre nei contratti onerosi consiste nella sopravvenuta sproporzione tra i valori delle prestazioni (Cass. n. 12235/2007). L'istituto non trova applicazione ai contratti associativi (Cass. n. 1507/1998); è invece compatibile con la transazione ad esecuzione differita (Cass. n. 4451/2020; Cass. n. 9125/1993).

Gli avvenimenti straordinari e imprevedibili

Ai fini dell'integrazione dei presupposti della risoluzione per eccessiva onerosità assume rilievo ogni avvenimento il cui rischio non è stato assunto nel contratto, in quanto ritenuto improbabile secondo la valutazione compiuta dalle parti al momento della conclusione del contratto stesso (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 657). Di contro l'evento non è rilevante qualora il debitore negligentemente non l'abbia previsto o quando egli abbia contribuito con il proprio comportamento a determinare l'eccessiva onerosità (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 656). Tipici eventi straordinari sono quelli indicati nelle polizze assicurative per escluderne la copertura (Bianca, 1994, 396). La valutazione della prevedibilità costituisce un giudizio di fatto (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 541) e si sostanzia nella capacità di prevedere un evento probabile, avendo riguardo al potere di previsione dell'uomo medio (Boselli, 335). Il relativo giudizio deve essere compiuto facendo riferimento alle circostanze concrete, e non alle condizioni personali del debitore, in adesione alla coscienza sociale del momento in cui è effettuata la valutazione (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 990; Gambino, cit., 447; Pino, La eccessiva onerosità della prestazione, Padova, 1952, 74). Straordinarietà e imprevedibilità possono eventualmente coincidere, ma hanno natura diversa (Tartaglia, 162). In senso contrario altro autore sostiene che straordinarietà e imprevedibilità abbiano la stessa natura (Boselli, 336).

La giurisprudenza sostiene che il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l'intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi tali da consentire attraverso analisi quantitative classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere dell'imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza (Cass. n. 22396/2006; Cass. n. 2661/2001). Tra tali avvenimenti ricade, ad esempio, il terremoto (Cass. n. 37778/2021).

Si conferma al riguardo che, ove il rischio sia stato previsto, la risoluzione non è possibile (Cass. n. 3694/1984). La prevedibilità deve essere valutata in relazione alla natura del contratto e alle condizioni di mercato (Cass. n. 649/1950), facendo riferimento alla capacità di previsione dell'uomo medio (Cass. n. 1559/1995). Essa può riguardare non solo l'evento fenomenico in se stesso, ma anche la sua entità (Cass. n. 7833/1990; Cass. n. 7119/1986; Cass. n. 5827/1984). La valutazione di tali requisiti postula una comparazione tra il valore di entrambe le prestazioni al momento in cui sono sorte e a quello in cui devono eseguirsi, mentre la prescrizione della relativa azione decorre dal momento in cui si verifica la sperequazione (Cass. n. 5302/1998). L'accertamento, da parte del giudice di merito, della sussistenza o meno dei caratteri di straordinarietà ed imprevedibilità addotti dalla parte è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi (Cass. n. 3342/1994).

L'alea normale

Non si ha eccessiva onerosità, rilevante ai fini della risoluzione, quando la sproporzione tra le prestazioni ricade nell'alea normale del contratto, intesa come rischio, non prevedibile né esplicitamente assunto, connaturato alla causa concreta del contratto, al quale ciascuna parte implicitamente si sottopone. L'alea normale segna il limite, non determinabile a priori, oltre il quale, per effetto dell'incidenza del rischio, un contratto commutativo si trasformerebbe in un contratto aleatorio (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 658). Essa dipende dal contenuto del contratto e dalle circostanze in cui è stipulato e pertanto non può essere ricondotta ad una misura fissa. Al riguardo occorre tenere conto, oltre che del tipo contrattuale, anche degli elementi legislativamente atipici rispetto a quel contratto e in esso eventualmente inseriti (Gambino, cit., 447; Pino, cit., 70). Per  l'effetto l'eccessiva onerosità deve essere calcolata stabilendo se la sproporzione fra le prestazioni sia compatibile con la natura e la funzione del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 658). Uno squilibrio di valori può essere normale anche se cagionato da eventi imprevedibili, come accade nei contratti di borsa. Qualora la svalutazione monetaria rivesta in concreto connotati di straordinarietà e imprevedibilità, essa è causa di risoluzione del contratto (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 998; Bianca, 1994, 395), che non è esclusa neanche dall'esistenza di una clausola adeguatrice del prezzo, qualora questa risulti insufficiente (Tartaglia, 172). Secondo un autore gli effetti che sulle prestazioni pecuniarie derivano dall'inflazione monetaria sarebbero irrilevanti in virtù del principio nominalistico (Tartaglia, 165). In senso contrario altro autore evidenzia che l'ostacolo può essere aggirato determinando l'onerosità all'esito del raffronto fra l'iniziale valore monetario della prestazione e quello che essa assume al momento dell'adempimento, anziché confrontarla con il valore della controprestazione (Gambino, cit., 436).

