Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 49 - Azioni revocatorie.

Rosaria Giordano
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Azioni revocatorie.

1. Le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento.

2. I termini stabiliti dalle disposizioni indicate nel comma 1 si computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. Tale disposizione si applica anche in tutti i casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua la dichiarazione di fallimento (1).

(1) Vedi , anche, l'articolo 6 del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in legge 18 febbraio 2004, n. 39.

Inquadramento

Tenendo conto del dibattito formatosi nell'assetto previgente, la norma in commento detta una specifica disciplina in ordine alla proponibilità delle azioni revocatorie nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, limitando la stessa, in accordo con gli orientamenti già affermati dalla S.C. nella vigenza della legge c.d. Prodi, al caso in cui sia stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali (nonché qualora l'amministrazione straordinaria venga convertita in fallimento).

La Corte di Cassazione ha ormai più volte ribadito il principio in forza del quale la disciplina delle azioni revocatorie delle grandi imprese insolventi, anche nella vigenza della legge c.d. Prodi, è compatibile con la normativa comunitaria sul divieto degli aiuti di Stato (tra le altre, Cass. I, 23655/2012). L’esercizio dell’azione revocatoria, in particolare, non integra un aiuto di stato in quanto trattasi di procedimento attivabile ordinariamente nel corso della procedura fallimentare, senza che rilevi la distinzione tra fase conservativa e fase liquidatoria, atteso che l’azione revocatoria è diretta a produrre risorse da destinare all’espropriazione forzata a fini satisfattori per i creditori (Cass. I, ord. n. 8974/2019, per la quale non importa che il bene recuperato con l’azione revocatoria non sia destinato immediatamente alla liquidazione e al riparto tra i creditori, essendo sufficiente che esso concorra con gli altri beni a determinare il patrimonio ripartibile al termine del tentativo di risanamento).

A tale conclusione è pervenuta la stessa Corte Costituzionale con riguardo all'azione revocatoria prevista per le grandissime imprese insolventi dall'art. 6 del decreto c.d. Marzano (Corte cost. n. 172/2006, in Riv. dir. proc., 2007, 1609, con nota di Trisorio Liuzzi ed in Fall., 2006, 766, con nota di Panzani).

La disciplina delle azioni revocatorie nella legge c.d. Prodi

La l. n. 95/1979, c.d. Prodi, non dettava una disciplina specifica in relazione alle azioni revocatorie rispetto alla proponibilità delle quali operava, pertanto, il generale rinvio alla regolamentazione in tema di liquidazione coatta amministrativa e, quindi, a quella stabilita dalle azioni revocatorie ex art. 203, secondo comma. La problematica afferente la compatibilità di tale assetto, configurato dal legislatore per una procedura liquidatoria, con l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi avente finalità di risanamento industriale, è stata tradizionalmente oggetto di ampio dibattito in dottrina come in giurisprudenza (cfr., per tutti, Trisorio Liuzzi, 1619).

Peraltro, almeno in un primo momento, a fronte del predetto assetto normativo, era prevalsa la tesi che non poneva in dubbio, anche nell'ipotesi di esercizio dell'impresa volto alla conservazione della stessa, il potere del commissario straordinario di promuovere le azioni revocatorie aventi ad oggetto gli atti lesivi posti in essere dall'impresa in crisi (v., tra gli altri, Bonsignori, 144; Colesanti-Maffei Alberti-Schlesinger, 726; Gambino, 573; Montanari, 83; Oppo, 245).

In tal senso nella stessa giurisprudenza di merito si era evidenziato che doveva ritenersi che la disciplina della revocatoria fallimentare si applica integralmente alla procedura di amministrazione straordinaria per effetto del rinvio operato dalla l. n. 95/1979 alle disposizioni degli artt. 195 e 203 senza che fosse peraltro possibile operare alcuna differenziazione a seconda che l'insolvenza sia riferibile ad ordinarie fattispecie fallimentari o a fenomeni di crisi di grandi imprese, esulando infatti dall'indagine ogni valutazione circa l'obiettività dello stato di insolvenza del debitore o l'ipotetica reversibilità di tale stato, in quanto la legge pone al riguardo una presunzione assoluta che alle parti non è possibile superare (Trib. Milano, 22 settembre 1988, in Banca borsa tit. cred., 1990, II, 103). Nella medesima prospettiva, era stato evidenziato che l'azione revocatoria fallimentare è esperibile nel corso dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, anche nell'ipotesi in cui sia stata disposta la continuazione dell'esercizio provvisorio dell'impresa, essendo tale procedimento assimilato alla liquidazione coatta amministrativa e non all'amministrazione controllata (così Trib. Napoli, 7 maggio 1985, in Fall. 1986, 1080).

