Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 9 bis - Disposizioni in materia di incompetenza 1Disposizioni in materia di incompetenza 1
Il provvedimento che dichiara l'incompetenza e' trasmesso in copia al tribunale dichiarato incompetente, il quale dispone con decreto l'immediata trasmissione degli atti a quello competente. Allo stesso modo provvede il tribunale che dichiara la propria incompetenza 2 . Il tribunale dichiarato competente, entro venti giorni dal ricevimento degli atti, se non richiede d'ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell'articolo 45 del codice di procedura civile, dispone la prosecuzione della procedura fallimentare, provvedendo alla nomina del giudice delegato e del curatore. Restano salvi gli effetti degli atti precedentemente compiuti. Qualora l'incompetenza sia dichiarata all'esito del giudizio di cui all'articolo 18, l'appello, per le questioni diverse dalla competenza, è riassunto, a norma dell'articolo 50 del codice di procedura civile, dinanzi alla corte di appello competente. Nei giudizi promossi ai sensi dell'articolo 24 dinanzi al tribunale dichiarato incompetente, il giudice assegna alle parti un termine per la riassunzione della causa davanti al giudice competente ai sensi dell'articolo 50 del codice di procedura civile e ordina la cancellazione della causa dal ruolo. [1] Articolo inserito dall'articolo 8 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoNel caso in cui, a seguito di conflitto positivo di competenza conseguente alla pronuncia dichiarativa di fallimento e all'apertura della procedura di concordato preventivo da parte di due distinti tribunali, penda regolamento di competenza d'ufficio, la corte d'appello, davanti alla quale sia stata reclamata, anche per ragioni di competenza, la sentenza dichiarativa di fallimento, deve applicare analogicamente l'art. 48 c.p.c. e dichiarare sospeso l'intero procedimento e non solo la questione di competenza, sicché, qualora, in sede di regolamento, venga dichiarata l'incompetenza del tribunale che ha dichiarato il fallimento, è nulla la sentenza della corte d'appello che abbia pronunciato in via non definitiva sul merito prima di dichiarare sospeso il processo sulla questione di competenza (Cass. S.U., n. 9936/2015). Il regolamento di giurisdizioneLa questione relativa all'assoggettabilità o meno al fallimento di un imprenditore attiene al merito e non alla giurisdizione, e come tale non può dare adito al regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c. (Cass. S.U., n. 12248/2002). Può tuttavia accadere che, nella pendenza del giudizio di istruttoria prefallimentare di cui all'art. 15 l.fall., la parte proponga regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi e nei termini di cui all'art. 41 c.p.c., ponendo in dubbio la giurisdizione del tribunale adìto. Ebbene, la giurisprudenza del giudice di legittimità, con orientamento consolidato, muovendo dalla natura giurisdizionale del processo che conduce alla dichiarazione di fallimento, ammette la proponibilità del regolamento di giurisdizione fino a quando il tribunale adìto non si sia pronunziato nel merito della domanda di fallimento: cfr. Cass. S.U., n. 10736/2003 (nel caso di specie, tuttavia la Cassazione ha ritenuto inammissibile il regolamento, avendo il tribunale già emanato decreto di rigetto della domanda di fallimento ex art. 22 l.fall.). V. anche Cass. S.U., n. 8363/1990, la quale rilevava che il procedimento per la dichiarazione di fallimento, che inizia con la richiesta proposta a norma dell'art. 6 l.fall., pur se soggetto al rito camerale e pur se avente caratteri peculiari rispetto al procedimento contenzioso ordinario, «ha intrinsecamente natura giurisdizionale, in quanto tende ad una pronuncia suscettibile di incidere, con autorità di giudicato, sullo status e sui diritti del fallito e delle persone che con questo hanno avuto rapporti. Consegue che, in pendenza di tale procedimento e prima della decisione su detta istanza, deve ritenersi esperibile, da parte del debitore soggetto passivo del procedimento stesso, il regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c.» (cosi