Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 80 - Definizioni.Definizioni. 1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo si intendono: a) per "procedura madre", la procedura di amministrazione straordinaria di una impresa che ha i requisiti previsti dagli articoli 2 e 27, facente parte di un gruppo; b) per "imprese del gruppo": 1) le imprese che controllano direttamente o indirettamente la società sottoposta alla procedura madre; 2) le società direttamente o indirettamente controllate dall'impresa sottoposta alla procedura madre o dall'impresa che la controlla; 3) le imprese che, per la composizione degli organi amministrativi o sulla base di altri concordanti elementi, risultano soggette ad una direzione comune a quella dell'impresa sottoposta alla procedura madre. 2. Agli effetti del comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), il rapporto di controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall'articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile. InquadramentoL'articolo in commento, nell'aprire il titolo IV dedicato al gruppo di imprese (artt. 80-91), definisce e delimita i concetti fondamentali della relativa disciplina. Rispetto all'art. 3 d.l. n. 26/1979, convertito con l. n. 95/1979 (c.d. «decreto Prodi»), che per primo aveva introdotto nel nostro ordinamento una regolamentazione dell'insolvenza di gruppo, la nuova normativa è più ampia e dettagliata. Il gruppo di imprese, inteso come centro unitario di interessi economici di enti solo formalmente distinti e operanti con separati schemi soggettivi che mascherano una direzione sostanzialmente unica (Mazzocca, 81), ovvero come entità economicamente unitaria caratterizzata dall'autonomia giuridica di ogni componente (Caiafa, D'Orazio, 1481-1482, i quali evidenziano la contiguità del fenomeno con quello della responsabilità limitata), pur rappresentando un'innegabile realtà economica (Zanichelli, 1823-1828; Panzani, 1358), non trova ancora nel nostro ordinamento una disciplina organica, non potendosi definire tale l'insieme delle disposizioni di cui agli artt. 2359, 2359-bis, 2360 e 2361 c.c. e dei riferimenti sparsi in varie leggi finalizzate ad interventi agevolativi (Mazzocca, 80-81, e Scaroina, 21-22, i quali sottolineano la necessità di tutelare i soggetti che, entrando in rapporto con le singole imprese, maturino aspettative suscettibili di essere dolosamente lese da manovre artificiose del gruppo). Per la legge fallimentare, che si disinteressa del fenomeno, le procedure concorsuali di imprese insolventi appartenenti al medesimo gruppo restano sempre e comunque separate (Di Majo, 435, Scognamiglio, 1091; Lo Cascio, 09, 1028; Apice, Mancinelli, 579 e 580, nt. 32; Zanichelli, 1829; nonché, per un approfondimento in tema di concordato preventivo, Caiafa, D'Orazio, 1480-1481). Da ultimo la Corte di Cassazione, pur dando atto che nella realtà economica odierna le imprese operanti sul mercato si organizzano frequentemente in gruppi di società, ha ribadito che il vigente sistema normativo in materia di fallimento e di concordato preventivo non conosce il fenomeno, non dettando alcuna disciplina al riguardo che si collochi sulla falsariga di quella prevista per l'amministrazione straordinaria dagli artt. 80 e ss. del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 o di quelle stabilite dall'art. 4-bis d.l. n. 347/2003 per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza o con riguardo ai gruppi bancari o assicurativi insolventi (Cass. I, 20559/2015; in adesione si veda la recente Trib. Alessandria, 31 marzo 2016). In precedenza la giurisprudenza di merito aveva mostrato, sia pure con diverse sfumature, notevoli aperture in favore del concordato prevenivo di gruppo (Trib. Ferrara, 8 aprile 2014, la quale ha affermato l'ammissibilità di una proposta di concordato di gruppo, precisando tuttavia che l'approvazione spetta ai creditori di ciascuna società, singolarmente considerata, trattandosi di soggetti giuridici autonomi e distinti; App. Roma, 