Codice Civile art. 2409 - Denunzia al tribunale (1).

Guido Romano

Denunzia al tribunale (1).

[I]. Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione.

[II]. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Il provvedimento è reclamabile.

[III]. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.

[IV]. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.

[V]. L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393.

[VI]. Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al tribunale che lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale.

[VII]. I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla (2) gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.

(1) V. nota al Capo V.

(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

Inquadramento

Assai discusso risulta il fondamento della denunzia al tribunale e, in particolare, l'individuazione dell'interesse tutelato dalla norma. La ratio della norma è stata individuata, da taluni, nella tutela degli interessi dei soci e eventualmente dei creditori sociali (Domenichini, 591) e, da altri, all'opposto, nella tutela anche di interessi esterni alla compagine sociale e, in generale, dell'interesse di stampo pubblicistico alla corretta gestione delle imprese (Bigiavi 210; Galgano, 300). Questo secondo orientamento, fondato sulla legittimazione del pubblico ministero a proporre la denunzia, riteneva il procedimento funzionale al ripristino della legalità violata tanto da considerare del tutto ininfluente che la compagine sociale fosse totalmente consenziente con l'operato degli amministratori o che fossero lesi interessi meramente privati (per una ricostruzione più analitica, Rossi, 567 e la giurisprudenza ivi citata).

La riforma del 2003 ha operato una riforma dell'istituto riconnettendo il concetto stesso di gravi irregolarità a quelle potenzialmente idonee a cagionare un danno alla società o a società controllate; prevedendo la sospensione del procedimento allorquando l'assemblea sostituisca gli amministratori ed i sindaci con soggetti di adeguata professionalità; delimitando l'ambito dei soggetti legittimati a proporre la denunzia ex art. 2409, con eliminazione, in particolare, per le società chiuse, dal potere di iniziativa del pubblico ministero (Ambrosini in Tr. Res., 2013, 355).

Queste conclusioni sembrano accolte dalla giurisprudenza. La denunzia è ammessa a tutela dell'interesse della società e dà vita ad un procedimento di amministrazione di interessi privati, definito di volontaria giurisdizione, il quale comporta un'attività oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilità e revocabilità dei provvedimenti (Cass. n. 30052/2011; Cass. n. 8226/2000; Cass. n. 6241/1999; Cass. n. 11729/1998; Cass. n. 60/1985; App. Roma, 3 gennaio 2000; Trib. Bologna 12 giugno 1993).

L'ambito di operatività della denunzia

L'art. 2409 si applica alle società per azioni (tanto a quelle a ristretta base azionaria quanto a quelle che fanno ricorso al mercato di rischio), alle società in accomandita per azioni in virtù del rinvio generale di cui all'art. 2454 e, infine, alle società cooperative in virtù del disposto di cui all'art. 2545-quinquiesdecies. Va, peraltro, precisato che il controllo giudiziario si applica tanto alle cooperative a mutualità prevalente quanto alle altre cooperative ad eccezione di quelle esercenti l'attività bancaria.

 

Oggi, a seguito delle modificazioni introdotte dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi e dell’insolvenza), l’art. 2409 si applica anche alle società a responsabilità limitata. L’art. 2477 precisa, peraltro, che l’applicazione dell’art. 2477 prescinde dalla presenza o meno, nella s.r.l., dell’organo di controllo.

La legittimazione ad agire

Legittimati a proporre ricorso al Tribunale per l'adozione dei provvedimenti previsti dalla norma in esame sono in primo luogo i soci titolari di una aliquota minima di partecipazione che il legislatore ha fissato nella misura del decimo del capitale sociale o del ventesimo se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

La legittimazione prescinde dal fatto che i soci siano stati o meno dissenzienti o che, comunque, essi siano o meno rimasti estranei ai fatti che hanno dato origine alla denunzia di gravi irregolarità imputate agli amministratori ed ai sindaci (Trib. Milano, 10 ottobre 1985).

Ci si è spesso interrogati se il procedimento avviato su denunzia dei soci possa proseguire allorquando i soci denunzianti abbiano perso la qualità di soci ovvero abbiano ridotto la loro partecipazione ad una consistenza inferiore a quella che legittima la proposizione del ricorso. Muovendo dalla concezione pubblicistica dell'istituto, un orientamento giurisprudenziale e dottrinale evidenziava che lo status di socio e la titolarità della quota minima legale prevista costituiscono esclusivamente un presupposto processuale speciale condizionante soltanto la regolare instaurazione del procedimento e non anche la decisione finale (Trib. Como, 3 febbraio 1994; App. Venezia, 19 dicembre 1991).

Tuttavia, qualora si accolta la tesi privatistica dell'istituto non finalizzato alla tutela di interessi pubblicistici, deve concludersi che lo status di socio e la titolarità di una certa aliquota del capitale sociale costituiscono altrettante condizioni dell'azione che, in quanto tali, devono permanere intatte fino alla decisione dell'organo adito (Trib. Roma, 25 luglio 2014).

