Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 30 - Qualità di pubblico ufficiale.Qualità di pubblico ufficiale.
Il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale. InquadramentoLa norma non è stata modificata dalle plurime riforme intervenute in questi ultimi anni, continuando ad attribuire al curatore la veste di pubblico ufficiale. Questa affermazione ribadisce come, nonostante la maggiore autonomia riconosciuta al curatore e, altresì, la possibile privatizzazione di taluni tratti della fase liquidatoria, il curatore continui ad operare fondamentalmente come ausiliario di giustizia, tenuto a perseguire non l'interesse di singoli di creditori, ma un più generale interesse pubblico di efficienza e speditezza della procedura nell'interesse dei creditori complessivamente intesi. Tale funzione pubblicistica non è appannaggio esclusivo del curatore, ma qualifica anche la figura del commissario giudiziale (art. 165 l.fall.) e del commissario liquidatore nella l.c.a. (art. 199 l.fall.). Ribadisce tali conclusioni, per il curatore, l'art. 228 l.fall., a tenore del quale, salva l'applicazione delle norme di diritto penale che hanno per soggetto attivo o passivo un pubblico ufficiale (e che possono quindi essere riferite anche al curatore), il curatore che prende interesse privato in qualsiasi atto del fallimento, sia direttamente che per interposta persona, o con atti simulati, è punibile con la reclusione da due a sei anni e con una multa non inferiore a 206 Euro. La qualità di pubblico ufficiale non esclude che, ad altri fini, il curatore debba essere considerato come un professionista, in particolare con riferimento al grado di diligenza con il quale deve compiere le prestazioni inerenti il proprio ufficio e, di riflesso, anche in ordine alle conseguenti responsabilità civili. Si deve invece escludere (Vassalli, 223) che il curatore abbia funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, soprattutto alla luce della disciplina introdotta dalla riforma. Questo non significa, naturalmente, che egli non debba segnalare comportamenti penalisticamente rilevanti compiuti dall'imprenditore (cfr. art. 33, comma 1 l.fall.), ma si deve ritenere che egli non abbia un obbligo di individuazione ed accertamento di reati specifici, quanto piuttosto il solo dovere di riferire su fatti rilevanti per le indagini preliminari che egli abbia appreso nella più generale opera di accertamento delle cause del fallimento e delle responsabilità del fallito. Secondo la giurisprudenza il professionista attestatore, designato ai sensi dell'art. 161 comma 3 l.fall. dal debitore per la stesura della relazione attestante la conformità ai dati aziendali e la fattibilità del piano contenente la descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta di concordato preventivo, non ha la qualifica di pubblico ufficiale in quanto non opera come ausiliario del giudice e, inoltre, tale qualifica è espressamente conferita dalla l.fall. al curatore (art. 30 l.fall.), al commissario giudiziale (art. 165 l.fall.) e al commissario liquidatore (art. 199 l.fall.) ma non al professionista attestatore (Cass. n. 9542/2016). Infatti, ci ricorda la Cassazione, in primo luogo i poteri certificativi del professionista attestatore non vincolano in alcun modo il controllo di legittimità che deve esercitare il giudice sulla fattibilità della proposta di concordato preventivo, laddove in secundis la valutazione sul merito della domanda di concordato resta comunque affidato ai creditori, che hanno nella relazione del professionista un semplice parametro di giudizio, rispetto al quale neppure essi risultano in alcun modo vincolati. Lo stesso potere dei creditori di valutare le probabilità di successo del piano economico ed i rischi correlati preclude la correttezza della conclusione della strumentalità dell'attività del professionista attestatore al solo esercizio dell'attività giudiziaria. In conclusione, osserva la Corte, l'attività del professionista attestatore appare per molti versi assimilabile a quella del consulente tecnico, che senza dubbio e come evidente non ha la qualifica di pubblico ufficiale. Secondo gli stessi giudici, è stato proprio il legislatore, conscio di tale mancata qualifica ad intervenire, introducendo una nuova fattispecie criminosa gravemente sanzionata, l'articolo 236-bis l.fall., che colpisce esplicitamente il professionista attestatore