Secondo la giurisprudenza rientrano nell'alea normale le oscillazioni di valore delle prestazioni che siano originate dal fenomeno della svalutazione monetaria (Cass. n. 9314/2017; Cass. n. 4423/2004; Cass. n. 5480/1991; Cass. n. 2904/1987; Cass. n. 1913/1985) o dalle oscillazioni dei cambi di valuta (Cass. n. 9263/2011; Cass. n. 11200/2003; App. Catania 18 settembre 1985) o dalle variazioni in aumento del prelievo comunitario, che costituisce una sorta di dazio doganale sulle importazioni (Cass. n. 2386/1998), salvo che non presentino le caratteristiche di un evento straordinario e imprevedibile (Cass. n. 6574/1984). In specie, si è ritenuto che rientrino nell'alea normale gli aumenti dei prezzi di mercato degli immobili (Cass. n. 7145/1995). I mancati pagamenti da parte della clientela non giustificano la risoluzione per eccessiva onerosità del canone di una locazione commerciale, poiché rientrano nell'alea normale (Cass. n. 7460/1997).

L'offerta di riduzione ad equità

La parte contro cui è richiesta la risoluzione per eccessiva onerosità può evitare la relativa pronuncia mediante un'offerta di equa modifica delle condizioni contrattuali, volta a ristabilire l'equilibrio turbato dall'avvenimento straordinario e imprevedibile che ha causato l'eccessiva onerosità. In questo senso, la parte avversa, rispetto a quella che vanta l'interesse a richiedere la risoluzione, è titolare di un diritto potestativo di rettifica del contenuto contrattuale. La rettifica, per converso, non può essere pretesa dalla parte che risente il pregiudizio per effetto dell'integrazione dell'avvenimento straordinario e imprevedibile (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 886). Sul piano della natura giuridica, valorizzandone gli aspetti sostanziali, si ravvisa nell'offerta l'esercizio di uno ius variandi che asseconda un'esigenza generale di conservazione del contratto. Essa si concretizza in una dichiarazione di volontà unilaterale, negoziale e recettizia, contenuta in un atto processuale e diretta alla formazione, mediante l'accettazione della controparte o in difetto l'attestazione di idoneità del giudice, di un regolamento modificativo dell'originario contenuto contrattuale (Bianca, 1994, 399; Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, 532). Tale offerta non può essere avanzata in via stragiudiziale e può avvenire solo nel giudizio di primo grado, fino al momento della precisazione delle conclusioni (Tartaglia, 169). Qualora la parte che ha chiesto la risoluzione del contratto accetti la riduzione ad equità proposta dalla controparte, la pronuncia del giudice prenderà atto dell'accordo raggiunto tra le parti in sede giudiziale e avrà natura meramente dichiarativa (Tartaglia, 169); nel caso di rifiuto di tale proposta il giudice previa incidentale valutazione dell'eccessiva onerosità sopravvenuta, dovrà accertare se la stessa sia o meno adeguata a ricondurre il contratto ad equità e, ove la verifica abbia esito positivo, disporrà la rettifica del contenuto negoziale con sentenza di natura costitutiva (Boselli, 336). Al giudice non può essere attribuito il potere di determinare l'ammontare dell'offerta, sicché la sua formulazione dovrà essere alquanto dettagliata affinché possa essere presa in considerazione (Boselli, 337). In senso contrario altra opinione ritiene che al giudice possa essere rimessa la determinazione per relationem di qualche elemento dell'offerta, non essendo escluso un intervento integrativo dell'autorità giudiziaria, sollecitato dallo stesso offerente, sulla base degli elementi acquisiti al processo (Tartaglia, 169). Sussiste contrasto sulla misura dell'offerta idonea a ricondurre il contratto ad equità. In ragione di una prima soluzione l'offerta è sufficiente quando le condizioni proposte determinano un'attenuazione dell'onerosità sopravvenuta, tale da eliminare il connotato dell'eccessività, riportando il negozio entro i confini dell'alea normale, senza che sia necessario eliminare completamente la sproporzione tra le prestazioni (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 1003; Boselli, 337). In senso contrario altra opinione, aderendo all'orientamento che si è consolidato in tema di modificazione equitativa nella rescissione, sostiene che la rettifica offerta deve ricostituire l'equilibrio iniziale delle posizioni, cosicché le prestazioni siano ricondotte ad una piena equivalenza obiettiva (Di Majo, Eccessiva onerosità sopravvenuta e reductio ad aequitatem, in Corr. giur., 1992, 665). L'offerta è revocabile fino al momento in cui è emanata la sentenza (Boselli, 337).

