Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 71 - Decreto di conversione.

Rosaria Giordano

Decreto di conversione.

1. La conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento, a norma degli articoli 69 e 70, è disposta dal tribunale con decreto motivato, sentiti il Ministro dell'industria, il commissario straordinario e l'imprenditore dichiarato insolvente.

2. Con il decreto il tribunale nomina il giudice delegato per la procedura e il curatore; a seguito di esso cessano le funzioni del commissario straordinario e del comitato di sorveglianza. L'accertamento dello stato passivo, se non esaurito, prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

3. Il decreto è comunicato e affisso a norma dell'articolo 8, comma 3.

4. Contro il decreto che dispone la conversione o rigetta la richiesta del commissario straordinario chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo alla corte di appello nel termine di quindici giorni. Il termine decorre, per l'imprenditore insolvente ed il commissario straordinario, dalla comunicazione del decreto e, per ogni altro interessato, dalla sua affissione.

5. La corte provvede in camera di consiglio, sentiti il commissario straordinario, l'imprenditore ed il reclamante. Il decreto che accoglie il reclamo è comunicato e affisso a norma del comma 3.

Inquadramento

La conversione è disposta dal Tribunale con decreto motivato: pur nel silenzio del legislatore sulla questione, si ritengono applicabili le norme sul procedimento camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.

Il decreto con il quale è disposta la conversione della procedura in fallimento deve essere adeguatamente motivato e contenere la nomina del giudice delegato e del curatore.

Nell'attuale disciplina, sia nell'ipotesi di rigetto, sia di accoglimento dell'istanza di conversione, è ammesso il reclamo alla corte di appello nel termine di quindici giorni, decorrente per il commissario straordinario e l'imprenditore insolvente dalla sua comunicazione, e, per ogni altro interessato, dalla data di affissione del provvedimento. Tale strumento impugnatorio appare analogo a quello disciplinato dall'art. 33.

È discussa invece l'esperibilità del rimedio del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. avverso la decisione assunta in sede di reclamo.

Procedimento

Il comma primo della disposizione in esame stabilisce che la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento, a norma degli artt. 69 e 70 d.lgs. n. 270/1999, è disposta dal tribunale con decreto motivato, sentiti il Ministro dell'industria (ossia dello sviluppo economico), il commissario straordinario e l'imprenditore dichiarato insolvente. La previsione resta silente in ordine alle norme applicabili al procedimento di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento, che peraltro, dovrebbero essere quelle stabilite per il rito in camera di consiglio regolato dagli artt. 737 ss. c.p.c., analogamente al procedimento per la dichiarazione di insolvenza disciplinato dall'art. 7 (cfr. Sandulli, 50; addiviene alla stessa conclusione dando tuttavia rilievo alle indicazioni contenute nella Relazione governativa Martino, 265).

Ai fini della decisione, il Tribunale terrà conto principalmente degli elementi di valutazione offerti dalle relazioni del commissario straordinario. Nel silenzio della disposizione in esame sul punto occorre interrogarsi tuttavia circa la possibilità per il Tribunale, similmente a quanto avviene in sede di apertura della procedura secondo quanto espressamente previsto dall'art. 30, di disporre ulteriori accertamenti istruttori (Sandulli, 50). La risposta affermativa a tale questione interpretativa può essere argomentata: a) mediante applicazione analogica dell'art. 30; b) tenendo conto del rilievo secondo cui, in mancanza, l'intervento del tribunale sarebbe meramente formale, in contrasto con la ratio legis volta a riservare all'intervento giurisdizionale la trattazione di tutte le questioni che involgano la tutela di diritti soggettivi; c) in considerazione del disposto dell'art. 738, comma 2, c.p.c. che in tema di procedimenti in camera di consiglio attribuisce al giudice il potere di disporre informazioni (cfr. Martino, 266). Tra gli accertamenti che potranno essere disposti dal tribunale peculiare rilevanza dovrebbe essere attribuita ad uno strumento istruttorio, pur di lunga indagine, come la consulenza tecnica volta ad una verifica della correttezza delle indicazioni provenienti dalla relazione del commissario straordinario (Martino, 267).

