Codice Civile art. 2486 - Poteri degli amministratori 1 .Poteri degli amministratori 1. [I]. Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale. [II]. Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma. [III]. Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura2
[2] Comma aggiunto dall'art. 378, comma 2, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2, d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto(16 marzo 2019). InquadramentoAllorquando si verifica una causa di scioglimento, la società non si estingue, ma continua ad esistere come impresa collettiva (Bavetta, in Tr. Res., V, 2012, 239, Niccolini, 1709, Alessi, 20) e, in particolare, come struttura organizzativa perdurando tutti gli organi sociali. Tuttavia, la finalità cui è destinata l'impresa non è più quella di creare nuova ricchezza, ma quella di conservare la ricchezza già creata alla cui liquidazione si deve procedere nell'interesse dei creditori e dei soci (Bavetta in Tr. Res.,V, 2012, 240). È stato così efficacemente evidenziato che lo scioglimento determina una prosecuzione interinale dell'attività di impresa ordinata ad evitare la dispersione dei valori dell'azienda sociale (Niccolini 1709). Venendo a modificarsi, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, lo scopo della società, necessariamente muta anche la prospettiva nella quale operano gli amministratori. La riforma del diritto societario ha eliminato il divieto di compiere nuove operazioni prima contenuto nell'art. 2449, conservando in capo agli amministratori il potere di gestire la società, ma limitando tale potere ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale onde consegnarlo integro ai liquidatori (Paciello 247). La norma, dunque, come è stato osservato, ricostruisce i poteri degli amministratori in termini positivi stabilendo cosa essi possono e debbono fare (Giannelli Dell'Osso, 969) e non già in negativo come nel precedente regime. La gestione conservativa degli amministratoriL'obbligo di gestione conservativa sorge, come indicato dall'incipit dell'articolo in commento, al momento del verificarsi della causa di scioglimento. La norma, evidentemente, distingue tra efficacia interna ed esterna degli effetti della causa di scioglimento in quanto pone l'obbligo a carico degli amministratori in un momento in cui la causa di scioglimento della società potrebbe non essere ancora opponibile ai terzi (Giannelli Dell'Osso, 969). La gestione conservativa del patrimonio è finalizzata alla consegna di questo, nella sua integrità, ai liquidatori (Paciello 247). La gestione degli amministratori si caratterizza per la sua provvisorietà e per la natura conservativa (Bavetta in Tr. Res., V, 2012, 245). Con riferimento alla prima caratteristica si evidenzia come la prosecuzione dell'attività da parte degli amministratori sia destinata a protrarsi per poco tempo, il meno possibile (Bavetta in Tr. Res., V, 2012, 244): essa è circoscritta al breve intervallo che separa il verificarsi della causa di scioglimento dalle decisioni liquidatorie dei soci ed alla successiva entrata in carica dei liquidatori (Niccolini 1737). Come detto, la gestione dell'impresa ha natura conservativa: in questa fase gli amministratori non vengono privati del potere di gestire la società: essi, anzi, hanno l'obbligo di continuare ad esercitarlo (Dimundo 68, Bavetta, in Tr. Res., V, 2012, 242) anche se in modo compatibile con la finalità, che diviene esclusiva, di conservazione del patrimonio sociale (Bavetta in Tr. Res., V, 2012, ivi). La responsabilità degli amministratoriIl secondo comma dell'articolo in commento prevede che gli amministratori siano personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per la violazione dell'obbligo di gestione conservativa dell'impresa. Si ritiene trattarsi di una declinazione della responsabilità generale posta dall'art. 2392 (Giannelli Dell'Osso, 974). Tuttavia, la norma non è parsa ridondante o superflua in quanto tende a rimodulare gli ordinari obblighi che gravano sugli amministratori. Un atto o una operazione, che nella proiezione ordinaria dell'attività di impresa potrebbe dirsi funzionale al perseguimento dell'oggetto sociale, nella mutata prospettiva potrebbe non rispondere all'esigenza di salvaguardare l'integrità ed il valore del patrimonio, facendo emergere la sua dannosità avuto riguardo alle mutate finalità da perseguire (così, Bavetta, in Tr. Res., V, 2012, 254). Ai fini dell'affermazione della responsabilità degli amministratori per divieto di compimento di nuove operazioni ai sensi del vigente art. 2486, non è sufficiente allegare un aggravamento della perdita patrimoniale, ma è necessario dimostrare che la condotta gestoria successiva a uno stato di scioglimento di fatto è stata illecita e quindi fonte di danno ingiusto, provando che si è trattato di una attività non orientata alla conservazione del valore del patrimonio sociale, bensì orientata al proseguimento dell'attività tipica con conseguente assunzione di nuovo rischio di impresa (Trib. Milano, 1 aprile 2011, Soc., 2011, 730). Il curatore che voglia far valere la responsabilità degli amministratori ha l'onere di specificare i singoli atti gestori concretamente adottati dagli amministratori in violazione del ricordato dovere e di provare il danno derivato da tali comportamenti (Trib. Milano, 18 gennaio 2011, Fall., 2011, 496; Trib. Lecce, 3 novembre 2009, in Dir. fall., 2010, 429). Colui che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d'impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Per contro, spetta agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari (Cass., n. 198/2022).