La S.C. afferma che nei contratti a prestazioni corrispettive l'equa rettifica delle condizioni del negozio può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione del negozio medesimo per eccessiva onerosità sopravvenuta, essendo da escludere che una richiesta di reductio ad aequitatem possa essere contrapposta ad una domanda di adempimento (Cass. n. 2047/2018; Cass. n. 46/2000; Cass. n. 3492/1978; Cass. n. 4198/1977). Secondo la giurisprudenza l'offerta deve riportare il contratto ad un giusto rapporto di scambio, ossia deve essere tale da uniformare il corrispettivo ancora dovuto ai valori di mercato del bene da trasferire, ovvero della parte del bene per il quale il corrispettivo non è stato versato. L'indagine del giudice, per verificare l'idoneità dell'offerta a eliminare lo squilibrio economico delle prestazioni, deve essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico e non a meri criteri equitativi (Cass. n. 8857/1998; Cass. n. 4023/1989). In ogni caso la modificazione offerta deve tenere conto della svalutazione monetaria intervenuta tra la conclusione del contratto e la pronuncia definitiva (Cass. n. 247/1992; Cass. n. 275/1984), poiché il supplemento di prezzo offerto a tale titolo costituisce un debito di valore (Cass. n. 369/1995). Non può produrre a priori lo scopo di riconduzione ad equità un'offerta generica (Cass. n. 224/1959). In senso contrario altra pronuncia afferma che l'offerta generica è ammessa nel caso in cui la parte proponga una domanda subordinata di determinazione giudiziale dell'equo prezzo (Cass. n. 3347/1989). Pertanto non occorre che per evitare la richiesta risoluzione l'offerta indichi esattamente le clausole da modificare e i limiti entro cui debbano essere modificate, ma può anche rimettersi al giudice per l'esatta individuazione delle modificazioni stesse, anche a mezzo delle opportune indagine istruttorie, non avendo natura di atto prenegoziale diretto a provocare con l'accettazione della controparte la stipula di un nuovo accordo modificativo del precedente (Cass. n. 5922/1991; contra Cass. n. 2748/1972). Nel caso di offerta avanzata dal convenuto, non accettata dalla controparte, il giudice può soltanto pronunciarsi sulla sua efficacia al fine di impedire l'accoglimento dell'azione di risoluzione, mentre non può ridurre la somma offerta dal convenuto ritenendola eccessiva (Cass. n. 247/1992, in Giust. civ. 1992, I, 662, con nota di Di Majo).