La Corte di Cassazione era tuttavia poi intervenuta sulla questione affermando il principio in forza del quale le azioni revocatorie fallimentari non potevano essere esercitate sino a quando non fosse stata iniziata la fase liquidatoria della procedura ed evidenziando, in particolare, a riguardo, che poiché all'amministrazione straordinaria si riconosceva una finalità recuperatoria e che essa non era, perciò, riconducibile alla logica meramente satisfattoria tipica del fallimento, doveva trarsene la conseguenza che, in pendenza dell'esecuzione del programma di risanamento, non potesse essere assunta alcuna iniziativa giudiziaria in ordine alle azioni revocatorie, attenendo queste alla fase liquidatoria, nella quale sussiste, appunto, la necessità di soddisfare i creditori. In sostanza, l'azione revocatoria «non si concilia affatto con una procedura che nella sua connotazione tipica è preordinata alla gestione dell'impresa in vista del suo reinserimento nel mercato» (Cass. I n. 11519/1996, , in Giust. civ. 1997, I, 3129, con nota critica di D'Alessandro).

La soluzione interpretativa della S.C. non era stata unanimemente condivisa in dottrina (al contrario nel senso di un'assoluta incompatibilità tra azione revocatoria ed amministrazione straordinaria v. Tarzia, 950), essendo stato osservato che, pur volendo riconoscere una certa tendenza a valorizzare nell'amministrazione straordinaria la funzione di recupero e di riorganizzazione dell'attività produttiva dell'impresa in crisi, tuttavia, non si era abbandonata l'idea di una «coessenzialità» della funzione liquidatoria-satisfattiva. In ogni caso non si sarebbe mai potuta anteporre la funzione conservativa a quella liquidatoria, perché da numerosi riferimenti normativi risultava l'opposto intendimento del legislatore di volerle tenere, comunque, assieme sin dall'inizio della procedura e durante tutto il corso della stessa. A fondamento di tale assunto erano state richiamate la previsione normativa della revocatoria aggravata infragruppo (Alessi, 174; Fabiani, 894) e quella di cui all'art. 2, l. n. 95/1979, inerente all'esecuzione di un programma consono alla tutela degli interessi creditori ed alla distribuzione degli acconti ai creditori. Quanto al rilievo, secondo cui, consentendo l'esercizio delle revocatorie, sarebbe sorto il problema della destinazione dei beni revocati in caso di risanamento dell'impresa, si era replicato che, a prescindere dalla considerazione che tale risanamento non è incompatibile con un pagamento parziale ai creditori (onde l'esigenza di ricostruire la garanzia del debitore), la conseguenza rappresentata non sarebbe stata diversa da quella che caratterizza ogni altra procedura in cui le azioni revocatorie sono proponibili anche prima di stabilire se l'attivo realizzabile possa consentire il pagamento integrale dei creditori (Riello, 821).

La regolamentazione introdotta dal d.lgs. n. 270/1999

La legge delega per l'emanazione del decreto legislativo in commento non si era occupata specificamente delle azioni revocatorie, di talché, secondo alcuni, avrebbe dovuto continuare ad operare, nella logica del cd. doppio rinvio, la disciplina dettata dagli artt. 64 ss. Peraltro, la disposizione in esame detta nondimeno una specifica disciplina in ordine alla proponibilità delle azioni revocatorie nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, limitando la stessa, in accordo con gli orientamenti già affermati dalla S.C. nella vigenza della legge cd. Prodi, al caso in cui sia stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali (nonché qualora l'amministrazione straordinaria venga convertita in fallimento). In sostanza, l'azione revocatoria viene esclusa in caso di programma di ristrutturazione che comporta il mantenimento della proprietà in capo all'originario imprenditore ed il pagamento dei creditori, mentre è ammessa nell'ipotesi di programma di cessione dei beni aziendali che determina il trasferimento dell'impresa a terzi soggetti (Trisorio Liuzzi, 1621 ss.). Durante il programma di risanamento, quindi, la proposta azione revocatoria dovrà essere dichiarata improponibile (Cavalaglio, 190).

