Codice Civile art. 2394 - Responsabilità verso i creditori sociali (1).Responsabilità verso i creditori sociali (1). [I]. Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. [II]. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. [III]. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoL'ordinamento rende gli amministratori responsabili non solo verso la società, ma anche verso i creditori sociali. L'articolo in commento disciplina, appunto, questa azione individuandone i presupposti fondativi nella inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e nell'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei loro crediti. È stato affermato (Serafini, 42) che l'articolo in commento: a) prevede la responsabilità nei confronti dei creditori sociali di soggetti diversi dalla società debitrice e, precisamente, degli amministratori di questa; b) individua il presupposto della responsabilità nella violazione da parte degli amministratori degli obblighi di conservazione dell'integrità del patrimonio; c) consente l'esercizio dell'azione a prescindere dall'escussione infruttuosa del patrimonio sociale da parte del creditore ed alla sola condizione che questo risulti insufficiente rispetto al soddisfacimento dei debiti. I presupposti necessari e sufficienti per l'esperimento dell'azione di responsabilità verso gli amministratori, ex art. 2394, devono ritenersi l'esistenza di un pregiudizio patrimoniale per i creditori (costituito dall'insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le rispettive ragioni di credito), la condotta illegittima degli amministratori, nonché un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta, dovendosi, peraltro, commisurare l'entità del danno alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore dei creditori stessi (Cass. n. 15487/2000). La natura dell'azione dei creditoriCostituisce oggetto di dibattito se l'azione in argomento sia diretta ovvero surrogatoria e se essa vada inquadrata tra le azioni contrattuali ovvero tra quelle extracontrattuali. Con riguardo a tale secondo aspetto, si osserva in primo luogo come la riconduzione dell'azione ex art. 2394 all'una o all'altra delle fattispecie ha importanti ricadute, in particolare, in tema di distribuzione dell'onere della prova dovendo, in caso di azione contrattuale, l'attore solo provare l'inadempimento degli amministratori e non già la colpa che è presunta fino alla prova contraria da fornirsi da parte dell'amministratore. L'orientamento che ravvisa nell'art. 2394 un'azione contrattuale evidenzia come l'azione di risarcimento danni dei creditori trova pur sempre fondamento nell'inadempimento di specifici obblighi posti dalla legge a carico degli amministratori, quali la conservazione dell'integrità del patrimonio sociale, (Bonelli, 2004, 303; Fré-Sbisà, in Comm. S.B. 1997, 862; Campobasso, 383). In senso contrario, però, si osserva che non sembra sufficiente, ai fini dell'inquadramento tra le azioni contrattuali, che gli obblighi in questione traggano la propria fonte dalla legge e siano quindi predeterminati. Al contrario, in realtà il fondamento extracontrattuale si rinviene nel fatto che tra amministratori e creditori sociali non intercorre alcun vincolo negoziale essendo il rapporto obbligatorio limitato alla posizione soggettiva dei secondi con la società: da tale impostazione deriverebbe la riconduzione della fattispecie nell'alveo della lesione del credito e, dunque, di una ipotesi di responsabilità aquiliana (Ambrosini, 168; Minervini, 334; Spiotta, 924). Anche la giurisprudenza prevalente sembra orientata in tal senso. Si afferma, in particolare, che la responsabilità degli amministratori prevista dall'art. 2394 ha natura extracontrattuale, in assenza dell'imprescindibile presupposto della responsabilità contrattuale che è costituito dalla preesistenza di un vincolo obbligatorio (anche se non necessariamente di genesi contrattuale) del quale possa configurarsi l'inadempimento; tale responsabilità sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da renderlo inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 (Cass. n. 24715/2015; Cass. n. 10488/1998; Trib. Roma, 20 giugno 2011; Trib. Napoli, 7 febbraio 2014; Trib. Milano, 2 ottobre 2006). Non mancano, però, pronunce, anche di segno contrario (cfr., Cass. n. 8458/2014; Cass. n. 6870/2010; Trib. Prato, 25 settembre 2012). Quanto all'ulteriore problema relativo alla natura autonoma o surrogatoria dell'azione (per una ricostruzione completa della problematica, cfr., Serafini, 38 ss; Fabiani, 16 ss.), secondo un primo orientamento, la norma delinea una azione