Prima di provvedere sulla conversione, il Tribunale dovrà «sentire» il Ministro dell'Industria (ovvero dello Sviluppo economico), il commissario straordinario e l'imprenditore dichiarato insolvente. A riguardo, si è osservato che, sebbene l'art. 7 del medesimo decreto in esame (v. relativo Comm.) utilizzi il differente termine «convoca» ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza si applica la medesima procedura prevista dal tale norma (Sandulli, 51, secondo il quale, tuttavia, l'audizione dell'imprenditore insolvente non è funzionale, come già nella procedura di amministrazione controllata, alla formulazione di una richiesta di ammissione al concordato preventivo che dovrebbe essere necessariamente effettuata nella fase istruttoria antecedente all'accertamento dello stato di insolvenza). Ne deriva che il Ministro potrà designare un delegato per la comparizione o far pervenire un parere scritto e che il Tribunale potrà delegare l'audizione ad uno dei suoi componenti, fermo che l'audizione non potrà avvenire se non previa convocazione con comunicazione dell'avviso in modo che tra la data della convocazione e quella della comparizione intercorra un termine non inferiore a quindici giorni liberi, salve particolari ragioni di urgenza.

Decreto di conversione: contenuto e pubblicità

La conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento va disposta con decreto e non con sentenza, come avveniva nella precedente disciplina. Il decreto dovrà essere dettagliatamente motivato in punto di valutazione della situazione dell'impresa già ammessa al beneficio dell'amministrazione straordinaria (cfr., in relazione alla motivazione del provvedimento di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, Cass. I, n. 4863/1983), valutazione che dovrà essere complessiva e coinvolgere sia profili giuridici che tecnico-contabili ed aziendali (Sandulli, 53 ss.).

Con il decreto di conversione il tribunale procede alla nomina del giudice delegato e del curatore, determinando la cessazione delle funzioni del commissario straordinario e del comitato di sorveglianza, salve le attività necessarie per l'approvazione del conto (v. comm. all'art. 75).

Come per tutti gli altri provvedimenti, anche quello di conversione dell'amministrazione in fallimento deve essere adeguatamente pubblicizzato, secondo la disciplina dettata dall'art. 8, comma terzo, e comunicato al Ministro dell'industria (rectius, dello Sviluppo economico). Resta sempre salva la possibilità di ricorrere agli strumenti informatici e telematici.

Impugnazione

Nella precedente normativa era stabilito che, avverso il provvedimento di conversione, potevano essere esperiti l'opposizione e, quindi, l'appello ed il ricorso per cassazione, mentre, contro il decreto di rigetto dell'istanza di conversione, era previsto il reclamo. Quest'ultimo mezzo d'impugnazione poteva essere rigettato oppure accolto; in questo caso la corte d'appello rimetteva gli atti al tribunale per farsi luogo alla conversione.

Nell'attuale disciplina, sia nell'ipotesi di rigetto, sia di accoglimento dell'istanza di conversione, è ammesso il reclamo alla corte di appello nel termine di quindici giorni, decorrente per il commissario straordinario e l'imprenditore insolvente dalla sua comunicazione, e, per ogni altro interessato, dalla data di affissione del provvedimento. Tale strumento impugnatorio appare analogo a quello disciplinato dall'art. 33 (v., tra gli altri, Fabiani, 1077), al cui commento si rinvia per più ampi riferimenti, sicché, ad esempio, come è stato sancito per il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria, riteniamo che l'impugnazione non possa essere proposta per un motivo che avrebbe dovuto essere fatto valere in sede di opposizione a stato d'insolvenza.

Legittimati alla proposizione del reclamo, sulla base della stessa formula adoperata per l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento (e d'insolvenza), sono tutti i soggetti interessati. Si è osservato che sotto tale profilo la disciplina sembra dettata sul presupposto che il provvedimento di conversione non abbia natura contenziosa e sia di tipo ordinatorio, giustificandosi soltanto in tal senso l'attribuzione della legittimazione ad impugnare in capo a soggetti privi del potere di iniziativa in ordine all'attivazione del procedimento di conversione (così, in una prospettiva critica, Martino, 265).

