Requisiti soggettivi e oggettivi del piano del consumatore

21 Febbraio 2017

Il piano del consumatore può ricomprendere anche debiti contratti per garanzie prestate a una società, a condizione che il garante sia estraneo alla stessa in quanto privo di un collegamento funzionale. Non può essere omologato un piano del consumatore che preveda un pagamento dei creditori privilegiati oltre l'anno dalla data dell'omologazione, né quello degli altri creditori in un tempo non ragionevole e quindi oltre il quinquennio...
Massima

Il piano del consumatore può ricomprendere anche debiti contratti per garanzie prestate ad una società, a condizione che il garante sia estraneo alla stessa in quanto privo di un collegamento funzionale.

Non può essere omologato un piano del consumatore che preveda un pagamento dei creditori privilegiati oltre l'anno dalla data dell'omologazione, né quello degli altri creditori in un tempo non ragionevole e quindi oltre il quinquennio.

Ai fini della valutazione della convenienza non appare sufficientemente motivata una relazione che ritenga apoditticamente quantificabile il valore di un immobile in misura pari al valore di stima decurtato del 25% ex art. 571 c.p.c.

Il caso

La fattispecie esaminata del giudice unico del Tribunale di Rovigo può così sintetizzarsi: un debitore presenta un piano del consumatore al fine di porre fine alla situazione di sovraindebitamento derivante in prevalenza da garanzie prestate in favore di una società in accomandita semplice costituita dalla moglie e dal figlio.

Il piano prevedeva il pagamento dei debiti nell'arco di dodici anni mediante l'utilizzo delle somme rinvenienti dalla pensione del sovraindebitato, totalmente disponibile in quanto alle esigenze familiari avrebbero provveduto i predetti congiunti.

In base alla proposta era previsto il pagamento di un creditore privilegiato (Fisco) in percentuale e in trenta giorni, del creditore ipotecario per la parte garantita in dodici anni attraverso rate mensili e dei chirografari nella misura del 2,5%.

La convenienza della proposta veniva individuata nella certezza del pagamento del privilegiato ipotecario in base al prezzo di stima sia pure decurtato delle spese in prededuzione e dei presumibili ribassi conseguenti alle probabili plurime udienze di vendita.

La decisione del Tribunale, che ha riconosciuto in capo al ricorrente la qualifica di consumatore pur in presenza di debiti derivanti da fideiussione rilasciata a garanzia di un'attività imprenditoriale, è stata negativa sotto un duplice profilo: perché il piano prevedeva la dilazione ultrannuale del creditore ipotecario anche per la parte coperta dal valore del bene e perchè comunque il pagamento era previsto nel termine di dodici anni, ritenuto non ragionevole.

Questioni giuridiche

La decisione è di particolare interesse in quanto affronta alcune delle questioni di maggior rilievo che pone il testo della Legge n. 3/2012 la cui formulazione, frutto di interpolazioni di testi poi abbandonati e di successive stesure, non è particolarmente perspicua, anche per le incertezze che derivano dall'utilizzo (giustamente definito nel provvedimento in commento “improvvido”) di espressioni che in altri testi hanno un diverso significato, ma soprattutto, aggiungerei, per aver voluto unificare in uno stesso testo mediante una parte generale comune ed altre dedicate, tre modalità di gestione del sovraindebitamento disciplinate tenendo evidentemente conto della disciplina di procedure concorsuali maggiori quasi si trattasse delle stesse procedure in formato semplificato.

Tra i vari problemi che il testo pone si segnalano quello concernente la qualifica di consumatore ai fini dell'accesso al procedimento riservato, posto che la limitazione qualitativa del debito a quello assunto per obbligazioni estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata rende dubbio l'accesso per chi, pur non essendo imprenditore, abbia debiti per garanzie prestate per attività imprenditoriali altrui.

Altre criticità interpretative concernono norme che si rinvengono anche in altre procedure concorsuali e per le quali si pone il problema dell'interpretazione analogica soprattutto alla luce della giurisprudenza formatasi sulle procedure maggiori: è il caso della dilazione annuale per il pagamento dei creditori privilegiati e del termine massimo di durata dell'esecuzione.