5 marzo 2013, secondo cui, se non può negarsi in astratto l'ammissibilità di un concordato di gruppo, ossia proposto con unico ricorso dalle società ad esso appartenenti, tuttavia, non costituendo il gruppo di imprese un soggetto giuridico, resta indispensabile riferire il sistema della responsabilità patrimoniale alle singole società del gruppo, con necessaria separazione delle masse attive e passive di ciascuna società e con votazioni separate; Trib. Roma, 25 luglio 2012, secondo la quale una proposta di concordato di gruppo è astrattamente ammissibile laddove siano rispettate le regole sulla competenza territoriale, siano tenute distinte le masse attive e passive e il raggiungimento delle maggioranze venga richiesto per ogni singola società, risolvendosi, invero, questa tipologia di concordato – di matrice giurisprudenziale – in un fascio di procedimenti concordatari che realizzano, tuttavia, per essere presentati contestualmente ed affidati al medesimo giudice delegato, il vantaggio di una gestione e comprensione unitaria; Trib. Monza, 24 aprile 2012, Trib. Benevento, 18 gennaio 2012, Trib. Roma, 7 marzo 2011 e Trib. Terni, 7 febbraio 2011, nelle quali si è precisato che in caso di concordato di gruppo l'attivo e il passivo di ogni società devono essere tenuti distinti e le votazioni devono essere autonome; Trib. Crotone, 28 maggio 1999, la quale invece, nel ritenere ammissibile la proposizione di unico ricorso per l'ammissione al concordato preventivo da parte di società od imprese individuali costituenti un gruppo, ha affermato la conseguente unitarietà di procedura anche in relazione all'adunanza dei creditori e al calcolo delle votazioni per il raggiungimento della maggioranza; Trib. Roma, 16 dicembre 1997, Dir. fall. 1998, II, 778, e Giur. mer. 1998, 643, secondo cui le ineliminabili connessioni nella gestione delle diverse società e nella formazione della situazione debitoria e creditizia, nonché il sicuro vantaggio per la massa dei creditori di una considerazione unitaria della vicenda concordataria, sono elementi da cui far discendere l'impossibilità di una trattazione separata delle proposte di concordato di società facenti parte del medesimo gruppo; Trib. Terni, 19 maggio 1997, in Fall. 1998, 290, in cui si è affermato che è ammissibile la procedura unitaria di concordato preventivo in presenza di più imprese facenti parte di un gruppo, a condizione che siano favorevoli le maggioranze dei creditori di ciascuna impresa; Trib. Perugia, 3 marzo 1995, secondo cui l'autonomia propria di ogni società appartenente ad un gruppo di imprese impedisce l'apertura di una procedura concorsuale del gruppo, ma non esclude che, se per tutte le società sono presenti i presupposti di ammissione al concordato preventivo, nella valutazione del Tribunale un ruolo rilevante sia rappresentato dal riscontro dell'esistenza dell'aggregazione societaria; Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fall. 1995, 969, che ha ritenuto ammissibile la riunione di più procedimenti di concordato preventivo ai quali siano state ammesse diverse imprese facenti parte di un gruppo, sia pure con separate adunanze e votazioni e con stima dell'attivo e calcolo del fabbisogno rapportati a ciascuna impresa). Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società che sia inserita in un gruppo di società collegate ovvero controllate da un'unica società holding, l'accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva la propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti (Cass. I, 23344/2010; App. Bologna, 29 agosto 2014; Trib. Roma, 18 aprile 2013). Mentre il decreto Prodi, nel dare per la prima volta risalto al fenomeno col fine precipuo di tutelare i creditori (e gli stessi componenti del gruppo) rispetto all'abuso della forma societaria e della direzione unitaria (Pajardi, Paluchowski, 1132; Apice, Mancinelli, 579; Fabiani, 779; v. in particolare Gualandi, 618, secondo cui è logico che il legislatore si sia occupato del gruppo di imprese proprio in