Dichiarazione di fallimento e sequestro preventivo penale

La Redazione
20 Dicembre 2016

Il sequestro preventivo penale dei beni di una società di capitali non rende il custode giudiziario di tali beni contraddittore necessario nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio.

Il sequestro preventivo penale dei beni di una società di capitali non rende il custode giudiziario di tali beni contraddittore necessario nel procedimento diretto alla dichiarazione di fallimento, per la validità del quale è sufficiente la convocazione dell'amministratore della medesima società, che resta nella titolarità di tutte le funzioni non riguardanti la gestione del patrimonio.

Il caso. Una Srl impugnava la sentenza della Corte d'Appello di Messina con cui veniva rigettato il proprio reclamo avverso la sentenza del Tribunale dichiarativa del fallimento della medesima società. La Corte d'Appello rilevò innanzitutto l'infondatezza dell'eccezione di carenza di legittimazione, posto che l'istanza da questa presentata per la dichiarazione di fallimento, per quanto priva originariamente dell'autorizzazione del giudice delegato alla sua misura di prevenzione, era stata poi integrata con decreto in sanatoria del Tribunale di Agrigento e senza conflitto con il sequestro preventivo penale, la cui efficacia sospensiva sulla prima misura era venuta meno a seguito della successiva revoca.

La stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società. D'altronde, la stessa dichiarazione di fallimento non comporta l'estinzione della società, ma solo la liquidazione dei beni, con conseguente legittimazione processuale dell'organo di rappresentanza a difendere gli interessi dell'ente nell'ambito della procedura fallimentare, né reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale diretta alla confisca dei beni aziendali (sia quando il fallimento sia stato pronunciato prima del sequestro preventivo, sia quando sia stato dichiarato successivamente) dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto all'interesse meramente privatistico della par condicio creditorum perseguito dalla normativa fallimentare.

Fallimento e confisca del capitale sociale. In tema di fallimento della società di capitali, la confisca del "capitale sociale", disposta ai sensi dell'art. 2-ter della L. n. 575/1965, deve intendersi riferita alle quote di partecipazione dell'indiziato di mafia, non al patrimonio sociale, cosicché essa non interferisce con la dichiarazione di fallimento della società. Neppure rileva, agli effetti della dichiarazione di fallimento della società, che il creditore sociale non dimostri la propria buona fede nell'acquisto del titolo sui beni aziendali, in quanto tale stato soggettivo incide esclusivamente sui conflitti interni alla procedura di confisca, mentre i beni aziendali non sono colpiti in modo diretto da questa, al pari della società in sé considerata.

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