La soluzione offerta dal decreto in commento

Il decreto del Tribunale di Rovigo, occupandosi di un caso di sovraindebitamento di una persona fisica la cui soluzione è stata affidata ad un piano del consumatore, affronta le questioni maggiormente dibattute partendo dalla considerazione che la discutibile tecnica legislativa necessità di un sforzo interpretativo che colmi le numerose lacune riscontrabili nella disciplina, sostenendo che non può non farsi ricorso all'analogia con le norme relative agli analoghi istituti maggiori e quindi, in particolare, con quelle sul concordato preventivo.

Quanto alla individuazione dei requisiti per il riconoscimento della figura del consumatore, la soluzione viene rinvenuta, più che nella giurisprudenza formatasi sul d.lgs. n. 206/2005, in quella europea, giungendo alla conclusione che non osta all'accesso al piano del consumatore il rilascio di fideiussione (poi escussa) in favore di società partecipata da congiunti.

E' stata esclusa invece l'ammissibilità del piano laddove prevedeva una moratoria ultrannuale per il pagamento dei creditori privilegiati così come è stata esclusa la possibilità di prevedere una durata del piano oltre il quinquennio.

Il decreto del Tribunale di Rovigo è in massima parte pienamente condivisibile anche se sono opportune alcune puntualizzazioni.

Osservazioni

La legge n. 3/2012 sulla disciplina del sovraindebitamento, che tende a risolvere la situazione di insolvenza di soggetti non assoggettabili ad altre procedure concorsuali (ma più precisamente dei soggetti non fallibili), è il punto di arrivo di un percorso legislativo particolarmente accidentato. Il testo normativo appronta tre diversi strumenti per la risoluzione della situazione di sovraindebitamento: l'accordo di ristrutturazione, il piano del consumatore e la liquidazione.

Il primo è accessibile a tutti coloro che non possono usufruire di altre procedure concorsuali, e quindi all'imprenditore sotto soglia, ai privati e ai professionisti e anche, per espressa previsione, all'imprenditore agricolo; è strutturato come accordo con i creditori, che si esprimono attraverso il voto sulla proposta e sul piano elaborato da un organismo terzo (Organismo di Composizione della Crisi o professionista nominato dal Tribunale), che deve essere omologato dal giudice.

Il secondo è riservato al consumatore, e cioè a chi ha contratto debiti per obbligazioni non connesse ad attività commerciali o professionali ed è basato su di un piano ed una proposta che sono sottoposte per l'omologazione al giudice.

Il terzo consiste nella liquidazione dei beni operata da un liquidatore sotto il controllo dell'Organismo di Composizione della Crisi.

E' del tutto evidente che il legislatore si è ispirato ai corrispondenti istituti delle procedure del concordato preventivo, del concordato della liquidazione coatta amministrativa e dell'amministrazione straordinaria e al fallimento, così come si era ispirato agli accordi di ristrutturazione dei crediti per la prima versione della procedura di sovraindebitamento.

Il canone dell'analogia con il concordato preventivo

Dalla indubbia assonanza di regolamentazione complessiva tra le diverse opzioni di fuoruscita dalla situazione di sovraindebitamento e quella delle procedure di cui alla legge fallimentare il decreto in commento trae la conclusione che sia possibile fare ricorso all'analogia al fine di rinvenire una regola per quelle situazioni che non trovano una disciplina espressa nella normativa di cui alla L. n. 3/2012.

La tesi è corretta, visto l'evidente parallelismo tra i tre procedimenti di sovraindebitamento e quelli riservati ai creditori fallibili, ma merita qualche precisazione.

E' principio acquisito, infatti, che il ricorso all'analogia è possibile solo laddove vi sia un vuoto normativo: “Il ricorso all'analogia è consentito dall'art. 12 delle preleggi solo quando manchi nell'ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva erroneamente fatto ricorso all'analogia, avendo applicato i principi codicistici in tema di distanze nelle costruzioni in una materia, come quella delle costruzioni a confine della sede stradale, che è speciale ed esaustivamente disciplinata dal codice della strada)” (Cass. civ., sez. I, 11.2.2015, n. 2656). Si tratta comunque di “…un criterio residuale, cui può ricorrersi soltanto ove non sia stato possibile avvalersi del criterio letterale e di quello logico” (Cass. civ. sez. III, 28.03.2008, n. 8092).

Questo comporta che il ricorso all'analogia deve essere meditato rifuggendo da facili suggestioni, in quanto la procedura di sovraindebitamento ha peculiarità proprie per quanto attiene ai soggetti, alle disposizioni procedimentali e agli interessi protetti. Un esempio lampante, sia pure “a contrario”, può rinvenirsi nella motivazione della recente sentenza delle SS.UU. della Cassazione sulla falcidiabilità dell'IVA nel concordato preventivo, che ha escluso una qualche rilevanza interpretativa alla disposizione della disciplina in esame circa l'obbligo di pagamento integrale di tale imposta, sostenendone l'eccezionalità.

