Il curatore fallimentare non subentra negli obblighi di gestione dei rifiuti della società fallita
30 Settembre 2016
Non sussistendo alcun fenomeno successorio del curatore fallimentare nella titolarità delle posizioni giuridiche riconducibili al fallito, non può essere contestata alla curatela la violazione delle disposizioni dettate dal Testo Unico Ambientale in materia di gestione di rifiuti. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40318/16, depositata il 28 settembre.
Il caso. Il Tribunale di Belluno assolveva dal reato di cui all'art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) il curatore fallimentare di una s.r.l. indagato per aver omesso di trasmettere alla competente autorità le informazioni necessarie per lo svolgimento dell'attività di controllo sull'impianto rifiuti della società richieste dall'autorizzazione ambientale ECO rilasciata dalla Provincia di Belluno. Il Giudice riteneva il fatto non sussistente in quanto dopo la dichiarazione di fallimento non era stato autorizzato l'esercizio provvisorio dell'impresa ed il curatore non poteva dunque essere chiamato a rispondere dell'omissione contestata.
Il reato contestato. La condotta contestata è riconducibile al combinato disposto di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 256 D.Lgs. n. 152/2006 che punisce colui che con inosservanza delle prescrizioni contenute nelle specifiche autorizzazioni svolga attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti, nonché di abbandono, deposito incontrollato o realizzazione e gestione di una discarica.
L'elemento soggettivo. Il ricorrente lamenta l'erronea applicazione del comma 4 della norma citata, sostenendo che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore avrebbe dovuto subentrare all'amministratore unico negli obblighi derivanti dalla gestione dell'impianto di rifiuti inerti quale pubblico ufficiale a cui gli artt. 30, 31 e 42 l. fall. attribuiscono il compito di amministrare il patrimonio dell'impresa fallita.
Il curatore non è successore del fallito. Né può essere invocato in tal senso un fenomeno successorio tra il fallito e il curatore, in forza del quale quest'ultimo subentri nella titolarità dei rapporti giuridici connesso all'attività d'impresa esercitata dalla società in bonis. Il principio è stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa e, in particolare, dal Consiglio di Stato che con la sentenza n. 3274/2014 (sulla quale vedi la news Il curatore non risponde degli illeciti commessi da un'impresa fallita) ha chiarito che «il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione». Ne consegue che il curatore del fallimento, pur potendo subentrate in specifiche posizioni negoziali originariamente imputate al fallito, non è rappresentante né successore del fallito stesso ma mero terzo subentrante nell'amministrazione del patrimonio per l'esercizio dei poteri conferitigli dalla legge, sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.
Fonte: dirittoegiustizia.it |