surrogatoria tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale, diminuito dall'inosservanza degli obblighi facenti carico agli amministratori, e che, come tale, presuppone, non già una responsabilità diretta di detto amministratore verso i creditori sociali, bensì una responsabilità dello stesso verso la società nonché l'inerzia di quest'ultima nel senso considerato dalla legge ai fini della proposizione di un'azione surrogatoria (Cass. n. 13498/1991; Cass. n. 6431/1982; Trib. Palermo, 11 settembre 1992). Secondo diversa ricostruzione, la qualificazione dell'azione dei creditori sociali contro gli amministratori, prevista dall'art. 2394, come azione diretta e autonoma risulta attendibilmente affidata non solo al tenore testuale della norma, ma altresì, e soprattutto, a considerazioni di ordine sistematico emergenti: dal comma 4 dell'art. 2394, ove si stabilisce che la rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali; dall'art. 146 l. fall.; dal regime della prescrizione che il legislatore ha disciplinato con una specifica previsione normativa (Cass. n. 10488/1988; Trib. Milano, 2 ottobre 2006, cit.; Trib. Milano, 26 aprile 2003). Giova sottolineare l'importanza pratica della diversa opzione di fondo. Infatti, ove si consideri l'azione prevista dall'art. 2394 un'azione surrogatoria, il risarcimento ottenuto dovrebbe andare a favore della società e non già del singolo creditore che agisce in giudizio per far valere la responsabilità il quale riceverebbe, dunque, un vantaggio solo indiretto perché il patrimonio societario tornerebbe, attraverso la reintegrazione, nuovamente capiente. Nella diversa prospettazione di una azione autonoma, invece, l'azione mira ad ottenere il pagamento dell'equivalente del credito rimasto insoddisfatto e, ciò, a differenza dell'azione sociale che è preordinata alla reintegrazione del patrimonio che abbia subito un decremento per effetto della mala gestio (in dottrina Ambrosini, 169). Inoltre, ove si acceda alla natura surrogatoria dell'azione, i creditori sarebbero esposti a tutte le eccezioni che gli amministratori avrebbero potuto opporre alla società, che dovrebbe essere chiamata in giudizio (in dottrina Spiotta, 921). La legittimazione attivaL'azione prevista dalla norma in commento spetta ai «creditori» della società: conseguentemente, la titolarità di un credito costituisce la condizione di legittimazione all'azione. Tuttavia, non è necessario che chi agisce sia già titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, essendo sufficiente che esso prospetti la sua posizione di creditore, anche se soggetta ad eventuale ulteriore accertamento o sottoposta a termine o condizione (Trib. Milano, 2 ottobre 2006). Il creditore, a seguito del fallimento della società debitrice, perde però la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori (Cass. n. 14961/2007; Cass. n. 15487/2000; Cass. n. 10488/1998). Il curatore diviene l'unico soggetto legittimato a far valere la responsabilità degli amministratori: la sua legittimazione non può concorrere con quella dei creditori sociali, essendo quest'ultima assorbita, in costanza della procedura fallimentare, dall'azione di massa, e non potendo, quindi, finché dura il fallimento, ad essa sopravvivere, ancorché il curatore rimanga inerte (cfr., Cass. n. 2251/1998; ma si veda, altresì, Cass. n. 25977/2008). L'obbligo di conservazione dell'integrità del patrimonio socialeLa responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali si riconnette, secondo il disposto della norma in commento, alla violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale. È stato efficacemente sottolineato come la gestione dell'impresa è fenomeno difficilmente concepibile in termini meramente conservativi, in quanto essa implica necessariamente l'impiego produttivo del patrimonio (Libonati, 626; Serafini, 41; Sambucci, 431). Il significato della norma deve essere, dunque, inteso non in una accezione statica, ma in una accezione dinamica secondo la quale il patrimonio deve rimanere integro non in senso materiale, ma con riguardo al suo valore (Sambucci, 432). Integro, dunque, è quel patrimonio che, a prescindere dalla situazione contabile, risulta di consistenza monetizzabile tale da soddisfare i creditori (Libonati, 627; Serafini, 41, nt. 58). Anche comportamenti omissivi possono dare luogo a responsabilità nei confronti dei creditori sociali. Infatti, l'amministratore risponde ai sensi dell'art. 2394 anche quando, pur non avendo materialmente posto in essere l'atto di dispersione del patrimonio sociale, abbia mostrato un atteggiamento di colpevole disinteresse