Tutela del creditore privilegiato e vendita del bene vincolato nel concordato

Danilo Galletti
04 Gennaio 2017

La vendita dei beni del debitore vincolati al realizzo di un credito privilegiato, durante la pendenza del concordato, comporta tanto l'effetto purgativo del bene, quanto il trasferimento della prelazione sul ricavato, con vincolo che permane anche all'eventuale cessazione della procedura.

La vendita dei beni del debitore vincolati al realizzo di un credito privilegiato, durante la pendenza del concordato, comporta tanto l'effetto purgativo del bene, quanto il trasferimento della prelazione sul ricavato, con vincolo che permane anche all'eventuale cessazione della procedura.

La diffusa tendenza a porre in essere “vendite anticipate” dei beni del debitore nella vigenza della procedura concordataria, anche “con riserva”, ha fatto sorgere il problema della tutela del creditore che goda di una prelazione speciale sul detto asset, soprattutto nell'eventualità in cui il debitore esca poi dalla procedura concorsuale, ritornando in bonis.

Ciò può accadere ad es. perché il debitore non depositi il piano concordatario all'esito della fase di cui all'art. 161, comma 6, l.fall., oppure perché il medesimo “viri” verso l'accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis, o comunque qualora la procedura di concordato si chiuda, per qualsiasi motivo, senza contestuale apertura del fallimento.

In questi casi, infatti, il ricavato della liquidazione del bene può rientrare nella esclusiva disponibilità del debitore, il quale potrebbe disporne in spregio alla prelazione, così come gli altri creditori, una volta cessati gli effetti di cui all'art. 168 l.fall., potrebbero esercitare pretese esecutive sulle somme, che potrebbero risultare vincenti.

Soltanto nel caso di vendita dopo l'omologazione del concordato, infatti, la presenza di un liquidatore giudiziale comporterà la necessaria tutela di quelle ragioni, nell'ambito di una liquidazione controllata e “graduata” dell'attivo.

La linea di tendenza suesposta è d'altro canto irreversibile, siccome indispensabile per evitare, in molti casi, drammatiche perdite di valore dei compendi concordatari, con danni esiziali per l'intera Massa concorsuale.

Il legislatore parrebbe avere incentivato, del resto, tali soluzioni operative, ritenute virtuose, e già note alla prassi pregressa, concedendo chiaramente alla vendita l'integrale effetto purgativo, attraverso la novellazione dell'art. 182, comma 5, l.fall., che richiama tanto l'art. 108 l.fall., quanto l'art. 105, e dunque anche la deroga all'operare dell'art. 2560, comma 2. Ciò deve valere, per evidenti motivi di armonia sistematica (arg. anche ex art. 169 l.fall.), tanto per la fase successiva all'ammissione quanto per quella con riserva.

Dunque il bene deve essere ceduto libero da pesi ed iscrizioni pregiudizievoli, trattandosi pur sempre di una vendita “coattiva”, e comunque in forza di una scelta legislativa espressa.

Ciononostante, sembra sia stato pretermesso l'esame della posizione del creditore che godesse di una prelazione speciale sul bene staggito.

La soluzione non pare poter risiedere nel pagamento immediato del creditore privilegiato, da soddisfarsi subito col ricavato, perché ciò costituirebbe una deroga non codificata e preterlegale al divieto del pagamento dei creditori anteriori all'apertura del concorso; ed inoltre perché in tale fase della procedura potrebbe non essere ancora agevole percepire l'incidenza di spese anticipate dalla Massa che devono trovare, almeno in parte, soddisfacimento preferenziale sul ricavato della vendita del bene vincolato (compensi di periti e stimatori, quota parte delle spese del Commissario), posto che diversamente il creditore privilegiato sarebbe trattato meglio nel concordato rispetto al fallimento.

Nemmeno pare potersi dire che la chiusura del concordato faccia sopravvivere il limite che normalmente nasce dal deposito della somma sul c/c della procedura, vincolato all'ordine del Giudice, posto che, venuti meno gli effetti segregativi del procedimento, non dovrebbe poter agevolmente persistere nemmeno quel vincolo, che non avrebbe più nemmeno un Giudice chiamato ad amministrarlo.

Una soluzione pragmatica potrebbe consistere nella segregazione delle somme ricavate in un trust di scopo vincolato al soddisfacimento del creditore privilegiato, oppure nell'erezione di un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: anche per chi ritiene che la revocatoria ordinaria di tale atto possa sfuggire all'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. e), l.f., infatti, dovrebbe risultare quantomai arduo dimostrare l'inerenza del “pregiudizio” di cui all'art. 2901 c.c., trattandosi di atto che assicura al creditore antergato nulla di più ciò che gli è dovuto, nonché compiuto dagli organi della Procedura o comunque sotto il loro controllo.

Ma in realtà sembra che la soluzione corretta riposi già nelle pieghe del sistema.

Si era già osservato in dottrina (Guglielmucci) che un caso simile pare manifestarsi allorquando il curatore del fallimento conferisca in una società dallo stesso costituita beni del fallito sui quali pure insista una prelazione speciale, ai sensi dell'art. 105, comma 8, l.fall.: ove infatti la conferitaria non assuma il debito (e nella misura in cui peraltro ciò sia compatibile con l'art. 105, ult. cpv., l.fall.), sarà la successiva liquidazione della partecipazione a consentire di realizzare le somme necessarie per pagare (anche) il creditore con prelazione. Ma sussiste evidentemente l'interesse della procedura ad ottenere l'immediata cancellazione dei vincoli, così come la pienezza degli effetti purgativi, già al momento del conferimento, e non a quello successivo del trasferimento della quota societaria, così da migliorare l'appetibilità dell'acquisto.