anche Cass. S.U., n. 925/1995). Va aggiunto che anche nel procedimento di estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile, ai sensi dell'art. 147 l.fall., è ammissibile l'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, in quanto il procedimento medesimo comporta l'esercizio di potestà giurisdizionale e l'esperibilità del regolamento non trova ostacolo nella precedente dichiarazione di fallimento, alla quale il detto socio è rimasto estraneo (cfr., sul punto, anche Cass. S.U., n. 14196/2005; v. anche Cass. S.U., n. 10293/2003, per la quale i provvedimenti con i quali, da un lato, il tribunale, fissa l'udienza ex art. 147 l.fall., per l'estensione del fallimento nei confronti di un presunto socio, e, dall'altro lato, il giudice delegato fornisce l'autorizzazione al curatore fallimentare perché promuova il giudizio di estensione del fallimento, non hanno portata decisoria, né spiegano effetti sostanziali in materia di diritti soggettivi, ma configurano, rispettivamente, meri adempimenti processuali, il primo, ed esplicazione di poteri ordinatori ed amministrativi degli organi fallimentari nella valutazione dell'opportunità ed utilità di quel giudizio per la procedura concorsuale, il secondo. Detti provvedimenti, pertanto, in quanto privi di natura sostanziale di pronuncia giurisdizionale, non precludono l'esperibilità del regolamento di giurisdizione). E così, anche l'amministratore di società di capitali, essendo legittimato jure proprio ad impugnare la dichiarazione di fallimento della società, in considerazione della natura giurisdizionale del procedimento prefallimentare, è anche legittimato, nella pendenza del procedimento stesso, a proporre regolamento di giurisdizione, per eliminare ogni dubbio sulla questione di giurisdizione (Cass. S.U., n. 3368/2006). Va peraltro condiviso l'orientamento della Suprema corte, secondo il quale, conclusosi, in primo grado, il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in relazione al quale sia stato proposto il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, ed in pendenza di tale ricorso, con la dichiarazione di fallimento della società e la conseguente nomina del curatore, divenuto medio tempore parte del processo, può intervenire per regolamento ed interloquire sulle questioni concernenti la procedibilità del ricorso, prospettabili a seguito della successiva sentenza dichiarativa di fallimento (Cfr. Cass. S.U., n. 20144/2011). Va ulteriormente precisato che occorre ritenere inammissibile l'istanza di regolamento di giurisdizione, allorquando il tribunale abbia dichiarato la propria incompetenza ai sensi dell'art. 9-ter l.fall., con trasmissione degli atti al tribunale competente, atteso che — secondo l'orientamento consolidato del giudice di legittimità (Cass. S.U., n. 2566/1996, in Foro it. 1996, l, 163.5, con nota di Cipriani) — il disposto della prima parte dell'art. 41 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice presso il quale il processo è incardinato ha efficacia preclusiva del regolamento prevenivo di giurisdizione, con la conseguenza che il regolamento non è proponibile dopo che il giudice del merito abbia emesso una sentenza, anche soltanto limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, in quanto la risoluzione della questione di giurisdizione può essere rimessa al giudice processualmente sovraordinato, secondo l'ordinario svolgimento del processo. Infine, giova ricordare che la proposizione del regolamento di giurisdizione fa scattare le conseguenze previste dal combinato disposto degli artt. 41 e 367 c.p.c., sicché il tribunale adito con la domanda di fallimento deve sospendere il giudizio di istruttoria prefallimentare, salvo che ritenga l'istanza di regolamento inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Pluralità di sedi. La litispendenza fallimentareIl principio di universalità del fallimento ha la finalità di impedire che a carico del medesimo imprenditore siano dichiarati più di un fallimento. Ebbene, tale principio vale sia nei rapporti transfrontalieri sia all'interno dell'ordinamento italiano (De Santis, 114). Sul punto, va chiarito che — poiché non è raro che due o più delle distinte imprese, le cui sedi principali siano ubicate in circondari giudiziari diversi, siano riconducibili al medesimo imprenditore e si trovino contemporaneamente in stato d'insolvenza — occorre individuare il criterio processuale finalizzato ad inibire la litispendenza fallimentare, o, per usare un'espressione più tecnica, la «litispendenza fallimentare qualificata» (l'espressione è di Bongiorno, 177. V. anche De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, cit., ibidem. V. anche Franchi, 238 S8.; e Acone, 796). Orbene, in tali ipotesi il criterio della sede principale dettato dall'art. 9 l.fall. non può operare, dal momento che esistono più sedi principali, e, dunque, più tribunali concorrentemente competenti. Ed invero, ciò potrebbe verificarsi sia nella nell'ipotesi in cui un medesimo imprenditore individuale eserciti più attività imprenditoriali di natura commerciale in luoghi diversi, ricadenti nel circondario di diversi tribunali; sia nel caso in cui un medesimo soggetto sia socio illimitatamente responsabile di due o più società aventi sede nel circondario di tribunali diversi; sia, infine, nell'ipotesi in cui un medesimo soggetto sia imprenditore individuale e socio illimitatamente responsabile di una o più società, e le rispettive sedi d'impresa ricadano nel circondario di diversi tribunali (De Santis, ibidem). In realtà, la problematica in discussione è stata parzialmente risolta dall'art. 9-ter 1.fall. introdotto dal d.lgs. n. 5/2006, norma secondo la quale, quando il fallimento è stato dichiarato da più tribunali, il procedimento prosegue avanti al tribunale competente che si è pronunciato per primo. Tale norma — recependo gli orientamenti maggioritari della giurisprudenza — intende risolvere il conflitto positivo di competenza, dirimere cioè il conflitto che sorge allorché il fallimento del medesimo imprenditore già sia stato dichiarato da due o più tribunali. Tuttavia, la norma da ultimo citata non fornisce i criteri di diritto positivo per prevenire il suddetto conflitto, cioè per dirimere l'ipotesi della contemporanea pendenza di più processi di fallimento a carico del medesimo imprenditore, evitando in tal modo una duplicazione di pronunzie di fallimento. La soluzione va pertanto ricercata sul campo di applicazione del codice di rito, dovendosi ritenere fruibili anche nella istruttoria prefallimentare le disposizioni di cui all'art. 39, primo e secondo comma, c.p.c. (De Santis, 115). Ciò si desume non soltanto, indirettamente, dal principio di prevenzione dettato dall'art. 9-ter 1. fall. per il caso di conflitto positivo di competenza, ma anche dalla struttura del procedimento per dichiarazione di fallimento, la cui natura è quella di un processo speciale di natura cognitoria, destinato a concludersi con provvedimenti idonei alla formazione del giudicato (conclude, così, in modo del tutto condivisibile De Santis, ibidem. Sul punto, cfr. anche Bongiorno, cit., le cui perplessità intorno all'applicazione dell'istituto della litispendenza sono dettate dall'opinione secondo cui il processo per dichiarazione di fallimento dovrebbe rimanere anche oggi un processo di tipo sommario. Ciò nonostante l'Autore sembrerebbe propendere per l'applicazione della disciplina della litispendenza ex art. 39 c.p.c.). Sul punto, va subito chiarito che la coeva proposizione di più domande di fallimento dinanzi al medesimo tribunale non può evocare l'applicazione della disciplina di cui all'art. 39 c.p.c., trattandosi del medesimo ufficio giudiziario. In tale ipotesi, si dovrà procedere, ove possibile, alla riunione delle cause (Cass. n. 11357/2006). Per contro, se la riunione non è stata possibile, la prima dichiarazione di fallimento renderà invece improcedibili le altre domande aventi il medesimo oggetto. La problematica diviene più complessa in caso di coeva proposizione della domanda di fallimento dinanzi a tribunali diversi, giacché potrà verificarsi, per un verso, che le più domande di fallimento vengono proposte innanzi a tribunali diversi dal