La S.C. ha chiarito che la norma in commento non ha portata interpretativa ed efficacia retroattiva, ostandovi, in primo luogo, la disposizione transitoria di cui all'art. 106 dello stesso decreto legislativo, che prevede al comma primo, tranne che per alcune disposizioni indicate al comma terzo, l'ultrattività della normativa anteriore riguardo alle procedure in corso alla data di vigenza del decreto stesso ed, inoltre, richiedendo l'avveramento di una specifica condizione non richiesta né prospettabile in passato, ha, per il suo contenuto, portata innovativa rispetto al d.l. n. 26/1979, conv. con la l. n. 95/1979 (Cass. I, n. 8539/2000, in Fall. 2001, 656, con nota di Sampietro).

A riguardo, è stato inoltre precisato che poiché l'effetto costitutivo della inefficacia relativa, nei confronti dei creditori, degli atti assoggettati alla revocatoria fallimentare disciplinata dall'art. 67, comma secondo, e richiamata dall'art. 49, d.lgs. n. 270/1999, si produce dalla proposizione della corrispondente domanda giudiziale, è alla data di quest'ultima che deve esclusivamente guardarsi per individuare la norma utilizzabile ratione temporis, sicché l'applicazione della disposizione in esame in una procedura di amministrazione straordinaria di un'impresa, che sia stata dichiarata in stato di insolvenza dopo l'entrata in vigore del menzionato decreto, non può considerarsi retroattiva solo perché i pagamenti revocati siano stati eseguiti in epoca ad esso anteriore (Cass. I, n. 7182/2013). Nel ribadire il principio, quindi «positivizzato» dalla disposizione in commento, in virtù del quale la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi può essere proposta soltanto ove sia stato autorizzato un programma di cessione dei beni aziendali, la S.C. ha evidenziato che nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal d.l. n. 26/1979, convertito nella l. n. 95/1979, in ordine alla quale tra azione revocatoria fallimentare e fase conservativa sussiste un'incompatibilità logica e di fatto, prima ancora che giuridica, un'effettiva destinazione liquidatoria della procedura di amministrazione straordinaria può manifestarsi già prima del formale avvio del procedimento di alienazione dei beni, perché un'attività di conservazione dell'azienda, nella sua unitarietà funzionale, ben può risultare destinata alla salvaguardia non solo dell'unità produttiva, bensì anche della tutela delle ragioni dei creditori, i quali hanno interesse all'alienazione di un complesso aziendale efficiente e avviato, piuttosto che alla separata alienazione dei singoli beni aziendali (Cass. I, n. 5301/2006). Ne consegue che l'eventualità di una destinazione liquidatoria della procedura deve essere accertata con riferimento al momento della decisione sull'azione revocatoria, trattandosi di una condizione dell'azione, essendo possibile solo a quella data verificare se e in quale misura l'azione esercitata abbia potuto attribuire un vantaggio alla procedura qualificabile in termini di aiuto di Stato (Cass. I, n. 7163/2012).

Segue. Aspetti processuali

Legittimato all'esperimento di dell'azione è il commissario straordinario, il quale, a tal fine, a differenza di quanto avviene nel fallimento, non necessita dell'autorizzazione dell'organo giurisdizionale, mancando nel decreto in esame qualsivoglia previsione che attribuisca al giudice delegato il potere di autorizzare il commissario straordinario ad agire o resistere in giudizio e quello di nominare avvocati (Coppola, 395). Legittimato passivo è qualsiasi soggetto in favore del quale sia stato posto in essere un atto pregiudizievole per la massa.

Per espressa previsione della normativa in esame la cognizione è demandata al tribunale in funzione di giudice unico. La legge, nel regolare la competenza funzionale del tribunale che ha dichiarato lo stato d'insolvenza, non ha precisato se essa si estende anche alla successiva fase dell'amministrazione straordinaria, per cui, dovendosi applicare la disciplina della liquidazione coatta amministrativa, che non ha richiamato l'art. 24, potrebbe sorgere il dubbio se possa ravvisarsi detta competenza funzionale (in senso contrario Cass. I, n. 1145/1996,).

Tuttavia non si possono non ricordare in merito le considerazioni svolte a fondamento della soluzione contraria, ricollegabili, tra l'altro, al richiamo normativo dell'art. 203 al comma secondo dell'art. 66 ed all'assimilazione del fallimento alla dichiarazione dello stato d'insolvenza (Arrigo-Poggi, 985 ss.).

