Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 90 - Responsabilità nei casi di direzione unitaria.

Rosaria Giordano

Responsabilità nei casi di direzione unitaria.

1. Nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite.

Inquadramento

La norma in esame stabilisce che, nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori, che abbiano abusato di tale direzione, sono solidalmente responsabili con la società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite.

La disposizione in commento sembra quindi a configurare la responsabilità in termini di responsabilità colpevole, riconducendo la stessa ad uno specifico abuso da parte degli organi societari della controllante, in conformità con l'impostazione secondo cui la responsabilità non può essere estesa a tutti gli organi della controllante ma soltanto a quelli che hanno positivamente agito nel senso indicato (Bonfatti, 297).

La responsabilità nei casi di direzione unitaria nella legge c.d. Prodi

Il comma 10 dell'art. 3, l. n. 95/1979 stabiliva che nei casi di società collegate, nell'ipotesi di una direzione unitaria, gli amministratori delle società che l'hanno esercitato rispondono in solido con gli amministratori della società in amministrazione straordinaria dei danni da questi cagionati a quest'ultima.

Il concetto di direzione unitaria non era stato ricostruito univocamente in dottrina, in quanto talora ritenuto coincidente con l'esercizio di una specifica funzione delle imprese controllanti (Jaeger, 407 ss.), talaltra riferito all'espletamento di un'attività che esorbita dallo schema della personalità giuridica e dell'autonomia societaria (Lo Cascio, 271), oppure che si traduce in un potere decisionale del consiglio di amministrazione della capogruppo (Sbisà, 257), od ancora in una sorta di gestione (Alessi, 350I). Al di là delle classificazioni elaborate dagli studiosi, vigente la trascorsa normativa sull'amministrazione straordinaria, si aveva avuto modo di riconoscere che la direzione unitaria dovesse essere riferita ad un'amministrazione del gruppo «come se si trattasse di una sola impresa» (Jaeger, 407) o di un'unitarietà imprenditoriale» (Allegri, 188), ovvero di «un unico centro di imputazione di interessi e di comune volontà decisionale» (Lo Cascio, 271). In sostanza, non si riteneva a tal fine sufficiente la sola presenza di una situazione di controllo (Jaeger, 407). Era stato anche ricordato che l'esercizio della direzione unitaria si poteva desumere dalla presenza di un flusso costante di istruzioni che la società controllante impartiva alle controllate, concernenti l'imposizione di determinate modalità gestionali, l'indicazione degli strumenti finanziari disponibili, le politiche di bilancio applicabili, la scelta dei contraenti da privilegiare, ecc. (Bonelli, 136). La dottrina sembrava, altresì, concorde nell'affermare che l'esercizio della direzione unitaria non era di per sé illegittima, ma lo era l'abuso con cui la capogruppo l'avesse svolta (cfr., tra gli altri, Bonelli, 137; Borgioli, 115; Rovelli, 1133), incorrendo in violazioni di legge e determinando un danno alla società controllata. Infatti, se gli amministratori della società controllante, nell'esercitare la direzione unitaria, non avessero svolto una corretta gestione delle società controllate, usandole come strumento della politica aziendale della capogruppo, incorrendo così in violazioni previste dalla legge e dallo statuto, sarebbero stati responsabili del pregiudizio che avessero arrecato in conseguenza di tale comportamento. A riguardo, era stato osservato che la l. n. 95/1979 sull'amministrazione straordinaria non aveva contemplato l'ipotesi in cui la direzione unitaria non risultasse esercitata da soggetti che non erano amministratori della società controllante, rilevando che non era infrequente il caso in cui tale attività venga svolta da un «direttorio» formato da amministratori delle varie società del gruppo (Jaeger, 407 ss.) o addirittura da un nucleo operativo estraneo alle posizioni formali rivestite nel gruppo o da un soggetto (persona fisica) dal quale dipendevano tutte le attività decisionali dell'intero gruppo (Lo Cascio, 273). La dottrina dominante aveva posto in luce che nella specie non era proponibile una soluzione che inquadrasse coloro che esercitavano la direzione unitaria in amministratori di fatto, in quanto gli organi della controllante non amministrano la controllata, ma indirizzano soltanto la loro gestione, sicché in tale situazione poteva delinearsi, più che la figura dell'amministratore di fatto, quella dell'amministratore indiretto (v., ex ceteris, Bonelli, 138; Martorano, 79 ss.; Rovelli, 1133).