medesimo attore, oppure da attori diversi. Ebbene, va detto che nel primo caso, non v'è dubbio circa la sussistenza di una situazione di litispendenza in senso c.d. «patologico», giacché saremmo di fronte a due cause identiche soggettivamente ed oggettivamente, cioè, detto altrimenti, aventi i medesimi soggetti, petitum e causa petendi, ma promosse davanti ad uffici giudiziari diversi. Nell'altro caso, invece, la litispendenza che così si determina si sottrae, in parte, ai presupposti, stricto sensu intesi, dell'art. 39 c.p.c., vertendosi nella ipotesi di due cause in tutto e per tutto identiche quanto agli elementi oggettivi, ma soltanto parzialmente identiche quanto ai soggetti del giudizio. Dal punto di vista strettamente processuale, ricorrerebbe un'ipotesi di connessione, e la disciplina invocabile sarebbe quella dell'art. 40 c.p.c., che prevede la riunione delle cause connesse pendenti davanti a giudici diversi sulla base del criterio della prevenzione. Sennonché, contrariamente a quanto accade per le cause connesse (che, in caso di mancata riunione, mantengono la loro autonomia e possono essere decise l'una separatamente dall'altra), se uno dei più tribunali adìti dichiara il fallimento, gli altri giudizi di istruttoria prefallimentare diventano improcedibili, essendo già stato raggiunto lo scopo di assoggettare il patrimonio dell'imprenditore all'esecuzione concorsuale (Ricci, 159, secondo cui l'apertura di un fallimento impedisce un fallimento successivo e pertanto non sarebbe corretto parlare di un «conflitto positivo di competenza, ma puramente e semplicemente di inammissibilità della seconda sentenza dichiarativa»). Sul punto, occorre concordare con chi ritiene che le più domande di fallimento contro il medesimo imprenditore valgano ad instaurare cause tra loro identiche, aventi ad oggetto l'apertura del concorso di tutti i creditori in relazione alla medesima causa petendi (cioè, l'insolvenza), investendo l'universalità del fallimento necessariamente i diritti di tutti i creditori, i quali potranno ottenere soddisfazione delle loro pretese soltanto in quella sede (De Santis, 117). Ne discende che in tutte le ipotesi ora considerate, il tribunale successivamente adìto dovrà, ai sensi dell'art. 39 c.p.c., dichiarare con ordinanza la litispendenza e disporre al contempo la cancellazione della causa dal ruolo. Il provvedimento che dichiara la litispendenza è impugnabile, stante il richiamo contenuto nell'art. 42 c.p.c., col regolamento di competenza. Il regolamento di competenza ed i conflitti, positivi e negativi. La sentenza emessa dal giudice incompetenteIl problema della competenza può porsi in diversi momenti nell'ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento. La prima ipotesi è quella in cui il tribunale, interessato dalla richiesta del creditore, ritenga di non essere competente e proceda pertanto, con sentenza (ovvero, rectius, con decreto, secondo la nuova formula normativa: il decreto correttivo ha invero adottato l'espressione provvedimento al posto della precedente formulazione di sentenza. Così sembra possibile emettere un pronunciamento sulla competenza con decreto: così, Fabiani, 8), a declinare la propria competenza, indicando, peraltro, il tribunale che ritiene competente. Il provvedimento così emesso deve essere necessariamente impugnato ai sensi dell'art. 42 c.p.c., in quanto omettendo di pronunciarsi nel merito decide solo sulla competenza. Detto altrimenti, occorre far ricorso al regolamento necessario di competenza e la procedura potrà essere attivata da colui il quale intende ottenere la declaratoria nella sede scelta originariamente. Ove invece vi fosse una decisione nel merito, come avviene allorquando è pronunciata sentenza dichiarativa, vi è allora la alternativa tra l'impugnazione della sola decisione sulla competenza, con regolamento facoltativo, e l'impugnazione della competenza unitamente al merito con il reclamo di cui all'art. 18 l.fall. Se invece il provvedimento non è impugnato con il regolamento e viene presentata nuova istanza di fallimento in riassunzione alla precedente al secondo tribunale, indicato