Da quanto esposto deriva, ad esempio, ad avviso di chi scrive, la non applicabilità alle procedure in questione del principio del rispetto delle cause legittime di prelazione, mai esplicitato nella disciplina in esame, mentre viene ribadito per il fallimento, per il concordato fallimentare e per quello preventivo (così anche, per il piano del consumatore, Trib. Ascoli Piceno, 4.4.2014). Nè puo' dirsi che si tratta di un principio ricavabile dal sistema, visto che non è invocabile, ad esempio, in tema di amministrazione straordinaria speciale di cui al c.d. decreto Marzano. Considerazioni analoghe possono farsi in relazione al trasferimento della sede o del domicilio in prossimità della presentazione della domanda (Trib. Prato, 28.9.2016).

L'impredicabilità del facile ricorso all'analogia rileva, anche, in tema di falcidia dell'IVA, che ora è possibile solo addivenendo alla transazione fiscale in base al nuovo art. 182-ter e quindi non è praticabile in caso di sovraindebitamento, posto che non vi è disposizione esplicita che preveda l'accesso al patto col Fisco per il sovraindebitato, nonchè per la considerazione che non è implausibile che il legislatore non abbia ritenuto di consentire la falcidia nell'ambito di una procedura che è già comunque di particolare favore per il predetto debitore.

Il soggetto consumatore

La definizione è nell'art. 1, che chiarisce che “consumatore è il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” e quindi il debitore non imprenditore o non professionista o, anche se tale, che abbia contratto debiti nell'ambito della sua vita privata.

Nella fattispecie esaminata dalla decisione in commento la procedura proposta era quella appunto del piano del consumatore, procedura di particolare favore in quanto consente al sovraindebitato di sottrarsi alla valutazione mediante il voto dei creditori (magari negativa per semplice ostilità nei confronti del debitore), in quanto l'efficacia del progetto è subordinata unicamente alla valutazione omologatoria del giudice, evidentemente puramente tecnica.

L'assenza dell'approvazione dei creditori impone tuttavia una particolare cautela nella valutazione del piano e della proposta e soprattutto nell'interpretazione dei limiti legali entro i quali gli stessi si debbono posizionare.

Nell'identificazione dei requisiti affinchè un soggetto possa essere qualificato come consumatore è necessario fare soprattutto riferimento alla nozione ricavabile dall'enunciazione del citato art. 1, posto che nessun richiamo viene fatto al d.lgs. n. 206 del 2005 e quindi di scarso ausilio sono le pronunce intervenute su questioni nate nell'applicazione di tale disciplina.

La giurisprudenza nazionale succedutasi fino a tempi recenti sul concetto di consumatore alla luce del d.lgs. n. 206 del 2005 in materia di protezione del medesimo, peraltro, è stata finora piuttosto restrittiva, in quanto esclude che possa qualificarsi come tale chi ha contratto un'obbligazione in conseguenza di fideiussione prestata in favore di un terzo per un debito imprenditoriale in base alla considerazione che la qualificazione del debito condiziona quella del debitore; in particolare è stato principio ripetutamente affermato quello secondo cui “La tutela del consumatore è da escludere quando il contratto di fideiussione è stato concluso da una persona fisica che agisce a garanzia di un debito contratto da un soggetto che agisce nell'ambito della sua attività professionale” (Cass. civ., sez. III, 29.11.2011, n. 25212. Nello stesso senso Trib. Treviso, 21.12.2016 e Trib. Milano, 16.5.2015).

Il decreto in commento ha per contro correttamente dato rilievo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che ha invece enunciato il principio secondo cui “Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società”, quale può essere, ad esempio, come nota la stessa Corte in motivazione, “l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale” (Corte giustizia UE, sez. VI 19.11.2015 n. 74).

Alla luce di questa giurisprudenza, dunque, non potrebbe essere considerato consumatore il socio di una società che ha contratto un'obbligazione fideiussoria in favore della stessa, in quanto sussisterebbe il suo collegamento funzionale con la società; sarebbe invece qualificabile come consumatore, ad esempio, colui che ha garantito con una fideiussione un debito di un congiunto imprenditore individuale o dell'impresa di cui lo stesso congiunto è socio.