Si trattava, in sostanza, di un'attività mediata di gestione, che era formalmente attribuibile agli amministratori della controllata (Cass. I, n. 1439/1990, in Fall. 1990, 495, con nota di Lamanna; in Giust. civ., 1990, I, 2395, con nota di Santarsiere; in Corr. giur., 1990, 732, con nota di Russo; in Giur. comm., 1991, II, 366, con nota di Rondinone; in Soc., 1990, 598, con nota di Schiano di Pepe).

La responsabilità degli amministratori della società controllante per abuso dell'esercizio della direzione unitaria regolata dalla l. n. 95/1979 non si estendeva, tuttavia, ai casi in cui tali organi avessero impartito occasionalmente istruzioni alla società controllata in relazione a specifiche operazioni economico-gestionali.

In queste ipotesi, si era sostenuto, che non fosse più ravvisabile la fattispecie legale della responsabilità di cui alla normativa sopra menzionata, ma quella sanzionata dall'art. 2043 c.c. Secondo alcuni la responsabilità degli amministratori per l'esercizio della direzione unitaria andava inquadrata in una violazione dei doveri imposti dalla legge per assicurare una sana amministrazione e, quindi, era configurabile una responsabilità di natura contrattuale (Ceccherini, 1121; Schiano di Pepe, 77). Altri avevano sostenuto che si trattava di una responsabilità extracontrattuale conseguente all'induzione all'inadempimento (Jaeger, 407) ed altri ancora avevano ipotizzato una sorta di responsabilità oggettiva (Lo Cascio, 271).

Inizialmente era sembrato che prevalesse la tesi della natura contrattuale di tale responsabilità, ricollegabile alla violazione di un preesistente obbligo di legge di bene amministrare tutte le società del gruppo (Abbadessa [1], 144 ss.) oppure ad un'estensione dell'obbligo degli amministratori della controllata agli organi della controllante in conseguenza dell'esercizio della direzione unitaria (Bonelli, 141 s.) o, infine, ad una particolare ricostruzione degli aspetti della nozione di controllo e di gruppo che permettesse di ricondurre le decisioni della controllata nell'ambito delle stesse attività decisionali della capogruppo od a livello intermedio (Pavone La Rosa, 10 ss.). La tesi della responsabilità extracontrattuale, che faceva capo ad altra corrente di pensiero, aveva posto in luce, da un lato, l'insussistenza di un obbligo degli amministratori della controllante di perseguire un interesse della società controllata, in quanto non desumibile da alcun principio dell'ordinamento giuridico e, dall'altro, la mancanza di qualsiasi vincolo per le società controllate di eseguire le indicazioni della controllante. Sotto tale profilo si era ritenuta più coerente alla situazione rappresentata la soluzione di una responsabilità aquiliana, ricollegabile ad un'induzione all'inadempimento degli amministratori della controllata (Jaeger, 407). Quest'ultima, dunque, sarebbe stata terza rispetto all'illecito commesso dagli organi amministrativi della controllante, che ne avrebbero risposto ai sensi dell'art. 2395 c.c., con la conseguenza che l'illecito avrebbe dato luogo a due titoli di responsabilità solidale: quella contrattuale a carico degli amministratori della società controllata e quella extracontrattuale a carico degli amministratori della società controllante (Jaeger, 407). La soluzione prospettata non si era sottratta alle critiche dei fautori della tesi contraria, i quali avevano posto l'accento sulla difficoltà d'individuare in tale inquadramento giuridico il nesso di causalità tra la direttiva degli amministratori della controllata ed il comportamento posto in essere dagli amministratori della controllata in violazione dei propri doveri. Tanto meno, poi, si era ritenuto di potere condividere il suggerimento fornito in merito all'esistenza di una presunzione semplice che la direzione unitaria si traducesse in una cooperazione nell'illecito degli amministratori della controllata (Ceccherini, 1121), dando luogo ad un'inversione dell'onere della prova che avrebbe facilitato così l'individuazione del rapporto di causalità. In questa prospettiva, una parte della dottrina aveva osservato che, volendo superare la contrapposizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, si sarebbe dovuto parlare di responsabilità in violazione dei «doveri di protezione» facenti capo agli amministratori alla quale sarebbero stati applicabili i principi dettati in tema di responsabilità contrattuale, non escluso quello relativo all'onere della prova facente carico, perciò, non al creditore danneggiato, ma al debitore (Bonelli, 144). Non si era mancato, peraltro, di far rilevare che lo stesso orientamento interpretativo che aveva aderito alla soluzione della responsabilità extracontrattuale aveva riconosciuto che fosse sufficiente provare che gli amministratori della controllante avessero violato, in dipendenza della gestione mediata posta in essere, il preesistente obbligo di legge di una corretta amministrazione o quello di non agire in conflitto di interessi. Il che avrebbe dimostrato che si era fuori dall'ambito d'applicazione dell'art. 2043 c.c. (Jaeger, 407 ss.; Bonelli, 145).

