Forme processuali per la proposizione dell’azione revocatoria
28 Giugno 2016
L'azione revocatoria proposta nelle forme del rito camerale dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 169/07, deve essere dichiarata inammissibile non potendo trovare applicazione l'art. 24, comma 2, l. fall., vigente nel momento di dichiarazione del fallimento. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13165 depositata il 24 giugno 2016.
La vicenda. Il Fallimento di una s.r.l. in liquidazione proponeva reclamo avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Fermo dichiarava inammissibile la domanda di revocatoria di rimesse bancarie avanzata nelle forme del rito camerale. La Corte d'appello respingeva il reclamo sostenendo l'assoggettabilità della domanda alle forme del rito ordinario, in quanto, nonostante la sentenza dichiarativa del fallimento fosse stata emessa nella vigenza del comma 2 dell'art. 24 l. fall. – introdotto dal D.Lgs. n. 5/06 -, la domanda in oggetto era stata proposta dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 169/07 - c.d. decreto correttivo – che aveva abrogato la disposizione summenzionata.
La disciplina applicabile. La pronuncia viene impugnata dal Fallimento che sostiene l'ammissibilità del rito camerale, posta l'applicabilità del comma 2, dell'art. 24 l. fall. ai fallimenti dichiarati nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/06 e quella del cd. decreto correttivo n. 169/07. Quest'ultimo infatti, nel dettare la disciplina transitoria, stabilisce che le sue disposizioni si applicano alle procedure concorsuali aperte successivamente alla sua entrata in vigore. Il riferimento alle “procedure concorsuali”, sempre secondo le prospettazioni del ricorrente, deve essere inteso in senso ampio ricomprendendo anche le azioni che originano dalla procedura medesima, come nel caso dell'azione revocatoria di cui all'art. 67 l. fall.
Il concetto di “procedure concorsuali”. La censura non trova accoglimento da parte del Collegio che sottolinea come la lettura della disposizione transitoria proposta dal ricorrente porterebbe al paradossale risultato di «veder regolato il processo secondo il rito previsto da una norma abrogata ancor prima che il processo abbia avuto inizio». Aggiunge inoltre che l'interpretazione letterale dell'espressione “procedure concorsuali” deve intendersi riferita ai soli procedimenti interni che si innestano nel corso delle stesse (come l'accertamento del passivo) e non ad altre controversie che originano dal fallimento, come nel caso dell'azione revocatoria. Tale approccio ermeneutico è proposto dalla stessa relazione illustrativa del cd. decreto correttivo che sottolinea come l'abrogazione del comma 2 dell'art. 24 l. fall. porta alla soppressione di una disarmonia non giustificabile, atteso che le controversie interessate hanno ad oggetto diritti soggettivi e che, pur derivando dal fallimento, si svolgono al di fuori della procedura concorsuale nei confronti di soggetti estranei che verrebbero in tal modo privati delle fondamentali garanzie del giudizio a cognizione piena. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali. |