Decorrenza dei termini per il computo del periodo sospetto e prescrizione

La norma in esame stabilisce che i termini stabiliti per far luogo alle azioni d'inefficacia e revocatorie, nell'ipotesi di procedura liquidatoria, decorrono dalla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza. Questa regola vale anche quando alla fase dell'insolvenza segua il fallimento, anziché l'amministrazione straordinaria. Ne deriva, pertanto, che non può neppure sorgere l'interrogativo che si è posto nella liquidazione coatta amministrativa sulla decorrenza dei termini per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare dalla data del decreto di apertura della procedura amministrativa oppure da quella della sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza.

Sulla questione con riferimento alle procedure di amministrazione straordinarie disciplinate dalla previgente legge c.d. Prodi mediante rinvio alle norme in tema di liquidazione coatta amministrativa, si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Invero, secondo un primo orientamento, in tema di amministrazione straordinaria aperta ai sensi della l. n. 95/1979, l'azione revocatoria fallimentare è esperibile solo dalla data del decreto che dispone l'apertura della procedura e la nomina del commissario, essendo quest'ultimo l'unico soggetto legittimato all'esercizio della suddetta azione, con la conseguenza che il relativo termine di prescrizione non decorre dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì solo dalla data del decreto di nomina del commissario governativo, ossia dal momento in cui, a norma dell'art. 2935 c.c., il diritto può essere fatto valere; né vi sono ragioni per derogare a tale principio con riguardo ad azione promossa da una società, appartenente ad un gruppo già dichiarato insolvente e sottoposto all'amministrazione straordinaria, in quanto, anche in tal caso, prima della nomina del commissario non vi è alcun soggetto legittimato processualmente ad agire in giudizio in nome e per conto della singola procedura concorsuale (Cass., I, n. 13244/2011, ; conf. Trib. Udine 31 dicembre 1986, in Dir. fall., 1987, II, 520). In accordo con un'altra tesi affermata dalla medesima S.C., invece, in tema di azione revocatoria fallimentare esercitata nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, quale disciplinata dal d.l. n. 26/1979, convertito in l. n. 95/1979, la decorrenza del periodo sospetto coincide con la data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e non con quella, successiva, del decreto ministeriale che apre la procedura, in quanto il principio stabilito dall'art. 203 per la liquidazione coatta amministrativa e richiamato dall'art. 1 della predetta l. n. 95/1995 — secondo cui si deve avere riguardo alla data del provvedimento che ordina la liquidazione — non innova sul punto della decorrenza del periodo sospetto, la cui individuazione si deve perciò connettere al momento significativo posto dalla legge fallimentare a base dell'azione, cioè alla dichiarazione di insolvenza; il principio di decorrenza a ritroso del periodo sospetto, collocandosi nel solco del medesimo indirizzo interpretativo dell'art. 203, ha altresì trovato conferma nell'art. 49, d.lgs. n. 270/1999, con riguardo alla novellata amministrazione straordinaria (Cass. I, n. 9177/2008).

Quanto invece all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, sotto il vigore della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 270 del 1999, l'azione revocatoria fallimentare può essere proposta, ai sensi della disposizione in esame, "soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento": ne consegue che, con riferimento al “dies a quo” per l'esperimento dell'azione, non può trovare applicazione il regime anteriore della legge n. 95 del 1979, secondo cui la revocatoria fallimentare è esperibile solo dalla data del decreto che dispone l'apertura della procedura e la nomina del commissario (Cass. VI, n. 21516/2017).

Sotto altro profilo,  a seguito dell'introduzione degli artt. 182-bis ss. occorre chiedersi se sia possibile una retrodatazione del periodo sospetto nell'ipotesi in cui la procedura di amministrazione straordinaria venga aperta in successione ad un accordo di ristrutturazione dei debiti: la risposta a tale interrogativo potrà essere affermativa solo ove si intenda l'accordo in questione non già come accordo convenzionale tra imprenditore e creditore bensì in termini di procedura concorsuale alternativa al fallimento ed assumendo che il presupposto oggettivo dello stesso, individuato nello «stato di crisi», sia sostanzialmente non dissimile dallo stato di insolvenza (cfr. Coppola, 403 ss.).

Quanto ai rapporti con il concordato preventivo, si è ritenuto, nella recente prassi,che, ai fini dell'individuazione del periodo sospetto, il disposto dell'art. 69 bis, comma 2, l. fall. espressamente richiamato dall'art. 49 d.lgs. n. 270 del 1999, a sua volta citato dall'art. 6 d.l. n. 347 del 2003, in ipotesi di consecuzione di procedure, stabilisce che il dies a quo per il calcolo del periodo sospetto è quello della data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese con conseguente retrodatazione a tale data degli effetti dell'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria (Trib. Roma, sez. fall., 7 settembre 2017, n. 16735).