Se si considera che da più parti si era riconosciuto che il mero esercizio della direzione unitaria non costituiva di per sé illecito, ma solo abuso di tale attività, era anche emerso in maniera inequivocabile che la valutazione di tale comportamento fosse imprescindibile dall'imputabilità al soggetto che se ne era reso responsabile, pertanto, quando si era affermato che gli amministratori della controllante erano responsabili solidalmente con quelli della società controllata in conseguenza dell'esercizio della direzione unitaria, la responsabilità non poteva che derivare da un comportamento colpevole (Rovelli, 1133 ss.). Tutto ciò non poteva che avvalorare la tesi che la responsabilità degli amministratori della società controllante operava per fatto proprio, sia pure in conseguenza della violazione delle regole che presiedevano all'esercizio della direzione unitaria. Si rendeva, piuttosto, necessario approfondire il significato di tale espressione e, soprattutto, di stabilire se fosse possibile configurare la sussistenza di un preesistente obbligo giuridico di esercitare correttamente la direzione unitaria del gruppo di imprese. Ma anche a tale proposito era stato osservato che l'influenza esercitata dalla capogruppo al di fuori delle assemblee (Gambino, 841 ss.; Scognamiglio, 385 ss.) era da considerarsi del tutto legittima e che tale potere, una volta costituito con il suo effettivo esercizio, investisse l'interesse dell'intero gruppo ad ottenere una gestione coordinata ed unitaria, in modo che l'osservanza di tale adempimento per gli amministratori della capogruppo costituiva un preciso obbligo giuridico al quale essi si dovevano conformare (Panzani, 537). Del resto si era anche sottolineato che l'inserimento della direzione unitaria nello schema giuridico dell'organizzazione dei gruppi di imprese non era solo frutto dell'autonomia negoziale, ma trovava riscontro nel sistema normativo dettato in materia bancaria e creditizia ed adempiva ad una precisa finalità riguardante l'interesse dell'intero gruppo creditizio (Gambino, 848). La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori della controllante era ricollegabile sia a fatti commissivi, sia omissivi, essendo a questo punto indubitabile che l'illegittimità dei comportamenti non era soltanto tipica di un abuso dell'esercizio della direzione unitaria, ma trovava riscontro anche nell'aver omesso di coordinare l'attività del gruppo nell'interesse delle società che ne facevano parte (Panzani, 537).

Un ulteriore interrogativo che aveva occupato gli studiosi già nella vigenza della legge c.d. Prodi riguardava la responsabilità degli amministratori della società controllante non soltanto verso la controllata, ma anche verso i creditori di quest'ultima. Una parte della dottrina si era schierata per la soluzione affermativa, sottolineando che l'evenienza prospettata non poteva essere esclusa in presenza di una lesione del credito sotto il profilo del ritardo nell'adempimento (Panzani, 537); altri, invece, avevano sostenuto che la risarcibilità del danno nei confronti dei creditori presupponeva un completo svuotamento del patrimonio della controllata (Ceccherini, 1121). Per quanto riguardava i soci della controllata si tendeva, invece, ad escludere una responsabilità degli amministratori della controllante, sotto il profilo che la condotta lesiva inerente alla diminuzione del patrimonio della controllata si rifletteva sulla posizione della società stessa e non sulla sfera giuridica del socio (Panzani, 537).