materia di amministrazione straordinaria, essendo il gruppo una realtà più diffusa nell'ambito delle attività di grandi dimensioni), evitava scrupolosamente di utilizzare il termine «gruppo», gli artt. 80-91 d.lgs. n. 270/1999 superano ogni preoccupazione al riguardo, facendo esplicito riferimento al gruppo (Mazzocca, 80; Pajardi, Paluchowski, 1132; Zanichelli, 1829). Tra la vecchia e la nuova normativa vi è inoltre un'importante differenza lessicale, poiché quest'ultima, diversamente dalla prima che parlava di «società», usa il termine più generale di «impresa», traslando il fenomeno del gruppo oltre la realtà societaria per includervi, coerentemente con le scelte operate con riguardo al presupposto soggettivo per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, anche gli imprenditori individuali (Zanichelli, 1830; Gualandi, 618; Pajardi, Paluchowski, 1132; Mazzocca, 79-80; Dal Soglio, 1878-1879; v. altresì Caiafa, D'Orazio, 1486-1487, i quali rilevano che ciò costituisce una novità anche rispetto alla disciplina di cui agli artt. 2497 ss. c.c., che attiene alla direzione e al coordinamento nell'ambito del diritto sostanziale societario). In generale, la disciplina dettata dal titolo IV del d.lgs. n. 270/99, che costituisce quasi un unicum nell'ambito degli ordinamenti giuridici dei paesi industrializzati (Panzani, 1358), è ritenuta dai commentatori più ricca e migliore rispetto a quella pionieristica dell'art. 3 d.l. n. 26/1979 (Daccò, 420; Zanichelli, 1829; Dal Soglio, 1878), della quale il legislatore ha inteso superare i dubbi e i problemi interpretativi (Pajardi, Paluchowski, 1132), pur conservandone la duplice finalità: assoggettare all'amministrazione straordinaria le imprese insolventi del gruppo, anche se prive dei requisiti di cui all'art. 2, allo scopo di agevolare la gestione unitaria dell'insolvenza, e contrastare le pratiche di svuotamento patrimoniale compiute nell'ambito del gruppo (Di Fusco, Pace, 114; Mazzocca, 83; si veda anche Dal Soglio, 1878, il quale rimarca che le due finalità corrispondono alla disciplina contenuta nei due capi dei quali il titolo IV si compone). Si tratta, comunque, di una disciplina settoriale, mirata alle particolari esigenze della procedura di amministrazione straordinaria (Daccò, 421; Caiafa, D'Orazio, 1486-1487; Zanichelli, 1829; Tombari, 20-21), e ancor più settoriale è la valenza delle definizioni dettate dall'art. 80, che ne limita espressamente l'ambito di applicazione al solo capo I del titolo IV (Costa, Pappalardo, 669). La «procedura madre»Ai sensi della lettera a) del comma 1, per «procedura madre» si intende la procedura di amministrazione straordinaria aperta nei confronti di un'impresa che abbia i requisiti previsti dagli artt. 2 e 27 d.lgs. n. 270/99 e che faccia parte di un gruppo. Viene qualificata come procedura madre quella cui è assoggettata un'impresa del gruppo avente in proprio i requisiti di cui agli artt. 2 e 27 d.lgs. n. 270/99, e quindi anche il requisito dimensionale di duecento lavoratori subordinati, non potendosi allo scopo computare anche gli addetti delle altre imprese del gruppo, poiché, alla stregua della normativa di settore e alla luce dei principi generali, al fenomeno del gruppo non devono attribuirsi riflessi diversi da quelli specificamente previsti (Cass. I, 2188/2000; Trib. Lucca, 3 maggio 2001, Dir. fall. 2002, II, 279). In altri termini, il requisito dimensionale indicato nell'art. 2, lett. a), d.lgs. n. 270/99 deve essere accertato con riferimento alla singola impresa richiedente e non con riguardo al gruppo del quale la medesima faccia parte (Cass. I, 6648/2013; contra Trib. Cuneo, 14 febbraio 2000, in Foro it. 2000, I, 3241, in Giur. it. 2000, 773, Dir. fall. 2000, II, 618, e in Fall. 2000, 447). La procedura madre non deve necessariamente coinvolgere l'impresa al vertice del gruppo, potendo trattarsi di impresa figlia o sorella nell'ambito della catena di controllo (Di Majo, 436, nt. 2; Dal Soglio, 1879; Bonfatti, Censoni, 745) o di una mera impresa «satellite» (Caiafa, D'Orazio, 1487), ed è anzi improbabile che essa riguardi la holding di gruppo, stante il requisito dimensionale previsto dall'art. 2, lett. a), d.lgs. n. 270/99 (Mucciarelli, 951). Inoltre, se cronologicamente la procedura madre deve essere aperta per prima, attraendo successivamente a sé le altre imprese del gruppo (Alessi, 113; Santoni, 98; Mazzocca, 84; Apice, Mancinelli, 580; Regoli, 401; Caiafa, D'Orazio, 1487; Bonfatti, Censoni, 745; v. anche Dal Soglio, 1879, il quale sottolinea che non può esservi pluralità di procedure madri, sicché, laddove vi siano diverse imprese del gruppo aventi i requisiti di cui agli artt. 2 e 27 d.lgs. n. 270/99 nei confronti delle quali sia stata contemporaneamente richiesta la dichiarazione di insolvenza, anche presso Tribunali diversi, la procedura madre sarà comunque solo quella aperta per prima), per la sua apertura non è indispensabile fin da subito l'accertamento dell'esistenza del gruppo, ben potendo questa essere appurata nel momento successivo in cui avviene l'estensione della procedura o la conversione in amministrazione straordinaria dei fallimenti delle altre imprese (Jorio, 100 ss.; Funari, 643; Dal Soglio, 1879). Il gruppo di impreseIl comma 1, lett. b), definisce il concetto di imprese del gruppo, ricomprendendovi, mediante quattro criteri alternativi: 1) le imprese che controllano direttamente o indirettamente la società sottoposta alla procedura madre (imprese controllanti); 2) le società direttamente o indirettamente controllate dall'impresa sottoposta alla procedura madre (imprese controllate); 3) le società direttamente o indirettamente controllate dall'impresa che controlla anche quella sottoposta alla procedura madre (imprese sorelle); 4) le imprese che, per la composizione degli organi amministrativi o sulla base di altri concordanti elementi, risultano soggette ad una direzione comune a quella dell'impresa sottoposta alla procedura madre (imprese con direzione comune). Il comma 2, con un'indispensabile integrazione dei primi tre criteri, specifica in cosa consiste il rapporto di controllo, rinviando ai casi previsti dall'art. 2359, commi 1 e 2, c.c. e includendovi anche le imprese individuali. Giova in proposito ricordare che, ai sensi dell'art. 2359 c.c., sono considerate società controllate le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria (c.d. controllo interno di diritto) e le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria (c.d. controllo interno di fatto), dovendo computarsi, in entrambe le ipotesi, anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte, nonché le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (c.d. controllo esterno). L'art. 80 d.lgs. n. 270/99 richiede, ai fini dell'estensione della procedura di amministrazione straordinaria, la sussistenza di un gruppo di imprese, cioè di un'impresa che controlli, direttamente o indirettamente, la società sottoposta alla procedura madre, o ne sia controllata, ovvero sia comunque ad essa collegata; ovvero di un'impresa che, per la composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi, risulti soggetta ad una direzione comune a quella cui è sottoposta la procedura madre (Trib. Bari, 15 luglio 2004, in Soc. 2005, 5, 636). La direzione comune non deve necessariamente essere esercitata da un soggetto avente la qualità di imprenditore commerciale (Trib. Livorno, 11 giugno 2018). I criteri di collegamento adottati, in buona parte analoghi a quelli utilizzati dal decreto Prodi (Gualandi, 618), non sono omogenei e appaiono ispirati a riscontri empirici inerenti all'influenza economica più che fondati su basi dogmatiche (Mazzocca, 83, secondo cui sarebbe opportuno ampliare ulteriormente i criteri, includendovi un riferimento generale al vincolo unitario identificabile nell'esistenza di un'unica direzione manageriale che si manifesti attraverso l'attività di distinte persone di fiducia nei vari organi della società, essendo tale forma di controllo largamente diffusa nella realtà economica). In