La legittimazione a proporre la denunzia spetta anche al collegio sindacale, al consiglio di sorveglianza o al comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, al pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.

Essendo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio titolare di un autonomo potere di iniziativa, il pubblico ministero è per ciò solo compartecipe necessario anche del procedimento promosso dai soci. Il suo intervento in tale procedimento è da ritenersi, quindi, prescritto a pena di nullità (App. Roma, 29 marzo 2002; App. Torino, 25 ottobre 1988).

La posizione della società

La riforma del 2003 ha espressamente previsto che il ricorso deve essere notificato alla società. Quest'ultima è, quindi, parte necessaria del procedimento; donde la conseguenza che, sussistendo un conflitto di interessi con gli amministratori e mancando un altro organo societario che possa rappresentare la società medesima, si deve procedere, ex art. 78 comma 2 c.p.c., alla nomina di un curatore speciale, che ne protegga gli interessi ed al quale va notificato il ricorso (Trib Como, 21 marzo 2012).

L'audizione di amministratori e sindaci

Prima di provvedere sul ricorso, il Tribunale deve sentire gli amministratori ed i sindaci.

Attesa la natura del procedimento, tale audizione non è destinata all'attuazione di un vero e proprio contraddittorio, ma ha piuttosto finalità istruttorie, allo scopo di rendere compiutamente edotto il Tribunale della situazione sulla quale è chiamato ad intervenire (Cass. S.U., n. 2347/1961). Non occorre procedere ad un interrogatorio formale di amministratori e sindaci, ma è sufficiente che essi siano resi edotti degli addebiti e posti in condizione di difendersi (App. Bologna, 20 dicembre 1991): la mancata audizione degli amministratori e dei sindaci in camera di consiglio non determina la nullità del procedimento, se ad essi era stato notificato il ricorso introduttivi (App. Milano, 6 dicembre 1962).

Il fondato sospetto di gravi irregolarità

Nella formulazione conseguente alla riforma societaria, non si parla più di «irregolarità nell'adempimento dei doveri di amministratori e dei sindaci» bensì del sospetto che «gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società o ad una o più società controllate».

Le gravi irregolarità, quindi, consistono non soltanto nella violazione di specifici obblighi e divieti, ma anche nella violazione dei doveri di diligenza, correttezza e fedeltà alla società che incombono sui suoi amministratori restando fuori dall'applicazione dell'istituto soltanto il controllo di merito sull'opportunità delle operazioni, sempre precluso all'autorità giudiziaria (Rossi, 570).

Elementi peculiari delle "gravi irregolarità" sono la loro attualità ed il carattere dannoso, quest'ultimo individuabile nella violazione di disposizioni di legge idonee a procurare un danno al patrimonio sociale o un grave turbamento dell'attività sociale (App. Torino, 29 maggio 2007).

Dunque, le irregolarità devono: 1) riguardare la sfera societaria e non quella personale degli amministratori; 2) rivestire il carattere dell'attualità; 3) presentare un carattere dannoso: capacità di provocare un danno al patrimonio dei soci e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali.

È, però, esclusa la rilevanza delle irregolarità solo formali, sia pure caratterizzati dalla gravità (Trib. Napoli, 22 giugno 2004; App. Torino, 29 maggio 2007).

La denunzia deve avere ad oggetto non già dei meri sospetti, ma dei fatti, dotati di sicuro riscontro obiettivo, dai quali sia lecito desumere il fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione sociale (App. Lecce, 9 luglio 1990).

Deve trattarsi di comportamenti contrari a regole di carattere giuridico, non potendo invece costituire oggetto di procedimento ex art. 2409 una censura di merito, riguardante l'opportunità o la convenienza economica di determinate operazione compiute dagli amministratori o deliberate dai soci (App. Brescia, 8 febbraio 2001; App. Roma, 7 dicembre 1994).

L'esecuzione di operazioni in conflitto di interessi in violazione dell'iter procedimentale previsto dall'art. 2391 può costituire una grave irregolarità nella gestione, rilevante ex art. 2409 (Trib. Milano, 8 settembre 2016).

L'ispezione

Il primo provvedimento che il tribunale può assumere, sentiti gli amministratori ed i sindaci, è l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti.

L'ispezione ha funzione strumentale all'accertamento delle gravi irregolarità tanto che da essa il tribunale può prescindere qualora ritenga accertati i fatti prospettati sulla base della documentazione messa a disposizione. L'ispezione non può essere considerata come momento conclusivo della valutazione delle gravi irregolarità denunziate, né come provvedimento avente natura cautelare (Trib. Genova, 30 aprile 1991).

