Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 73 - Cessazione dell'esercizio dell'impresa.Cessazione dell'esercizio dell'impresa. 1. Nei casi in cui è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, se nel termine di scadenza del programma, originario o prorogato a norma dell'articolo 66, è avvenuta la integrale cessione dei complessi stessi, il tribunale, su richiesta del commissario straordinario o d'ufficio, dichiara con decreto la cessazione dell'esercizio dell'impresa. 1-bis. Con l'istanza di cui al comma 1, il commissario straordinario, previa autorizzazione ministeriale, chiede al tribunale la conversione dell'amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale o, per le start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in liquidazione controllata. La richiesta di conversione di cui al primo periodo può essere presentata anche successivamente e, in tale ipotesi, si applicano gli articoli 71 e 721. 2. Il decreto è affisso e comunicato al Ministero dell'industria e all'ufficio del registro delle imprese a cura del cancelliere. Contro di esso chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo alla corte di appello nel termine di dieci giorni dall'affissione; la corte di appello provvede in camera di consiglio, sentito il commissario straordinario. Il reclamo non ha effetto sospensivo. 3. A far data dal decreto previsto dal comma 1 l'amministrazione straordinaria è considerata, ad ogni effetto, come procedura concorsuale liquidatoria. 4. La liquidazione degli eventuali beni residui acquisiti all'attivo è effettuata secondo le disposizioni previste dagli articoli 42, 62, 64 e 65. [1] Comma aggiunto dall'articolo 4-bis, comma 1, lettera d), del D.L. 18 gennaio 2024, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 15 marzo 2024. n. 28 InquadramentoLa norma disciplina la fase che segue, ove sia stata autorizzata la cessione dei beni aziendali, all'avvenuta cessione di tutti i cespiti dell'impresa entro il termine previsto. Il decreto avente ad oggetto la cessazione dell'attività di impresa è affisso e comunicato al Ministero dello Sviluppo Economico e all'ufficio del registro delle imprese a cura del cancelliere. Tale provvedimento è reclamabile dinanzi alla Corte d'Appello entro dieci giorni dall'affissione ed il procedimento seguirà le forme della camera di consiglio, sentito il commissario straordinario. Il procedimento di reclamo segue la disciplina di cui all'art. 33 del decreto in esame. Cessazione dell'esercizio d'impresaLa continuazione dell'esercizio dell'impresa, sia nella prima fase della dichiarazione dello stato d'insolvenza, sia nella successiva di apertura dell'amministrazione straordinaria, non costituisce una caratteristica della procedura, ma una conseguenza esclusiva della situazione pregressa dell'imprenditore. L'attività d'impresa, infatti, deve essere proseguita, sia che essa continui a far capo allo stesso debitore, sia che venga affidata al commissario giudiziale, perché il mantenimento della fase dinamica della produzione costituisce lo strumento mediante il quale si possono conservare i valori aziendali e perché la realizzazione del programma di risanamento non sarebbe neppure concepibile senza di essa. La prosecuzione dell'impresa si può ancora avere nell'ipotesi in cui sia stato eseguito un programma di ristrutturazione; infatti, se questo è stato concluso favorevolmente non può che raccordarsi con la ripresa della produzione da parte dell'imprenditore tornato in bonis. Viceversa, ogniqualvolta la procedura s'interrompe perché non può più essere realizzato il programma di risanamento, anche l'esercizio dell'impresa viene meno, perché esso diventa inconciliabile con la procedura liquidatoria, nella quale, è noto, la continuazione di tale esercizio assume una diversa connotazione, ricollegabile all'esigenza di evitare, nell'interesse dei creditori, un danno grave ed irreparabile derivante dalla sua improvvisa interruzione. Qualora venga realizzato un programma di cessione dei complessi aziendali e si attui, perciò, il mutamento della loro titolarità, l'esercizio dell'attività d'impresa prosegue in capo ai terzi cessionari, ma diventa un fatto irrilevante per la procedura, perché estraneo ad essa. Pertanto, la disposizione in esame sancisce che la cessazione dell'attività d'impresa prima esercitata dal commissario straordinario va disposta con un provvedimento formale. In realtà l'intervenuta cessione dei complessi aziendali, ben lungi dal determinare la cessazione dell'attività d'impresa, ne provoca il trasferimento a terzi e la situazione che si viene a delineare all'interno della procedura è quella di un'inesistenza degli stessi presupposti di fatto che avevano giustificato tale esercizio. In altri termini si dovrebbe dichiarare cessato qualcosa che è stato trasferito ad altri. La conferma di questa affermazione deriva da quanto viene sancito nel comma terzo della disposizione in esame secondo cui la procedura prosegue ed assume natura concorsuale liquidatoria, il che sta a significare che non è più individuabile un complesso imprenditoriale che possa esercitare l'attività produttiva Peraltro, almeno da parte dell'imprenditore insolvente assoggettato alla procedura in esame la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa è in re ipsa quando venga realizzato il programma di cessione di complessi aziendali comprensivo di tutte le iniziative imprenditoriali facenti capo allo stesso (cfr. Trib. Cuneo 2 febbraio 2001, in Giur. it. 2001, 2331, con nota di Cagnasso). Più delicata è la situazione rispetto alle ipotesi in cui non tutte le iniziative imprenditoriali fossero comprese nel programma di cessione e siano continuate, quindi, anche attività non destinate alla dismissione nei confronti di soggetti terzi, attività che poi destinate alla liquidazione a seguito del provvedimento di cessazione dell'attività di impresa (Sandulli, 59). In sede applicativa si è evidenziato che ai sensi del comma quinto della disposizione in esame, per effetto del decreto con cui il Tribunale dichiara cessato l'esercizio dell'impresa, l'amministrazione straordinaria diviene una procedura concorsuale liquidatoria, in ciò assimilabile perfettamente al fallimento, che rende priva di significato la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, venendo a mancare «in radice» qualsiasi opportunità di compiere una gestione unitaria del gruppo d'imprese, in quanto, quest'ultima, ai sensi dell'art. 81, comma secondo, d.lgs. n. 270/1999, è finalizzata ad agevolare il raggiungimento di obiettivi non più attuabili una volta che la procedura di amministrazione straordinaria abbia definitivamente completato il suo programma (Trib. Bari, sez. fall., 16 marzo 2005, in Fall. 2006, n. 2, 161, con nota di Amendolagine). Sulle modalità di approvazione del rendiconto di gestione del commissario straordinario si rinvia al commento all'art. 75 d.lgs. n. 270/1999. Decreto di cessazione ed impugnazioniIl decreto avente ad oggetto la cessazione dell'attività di impresa è affisso e comunicato al Ministero dello Sviluppo Economico e all'ufficio del registro delle imprese a cura del cancelliere. Tale provvedimento è reclamabile dinanzi alla Corte d'Appello entro dieci giorni dall'affissione ed il procedimento seguirà le forme della camera di consiglio (per le quali v. Commento all'art. 33), sentito il commissario straordinario. Il reclamo non ha effetto sospensivo. La prevista possibilità della proposizione del reclamo da parte di chi riveste un qualsiasi interesse, amplia il contenuto dell'impugnazione sino a ricomprendervi lesioni indirette della sfera giuridica dei soggetti interessati e crea secondo taluni una tutela non equilibrata di situazioni soggettive assimilabili nel corso della realizzazione della finalità conservativa dell'impresa. Liquidazione dei beni residuiLa disposizione in esame stabilisce che la liquidazione degli eventuali beni residui acquisiti alla procedura sia realizzata secondo la previsione dettata dagli artt. 42, 62, 64 e 65 del d.lgs. citato. In realtà, lo stesso decreto legislativo dettato in materia ha previsto che, all'atto in cui sia stata completata la cessione dei complessi aziendali, il tribunale deve dichiarare la cessazione dell'esercizio d'impresa e che da questo momento la procedura assume esclusivamente natura liquidatoria. La conseguenza logica di tale affermazione avrebbe dovuto essere la conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento, alla stessa stregua di ogni altra ipotesi in cui il risanamento non possa più essere realizzato. Infatti eseguito il programma, oppure accertato che esso non può più trovare attuazione, le ulteriori attività che vanno adempiute sono destinate soltanto a soddisfare i creditori e quest'esigenza non può che essere perseguita esclusivamente dall'autorità giudiziaria ordinaria e non da quella amministrativa. Tuttavia, il legislatore, in ordine alla realizzazione dei beni residui ha richiamato specificatamente le norme dettate per l'amministrazione straordinaria in tema di autorizzazione da parte dell'autorità di vigilanza, se richiesta, di modalità di vendita, di pubblicità e di determinazione del valore dei beni da realizzare, di cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni e di tutela giurisdizionale dei diritti lesi dagli atti e dai provvedimenti di liquidazione. Tutto ciò esclude ogni dubbio circa l'attribuzione di quest'ulteriore attività liquidatoria alla pubblica amministrazione. Il fondamento giuridico di questa deroga rispetto alla duplicità di compiti riservati al giudice ordinario ed alla pubblica amministrazione è certamente ricollegabile all'esigenza di evitare sovrapposizioni di organi gestori ed inevitabili ritardi nel completamento dell'attività di realizzo dei beni quando questa risulta in gran parte esaurita. Una parte della dottrina ritiene, peraltro, che possano esservi, nonostante il richiamo esclusivo alle norme in tema di liquidazione dei beni residui, anche altre forme di chiusura della procedura, ad esempio ai sensi dell'art. 74, comma 2, lett. a), circa la possibilità di estinzione dei debiti al di fuori del procedimento e mediante concordato (cfr. Sandulli, 60, il quale non ritiene ostativo rispetto alla possibilità del concordato il disposto dell'art. 78, comma secondo, laddove fa riferimento al fine conservativo della procedura, potendo l'applicazione dello stesso essere limitata all'ipotesi in cui i beni produttivi non siano stati collocati). 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