La revisione del prezzo

Il diritto alla revisione del prezzo è configurato eccezionalmente, in relazione alla prospettiva di salvaguardare la funzione economica del contratto, anche quando si verifichi un'eccessiva onerosità sopravvenuta per circostanze imprevedibili. Anche tale possibilità è diretta a tutelare l'interesse della parte al mantenimento in vita del contratto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 886). In particolare tale facoltà spetta all'appaltatore e al committente se l'aumento o la diminuzione nel costo dei materiali e della mano d'opera sia superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto, ai sensi del'art. 1664, comma 1. Per converso, qualora la prestazione diventi notevolmente più onerosa per cause geologiche, idriche e simili, l'appaltatore ha diritto a un equo compenso, ai sensi dell'art. 1664, comma 2. In tale ultima ipotesi il committente può esercitare la facoltà di recesso, ai sensi dell'art. 1671, ove il contratto sia divenuto eccessivamente oneroso, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

La norma di cui all'art. 1664, per le fattispecie da essa contemplate, presenta carattere speciale rispetto alla disposizione di cui all'art. 1467, della quale impedisce l'applicabilità, in quanto non prevede la risoluzione del contratto, ma solo la revisione dei prezzi o, nel caso di cui al comma 2, il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso (Cass. n. 28812/2013; Cass. n. 9060/1994; Cass. n. 1364/1979). Per converso il principio secondo cui la normativa sull'eccessiva onerosità sopravvenuta non è invocabile per quei negozi che, per effetto di apposite clausole, contengano in sé i rimedi atti ad ovviare agli squilibri tra le due prestazioni intervenuti dopo la stipulazione e nel corso dell'esecuzione (clausole di revisione prezzi, clausola oro, ecc.), non può operare, alla stregua di un criterio di ragionevolezza, quando insorgano eventi talmente eccezionali, nella loro natura o nella loro entità, da vanificare in concreto il rimedio pattizio, nel qual caso deve applicarsi necessariamente la normativa suindicata, ove sia da escludere che le parti abbiano voluto concludere un contratto totalmente o parzialmente aleatorio (Cass. n. 4249/1981, in  Foro it. 1981, I, 2132, con nota di Pardolesi; Cass. n. 2247/1954).

La presupposizione

Quando le parti pongano a fondamento del negozio giuridico una situazione che costituisce per entrambi la ragione giustificativa della stessa decisione di addivenire alla stipulazione del contratto, sebbene non facciano ad essa riferimento esplicito nel testo contrattuale, si ritiene che la mancata realizzazione di quella situazione possa venire in considerazione sul piano giuridico sotto il profilo dello squilibrio sopravvenuto tra le prestazioni che all'esito si determina nell'assetto di interessi regolamentato dalle parti. Sicché potrebbe porsi rimedio a tale squilibrio sopravvenuto avvalendosi dell'azione di risoluzione per eccessiva onerosità. Infatti devono ritenersi superate le ricostruzioni alternative che riconducevano l'istituto alla causa, ai motivi, all'oggetto, alla condizione del contratto. Sul piano della rilevanza giuridica si tende comunque a negare che la risoluzione per eccessiva onerosità si identifichi con la presupposizione. Infatti la ratio del rimedio risolutorio è il mantenimento del vincolo contrattuale a condizione che persistano i presupposti oggettivi generali (condizioni di mercato), laddove la presupposizione subordina l'efficacia del contratto alla persistenza di presupposti soggettivi specifici (Bianca, 1994, 390). In senso contrario altro autore sostiene che la presupposizione, quale condizione non esplicitata, non può avere alcuna rilevanza giuridica (Tartaglia, 158).

La S.C. riconosce che, attraverso l'azione di risoluzione per eccessiva onerosità, possa essere fornita tutela giuridica all'istituto della presupposizione (Cass. n. 6631/2006; Cass. n. 19144/2004; Cass. n. 1040/1995; Cass. n. 4554/1989; Cass. n. 3074/1981; contra Cass. n. 12235/2007, secondo cui la presupposizione rappresenta un presupposto di efficacia del negozio, la cui mancanza legittima l'esercizio del recesso). Secondo la giurisprudenza la presupposizione ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali come presupposto condizionante il negozio (condizione non sviluppata o inespressa). A tal fine pertanto si richiede: 1. che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; 2. che l'evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (ed in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); 3. che si tratti di presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall'attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all'oggetto di una specifica loro obbligazione (Cass. n. 3074/1981). Tale situazione deve essere stata considerata certa dalle parti, intendendosi fare riferimento ad un concetto di certezza soggettiva e non oggettiva (Cass. n. 15025/2013).

Bibliografia

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