Di tale principio ha fatto corretta applicazione il decreto in commento, riconoscendo la qualifica di consumatore in capo al ricorrente che aveva garantito la società costituita dalla moglie e dal figlio, richiamando a conferma la recente pronuncia della Cassazione intervenuta proprio in tema di sovraindebitamento, la quale ha affermato il principio secondo cui “Ai sensi della legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore per essa abilitato al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non ha riguardo in sé e per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d'impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l'attività di professionista o imprenditore, invero solo esigendo l'art. 6, comma 2, lett. b) una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni - non soddisfatte al momento della proposta di piano - per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all'art. 7 comma 1 terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che sono da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui all'art. 12 bis comma 3 legge n. 3 del 2012” (Cassazione civile, sez. I, 1.2.2016, n. 1869).

La pronuncia è di particolare rilievo sia perché è la prima che delinea la figura del consumatore con riferimento alla legge n. 3/2012, sia perché consente il superamento della precedente giurisprudenza riconoscendo la qualifica del consumatore, per quanto qui interessa, anche a chi abbia contratto debiti connessi all'attività di impresa in posizione di terzietà della stessa.

Al di là del principio enunciato, dal quale emerge che è consumatore la “persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni - non soddisfatte al momento della proposta di piano - per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate)” che consente di risolvere definitivamente la questione del fideiussore, la citata decisione (per vero di non immediata lettura) si segnala anche per quella che sembra essere un'apertura alla possibilità di accesso al piano del consumatore anche dell'imprenditore sotto soglia o del professionista che continui a svolgere tali attività alla sola condizione che eventuali obbligazioni non siano dedotte nel piano, lasciando alla valutazione del giudice e all'eventuale opposizione degli interessati la tutela dei diritti dei titolari di crediti da attività imprenditoriale o professionale che vedono destinata ad altri creditori una parte del patrimonio.

Una tale apertura, non facilmente coniugabile con il principio enunciato espressamente dalla Corte, suscita non poche perplessità, sia perché è difficile immaginare un'attività imprenditoriale o professionale in corso al momento della presentazione del piano che non comporti pressochè quotidianamente la maturazione di normali debiti connessi all'attività, sia perché non si capisce quale sia la logica di consentire una parziale ristrutturazione del debito su basi qualitative senza imporre, come avviene negli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis l.fall., la valutazione d'ufficio circa la certezza dall'integrale adempimento del debito residuo non “privato”.

La moratoria annuale

Prevede l'art. 8 della disciplina in esame che sia la proposta di accordo, purchè caratterizzata dalla continuazione dell'attività di impresa, che il piano del consumatore, possano contemplare una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per i creditori muniti di pegno, ipoteca o di privilegio, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

La disposizione riecheggia quella dell'art. 186-bis, c. 2, lett. c) in tema di continuità aziendale e si applica solo agli imprenditori sottosoglia o agricoli che non optano per un accordo totalmente liquidatorio, e quindi è volta a favorire il salvataggio dell'azienda, e al consumatore, ed è solo un ulteriore segno del trattamento di favore del sovraindebitato per debiti “privati”.

Si pone ovviamente anche per il sovraindebitato il tema della possibilità di una dilazione maggiore, che il dettato normativo non prevede, ma che la Cassazione (Sez. I, 9.5.2014, n. 10112 e Sez. I, 2.9.2015, n. 17461) ha invece ritenuto proponibile nel concordato in base alla considerazione (a mio avviso discutibile) secondo la quale poiché i creditori privilegiati falcidiati (e quindi pregiudicati) per incapienza del valore del bene su cui insiste la causa del privilegio votano, ciò significa che il voto è la contropartita del pregiudizio subito, per cui ne deriverebbe che è possibile pregiudicare un creditore privilegiato purchè lo stesso sia ammesso al voto; sarebbe dunque possibile superare l'anno di moratoria (durante il quale il pregiudizio non rileva per previsione legislativa) a condizione che il creditore sia ammesso al voto.

E' stato già sostenuto che, se si ritiene di poter aderire al principio enunciato dalla Cassazione quanto alla possibilità di moratoria ultrannuale, deve comunque ritenersi che la dilazione incontri comunque un limite costituito dal contenimento dei tempi di pagamento entro quelli che sarebbero necessari nell'alternativa soluzione liquidatoria (Trib. Modena, 8.2.2016).