dal primo nella sua decisione, e quest'ultimo procede alla dichiarazione, nulla quaestio, giacché nessuna ulteriore contestazione sulla competenza potrà insorgere tra le parti. Le difficoltà insorgono invece allorquando anche il secondo tribunale adito ritenga di essere incompetente, determinandosi quello che in termini giuridici viene definito conflitto negativo di competenza. Invero, la questione qui da ultimo accennata non è stata esplicitamente prevista dal legislatore della riforma, forse nella convinzione che già l'applicazione dell'art. 45 del codice di rito fosse sufficiente, così come verificato dalla giurisprudenza teorica e da quella pratica (Ferrara-Borgioli, 234). Sul punto, giova ricordare che per un primo periodo la giurisprudenza aveva ritenuto che, se l'incompetenza era stata dichiarata con decreto, il secondo tribunale non potesse elevare il conflitto poiché era mancata la decisione nel modo formale tipico di un giudizio (Cass. n. 2367/1957). Successivamente l'orientamento è mutato e si è ammessa la possibilità di sollevare il conflitto negativo, in quanto si è chiarito che il provvedimento, pur se ha la forma del decreto, ha sicuramente natura di sentenza (Cass. n. 2568/1968). Di regola, a seguito della declaratoria di incompetenza il fascicolo processuale viene trasmesso d'ufficio al nuovo giudice il quale è legittimato, ove si ritenga a sua volta incompetente, a sollevare conflitto di competenza e a chiedere regolamento d'ufficio, ciò sia nella ipotesi in cui gli atti gli siano stati trasmessi d'ufficio sia nella ipotesi in cui il procedimento sia stato instaurato su istanza di parte (cfr. Cass. n. 2860/1996). È impugnabile con il regolamento necessario, dunque, anche la pronuncia con cui il tribunale fallimentare, a seguito della individuazione della sede effettiva della società, abbia declinato la propria competenza e indicato il tribunale ritenuto competente pur senza disporre la trasmissione degli atti a tale giudice, dinanzi al quale la domanda viene presentata su istanza di parte. Non osta a tale conclusione la circostanza che l'altro tribunale abbia già emesso pronuncia in materia, addirittura ammettendo la società ad una procedura concorsuale minore, poiché tale decisione non integra una pronuncia sulla competenza suscettibile di autonoma impugnazione ai sensi dell'art. 42 c.p.c. (cfr. Cass. n. 8413/2000; Cass. n. 29/1999). Sul punto, giova ricordare che il conflitto deve essere risolto attraverso un regolamento che deve essere sollevato d'ufficio dal secondo giudice entro 20 giorni, in quanto la competenza per la dichiarazione di fallimento è funzionale. Ebbene, deve concordarsi con quanti ritengono che il termine di 20 giorni indicato espressamente dall'art. 9-bis l.fall. si debba applicare solo alla ipotesi in cui il fallimento sia stato già dichiarato dal tribunale incompetente, non potendosi scardinare il sistema dei termini e delle preclusioni al rilievo della incompetenza inderogabile, ordinariamente previsto dal codice di rito nella ipotesi che non vi sia ancora dichiarazione e perciò non siano ancora coinvolti gli interessi pubblici e l'esigenza di celerità che sottostanno al fallimento (Pajardi-Paluchowski, 128). Sul punto, la dottrina si rifà alla giurisprudenza la quale afferma che il limite preclusivo della prima udienza, cui fa riferimento l'art. 38, comma primo, c.p.c., per il rilievo dell'incompetenza territoriale inderogabile vale anche per il regolamento di competenza di cui all'art. 45 c.p.c., ed è applicabile anche ai procedimenti a struttura camerale, in cui la prima udienza di trattazione viene individuata nella prima udienza in camera di consiglio, per concludere che nel procedimento prefallimentare il termine per la richiesta d'ufficio del regolamento di competenza dovrebbe individuarsi nella conclusione della prima udienza tenuta dal tribunale dichiarato competente, in composizione collegiale ovvero davanti al giudice relatore cui sia stata delegata l'audizione delle parti, dopo la rituale instaurazione del contraddittorio tra tutte le parti, ovvero nel deposito del provvedimento con