Chi ritiene che il G.D. possa cancellare subito i vincoli, benché il prezzo della vendita non sia stato ancora riscosso, è costretto però a misurarsi poi con la tutela della posizione del creditore privilegiato.

Ma in realtà non è difficile in questi casi affermare che gli effetti della prelazione si conservano in capo al creditore (in quanto ammesso allo stato passivo), e si trasferiscono poi sul ricavato della vendita della partecipazione, con analoghi grado e privilegi. D'altro canto, l'ammissione allo stato passivo del credito privilegiato comporta l'acquisizione di uno status che è definitivo, e non può essere perduto per l'operare di fattori che incidono sul bene vincolato; nessuno ha ad es. mai sostenuto che il creditore ipotecario, una volta ammesso, debba rinnovare l'iscrizione ipotecaria alla sua scadenza. E lo stesso deve dirsi qualora il creditore con privilegio “possessuale” perda il possesso della cosa ai sensi dell'art. 53 l.fall.

La differenza rispetto al caso che ci occupa è costituita dal fatto che il soddisfacimento del creditore, e la tutela dei suoi diritti, è assicurato in queste situazioni dalla permanenza della procedura fallimentare, e dall'applicazione delle sue regole in materia di riparto e graduazione.

In realtà però, a ben vedere, l'esempio non è fuorviante: esso porta infatti alla luce l'inerenza al sistema di un principio generale, che determina gli effetti di una “surrogazione reale” ogniqualvolta un bene vincolato ad una prelazione venga “trasformato” in un altro.

Molte norme ne sono espressione: l'art. 2742 c.c. ad es., per cui “se le cose soggette a privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, le somme dovute dagli assicuratori per indennità della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti privilegiati, pignoratizi o ipotecari, secondo il loro grado”; la norma è interpretabile nel senso per cui la perdita del bene non determina la costituzione di un pegno ex lege sul credito relativo all'indennità assicurativa, e nemmeno comporta una mera legittimazione del creditore privilegiato a riscuotere detto credito in luogo del debitore; piuttosto, essa determina il trasferimento del vincolo prelazionario sul detto credito, e poi sulle somme conseguenti, sicché l'assicuratore (se non utilizza le stesse somme al fine di ricostituire la cosa perita o deteriorata) non può pagare l'indennità al debitore, od a terzi, in violazione dei diritti del creditore (cfr. in tal senso Cass., 14 febbraio 2013, n. 3655).

Ma si pensi anche all'acquisto od alla vendita di beni da parte di un patrimonio destinato societario, ove ciò che sostituisce l'asset che faceva parte della singola partizione si troverà di massima sottoposto al medesimo vincolo segregativo (arg. ex art. 2447quinquies c.c.). Oppure alle analoghe vicende che interessino i crediti segregati al servizio dell'operazione di cartolarizzazione (L. n. 130/1999).

Oppure ancora ai beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali nella comunione legale (art. 179, lett. f, c.c.), oppure al reimpiego a favore dei beneficiari dei beni vincolati nel fondo patrimoniale.

Disposizioni di tenore analogo sono contenute nella disciplina dell'esecuzione forzata e dei sequestri, così da sottoporre al vincolo quanto sia ricavato dalla vendita “necessaria” dei beni vincolati, ad es. in caso di deperibilità degli stessi.

Ma soprattutto si pensi alle garanzie “rotative”, ove tanto la legislazione speciale (d. lgs. n. 170/2004 sulle “garanzie finanziarie”, recente riforma del d. l. n. 59/2016 sul “pegno mobiliare non possessorio”) quanto la giurisprudenza hanno focalizzato l'oggetto della garanzia su un valore economico, col risultato per cui la sostituzione del bene vincolato comporta il mero trasferimento automatico del vincolo, senza soluzioni di continuità con la garanzia originaria. E ciò anche quando ad es. la banca creditrice pignoratizia venda i titoli depositati a garanzia, accrediti temporaneamente il ricavato sul c/c del debitore, e poi ne riacquisti altri; nemmeno in questi casi la garanzia si estingue, ma il vincolo piuttosto si trasferisce, ponendo in essere una fattispecie a formazione progressiva che assume i tratti della “ambulatorietà” (cfr. Cass., 22 dicembre 2015, n. 25796).

Dunque anche nel caso che abbiamo esposto all'inizio il debitore concordatario, benché egli rientri in bonis prima che il creditore privilegiato sia stato pagato, dovrà rispettare il vincolo che si è costituito ex lege sul ricavato, laddove gli altri creditori, pur potendo in teoria espropriare dette somme (col trust invece la segregazione patrimoniale dovrebbe essere tale da consentire di opporsi validamente all'esecuzione), dovranno cedere alle ragioni preferenziali del creditore, il quale sarà loro antergato, e vedrà il proprio credito quantificato, anche per interessi, secondo la disciplina della prelazione.

Anche il terzo il quale si trovi a detenere dette somme in luogo del debitore, ad es. la banca, sarà a mio avviso tenuto a non consentire la distrazione delle somme dalla finalità del vincolo, purché quest'ultimo sia dallo stesso percepibile, in applicazione analogica ancora e proprio dell'art. 2742 c.c.

L'unica effettiva pretermissione dei diritti del creditore potrebbe realizzarsi ove le somme si siano definitivamente confuse col patrimonio del debitore, non essendo le stesse più rinvenibili e separabili neppure grazie ad accorgimenti contabili, non essendo agevole far operare nel nostro sistema rimedi analoghi al tracing anglosassone.

Sarà dunque comunque opportuno disporre in tali casi il versamento delle somme su un c/c dedicato e specifico.

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