La Direzione Regionale del Veneto sulla derivata fiscale della chiusura del fallimento
02 Settembre 2016
Mentre si prolungava l'attesa per il riscontro all'interpello sull'inquadramento fiscale delle operazioni successive alle chiusura del fallimento ex art. 118 l. fall. (novellato), presentato in data 3 novembre 2015 alla Direzione normativa e contenzioso dell'Agenzia delle Entrate dal Presidente del Tribunale di Novara (e Direttore scientifico di questa rivista) dr. Filippo Lamanna, sul tema si registra una inaspettata pronuncia della più solerte Direzione Regionale del Veneto, che lo scorso 25 marzo - con la risposta ad un interpello presentato da un curatore fallimentare - fornisce precise indicazioni sulle operazioni da eseguire sia all'atto della chiusura del fallimento, sia all'atto della definizione dei giudizi pendenti sia, infine, all'atto degli eventuali successivi pagamenti. Osserviamo nel dettaglio le istruzioni fornite dalla direzione territoriale suddivise per imposta:
Imposte dirette Per quanto attiene all'identificativo fiscale ed agli adempimenti dichiarativi, l'Agenzia ritiene che alla chiusura della procedura:
Imposta sul valore aggiunto Per quanto viceversa riguarda l'imposta sul valore aggiunto la direzione dispone che il curatore:
Sostituzione d'imposta Per quanto infine concerne gli obblighi di ritenzione fiscale, la Direzione, rammentata la funzione di sostituto d'imposta del curatore prevista dall'art. 23, comma 1, D.P.R. 600/1973:
Osservazioni La risposta dell'Agenzia rappresenta un primo ed utile elemento per la corretta configurazione fiscale del nuovo percorso di chiusura della procedura fallimentare tracciato dal D.L. n. 83/2015 con la nota modifica dell'art. 118 l. fall. Ma, mentre alcune problematiche sembrano ora risolte (soprattutto con riferimento all'IVA), altre necessiteranno di qualche ulteriore precisazione per potersi ritenere compiutamente definite. Procediamo con un'analisi più puntuale.
Imposte dirette Questa è la parte dove si riscontrano le maggiori forzature ed anche qualche incertezza. La prima, che è anche la più evidente, è la richiesta dell'interpellante di non cancellare la società dal Registro delle imprese per mantenere attivo il codice fiscale, richiesta alla quale l'Agenzia dichiara di voler aderire. Osservato però che la cancellazione dal Registro delle imprese non è una facoltà, ma un obbligo previsto dalla legge (regolato dall'art. 118, comma 2, l. fall. che prevede la cancellazione nel caso di chiusura del fallimento nelle ipotesi di cui allo stesso art. comma 1, n. 3 e 4, e proprio alla chiusura di cui al n. 3 si riferisce il novellato comma successivo che disciplina l'ultrattività per giudizi pendenti), non si vede come questa - e la conseguente estinzione della società prevista dall'art. 2495 c.c. (con decadenza degli organi che, diversamente, rimarrebbero in carica) - possa essere evitata. La motivazione addotta dall'Agenzia («la procedura fallimentare è proprio intesa a impedire che il soggetto insolvente chiuda semplicemente la sua attività, dalla gestione della quale è tuttavia estromesso con inizio del percorso amministrativo necessario ai fini della tutela dei creditori») appare, invero, piuttosto astratta e sembra riferirsi più all'impalcatura ideologica che sottende all'esistenza del procedimento che al caso specifico, viceversa disciplinato da una norma precisa che ne governa la fase terminale. Sembrerebbe quindi che l'inosservanza a questa prescrizione né possa essere richiesta né, tantomeno, possa essere autorizzata da alcuno e quindi la conservazione del codice fiscale, a meno che (per questa parte) non venga nuovamente modificata la legge fallimentare, sembrerebbe inattuabile. Un'ulteriore incertezza si rileva poi nella parte in cui viene disciplinata la dichiarazione supplettiva. Chiuso il fallimento, e presentata dal curatore la dichiarazione dei redditi finale, l'Agenzia afferma testualmente che «appare opportuno garantire che gli effetti reddituali eventualmente derivanti dall'esito delle cause pendenti successivamente alla chiusura formale del fallimento rilevino ai fini della determinazione dell'imponibile IRES previsto dal citato art. 183, evitando anche possibili salti d'imposta»; per tali ragioni essa ritiene che «in presenza dei presupposti del sopra menzionato art. 118, comma 2, l. fall., gli organi del fallimento debbano presentare nei termini di cui all'art. 5, comma 4, D.P.R. 322/1998, un nuovo modello Unico per il periodo d'imposta relativo a tali presupposti. In detto Modello Unico, confermato il nuovo maxiperiodo, andrà rideterminato l'imponibile all'esito del contenzioso e liquidata l'eventuale relativa imposta con i conseguenti adempimenti, se dovuti». Tre sono le problematiche che conseguono dalla lettura di questa parte del parere, in particolare:
Quanto al problema di cui alla lettera a), la norma evocata (l'art. 5, comma 4, D.P.R. 322/1998) è quella che prevede la trasmissione della dichiarazione finale entro l'ultimo giorno del nono mese successivo a quello della chiusura del fallimento, norma che, risultando il fallimento già chiuso, mal si attaglia alla situazione in esame (che prevede solo un eventuale riparto finale supplementare); si tratterà, interpretando estensivamente la norma, di adattarla a quest'ultima circostanza facendo verosimilmente decorrere il termine - in assenza di atti giudiziali successivi - dal decreto di esecutività del riparto. Quanto al problema di cui alla lettera b), anche qui la posizione dell'Agenzia non appare del tutto chiara; mentre ad un lato essa sembrerebbe propendere per la necessità di una dichiarazione sostitutiva che ricomprenda sia il periodo ante-chiusura (già oggetto della precedente dichiarazione finale) sia il segmento successivo, con una rideterminazione dell'imponibile comprensiva dell'esito del contenzioso, viceversa dall'altro, con la proposizione «...un nuovo modello Unico per il periodo d'imposta relativo a tali presupposti» sembrerebbe propendere per la necessità di una dichiarazione additiva riferita al solo intervallo temporale successivo alla chiusura. La logica porterebbe a prediligere la prima delle due ipotesi, che sembra più lineare e coerente con il sistema - mentre la dichiarazione additiva, fra l'altro, richiederebbe una serie di istruzioni per il raccordo con la precedente che sono del tutto assenti nel documento in esame - ma il dubbio rimane. Quanto al terzo problema, ossia se debba essere comunque presentata la dichiarazione (omnicomprensiva o solo additiva) anche in assenza di un residuo attivo imponibile, la risposta sembrerebbe dover essere positiva attesa la formulazione testuale del parere, che qualifica l'imposta come solo "eventuale"(e sull'ulteriore presupposto che il risultato finale della procedura, qualsiasi esso sia, dovrebbe in ogni caso essere sottoposto all'attenzione dell'Agenzia per il necessario controllo).
Imposta sul valore aggiunto Molto meno problematica la posizione dell'Agenzia sul fronte dell'IVA. Lo schema non si discosta dalle conclusioni contenute nelle principali (recenti e risalenti) circolari che vengono qui confermate; in particolare:
Sostituzione d'imposta Assolutamente lineare risulta in questo caso la posizione dell'Agenzia; una volta considerato del tutto facoltativo l'obbligo di cancellazione della società, e mantenuta in tal modo attiva la posizione fiscale, non potranno che applicarsi le regole ordinarie sulla sostituzione d'imposta e, per l'effetto, si renderà obbligatorio:
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