In sede di riesame del provvedimento di conversione, alla stessa stregua del reclamo previsto avverso il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria, deve essere assicurato il pieno contraddittorio tra i soggetti interessati. Pertanto, la Corte di Appello deve provvedere in camera di consiglio, sentiti il commissario straordinario, l'imprenditore ed il reclamante.

Peraltro, mentre il reclamo proposto ai sensi dell'art. 33 non sospende l'esecuzione del decreto oggetto di gravame emesso ex art. 30, tale indicazione non compare anche nella norma in esame. A riguardo, si è evidenziato che nell'alternativa tra il ricorso all'interpretazione analogica o a quella letterale, dovrebbe essere privilegiata quest'ultima poiché, intervenendo a procedura in corso, è verosimile che non vi siano ragioni d'urgenza che impongano l'immediata modificazione della procedura, i.e. che possa essere tollerato il differimento dell'effetto della conversione al momento della decisione da parte della Corte d'Appello (Fabiani, 1078).

Il provvedimento è soggetto alle medesime forme di pubblicità che abbiamo prima ricordato in merito al decreto di conversione reso dal tribunale.

La disposizione in esame non prevede che il decreto della Corte di appello possa essere assoggettato al ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. (in generale sui presupposti per la proposizione dello stesso v. Tiscini, 1 ss.). Secondo alcuni il provvedimento avrebbe contenuto ordinatorio e dovrebbe ritenersi insuscettibile di ricorso ex art. 111 Cost. (cfr. Sandulli, 52). Riteniamo, tuttavia, più corretta l'opposta impostazione interpretativa secondo la quale deve invece ritenersi ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto emanato in sede di reclamo dalla Corte d'Appello ai sensi della norma in esame, essendo il provvedimento di conversione decisorio su diritti soggettivi sia dell'imprenditore insolvente che del ceto creditorio (Martino, 267).

Effetti della conversione

La questione degli effetti della conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento è tra quelle più problematiche come avviene, in generale, per le diverse fattispecie di consecuzione delle procedure concorsuali (v., tra gli altri, Bonsignori, 256; Apice, 823; Costa, 10 ss.; Lo Cascio, 4 ss.): in mancanza di una disciplina specifica, occorre rispondere all'interrogativo circa una possibile conservazione degli effetti già prodottisi nella procedura di amministrazione straordinaria ed una retrodatazione degli effetti della procedura fallimentare al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza.

Nonostante l'assenza di una regolamentazione specifica, al quesito può essere fornita una risposta affermativa avendo riguardo ad alcune disposizioni del decreto legislativo in esame che regolano gli aspetti più delicati e controversi che possono presentarsi (cfr. Martino, 269; in senso dubitativo, almeno sulla valenza assoluta del principio, Costa, 10 ss.). Tra tali norme, occorre aver riguardo: a) all'art. 49, comma secondo, che individua nella dichiarazione dello stato di insolvenza il dies a quo per il computo a ritroso del periodo sospetto ai fini della dichiarazione di inefficacia e della revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori, anche nei casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua quella di fallimento, disposizione dalla quale, invero, sembra potersi inferire l'irrevocabilità di atti quali transazioni, contratti, etc. legalmente compiuti nel corso della procedura di amministrazione straordinaria; b) all'art. 52 secondo cui i crediti sorti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa e la gestione del patrimonio del debitore sono soddisfatti in pre-deduzione anche nel fallimento successivo alla procedura di amministrazione straordinaria, norma che, sebbene abbia la propria ratio nell'esigenza di assicurare all'impresa i mezzi indispensabili per il risanamento e la continuazione dell'attività di impresa, configura sul piano tecnico-giuridico l'amministrazione straordinaria ed il fallimento come due fasi che si susseguono; c) all'art. 71, comma secondo, laddove prevede che l'accertamento del passivo, se non esaurito, «prosegue» sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, previsione che non solleva particolari problematiche, atteso che l'art. 53 del decreto in esame rinvia proprio alle norme sull'accertamento al passivo nel fallimento (Costa, 11 ss.).