nella gestione societaria palesemente incompatibile con i doveri di cura e diligenza inerenti alla carica consistente nell'assenza ingiustificata all'assemblea che ha deliberato una operazione di importanza fondamentale per la società (Cass. n. 3674/2012). L'insufficienza del patrimonio socialeLa responsabilità degli amministratori e dei sindaci della società verso i creditori si ricollega a una insufficienza del patrimonio sociale, imputabile a colpa degli stessi. Si afferma che la nozione di insufficienza patrimoniale si desume dalla lettera dell'art. 2394 e deve essere individuata nell'eccedenza delle passività sulle attività delpatrimonio netto dell'impresa, ovverossia in una situazione in cui l'attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, sia insufficiente al loro soddisfacimento. Tale concetto si differenzia anche dall'eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che questa ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall'importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L'insufficienza patrimoniale, infine, è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall'art. 5 r.d. n. 267/1942 (l. fall.) come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell'impossibilità di fare fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l'opposto, vale a dire che l'impresa possa presentare una eccedenza del passivo sull'attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo a ulteriore indebitamento) (Cass. n. 20476/2008; Cass. n. 9619/2009). La prescrizioneL'azione sociale si prescrive in cinque anni a norma dell'art. 2949. Il termine si computa a partire dal giorno in cui «risulta» (art. 2394 comma 2) l'insufficienza del patrimonio sociale. È stato correttamente evidenziato che il termine «risulta» evoca non già il momento in cui l'insufficienza patrimoniale, ma quello in cui detta insufficienza si manifesta all'esterno (in dottrina Spiotta, 924, nt. 559), rendendosi così riconoscibile ai creditori e, cioè, ai soggetti legittimati ad esperire l'azione. In questa prospettiva, la prescrizione dell'azione ex art. 2394 inizia a decorrere dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale diviene oggettivamente conoscibile dal creditore. Più nel particolare, la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale (dal momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei crediti sociali) può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento o all'assoggettamento dell'impresa alla liquidazione coatta amministrativa e può non coincidere con la dichiarazione dello stato di insolvenza, ma presuppone che detta insufficienza — intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell'impresa o insufficienza dell'attivo sociale a soddisfare i debiti della società — sia oggettivamente conoscibile dai creditori. Ai fini dell'individuazione del momento di esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale antecedente al fallimento o alla messa in liquidazione coatta amministrativa, è senz'altro idoneo il bilancio di esercizio, tenuto conto della sua opponibilità erga omnes e della sua leggibilità anche per operatori non particolarmente qualificati (Cass. n. 20476/2008). In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa (Cass. n. 24715/2015; Cass. n. 13378/2014). Tuttavia, tale presunzione, fondata sull'id quod plerumque accidit, non esclude che il deficit si sia manifestata in un momento anteriore ovvero, al contrario, in un momento successivo. In entrambi i casi, l'onere di provare che l'incapienza patrimoniale si è manifestata in un momento diverso da quello in cui è stata accertata l'insolvenza patrimoniale incombe su chi allega la circostanza e fonda su di essa un più favorevole inizio del decorso della prescrizione (Cass., 38/2017; Cass. n. 9815/2002; Cass. n. 25178/2015). La rinunzia e la transazioneIl terzo comma dell'articolo in commento distingue gli effetti della rinunzia e della transazione della società sull'azione proposta dai creditori. La rinunzia, in particolare, non impedisce l'esercizio dell'azione in quanto, a fronte di una mera rinunzia, il patrimonio della società-debitrice rimane insufficiente a soddisfare i creditori che hanno agito. Per contro, in caso di transazione, la società ottiene un controvalore che va ad incrementare il proprio patrimonio e che, dunque, potrebbe essere idoneo a ripristinare la normale solvibilità della società. Pertanto, la norma prevede che la transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi. BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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