Nella consecuzione delle procedure concorsuali il computo a ritroso del periodo sospetto di cui all'art. 67 l. fall. ha inizio dalla data del decreto di ammissione all'amministrazione controllata e non da quella della domanda (Cass. I, n.4482/2021, fattispecie di passaggio dall'amministrazione controllata all'amministrazione straordinaria). Il computo a ritroso del periodo sospetto e la conseguente identificazione degli atti revocabili al suo interno decorrono dalla data di ammissione alla prima procedura (Cass. I, ord. n. 13838/2019, in tema di prescrizione dell'azione revocatoria fallimentare nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, con affermazione per cui la regola di decorrenza della prescrizione dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere si riferisce al termine fissato per l'esercizio dell'azione e non anche alla delimitazione del periodo sospetto di cui all'art. 67 l. fall.)

L'azione revocatoria fallimentare si prescrive in cinque anni, come per la revocatoria ordinaria, ma tale termine decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere e non da quella del compimento dell'atto impugnato (Cass. I, n. 4296/1997). In considerazione della natura costitutiva dell'azione revocatoria fallimentare, la prescrizione non può essere interrotta da un atto di messa in mora, ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma, c.c., (Cass. S.U., n. 6225/1996). Nell'ipotesi di società con soci illimitatamente responsabili, ove la procedura sia stata estesa successivamente ad altri, la decorrenza della prescrizione dovrebbe decorrere dalla data del provvedimento originario e non da quella dell'estensione (Cass. I, n. 6971/1996, in Fall. 1997, 389, con nota di Patti). Ai fini della tempestività dell'interruzione della prescrizione, ai sensi dell'art. 2943, primo comma, c.c., dell'azione revocatoria fallimentare, occorre aver riguardo al momento in cui l'atto introduttivo del corrispondente giudizio sia giunto alla conoscenza legale (non necessariamente effettiva) del destinatario, e non già a quello, antecedente, in cui esso sia stato affidato all'ufficiale giudiziario od all'ufficio postale, applicandosi la regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale, solo agli atti processuali, e non anche a quelli sostanziali, né agli effetti sostanziali dei primi (Cass. I, n. 21595/2012,).

Per altro verso, la S.C. ha recentemente precisato che nell'ipotesi di impresa sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, l'atto di costituzione in mora proveniente dal creditore è parimenti inefficace, sia se compiuto direttamente nei confronti dell'impresa già ammessa alla procedura, perché essa non può più eseguire pagamenti, ai sensi dell'art. 49  – che richiama l'art. 44 l.fall. –, sia se indirizzato al suo commissario straordinario, il quale non ha la libera disponibilità dei diritti e degli obblighi dell'impresa in procedura, essendo idonea a determinare l'interruzione della prescrizione del credito soltanto la presentazione della domanda di insinuazione nello stato passivo (Cass. I, n. 11966/2018).

Azione d'inefficacia degli atti pregiudizievoli ai creditori in corso di verifica

Nella vigenza della legge c.d. Prodi si era ritenuto che il commissario straordinario, in sede di accertamento del passivo, non potesse escludere i crediti e le garanzie revocabili, stante il carattere amministrativo del procedimento (Bonsignori, 140; Colesanti-Maffei Alberti-Schlesinger, 750).

Con la normativa attuale, con cui si è introdotto il procedimento giurisdizionale di verifica affidato sin dalla dichiarazione dello stato d'insolvenza al giudice delegato, quest'impedimento è venuto meno. Peraltro in dottrina si è osservato che persistono altre ragioni che precludono in ogni caso la possibilità della revocatoria, evidenziandosi che, sebbene l'accertamento del passivo inizi con la dichiarazione dello stato d'insolvenza e che le azioni di ricostruzione del patrimonio del debitore non sono proponibili nell'ipotesi in cui si decida di realizzare il programma di strutturazione economica e finanziaria dell'impresa, al giudice delegato deve ritenersi interdetto, in sede di verifica, assumere iniziative che possano portare a revoche implicite per escludere il credito o la garanzia (Lo Cascio). Altri Autori ritengono tuttavia tale soluzione non conforme ai principi generali in tema di giudicato endofallimentare, pur essendo venuto meno il divieto di reformatio in peius nella verifica fallimentare e sostengono che, piuttosto, potrebbe essere invocato il meccanismo della condizione in quanto la proponibilità dell'azione è connessa al verificarsi di un fatto estrinseco indipendente dalla volontà della parte o del giudice (cfr. Paluchowski, 2431, secondo la quale, peraltro, il meccanismo di sicurezza consiste esclusivamente nel ritardare la definitività dello stato passivo ad un momento successivo alla scelta del programma).