Cass., n. 8069/2024 ha affermato che colui che agisce in giudizio con l'azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda e, quindi, la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d'impresa e non abbiano una finalità liquidatoria; spetta, infatti, agli amministratori convenuti dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva al verificarsi della causa di scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa, come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci, e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o comunque risultino necessari. La liquidazione del dannoLa riforma della crisi di impresa (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) ha aggiunto, all'articolo in commento, un terzo comma espressamente dedicato alla liquidazione del danno nelle azioni di responsabilità aventi ad oggetto la violazione da parte degli amministratori di eseguire, in caso di intervenuto scioglimento della società, ancorché non formalmente accertato, una gestione «conservativa» e non «imprenditoriale» della società. Tale disposizione è entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del d.lgs. sulla Gazzetta ufficiale (pubblicazione intervenuta in data 14 febbraio 2019). Il nuovo terzo comma dispone, in primo luogo, che quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore e' cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si e' verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. La nuova norma ha recepito quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale occorre correttamente individuare il danno che si ricollega alla particolare ipotesi di responsabilità costituita dall'avere l'amministratore protratto l'attività in presenza di una causa di scioglimento senza avvedersi della perdita del capitale sociale. E tale criterio di determinazione del danno deve essere rintracciato nel c.d. criterio della differenza dei patrimoni netti sia pure contemperato dall'applicazione concorrente del criterio equitativo. In questa prospettiva, il danno viene calcolato come differenza tra i patrimoni netti individuati nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento e nel momento del passaggio alla fase di liquidazione (ovvero della dichiarazione di fallimento; cfr., per tale metodologia di determinazione del danno, già, Trib. Milano, 8 ottobre 2001; Trib. Marsala, 2 maggio 2005). In questo modo, il metodo adottato rispetta il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo e la produzione del danno, in quanto il dato iniziale - costituito dal patrimonio netto alla data del verificarsi della causa di scioglimento - risulta comprensivo anche delle perdite causate dalla gestione precedente al verificarsi della causa di scioglimento che, in tal modo, non vengono poste a carico della gestione dell'amministratore in relazione al quale viene valutato il comportamento. Più di recente, è stato correttamente affermato che in tali casi e, precisamente, in presenza di situazioni di illecita prosecuzione dell'attività di impresa caratterizzata da innumerevoli operazioni, è possibile adottare il criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali, che consiste nella comparazione dei patrimoni netti registrati alla data della (doverosa) percezione dalla causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa); il danno in termini di 'perdita incrementale netta', infatti, consente di apprezzare in via sintetica ma plausibile l'effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società per effetto della ritardata liquidazione (Trib. Milano, 22 gennaio 2016). In tema di risarcimento del danno da responsabilità promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. nei confronti dell'amministratore, il meccanismo di cui all'art. 2486, comma 3, c.c., come modificato dall'art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019, c.d. codice dell'impresa (CCII), è applicabile, in quanto latamente processuale, anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di detta norma, atteso che essa stabilisce non già un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma un criterio, rivolto al giudice, di valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall'accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell'integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, salva la deduzione e individuazione di elementi di fatto legittimanti l'uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto (Cass., n. 5252/2024). Peraltro, la nuova norma ha cura di precisare che, se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura. In altre parole, in caso di assenza delle scritture contabili ovvero in caso di irregolarità che rendano impossibile applicare il criterio presuntivo indicato dalla nuova normativa, sarà possibile determinare il danno sulla base del criterio della differenza tra attivo e passivo accertati nel corso della procedura. La nuova norma, dunque, sembra valorizzare il principio secondo il quale l'amministratore non può avvantaggiarsi di un inadempimento a lui stesso imputabile (quale la non corretta tenuta delle scritture contabili). 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