Peraltro, la S.C. ha ormai chiarito, rispetto a tali questioni, che l'art. 3, l. n. 95/1979, nell'ipotesi in cui sussista una direzione unitaria di imprese controllanti e controllate, disciplina la responsabilità degli amministratori della società controllante nei confronti della società controllata (in solido con gli amministratori di quest'ultima) e non la responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci della controllata o dei creditori della stessa (Cass. I, n. 12094/2001).

Un'ulteriore questione sorta in passato aveva riguardato la possibilità che la responsabilità degli amministratori della capogruppo potesse coinvolgere anche quest'ultima e la soluzione affermativa adottata aveva rispecchiato la prevalente opinione manifestata dalla dottrina (Bonelli, 150 s.). La risposta all'interrogativo era stata peraltro agevole, considerando il rapporto d'immedesimazione organica che caratterizza la società ed i suoi amministratori, mentre il riferimento della legge agli amministratori della società controllante, anziché a quest'ultima, derivava dal fatto che essa agisce tramite i suoi organi, ai quali sono riconducibili le violazioni e le conseguenti responsabilità assunte dagli stessi. Non erano mancate le voci contrarie secondo cui l'esclusione della responsabilità per la capogruppo derivava dai lavori preparatori della legge (Pavone La Rosa, 434), ma si era replicato che l'affermazione non era esatta, in quanto l'esclusione della responsabilità della controllante riguardava le obbligazioni delle controllate, ma non il risarcimento dei danni causati dall'abuso della direzione unitaria (Bonelli, 153, nt. 77).

La responsabilità per abuso della direzione unitaria nella disciplina attuale

La legge delega conteneva scarse indicazioni in ordine alla disciplina dei gruppi ed al tema della responsabilità della capogruppo in conseguenza dell'esercizio della direzione unitaria. Nel decreto legislativo in commento la disciplina della responsabilità nella gestione dei gruppi è limitata ad una sola disposizione che riproduce quella precedente, ma contiene due precisazioni non trascurabili.

Innanzitutto è stato sancito che, nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori, che abbiano abusato di tale direzione, sono solidalmente responsabili con la società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite. Pertanto, mentre, da un lato, si può confermare quanto evidenziato sul concetto di direzione unitaria, così come elaborato già nella vigenza della legge c.d. Prodi, dall'altro, si deve rilevare che la nuova normativa ha codificato il principio che la responsabilità degli amministratori è ricollegabile all'abuso dell'esercizio di tale attività. La responsabilità degli amministratori della capogruppo può concretarsi, allora, nell'avere tali organi indotto le società controllate a compiere operazioni per loro pregiudizievoli, mentre il mero esercizio della direzione unitaria è invece ritenuto implicitamente legittimo (cfr. Alessi, 196; Paluchowski, 2480).

Per questa posizione, con riguardo all'art. 2497 c.c., v. Trib. Milano VIII, 2 febbraio 2012, in Foro pad., 2013, n. 1, 76, con nota di Cagnasso.

In sostanza, la disposizione in commento viene quindi a configurare la responsabilità in questione non in termini oggettivi, riconducendo la stessa ad un precipuo abuso da parte degli organi societari della controllante in conformità con l'impostazione secondo cui la responsabilità non può essere estesa a tutti gli organi della controllante ma soltanto a quelli che hanno positivamente agito nel senso indicato (Bonfatti, 297). La responsabilità per abuso della direzione unitaria da parte degli amministratori della società capogruppo è quindi, almeno secondo l'impostazione che appare dominante, una responsabilità extracontrattuale per induzione degli amministratori della impresa diretta a porre in essere operazioni pregiudizievoli (v., tra gli altri, Bonfatti, 297; Galgano, 1098). La responsabilità potrebbe essere configurata — con non secondarie conseguenze pratiche sul termine di prescrizione e l'onere della prova — in termini contrattuali assimilando la posizione degli amministratori della controllante a quelli della controllata (Bonelli, 589).