base a tali criteri, il gruppo di imprese può essere generato sia da una situazione di controllo (attivo o passivo: Daccò, 424) sia da una situazione di direzione comune (Gualandi, 618; Santoni, 98), e quest'ultima, a differenza che nel sistema civilistico, è meramente alternativa rispetto alla prima, per cui vi è impresa di gruppo se vi è controllo anche in mancanza di una direzione comune o se vi è direzione comune in assenza di controllo (Caiafa, D'Orazio, 1487; Dal Soglio, 1879; Rondinone, 503). Ne deriva un concetto di gruppo più esteso, dotato di una maggiore forza espansiva (Pajardi, Paluchowski, 1132; Di Majo, 440-441). Nei punti 1) e 2) del comma 1, lett. b) sono rimaste le ipotesi di controllo classico, esercitato attraverso il possesso diretto o indiretto (per mezzo, cioè, di imprese controllate) di quote del capitale della società controllata (Fabiani, 780). Si è peraltro evidenziato che in tale forma di gruppo l'impresa individuale, che non può essere partecipata, può esercitare solo la funzione di capogruppo (Pajardi, Paluchowski, 1132, nonché Gualandi, 618-619, il quale rammenta che, non a caso, la norma parla di «imprese che controllano» e di «società controllate»; ma v. Daccò, 423, Dal Soglio, 1880, Zanichelli, 1831, e Alessi, 115 i quali rilevano che l'impresa individuale ben può essere controllata attraverso vincoli contrattuali), e che pertanto, se in linea generale l'estensione della procedura all'interno del gruppo può operare sia in senso ascendente (verso le controllanti), sia in senso discendente (verso le controllate) oppure orizzontale (tra società sorelle o soggette a direzione comune), quando tra le società del gruppo vi è un'impresa individuale, la quale non ha i requisiti autonomi per la sottoposizione alla procedura, l'estensione può operare solo in senso ascendente (Pavone La Rosa, 484; Pajardi, Paluchowski, 1132; Di Majo, 438; Daccò, 426; contra Zanichelli, 1831). La vera novità riguardante i criteri di collegamento è costituita dall'eliminazione del criterio di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), d.l. n. 26/1979, che sanciva la possibile estensione della procedura alle «società che hanno concesso crediti o garanzie alla società in amministrazione straordinaria e alle società di cui alle precedenti lettere per un importo superiore, secondo le risultanze dell'ultimo bilancio, ad un terzo del valore complessivo delle proprie attività» (c.d. collegamento finanziario; elemento che, invero, è di per sé estraneo al concetto di gruppo, inerendo piuttosto ad una «cointeressenza di fatto»: Zanichelli, 1831), criterio che è confluito in quello della direzione unitaria prima dettato dalla lettera c) del medesimo art. 3, comma 1, d.l. n. 26/1979 e ora previsto dalla nuova legge, in una versione ampliata e ridisegnata, nel punto 3 dell'art. 80, comma 1, lett. d) (Pajardi, Paluchowski, 1133; Daccò, 424, il quale evidenzia che l'assorbimento della vecchia previsione nella nuova è espressamente affermato nella Relazione Governativa; Zanichelli, 1831, secondo cui l'ampliamento del criterio costituisce una presa d'atto del fenomeno concreto). L'ampliamento di tale criterio si coglie anzitutto nella sostituzione della proposizione «stessa direzione» con l'espressione «direzione comune», idonea a ricomprendere anche i casi di controllo svolto da più imprese in forma congiunta (Mazzocca, 84; Alessi, 114; Cariello, 47; sul tema, v. anche Dal Soglio, 1882-1883). Inoltre, in base alla nuova disposizione, la direzione unitaria può risultare non soltanto dalla composizione degli organi amministrativi delle imprese coinvolte (rectius: delle società coinvolte: Daccò, 423; Zanichelli, 1831), che rappresenta solo uno dei possibili indizi (Sbisà, 274; Bonfatti, 280-281; Costa, Pappalardo, 670; Dal Soglio, 1880; Di Majo, 439; Daccò, 426-427; Garcea, 62; ma v. Alessi, 115, e Zanichelli, 1836, secondo i quali la coincidenza totale o prevalente dei componenti degli organi amministrativi o anche soltanto la particolare composizione