Così comunque limitata la discrezionalità del proponente, pare inevitabile applicare anche alla procedura di sovraindebitamento il principio enunciato dalla Cassazione in tema di concordato preventivo, in quanto non è dato individuare alcuna motivazione che giustifichi un diverso trattamento tra l'imprenditore che propone un accordo di ristrutturazione che prevede la continuazione dell'attività aziendale e quello, solo più “grande”, che propone un concordato ex art. 186-bis l.fall., posto che la causa concreta, come individuata nella nota sentenza delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013, deve sussistere per entrambe le procedure. In tal caso il creditore pregiudicato in seguito al pagamento ultrannuale deve essere ammesso al voto, ma non certo per il danno ricevuto in conseguenza del ritardato pagamento (oltretutto difficilmente quantificabile e quindi presumibilmente fonte di contrasto), ma per la parte di credito pagata oltre l'anno, come correttamente riporta il decreto in discorso (contra Cassazione civile, sez. I, 31.10.2016 n. 22045; nel senso del testo invece Trib. Modena cit.).

Ma tale applicazione non può riguardare solo l'accordo di composizione della crisi dell'imprenditore, come si sostiene nel provvedimento del Tribunale di Rovigo in base alla considerazione che la locuzione “con continuità di impresa” e quindi, pare doversi intendere, il richiamo all'art. 186-bis, è riferibile solo all'imprenditore e non al consumatore. Che le due figure non siano accumunate da una equiparazione delle loro attività è fuori discussione, ma ciò non toglie che abbiano in comune un altro elemento decisivo e cioè il particolare favor del legislatore, che però ha due diverse rationes: per l'imprenditore è la volontà di non lasciar dissolvere la fonte di un'attività economica che si confida essere utile per la collettività; per il consumatore è quella di offrire una via più agevole di fuoriuscita dalla crisi di un soggetto economico particolarmente “debole”.

Semmai il dato normativo che potrebbe far dubitare della possibilità dello stesso trattamento è costituito dalla circostanza che i creditori pregiudicati dalla dilazione ultrannuale votano e quindi possono contrastare la proposta, mentre quelli del consumatore non hanno tale strumento; l'obiezione è in realtà debole, in quanto nella procedura del consumatore nessun creditore vota e quindi neppure i chirografari, che possono essere pagati in percentuale e nemmeno i privilegiati per la parte di credito non coperta dal privilegio, il che dimostra che in questa procedura al pregiudizio non corrisponde il diritto di voto, essendo il tutto affidato al giudizio di meritevolezza rimesso alla valutazione del giudice.

La durata del piano

Uno dei punti di maggiore problematicità della valutazione dell'ammissibilità del piano proposto dal sovraindebitato attiene alla rilevanza del tempo di esecuzione del medesimo e quindi del tempo entro il quale deve essere previsto l'adempimento della proposta dopo la sua omologazione.

Il legislatore ignora totalmente la questione per quanto attiene all'accordo di composizione della crisi e al piano del consumatore e si limita a prevedere solo in relazione al programma di liquidazione che questo “deve assicurare la ragionevole durata della procedura” (art. 14-novies).

La diposizione non si sbilancia sulla quantificazione della ragionevole durata; tuttavia la circostanza che la chiusura della stessa non possa essere disposta prima di quattro anni dal deposito della domanda (art. 14-novies, u.c.) ci dice che questo termine, essendo il minimo imposto dalla legge al fine di consentire la liquidazione anche dell'attivo eventualmente sopravvenuto, è certamente ragionevole e può essere quindi assunto come il termine massimo di durata anche della procedura di composizione della crisi quando questa abbia un contenuto liquidatorio. Il termine è più lungo di quello normalmente ritenuto “ragionevole” in tema di concordato liquidatorio (tre anni, in consonanza al termine di durata delle procedure di espropriazione singolare individuato dalla c.d. Legge Pinto), ma può ritenersi che il legislatore abbia avuto un occhio di riguardo per il soggetto sovraindebitato in base alla considerazione che si tratta di un soggetto normalmente dotato di un patrimonio modesto e che l'esposizione dei suoi creditori non è tale da costituire per questi ultimi un fattore di rischio di insolvenza derivata.

Per quanto riguarda le procedure non liquidatorie, ma che prevedono la “continuazione dell'attività di impresa”, e quindi solo nel caso del “piccolo” imprenditore commerciale o agricolo con esclusione del professionista, il parametro di riferimento non può che essere quello della richiamata legge Pinto in quanto, prescindendo da ogni qualificazione della fase esecutiva del piano e di adempimento della proposta come facente parte o no della procedura, ciò che rileva è la ratio della legge citata, che è quella di garantire una ragionevole durata dello strumento messo in campo dal legislatore per garantire il risultato cui il procedimento mira e quindi il soddisfacimento dei creditori (così anche Trib. Treviso, 21.12.2016).

Ciò posto, e poiché la più volte citata legge sulla durata ragionevole qualifica come tale quella massima di sei anni per le procedura concorsuali, non ci dovrebbe essere dubbio che il parametro debba essere riferito anche alla procedura di sovraindebitamento che è procedura concorsuale anche per espresso riconoscimento legislativo (art. 6, c. 1).

Poiché però il limite in questione è dettato sostanzialmente per il fallimento (posto che il concordato preventivo non è preso in considerazione dalla legge) e comprende anche la fase dell'accertamento del passivo, che è sub-procedura prevista solo per la liquidazione, può ragionevolmente individuarsi in anni cinque la durata massima della procedura di composizione della crisi con continuità aziendale, anche perché è questo l'orizzonte temporale entro il quale è possibile effettuare previsioni economiche e finanziarie dotate di una certa affidabilità in quanto supportate da riconosciuti criteri aziendalistici.

La stessa durata riconoscibile per l'accordo di composizione della crisi quando vi è continuità operativa dell'imprenditore può riconoscersi anche in favore del piano del consumatore in quanto, come si è visto, il legislatore lo parifica quando si tratta di riconoscere agevolazioni (art. 8, c. 4) in considerazione della sua qualità di soggetto economico debole e quindi bisognoso di un maggior termine per affrontare il soddisfacimento dei creditori con una disponibilità che si presume limitata.

Il giudizio di convenienza

Nel provvedimento del Tribunale di Rovigo la questione della convenienza viene affrontata solo marginalmente, in quanto l'esame era precluso dalla ritenuta inammissibilità del piano.

Nella specie è stata ritenuta insufficiente l'attestazione basata sul presupposto che non dovesse essere preso a parametro il valore di stima dell'immobile del debitore ma quello diminuito del 25% come previsto dall'art. 571 c.p.c. in base alla giusta considerazione che tale disposizione attiene all'esecuzione singolare e non vincola le modalità di liquidazione nella specifica procedura riservata al sovraindebitato.

L'occasione però può essere colta per osservare che, difformemente da quanto a volte sostenuto (Trib. Treviso, cit.), se è vero che il debitore risponde con tutto il patrimonio, per cui non può proporre un pagamento parziale e conservarne una parte (normalmente la casa di abitazione), è anche vero che l'integrale liquidazione non è una conditio sine qua non per l'ammissibilità della proposta, in quanto è ben possibile proporre un pagamento a stralcio con finanza esterna alla sola condizione che questo non comporti un grado di soddisfacimento inferiore a quello che si otterrebbe dalla liquidazione, tenuto conto di tutti gli elementi concreti a disposizione, quale, ad esempio, la circostanza che plurime aste precedenti siano andate deserte (così anche Trib. Verona, 20.7.2016).

Guida all'approfondimento

In generale sul sovraindebitamento Crisi da sovraindebitamento ovvero il fallimento del consumatore, a cura di S. De Matteis – N. Graziano, Rimini, 2015; A. M. Leozappa, Il sovraindebitamento del debitore fallibile, delle società professionali e degli enti pubblici, in Giur. comm. 2015, I, 574; G. Falcone, Il trattamento normativo del sovraindebitamento del consumatore, in Giur. comm. 2015, I, 132; M. Ferro, L'insolvenza civile, in Sovraindebitamento e usura, a cura di M. Ferro, Milano, 2012; A. Guiotto, La nuova procedura per l'insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Il Fallimento, 2012, 21; L. Panzani, Composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Il nuovo diritto delle società, 2012, I, 9; La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, a cura di F. Di Marzio – F. Macario – G. Terranova, Milano, 2013; Composizione delle crisi da sovraindebitamento: poteri e funzioni del Tribunale, F. Lamanna in questo portale; La liquidazione del patrimonio del debitore in sovraindebitamento, L. A. Bottai, in questo portale; E. FRASCAROLI SANTI, Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e liquidazione del patrimonio, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli – F.P. Luiso – E. Gabrielli, Vol. IV, 544 ss, Torino 2014.

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