In relazione alla responsabilità della capogruppo ex art. 2497 c.c. è stato affermato in sede applicativa che la responsabilità per violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale nell'attività di direzione e coordinamento di società, di carattere diretto e avente natura extracontrattuale, deriva dal mancato rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede imprenditoriali, tale da configurare un abuso nell'esercizio del potere di direttiva e di istruzione, preordinato volutamente a soddisfare interessi propri della capogruppo o di altri soggetti, interni o esterni al gruppo, in ipotesi sfavorevoli o pregiudizievoli per la società controllata (Trib. Palermo 15 giugno 2011, in Giur. comm. 2013, n. 3, 507, con nota di Benedetti).

Inoltre è necessario accertare il nesso di causalità tra il danno subito dalla società e l'esecuzione delle direttive nell'ambito della direzione unitaria. In ciò si coglie il senso dell'ulteriore innovazione che la legge ha inteso introdurre in materia, indicando espressamente quale sia la connotazione peculiare propria del funzionamento della capogruppo, mediante l'invio di direttive a tutte le imprese del gruppo (Costa-Pappalardo si interrogano peraltro sulla necessità, ai fini della sussistenza della direzione unitaria, anche di un accentramento sulla capogruppo delle funzioni gestorie fondamentali). In questa direzione si evince in modo inequivocabile che il legislatore ha inteso recepire quanto in passato era stato rappresentato dalla dottrina circa l'obbligo di tutte le imprese collegate di fornire dati ed informazioni all'impresa capogruppo, necessari all'attività di coordinamento e di gestione (Gambino, 841 ss.). Ne consegue, da una parte, che gli amministratori delle imprese di gruppo devono attivarsi per fare affluire le informazioni alla capogruppo, dando esecuzione alle istruzioni ricevute dalla stessa e, dall'altra, che ogni comportamento colposo nell'espletamento di tale attività può essere fonte di responsabilità per tali organi, sia nei confronti della stessa società che amministrano, sia della controllante. Alla stessa stregua, qualsiasi comportamento degli amministratori della capogruppo che si traducesse in un abuso della direzione unitaria è fonte di responsabilità nei confronti delle imprese di gruppo e della stessa capogruppo ed essi sono chiamati a risponderne in solido con gli organi amministrativi delle controllate. Sotto quest'ultimo profilo, invero, il legislatore ha voluto ampliare, sul piano della legittimazione passiva, il diritto al risarcimento della società insolvente danneggiata (Paluchowski, 2481).

Nulla è stato stabilito circa la responsabilità della stessa capogruppo come ente collettivo, responsabilità che potrebbe, come si è evidenziato in dottrina, essere affermata per il legale rappresentante in forza del rapporto di immedesimazione organica o in base all'art. 2049 c.c. (cfr. Bonfatti, 299).

Le stesse considerazioni svolte in passato dovrebbero valere in ordine all'ipotizzabilità di una responsabilità verso i soci ed i creditori, avuto riguardo al già richiamato principio, affermato in sede di legittimità, secondo cui l'art. 3, l. n. 95/1979, nell'ipotesi in cui sussista una direzione unitaria di imprese controllanti e controllate, disciplina la responsabilità degli amministratori della società controllante nei confronti della società controllata (in solido con gli amministratori di quest'ultima) e non la responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci della controllata o dei creditori della stessa (Cass. I, n. 12094/2001, cit.).

Si segnala peraltro la ricostruzione, in parte differente, secondo cui sarebbe ipotizzabile una responsabilità nei confronti degli azionisti della controllata ex art. 2935 c.c. e/o un'azione di responsabilità della minoranza degli azionisti della capogruppo verso gli azionisti di maggioranza (Rovelli, 1101 ss.).

La norma in commento resta silente in ordine ai criteri della quantificazione del danno rispetto all'individuazione dei quali, secondo autorevole dottrina, potrebbero trarsi importanti indicazioni dall'art. 2497 c.c. sulla direzione e coordinamento dei gruppi societari, disposizione che esclude la responsabilità quando il danno non sussiste avuto riguardo al risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento (cfr. Costa-Pappalardo, 690).

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