cui venga sciolta la riserva eventualmente formulata all'esito di tale udienza (Celentano, 47). Nel caso in cui si intenda promuovere il reclamo, di regola è inammissibile il regolamento, salva la ipotesi in cui nel reclamo si discutano esclusivamente questioni di merito, mentre il problema della competenza venga trattato nel solo regolamento, questa volta facoltativo, di cui all'at. 43 c.p.c. (sul punto, si leggano Cass. n. 2825/2001; Cass. n. 1404/1996; Cass. n. 8031/1999). Medesimo problema è rintracciabile allorquando più tribunali ritengano di essere competenti per la dichiarazione di fallimento di un unico imprenditore commerciale, fattispecie ora espressamente regolata dall'art. 9-ter l.fall. In quest'ultimo caso, entrambe i tribunali aditi emettono sia la pronuncia sulla competenza sia la pronuncia sul merito, ovvero pronunciano la sentenza dichiarativa di fallimento del medesimo soggetto. Tale situazione prende il nome di conflitto positivo attuale di competenza e si risolve tramite un regolamento di competenza che, secondo la giurisprudenza più recente della Suprema corte, può essere introdotto d'ufficio. Sul punto, giova ricordare che per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha negato la possibilità di accesso ad un regolamento d'ufficio di competenza positivo, sostenendo che nel nostro ordinamento non esiste tale figura, essendo previsto soltanto il regolamento obbligatorio e quello facoltativo. Successivamente, pur continuando ad affermare che il regolamento è previsto dalla legge solamente nell'ipotesi di conflitto virtuale negativo tra tribunali diversi, ha affermato che deve trovare applicazione l'art. 45 anche nel caso di conflitto attuale positivo tra sentenze dichiarative di fallimento emesse da tribunali diversi, utilizzando un processo di interpretazione analogica (Cass. n. 2423/2006; Cass. n. 15321/2006; Cass. n. 19918/2005; in dottrina, v. Carbone, Il conflitto di competenza tra traslatio e trasmigratio judicii, in Corr. giur. 1994, 453) L'art. 9 ter l.fall., recependo tale orientamento, ha affermato che, quando il fallimento è stato dichiarato da più tribunali, il procedimento prosegue davanti al tribunale competente che si è pronunciato per primo, applicando così il principio della prevenzione. Ebbene, il tribunale che si è pronunciato per secondo ha l'alternativa di riconoscere la competenza del primo, una volta appresa l'esistenza della sua precedente sentenza, e di disporre la trasmissione di tutti gli atti del fascicolo fallimentare al tribunale competente, attuando una sorta di traslazione del giudizio simile a quella prevista dall'art. 9 bis. Qualora invece il secondo tribunale non ritenga di essere incompetente, poiché la competenza è funzionale inderogabile ed assoluta, deve necessariamente sollevate conflitto di competenza dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, d'ufficio, per ottenere una pronuncia che accerti definitivamente quale sia il tribunale competente ad emettere una sentenza dichiarativa di fallimento e davanti al quale deve proseguire il processo esecutivo speciale concorsuale (Cass. n. 18637/2005; Cass. n. 4835/1995; Cass. n. 10827/1995). Ed infine, il legislatore ha ritenuto di regolamentare l'ipotesi in cui la sentenza che dichiara il fallimento sia stata emessa da un tribunale incompetente, cercando di evitare quella situazione di «vuoto normativo», che si creava in precedenza allorquando veniva revocata la sentenza dichiarativa emessa dal tribunale incompetente, con la perdita di tutti gli effetti prenotativi della precedente sentenza rimossa, sino alla emissione della nuova sentenza da parte del tribunale realmente competente. Invero, la soluzione è stata recepita dai lavori della Commissione Trevisanato ed il meccanismo prescelto prevede ora che, in caso di pronuncia di sentenza dichiarativa da parte di un tribunale che, successivamente, scopre di essere incompetente, perché il regolamento o la decisione sul reclamo ex art. 18 lo affermano, allora deve disporre con decreto l'immediata trasmissione degli atti della procedura al tribunale competente, legittimando così