Presupposto soggettivo e fattispecie di inefficacia e revocatoria fallimentare

Quanto alla prova della scientia od inscientia decotionis valgono gli stessi principi interpretativi che sono stati elaborati per il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa. In tema di revocatoria e fallimento, la scientia decotionis da parte del creditore, della cui dimostrazione è onerata la curatela, deve essere effettiva e non meramente potenziale assumendo rilievo non la mera conoscibilità astratta delle condizioni economiche dell'imprenditore, bensì la concreta condizione psicologica del creditore al momento dell'atto impugnato (Trib. Latina I, 5 aprile 2016, n. 626; Trib. S. Maria Capua Vetere II, 28 gennaio 2015, n. 341).

In particolare è opportuno ricordare che la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare che si può tenere conto, ai fini di tale prova, del collegamento tra le imprese facenti parte di un gruppo (Cass. I, n. 6285/1995). Sul punto, invero, si è evidenziato che in caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria di una società appartenente ad un gruppo, qualora il commissario straordinario agisca, ai sensi dell'art. 67, comma secondo, per la revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati dalla società in favore di un soggetto estraneo al gruppo, la prova della scientia decoctionis può essere desunta, in via presuntiva, anche dallo stato d'insolvenza in cui versava l'intero gruppo, purché risulti provato che l'accipiens era a conoscenza non solo del predetto stato di decozione, il quale si riflette sulla solvibilità dell'impresa collegata, ma anche dell'appartenenza della società al gruppo (Cass. I, n. 10115/2006).

Sotto altro profilo, per l'amministrazione straordinaria non possono che operare nuovamente le regole ed i principi interpretativi che sono stati elaborati in materia fallimentare in tema di atti a titolo gratuito, di sproporzione tra le prestazioni (Cass. I, n. 14/1998), di pagamenti eseguiti con mezzi anomali (Cass. I, n. 506/2016), di atti costitutivi d'ipoteca (Cass. I, n. 4959/2013), di versamenti in conto corrente bancario (Cass. I, n. 17195/2014), di pagamenti ad imprese in regime di monopolio legale (Cass. I, n. 11350/1998, in Giur. it. 1999, 87, con nota di Bertolotti), di restituzione di somme e di beni (Cass. I, n. 3651/1998), di reviviscenza della prelazione (Cass. I, n. 4078/1998), avvenuta pubblicazione di una pluralità di protesti (Cass. I, n. 504/2016).

Compatibilità con la disciplina comunitaria in tema di divieto degli aiuti di Stato

La Corte di Cassazione ha ormai più volte ribadito il principio in forza del quale la disciplina delle azioni revocatorie delle grandi imprese insolventi, anche nella vigenza della legge c.d. Prodi, è compatibile con la normativa comunitaria sul divieto degli aiuti di Stato. A riguardo, invero, la S.C. ha osservato che, essendo la revocatoria fallimentare normalmente esercitabile nel corso delle procedure fallimentari, nessun carattere «selettivo», configurabile come aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87 (già art. 92) del trattato CE, può essere ravvisato allorché l'azione revocatoria sia esercitata nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dalla l. n. 95/1979, senza che abbia a tal fine alcun significato la distinzione tra fase conservativa e fase liquidatoria (onde ricavarne che l'azione revocatoria non comporta aiuti alle imprese sotto il profilo di un finanziamento forzoso unicamente ove esercitata nella seconda fase), atteso che l'azione revocatoria, anche quando esercitata durante la fase conservativa, è diretta a produrre risorse da destinare alla espropriazione forzata a fini satisfattori, di tutela degli interessi dei creditori, non rilevando d'altra parte che il bene recuperato con l'azione revocatoria non sia destinato immediatamente alla liquidazione ed al riparto tra i creditori, essendo sufficiente che esso concorra con gli altri beni a determinare il patrimonio ripartibile al termine del tentativo di risanamento (v., tra le altre, Cass. I, n. 23655/2012; Cass. I, n. 12313/2007).