Invero, nella giurisprudenza di legittimità — specie in tema di consecuzione tra concordato preventivo e fallimento ovvero tra l'ormai abrogata amministrazione controllata ed il fallimento, anche in caso di ammissione dell'imprenditore al concordato tra le due procedure — il principio di consecuzione tra le procedure concorsuali è stato affermato soprattutto in considerazione di due esigenze, peraltro come evidenziato espressamente regolamentate in senso affermativo in ordine alla retrodatazione degli effetti della procedura fallimentare da parte del decreto legislativo in esame. In primo luogo, infatti, il principio della consecuzione delle procedure concorsuali consente una retrodatazione degli effetti della sentenza di fallimento sino al momento del provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale minore al fine di evitare il pregiudizio per i diritti dei creditori consistente nell'impossibilità di esercitare utilmente le azioni revocatorie nel fallimento, a causa del decorso del tempo. In tale prospettiva è stato più volte ribadito il principio in forza del quale in tema di revocatoria fallimentare, l'art. 2935 c.c., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, attiene al termine fissato per l'esercizio dell'azione, non anche alla delimitazione del periodo sospetto, di cui all'art. 67, ed alla conseguente identificazione degli atti revocabili al suo interno, per le quali, nell'ipotesi di consecuzione di procedure concorsuali, il computo a ritroso di tale periodo decorre dalla data di ammissione alla prima procedura, ancor più nel caso di concordato preventivo, il cui presupposto oggettivo è uguale a quello del fallimento (Cass. I, n. 5527/2006).

Sotto un distinto profilo, quanto agli effetti della conversione sull'imprenditore insolvente, occorre ricordare che, come noto, a seguito dell'apertura dell'amministrazione straordinaria, si verifica una situazione di «spossessamento» per effetto del quale il commissario straordinario si sostituisce in tutti i rapporti giuridici patrimoniali, salvo quanto stabilito per i beni non compresi nel fallimento, la cui disciplina è richiamata anche per la liquidazione coatta amministrativa. Del patrimonio della procedura fanno parte anche i beni sopravvenuti, dedotte le passività incontrate per il loro acquisto e la loro conservazione. Questa stessa situazione si verifica anche a seguito della conversione nella procedura fallimentare, nella quale trovano applicazione le stesse regole della procedura conservativa. Nell'amministrazione straordinaria la sostituzione processuale del commissario straordinario è quanto mai ampia e tale non può che essere quella determinata dall'apertura del fallimento, con la conseguente riconducibilità dei rapporti in corso al curatore del fallimento. Vale sottolineare quanto è stato ricordato in materia fallimentare in ordine alla configurabilità di una capacità sussidiaria del fallito in presenza dell'inerzia del curatore, regola peraltro che non può non influenzare anche l'amministrazione straordinaria [cfr., con riferimento al fallimento, Cass. I, n. 10146/1998).

Quanto al compimento delle necessarie formalità per rendere opponibili gli atti alla massa, in caso di conversione in fallimento, trova applicazione l'art. 45 che, in forza del richiamo dell'art. 200, aveva trovato largo spazio anche per la procedura in esame.

Nella conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento, non è prevista la medesima regolamentazione dettata per i procedimenti in corso dall'art. 34, quando alla fase della dichiarazione d'insolvenza fa seguito quella conservativa o fallimentare. Sotto tale aspetto dovrebbero valere gli effetti dell'interruzione del procedimento previste in tema di fallimento, interruzione che segue oggi automaticamente ex art. 43 alla dichiarazione di fallimento, senza necessità della dichiarazione in udienza o notificazione dell'evento da parte del procuratore costituito secondo la disciplina generale di cui all'art. 300 c.p.c. Ne consegue che il giudizio dopo l'interruzione deve essere riassunto dal curatore o nei confronti dello stesso nel rispetto del termine di tre mesi previsto dall'art. 305 c.p.c.

L'incertezza interpretativa, sorta in ordine all'applicabilità all'amministrazione straordinaria della disciplina dettata in materia di corrispondenza del fallito (Bonsignori, 133), resta superata con la conversione in fallimento.

La conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento non modifica il quadro complessivo della situazione sostanziale e processuale regolata dalla disciplina di quest'ultima procedura, salvo la regola introdotta dall'art. 48 sul divieto delle azioni esecutive individuali anche speciali. Tuttavia, si potrebbe ancora porre l'interrogativo sulla sorte del procedimento di esecuzione di credito fondiario, regolato dall'art. 41 del T.U. n. 385/1993, in materia bancaria e creditizia. Non si può escludere, infatti, che l'improcedibilità di tale esecuzione, nell'amministrazione straordinaria, possa presentare, invece, un qualche interesse per il creditore e per lo stesso curatore, sicché non è da escludere che il procedimento possa essere riassunto od instaurato ed operare parallelamente al fallimento (cfr., di recente, Costa, 12). Le azioni d'inefficacia e le revocatorie ordinarie e fallimentari, a seguito della conversione dell'amministrazione in fallimento, proseguono e quelle sospese in presenza di un programma di ristrutturazione dell'impresa possono essere riassunte nello stesso termine sancito dall'art. 60 del decreto legislativo in esame. Viceversa quelle aggravate, che fossero state esperite dal commissario straordinario, divengono improcedibili.

L'art. 50 prevede la facoltà del commissario straordinario di sciogliersi da tutti i contratti ineseguiti o non ancora eseguiti, anche ad esecuzione continuata o periodica, salvo quelli di lavoro subordinato e di locazione d'immobili nei quali sia subentrato il commissario della procedura del locatore. Nell'ipotesi di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento si pone l'interrogativo se l'avvenuto esercizio di tale facoltà di scioglimento possa considerarsi definitivo ed efficace anche nel fallimento consecutivo. Mutuando dall'interpretazione seguita nell'ipotesi del ritorno in bonis dell'imprenditore, si potrebbe sostenere che, se la facoltà di scioglimento è stata esercitata in corso di amministrazione straordinaria per un contratto per il quale essa non è prevista dalla legge fallimentare, il rapporto non possa più riacquistare la sua validità ed efficacia. Diversamente, se tale iniziativa non è stata ancora assunta, dovrebbero trovare ovviamente applicazione le regole previste nel fallimento. Così pure, tenuto conto degli orientamenti giurisprudenziali assunti dalla Cassazione in materia di somministrazione e di prosecuzione del rapporto da parte del commissario straordinario (Cass. S.U., n. 4715/1996, in Fall. 1997, 30, con nota di Napoleoni), sembra che il problema dell'esclusione della prededucibilità dell'intero credito del somministrante, a prescindere dall'esplicita previsione normativa di cui all'art. 51, non possa porsi neppure con riguardo al fallimento, attesa la natura non unitaria del negozio e la concorsualità del debito inerente alle prestazioni riflettenti il periodo anteriore all'inizio della procedura.

In realtà, in termini più generali, deve tenersi conto, specie con riguardo all'ipotesi nella quale il commissario abbia optato per la prosecuzione del rapporto contrattuale in corso, che a seguito della dichiarazione di fallimento non possono imporsi al curatore valutazioni dettate in funzione di una procedura conservativa, di talché alcuna scelta compiuta nell'ambito della stessa potrà dirsi definitiva, con conseguente sussistenza del potere del curatore di esercitare tutte le facoltà previste dagli artt. 72 e ss. l.fall. (Costa, 12 ss.).

Come già evidenziato, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 52, i crediti sorti nel corso della procedura mantengono il beneficio della prededucibilità previsto dall'art. 111, n. 1 anche nel successivo fallimento. Tuttavia manca a riguardo una presa di posizione del legislatore sulla sorte dei finanziamenti concessi alla grande impresa nell'ipotesi di successiva conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento. Secondo parte della dottrina, considerato il rilevante ruolo svolto dagli operatori finanziari nell'attuazione della procedura, sarebbe stato opportuno prevedere almeno l'irrevocabilità dei pagamenti finalizzati al ripianamento della finanza concessa (Alessi, 113 ss.).

Bibliografia

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