dell'organo amministrativo di una delle società coinvolte, del quale, ad esempio, facciano parte i soci di maggioranza dell'altra società, è elemento di per sé sufficiente a provare la direzione comune), ma anche «sulla base di altri concordanti elementi» (espressione generica e perciò criticata da Pajardi, Paluchowski, 1133, Di Majo, 439-440, e Pavone La Rosa, 485), dei quali fa certamente parte la concessione di crediti e garanzie (peraltro, non più necessariamente per un importo superiore ad un terzo del valore complessivo delle proprie attività: Gualandi, 619; Mazzocca, 85; Daccò, 424; Alessi, 115; Dal Soglio, 1880; Di Majo, 439; Lo Cascio, 2000, 430), ma tra i quali vengono annoverati anche, in via esemplificativa: l'erogazione di servizi comuni; l'utilizzo di marchi comuni; l'esistenza di un unico centro decisionale che coordini o pianifichi le attività della società; la sussistenza di patti parasociali che vincolino il comportamento amministrativo dell'ente o di altri comportamenti convergenti di natura negoziale (Santoni, 101; Pajardi, Paluchowski, 1133-1134; Costa, Pappalardo, 671; Di Majo, 440); l'omogeneità della politica finanziaria (Daccò, 425); l'accentramento del servizio di tesoreria (Dal Soglio, 1880); le scelte gestionali «ancillari» rispetto a quelle di altra società, come quella di strutturare irreversibilmente l'azienda per la produzione di componenti esclusivamente utilizzati da altra impresa senza essere a questa vincolati da particolari rapporti contrattuali; la coincidenza delle sedi e l'utilizzo del medesimo personale; il ricorso in via esclusiva e costante alla stessa impresa di servizi finanziari (Zanichelli, 1837). Sussiste una situazione di controllo esterno per influenza dominante in presenza di rapporti contrattuali la cui costituzione e il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata. Tale carattere «esistenziale» deve desumersi non dal tipo di contratto in sé — non esistendo nell'ordinamento italiano una specifica tipologia di contratti di dominio o di controllo di impresa — ma dal concreto atteggiarsi del suo contenuto, che lo renda, nel caso singolo, vitale per la società controllata (Cass. I, 12094/2001). Ai fini della configurabilità di un controllo indiretto esterno, l'influenza dominante, in forza della quale può dirsi che una società incide sulla gestione di un'altra, rendendola economicamente dipendente dalla prima, deve in concreto estrinsecarsi nella capacità di una società di poter condizionare l'attività di un'altra in virtù di particolari vincoli contrattuali, non essendo all'uopo sufficiente, ad esempio, il fatto che una società assorba metà della produzione di un'altra (Trib. Torino, 21 aprile 1986, in Fall. 1987, 415). L'esistenza di un unico centro decisionale per la società sottoposta alla procedura madre e le altre società del gruppo provoca l'ammissione di queste ultime all'amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 80, lett. b) n. 3 d.lgs. n. 270/1999, indipendentemente dalla composizione dei rispettivi organi amministrativi. La società controllata per il 95% dalla società ammessa alla cd. «procedura madre» di amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270/1999, e per il 5% da società controllata integralmente dalla «holding» del gruppo, va ammessa all'amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 80, lett. b) n. 2 del decreto suddetto. La società che controlla per il 100% la società ammessa alla cd. «procedura madre» di amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270/1999 va ammessa all'amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 80, lett. b) n. 1 del medesimo decreto (Trib. Parma, 21 gennaio 2004, in Fall. 2004, 453). La situazione di controllo sussiste in capo al titolare della partecipazione anche quando questa sia gravata da pegno a favore di terzi (Trib. Roma, 29 luglio 1981, in Fall. 1982, 595). BibliografiaAlessi, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. 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