L'ispezione è un mezzo di indagine (Trib. Udine, 14 luglio 1990) cui non sono applicabili le norme dettate in tema di consulenza tecnica d'ufficio (Trib. Roma, 13 luglio 2000, che ha precisato che l'ispettore non deve prestare giuramento; Trib. Padova, 7 dicembre 2000).

In questo senso, i poteri dell'ispettore sono più ampi di quelli del consulente tecnico (Nazzicone, 245), quantomeno per una maggiore libertà di accesso ai documenti societari e per la maggiore discrezionalità nella selezione degli ambiti di indagine (Rossi, 581).

L'ispezione va effettuata con il rispetto dei principi ordinari in tema di contraddittorio: al socio denunziante è consentito partecipare alle operazioni ispettive, nonché presentare istanze e osservazioni durante lo svolgimento delle stesse, anche a mezzo di propri ausiliari (App. Roma 14 novembre 1995; Trib. Milano 28 aprile 1988; contra App. Firenze 20 febbraio 1998).

Il comma 3 dell'articolo in commento prescrive che il tribunale non ordina l'ispezione e sospende, per un tempo determinato, il procedimento, se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.

Già in passato, la giurisprudenza prevalente aveva invece sempre sostenuto che la sostituzione degli organi che abbiano commesso irregolarità non incide di per sé sulla proponibilità o prosecuzione del procedimento ex art. 2409 (Trib. Como 30 ottobre 1998). Quando i nuovi amministratori siano stati designati nell'imminenza dell'udienza, la valutazione dell'adeguatezza della loro professionalità, non potendo vertere sul loro operato, deve essere effettuata sulla base di un dettagliato programma di gestione, da predisporsi nel termine indicato dal Tribunale; né è indispensabile, affinché possa essere disposta la sospensione del procedimento, la sospensione dei sindaci, se sulla condotta di costoro non sono sorte contestazioni (Trib. Vicenza, 30 marzo 2009).

I provvedimenti provvisori

In esito all'accertamento delle gravi irregolarità in sede di ispezione ed alla eventuale mancata loro rimozione con applicazione del rimedio endosocietario, il legislatore in sede di riforma ha ricalcato la precedente disciplina, qualificando però “provvisori” quei provvedimenti che nel precedente testo dell'art. 2409 erano indicati come “cautelari”.

Il legislatore non specifica quali siano i provvedimenti provvisori che il Tribunale può adottare dopo aver accertato che le gravi irregolarità denunziate effettivamente sussistano e che eventuali iniziative adottate direttamente dalla società non sono valse a sanarle.

La revoca di amministratori e sindaci e l'amministrazione giudiziaria

Nella ipotesi di accertamento di irregolarità di particolare gravità e rilievo, che incidano su tutta l'amministrazione della società, il tribunale può disporre la revoca degli amministratori e, solo eventualmente, dei sindaci nominando, con medesimo provvedimento, l'amministratore giudiziario, di cui determina poteri e durata.

La revoca degli organi sociali presuppone che non sia possibile scegliere un diverso tipo di intervento, meno traumatico per la società e non si giustifica con la semplice presunzione che, avendo l'amministratore in carica già violato i doveri impostigli dalla legge, egli potrebbe nuovamente violare in futuro quegli stessi doveri (Trib. Cagliari, 17 febbraio 1996). In altre parole, la revoca è giustificata solo in presenza di un vero e proprio sistema di operazioni anomale, da valutare in relazione all'intera attività della società e non avendo invece riguardo alla illegittimità di singoli atti autonomamente impugnabili (App. Palermo, 22 marzo 2002).

La revoca deve essere necessariamente accompagnata dalla nomina di un amministratore giudiziale.

La revoca non può che essere disposta nei confronti di tutti gli amministratori, indipendentemente dalla valutazione circa la responsabilità di ciascuno di essi (App. Venezia, 18 giugno 1992).

L'art. 92 disp. att. determina l'ambito dei poteri dell'amministratore giudiziario, che non può compiere normalmente atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, salvo autorizzazione del tribunale (in forma collegiale, quindi, e non più con provvedimento del presidente del tribunale).

L'art. 94 disp. att. disciplina il regime di responsabilità dell'amministratore giudiziario, riproponendo la formula impiegata per delineare il regime di responsabilità previsto per amministratori e sindaci, così richiamando il legislatore il principio di cui all'art. 1176 sull'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di una attività professionale.

L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'art. 2393.

L'amministrazione giudiziaria è necessariamente temporanea con la conseguenza che il tribunale deve determinarne la durata.

La cessazione dei poteri dell'amministratore giudiziario ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito o da quello in cui l'amministratore giudiziario ha consegnato i beni sociali ai liquidatori.

L'amministratore è tenuto a rendere il conto della sua gestione a norma dell'art. 94 disp. att. e, quindi, a redigere una relazione con la quale riferirà al tribunale sulle attività compiute e sui risultati ottenuti.

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