una prassi applicativa già in uso presso i tribunali di merito (Trib. Salerno 24 settembre 1998, in Dir. fall. 1999, I I, 405; Trib. Messina, 9 giugno 1998, in Fall., 1998, 1083. La prassi è stata poi legittimata dalla giurisprudenza della Cassazione: cfr. Cass. S.U., n. 7149/1994). Ebbene, il tribunale competente, entro 20 giorni dal ricevimento degli atti, se non richiede d'ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell'art. 45 c.p.c., poiché reputa di essere incompetente, deve disporre la prosecuzione della procedura fallimentare, provvedendo alla nomina del giudice delegato e del curatore. Sul punto, giova ricordare che il legislatore si è poi preoccupato di affermare esplicitamente che restano salvi gli effetti degli atti precedentemente compiuti. In realtà, tale effetto salvifico può riguardare solo gli atti che siano stati legalmente compiuti, dunque con il rispetto delle modalità e formalità autorizzatorie e di formazione della volontà previste dalla legge fallimentare (Pajardi-Paluchowski, 131). L'effetto più importante che si verifica è proprio quello della «trasmigrazione» del giudizio, con la conseguenza di evitare che il periodo nel quale la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal tribunale competente era l'unico provvedimento che avesse deciso sull'insolvenza dell'imprenditore resti privo di qualsiasi copertura in ordine alla cristallizzazione del patrimonio, alla efficacia degli atti di disposizione giuridica o materiale computi dal fallito, alla sorte dei rapporti pendenti. Tale scelta normativa impedisce che, a seguito della pronuncia che riconosce l'incompetenza, il fallito torni nella disponibilità ed amministrazione del suo patrimonio, riacquistando la sua capacità e possa dunque ulteriormente disporre e depauperare un patrimonio che è già stato destinato alla soddisfazione dei creditori, giacché l'insolvenza è un presupposto comunque acclarato. La scelta del legislatore evita che vi siano soluzioni di continuità tra le due pronunce e consente l'unitaria prosecuzione del processo dinanzi al tribunale competente (Pajardi-Paluchowscki, 131). Anche la sorte dei giudizi promossi ai sensi dell'art. 24 l.fall. dinanzi al tribunale che si è pronunciato per primo e che successivamente è stato ritenuto incompetente avrebbe potuto creare problemi, in quanto tali giudizi, incardinati dinanzi al tribunale incompetente, sarebbero, a loro volta, potuti essere dichiarati nulli. Per evitare ciò, il legislatore ha previsto che la dichiarazione d'incompetenza del tribunale fallimentare deve far sì che il giudice, adito ai sensi dell'art. 24 l.fall. per una azione nascente dal fallimento, debba assegnare un termine per la riassunzione della causa davanti al nuovo giudice, ritenuto competente, ed ordinare la cancellazione della causa dal ruolo. In realtà, tale soluzione consente di evitare la perdita degli effetti prenotativi della trascrizione delle azioni iniziate dal primo fallimento, in particolare le revocatorie, i giudizi di accertamento dello stato passivo in grado di opposizione, nonché le azioni di inefficacia ex art. 64 e 65 e quelle di inopponibilità ex art. 45 (Pajardi-Paluchowski, 132). BibliografiaAcone, Appunti sulla pluralità di fori competenti per la dichiarazione di fallimento e sul concorso di processi fallimentari, in Dir. e giur. 1973, 796; Amatore, Le dichiarazioni di fallimento, Milano, 2014; Bongiorno, Sub artt. 9-9ter, in Comm. Jorio-Fabiani, Bologna, 177; Carbone, Il conflitto di competenza tra traslatio e trasmigratio judicii, in Corr. giur. 1994, 453; Celentano, Sub. art. 9 bis, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2010, 47; De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2007, 114; Fabiani, in Comm. Jorio-Fabiani, Aggiornamento, Bologna, 2007, 8; Ferrara-Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995, 234; Franchi, Concorso di processi fallimentari e collegamenti tra fallimenti, in AA. VV., Studi in onore dì Antonio Segni, II, Milano, 1967, 238 ss.; Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 128; Ricci E.F., Lezioni sul fallimento, Milano, 1998, 159. |