con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 Euro quando, nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d); 161, comma 3; 182-bis, 182-quinquies e 186-bis l.fall., «espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti». L'introduzione del reato proprio, dunque, è avvenuta proprio in quanto in precedenza difettava la tutela penale derivante dalla applicazione di altre fattispecie criminose, quali il falso ideologico del pubblico ufficiale e la corruzione in atti giudiziari, che dunque devono essere ritenute inapplicabili alla figura del professionista attestare. Del pari, la qualifica di pubblico ufficiale è stata esclusa per il liquidatore giudiziale nominato ai fini dell'esecuzione del concordato (cfr. Cass. n. 15951/2015). Il curatore può, proprio in quanto pubblico ufficiale, commettere il reato di omissione o rifiuto di atti d'ufficio; infatti il reato di rifiuto di atti di ufficio è configurabile anche in caso di inerzia omissiva che, protraendo il compimento dell'atto oltre i termini prescritti dalla legge, si risolve in un rifiuto implicito, non essendo necessaria una manifestazione di volontà solenne o formale. (Fattispecie relativa al curatore di un fallimento che, dopo aver omesso di depositare la relazione e di compiere atti della procedura per oltre quindici anni, dapprima, ricevuta dal giudice delegato una diffida a relazionare, si era limitato a presentare una richiesta di proroga motivata in termini generici, e, poi, una volta rigettata questa istanza, non aveva dato alcun riscontro a successivi solleciti e richieste di informazioni fino alla sua sostituzione) (Cass. n. 10051/2012). Sotto altro profilo si è ritenuto che il reato di interesse privato del curatore negli atti del fallimento concorre con quello di corruzione propria, non sussistendo alcun rapporto di specialità tra l'art. 228 l.fall. e l'art. 319 c.p. (Cass. n. 38986/2010). Si altresì affermato che il delitto di corruzione in atti giudiziari si configura anche nella ripetuta dazione di utilità economiche al giudice delegato ai fallimenti — ancorché talvolta successiva al compimento di atti giudiziari contrari ai doveri del suo ufficio — da parte di singoli professionisti privati, in vista di corrispettivi vantaggi patrimoniali costituiti dal conferimento di nuovi incarichi di curatore nelle procedure fallimentari e dalla liquidazione di compensi sulla massima misura tariffaria (Cass. n. 36323/2009). Si è ancora osservato che il coadiutore del curatore del fallimento è pubblico ufficiale, in quanto coopera a titolo oneroso alla funzione di custodia giudiziaria dei beni affidati al curatore (Cass. n. 13107/2009). Deve ritenersi che tale conclusione possa svolgersi anche rispetto al delegato di cui all'attuale art. 32 l.fall., purché la delega riguardi atti propri dell'ufficio di curatore. La qualità di pubblico ufficiale del curatore incide, altresì, sulla definizione della condotta penalmente rilevante dell'imprneditore in relazione all'attività di recupero dell'attivo cui è tenuto il primo: «Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, perfezionatosi al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'impresa, viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che il recupero della res rappresenta solo un posterius — equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto — avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione idonea di per sé a creare un danno per i creditori. Ne deriva che neppure il recupero integrale del bene ottenuto dal curatore, in ipotesi attraverso l'azione revocatoria, potrebbe comportare alcun vantaggio per l'autore della distrazione, tantomeno ai fini della concedibilità dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p., costituendo solo la reintegrazione del maltolto non a opera dell'agente, ma del pubblico ufficiale (il curatore) intervenuto in epoca successiva all'illecita sottrazione» (Cass. n. 8308/2015). BibliografiaAbete, Sub art. 28, in Il nuovo diritto fallimentare, Jorio – Fabiani (a cura di), I, Bologna, 2006; Abete, Il curatore, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Panzani (a cura di), III, Torino, 2012; Bonfatti – Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011; Cataldo, Carattere personale dell'incarico di curatore e regime di responsabilità, in Fall. 2008, 1393; Cavalli, Gli organi del fallimento, in Tratt. 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