Su un piano più squisitamente processuale, nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito, inoltre, che è ammissibile la doglianza mediante la quale si faccia valere per la prima volta con il ricorso per cassazione la questione, non sollevata nei gradi di merito, della improponibilità dell'azione revocatoria in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi per contrasto con il diritto comunitario, atteso che la verifica della compatibilità del diritto interno con quello comunitario non è condizionata dalla deduzione di uno specifico motivo, potendo essere conosciuta d'ufficio in ogni stato e grado, come nei casi di ius superveniens e di modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass. I, n. 26935/2006).

Le azioni revocatorie nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese insolventi

Mediante il d.l. n. 347/2003, c.d. decreto «Marzano», modificato a più riprese nel corso degli anni, sono state, come noto, dettate regole diverse per consentire un più rapido avvio ed uno svolgimento accelerato delle procedure di insolvenza delle «grandissime» imprese in stato di insolvenza che chiedano di avvalersi di una procedura di ristrutturazione economica e finanziaria (in arg., tra gli altri, Alessi, 32; Bonfatti, 364; Fabiani-Ferro, 147 ss.; Punzi, 254; Santangeli, § 3). L'art. 6 del decreto c.d. Marzano ha introdotto una disciplina speciale rispetto a quella dettata dalla norma in commento anche per le azioni revocatorie.

In particolare, la disposizione, nella formulazione originaria, prevedeva l'esperibilità delle azioni revocatorie anche dopo l'autorizzazione del programma di ristrutturazione purché funzionali al raggiungimento degli obiettivi di tale programma. La previsione, oggetto di critiche sia per la disparità di trattamento tra situazioni identiche sia per i potenziali effetti lesivi della stessa in relazione alla concorrenza tra imprese (cfr., anche per i riferimenti, Trisorio Liuzzi, 1623), è stata modificata già dalla legge di conversione la quale ha previsto che le azioni revocatorie devono essere funzionali anche al raggiungimento degli obiettivi del programma nell'interesse dei creditori, condizione, quest'ultima, che rimane l'unica ai fini della proposizione dell'azione revocatoria anche nel corso del programma di ristrutturazione dopo l'intervento della l. n. 166/2004 che ha eliminato la funzionalità della revocatoria al conseguimento degli obiettivi di tale programma.

Non venuti per questa ragione meno i dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 6 decreto c.d. Marzano in relazione all'art. 3 Cost. per il trattamento differenziato di situazioni identiche, con diverse ordinanze il Tribunale di Parma aveva sollevato la relativa questione (Trib. Parma, ord. 18 novembre 2005, in Giur. it. 2006, 338). La Corte Costituzionale, mediante una pronuncia interpretativa di rigetto, ha ritenuto manifestamente infondata la questione prospettata, evidenziando che le azioni revocatorie in forza dell'inciso finale del comma primo dell'art. 6, decreto c.d. Marzano, possono essere proposte a condizione che «si traducano in un vantaggio per i creditori», con la conseguenza che le stesse sono ammissibili soltanto quando la procedura si sia evoluta in senso liquidatorio, e cioè o verso la cessione di cui all'art. 27, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 270/1999 o verso il concordato con assunzione ovvero, ancora, verso il fallimento (Corte cost. n. 172/2006, in Riv. dir. proc. 2007, 1609, con nota di Trisorio Liuzzi ed in Fall. 2006, 766, con nota di Panzani).

In sostanza, attraverso un'interpretazione riduttiva della lettera della legge, la Corte ha proposto una lettura unitaria del sistema revocatorio nell'ambito delle procedure di amministrazione straordinaria, sottolineando, a riguardo, che anche la procedura di crisi delle grandissime imprese insolventi può assumere esiti liquidatori, laddove, in senso diverso da quanto richiesto nell'istanza di ammissione alla procedura, venga autorizzato un programma di liquidazione del patrimonio produttivo, attuabile o con la cessione dei beni aziendali o con il concordato con assuntore ovvero verso il fallimento (cfr. Trisorio Liuzzi, 1626 ss.). Pertanto, nella prospettiva della Corte Costituzionale, anche per le grandissime imprese insolventi, il discrimine tra procedura di ristrutturazione in senso stretto e procedura liquidatoria è costituito dal permanere o meno del complesso dei beni aziendali in capo all'imprenditore insolvente, sicché in tal senso la disposizione neppure contrasta con il divieto comunitario degli aiuti di Stato non potendosi l'imprenditore insolvente giovare dell'esito delle stesse a fronte della cessione o del trasferimento delle attività di impresa a soggetti terzi (v., tra gli altri, Santangeli, § 3; Trisorio Liuzzi, 1629).

Bibliografia

Alessi, L'amministrazione straordinaria accelerata (legge Parmalat), Dir. fall. 2004, I; Alessi, L'azione revocatoria speciale nell'amministrazione straordinaria, in Fall. 1983; Ambrosini-Jeantet, La revocatoria fallimentare nelle procedure «amministrative» fra diritto concorsuale e diritto della concorrenza: la questione degli aiuti di Stato, Giur. comm 2002, I; Apice-Mancinelli, Il fallimento e gli altri procedimenti di composizione della crisi, Torino 2012; Arrigo-Poggi, Liquidazione coatta e competenza a conoscere delle azioni revocatorie, in Fall. 1998; Bonfatti, La procedura di ristrutturazione industriale delle imprese insolventi di rilevanti dimensioni (legge «Marzano»), in Fall. 2004; Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova 2011; Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Bricola-Galgano-Santini (a cura di), Comm. Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma 1974; Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova 1980; Carpio, L'amministrazione straordinaria, in Apice (diretto da), Diritto delle procedure concorsuali, Torino 2011; Cavalaglio, La disciplina delle azioni revocatorie, in Bonfatti-Falcone (a cura di), La riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma 2000; Colesanti-Maffei Alberti-Schlesinger, Provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, 1979, 750 ss.; Coppola, Gli effetti dell'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, in Costa (a cura di), L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino 2008; D'Alessandro, La revocatoria fallimentare nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Giust. civ. 1997, I; D'Attorre, La procedura di ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza e il divieto di aiuti di Stato, in Dir. comm. int. I 2004, 1; Fabiani, Revocatoria fallimentare aggravata e nuovi limiti legislativi ed interpretativi della revocatoria fallimentare di cui all'art. 67 legge fallimentare, in Fall. 1991; Fabiani-Ferro, Dai tribunali ai ministeri: prove generali di degiurisdizionalizzazione della gestione della crisi d'impresa, in Fall. 2004; Gambino, Profili dell'esercizio dell'impresa nelle procedure concorsuali alla luce della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Giur. comm. 1980, I; Granata, Innovazioni normative e prospettive di riforma in materia di azione revocatoria, in Bonfatti-Falcone (a cura di), La riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma, 2000; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino 2012; Guglielmucci, Una procedura concorsuale amministrativa sotto il controllo giudiziario, in Fall. 2000, 2; Lo Cascio, L'espansione dell'amministrazione straordinaria, in Fall. 2005, 4; Lo Cascio, La nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria, in Corr. giur. 1999, 10; Maffei Alberti, Revocatoria fallimentare e conservazione dell'impresa, in Fall. 1998; Mechelli, Prova della scientia decotionis del terzo accipiens da società appartenenti ad un gruppo in dissesto, l'»insolvenza di gruppo» ed alcuni spunti ricostruttivi della disciplina di diritto positivo del gruppo, in Riv. dir. comm. 1996, II; Montanari, «Legge Marzano» e azione revocatoria: l'attesa, ma non scontata negli esiti, eccezione di incostituzionalità, in Giur. it. 2006, 760; Montanari, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e revocatoria fallimentare, in Giur. Comm. 1981, I; Oppo, Profilo sistematico dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Riv. dir. civ. 1981, I; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, VII, Milano 2008; Paluchowski (a cura di), Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in Pajardi (a cura di), Codice del fallimento VII, Milano 2013; Patti, Effetti della sentenza «in estensione» e termine per l'esercizio dell'azione revocatoria, in Fall. 1997; Punzi, Le procedure di amministrazione straordinaria nel sistema delle procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005; Riello, Esperibilità dell'azione revocatoria in corso di procedura, in Fall. 1997; Santangeli, Il d.l. Marzano, ovvero, le mani della politica sui procedimenti di ristrutturazione) rectius: o mantenimento in vita purchessia) delle «grandissime» imprese in crisi. Note a prima lettura, in Judicium 2004; Tarzia, Sulla revocatoria fallimentare nell'amministrazione straordinaria, in Riv. dir. proc. 2000; Trisorio Liuzzi, Note in tema di legittimità costituzionale delle azioni revocatorie nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in Riv. dir. proc. 2007.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario