Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 33 - Reclamo avverso il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria o di dichiarazione del fallimento.Reclamo avverso il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria o di dichiarazione del fallimento. 1. Contro i decreti previsti dall'articolo 30, comma 1, chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo alla corte di appello nel termine di quindici giorni. Il termine decorre, per il Ministro dell'industria, per l'imprenditore insolvente e per il creditore che ha richiesto la dichiarazione dello stato di insolvenza, dalla data della comunicazione; per ogni altro interessato, dalla data dell'affissione. 2. Il reclamo non sospende l'esecuzione del decreto. 3. Con il reclamo non possono dedursi motivi che avrebbero potuto o che possono farsi valere con l'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza. 4. La corte di appello provvede in camera di consiglio, sentiti i soggetti indicati nel comma 1. Prima di provvedere, la corte sente altresì il commissario giudiziale, anche se cessato dalle funzioni, nonché il commissario straordinario o il curatore, secondo che il reclamo sia proposto avverso il decreto di apertura della procedura di amministrazione straordinaria o il decreto che dichiara il fallimento. Se il commissario straordinario non è stato ancora nominato, è sentito esclusivamente il commissario giudiziale. 5. La pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza non costituisce motivo di sospensione del procedimento di reclamo a norma dell'articolo 295 del codice di procedura civile. 6. Se la corte accoglie il reclamo, rimette d'ufficio gli atti al tribunale affinché adotti i provvedimenti previsti dagli articoli 30, 31 e 32, in conformità della decisione della corte stessa. Restano in ogni caso salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura. InquadramentoIl reclamo avverso i decreti di cui all'art. 30 è deciso secondo un procedimento in camera di consiglio, nell'ambito del quale deve peraltro essere rispettato il fondamentale principio del contraddittorio, avendo lo stesso ad oggetto diritti soggettivi. Nel procedimento deve pertanto essere disposta l'audizione, a tal fine, di una serie di soggetti. La proposizione del reclamo non ha natura sospensiva degli effetti dei provvedimenti impugnati, con i conseguenti problemi di coordinamento. La giurisprudenza, andando di contrario avviso rispetto alla dottrina più autorevole, tende a riconoscere l'ammissibilità del ricorso c.d. straordinario per cassazione avverso il decreto della Corte d'Appello che decide sul reclamo. Natura camerale del procedimentoMentre in ordine alla dichiarazione dello stato d'insolvenza, il decreto in esame ha sancito che può essere promossa l'opposizione da parte di qualsiasi interessato, instaurando così un giudizio ordinario contenzioso, avverso il decreto pronunciato ai sensi dell'art. 30 che dichiara il fallimento o l'apertura dell'amministrazione straordinaria è stato previsto un reclamo dinanzi alla Corte d'Appello che segue le forme del procedimento in camera di consiglio, il cui agile modello è delineato dagli artt. 737 ss. c.p.c. (per il duplice significato che può essere attribuito alla locuzione «camera di consiglio» v., per tutti, Picardi, 523). Il richiamo alle norme sul procedimento in camera di consiglio comporta che la Corte d'Appello sia chiamata a decidere sul ricorso in esame previa assunzione di sommarie informazioni e, quindi, senza il rispetto di forme procedimentali strutturate, e debba, all'esito, provvedere con decreto motivato. Tuttavia, nella fattispecie in esame, l'applicazione degli artt. 737 ss. c.p.c. postula, trattandosi di procedimento camerale avente ad oggetto la tutela di veri e propri diritti soggettivi, il rispetto del principio del contraddittorio nei confronti di tutte le parti interessate e, quindi, in primo luogo del debitore. Infatti, sulla questione, la Corte Costituzionale ha più volte ribadito, anche mediante pronunce recenti e nella stessa materia delle procedure concorsuali, il principio in forza del quale rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario la previsione del rito camerale anche per la tutela di diritti soggettivi, purché venga rispettato il principio del contraddittorio, sia espletata un'adeguata attività probatoria e consentito alle parti di avvalersi di un difensore tecnico, nonché riconosciuta la facoltà di impugnare il provvedimento (cfr. Corte cost. ord., n. 170/2009). In sostanza, posto che non può assumersi alcuna necessaria correlazione tra cognizione ordinaria e giudicato su diritti, l'adozione del rito camerale anche per la tutela di diritti soggettivi e status è consentita, a condizione che venga ridotto il deficit garantistico che l'applicazione senza correttivi di tale rito potrebbe comportare, da un lato assicurando il rispetto del nucleo essenziale del contraddittorio e, da un altro, prevedendo il controllo di legittimità in cassazione, ove manchino altri rimedi, del provvedimento ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (per un'efficace sintesi v. ancora Picardi, 530). Termine per la proposizione del reclamoIl termine per la proposizione del reclamo in esame, a differenza di quello per l'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza, è di quindici giorni decorrente per il Ministro dell'industria (rectius, dello Sviluppo Economico), per l'imprenditore insolvente e per il creditore che ha richiesto la dichiarazione dello stato di insolvenza, dalla data della comunicazione e, per ogni altro interessato, dalla data dell'affissione. Il reclamo ha ad oggetto il decreto di cui all'art. 30, quindi sia quello che dichiara il fallimento che quello di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. Poiché la natura camerale del procedimento non elide il carattere impugnatorio di un procedimento avente ad oggetto diritti soggettivi, nel reclamo in esame deve ritenersi che, nelle ipotesi di mancata comunicazione ovvero di omessa affissione della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, operi, ai fini della proposizione dello stesso, il c.d. termine lungo per impugnare determinato, attualmente, in sei mesi dalla pubblicazione della decisione ex art. 327, comma 1, c.p.c. In giurisprudenza, ad esempio, è stato più volte ritenuto che in tema di reclamo avanti al tribunale fallimentare dei decreti del giudice delegato aventi natura decisoria, qualora il provvedimento impugnato non sia stato comunicato, non opera il termine di cui all'art. 26, bensì quello annuale c.d. lungo, decorrente dalla pubblicazione, ai sensi dell'art. 327 c.p.c., conseguendone l'inammissibilità del reclamo stesso ove proposto oltre tale scadenza (v., tra le altre, Cass. n. 7218/2009; Cass. n. 12537/2002). Anche in dottrina si è evidenziato, pur con specifico riguardo alla problematica, che ci appare analoga, del termine per proporre opposizione al Tribunale avverso la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, che può operare il termine lungo per impugnare (cfr. Tiscini 2009, 1747). Oggetto del giudizioNel procedimento di reclamo non possono dedursi motivi di doglianza che avrebbero potuto essere sollevati in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e, pertanto, è preclusa qualsiasi indagine diretta ad accertare lo status d'imprenditore commerciale, la presenza dei requisiti dimensionali per far luogo all'amministrazione straordinaria, la sussistenza dello stato d'insolvenza e la ricorrenza di vizi di quest'ultima fase (cfr. Di Marzio – Macario, 66). In sostanza, pertanto, la doglianza spiegata mediante il reclamo ex art. 33, d.lgs. n. 270/1999 è esclusivamente quella avente ad oggetto, rispetto alle prospettive di risanamento dell'impresa insolvente, il tipo di procedura aperta (Di Marzio, 10). La Corte d'Appello è quindi chiamata a sindacare la scelta di merito gestionale, liquidazione concorsuale o risanamento/ristrutturazione compiuta dal Tribunale (Fabiani, 1073). La regola è espressione del più generale principio di autonomia delle due fasi della procedura di amministrazione straordinaria e dei provvedimenti che le sostengono (La Malfa, 116): infatti, avverso la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, che apre la prima fase, è esperibile l'opposizione al tribunale, mentre contro il decreto di ammissione all'amministrazione straordinaria o di dichiarazione di fallimento è proponibile il reclamo alla Corte d'Appello. Tale sistema si correla alla struttura bi-fasica che connota l'apertura della procedura ed in virtù della quale non sono deducibili mediante reclamo i motivi che avrebbero potuto farsi valere con l'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza. I decreti di apertura dell'amministrazione straordinaria o, in alternativa, del fallimento pronunciati dal Tribunale ex art. 30 a seguito del deposito della relazione del commissario giudiziale redatta nella fase di osservazione della grande impresa dichiarata insolvente assumono tale veste formale in luogo di quella della sentenza in quanto sono decisioni che concorrono ad integrare la sentenza di accertamento dello stato di insolvenza ed evitano una sovrapposizione di rimedi (cfr. Fabiani, 1073). Sospensione dei procedimentiLa proposizione del reclamo, alla medesima stregua di quanto avviene per le procedure concorsuali, non sospende l'efficacia del provvedimento di apertura dell'amministrazione straordinaria o del fallimento (Di Marzio – Macario, 66), né è ipotizzabile un provvedimento di sospensione disposto dal giudice del gravame (La Malfa, 116). Tale scelta normativa è correlata alla necessaria ponderazione tra le esigenze di conservazione dell'impresa e la tutela del ceto creditorio (Fabiani, 1073). Si prevede, inoltre, che la pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa d'insolvenza non sospende il procedimento di reclamo ai sensi dell'art. 295 c.p.c., i.e. per valutazione del legislatore il rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica, pur esistente tra i procedimenti, non giustifica, in deroga al disposto del richiamato art. 295 c.p.c., la sospensione necessaria del procedimento di reclamo (in arg. Di Marzio-Macario, 66; Fauceglia, 280). Sul punto, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio in virtù del quale l'art. 295 c.p.c., nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione «dipenda» dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità fra due emanande statuizioni e, quindi, coerentemente con l'obiettivo di evitare un conflitto di giudicati, non ad un mero collegamento fra diverse statuizioni per l'esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere per la loro adozione ma ad un collegamento per cui l'altro giudizio (civile, penale o amministrativo), oltre ad investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l'esito della causa da sospendere, deve essere pendente in concreto e coinvolgere le stesse parti (v., tra le altre, Cass. n. 16844/2012). L'opzione compiuta dalla norma in esame appare fondata, per alcuni, sulla volontà di far conseguire piena attuazione alle statuizioni giurisdizionali provvisorie al fine di rendere più agevole possibile la flessibilità delle procedure poiché se non sussistono i presupposti di cui all'art. 2 del decreto un provvedimento di accoglimento del reclamo avverso il decreto di apertura del fallimento sarebbe inutiliter datum (cfr. Fabiani, 1073 ss.). Secondo altra prospettazione interpretativa, la pregiudizialità logica del giudizio sull'esistenza dell'insolvenza o degli altri requisiti dimensionali e di esposizione debitoria di cui all'art. 2 non consente in ogni caso la sospensione del giudizio di reclamo, che ha caratteristiche di snellezza volte a consentire una rapida decisione (La Malfa, 116). In giurisprudenza, proprio richiamando, tra le altre, la disposizione in esame, in una decisione in tema di liquidazione coatta amministrativa, la S.C. ha evidenziato che le esigenze di certezza giuridica espresse nel generale principio di conservazione degli effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure concorsuali, ricavabile dagli artt. 21 e 10 e 33 d.lgs. n. 270/1999, comportano che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tale procedura, l'apertura della stessa — con la nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio — costituisce un «fatto giuridico» di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finché esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato che renda non più proseguibile la procedura e che avrà, dunque, effetti ex nunc (Cass., I, n. 1280/2014). Audizione degli interessatiLa Corte d'Appello, prima di provvedere, deve sentire il Ministro dell'industria (rectius, dello Sviluppo economico), l'imprenditore insolvente ed il creditore istante. Deve, inoltre, convocare il commissario giudiziale, anche se è cessato dall'incarico, il commissario straordinario od il curatore del fallimento. L'audizione dell'imprenditore insolvente, già disposta nella fase precedente con garanzie analoghe a quelle previste dall'art. 15 (cfr. Marraffa, 55), e del creditore istante è funzionale alla realizzazione del fondamentale principio del contraddittorio, operante, come rilevato, anche nei procedimenti che seguono le agili forme della camera di consiglio ove vertenti su diritti soggettivi. L'audizione dei restanti soggetti, rispetto al reclamo alla Corte di Appello avverso il decreto di rigetto dell'istanza di fallimento comporta un maggiore appesantimento dell'iter giudiziario contemplato, ma la previsione normativa tende ad assicurare l'acquisizione di qualsiasi elemento di giudizio che possa indurre e rivedere la decisione assunta dai primi giudici nell'intento di perseguire una finalità che va al di là dell'interesse delle parti. Decreto della Corte d'Appello: effetti e regimeLa Corte d'Appello può rigettare l'impugnazione oppure accoglierla. In questo caso, non pronuncia il decreto consequenziale ma rimette gli atti al tribunale che dovrà conformarsi alle decisioni assunte dal giudice di secondo grado provvedendo ai sensi degli artt. 30, 31 e 32 (La Malfa, 117). Il provvedimento di rimessione degli atti al tribunale nell'ipotesi di accoglimento del reclamo ha efficacia immediatamente esecutiva ed al tribunale di rinvio è demandata soltanto l'attuazione di quanto già pronunciato dalla Corte d'Appello cui è rimessa in via esclusiva la scelta sulla procedura da intraprendere senza che possano essere disposti nuovi accertamenti in tal senso da parte del Tribunale (Di Marzio, 11). In senso contrario si segnala, tuttavia, quella giurisprudenza di merito secondo cui dalla natura ordinatoria della decisione emessa dalla Corte d'Appello deriva che il tribunale sia vincolato alla decisione della Corte soltanto rebus sic stantibus, in relazione cioè ai fatti accertati ed alle questioni da quest'ultima affrontate, mentre ogni fatto sopravvenuto — non esaminato dalla Corte d'Appello — può essere apprezzato autonomamente dal tribunale ai fini di poter valutare l'attuale sussistenza delle condizioni per dare — o meno — corso all'istanza di estensione dell'amministrazione straordinaria, con la conseguente conversione della procedura fallimentare (Trib. Bari, 16 marzo 2005, in Fall. 2006, 161, con nota di Amendolagine). Restano, peraltro, salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura in applicazione del noto principio normativo dettato per il fallimento dall'art. 21, quindi riprodotto dopo il d.lgs. n. 5/2006 nell'art. 18, comma 5. La nozione di tali atti è tradizionalmente controversa, in quanto secondo alcuni devono ritenersi legalmente compiuti gli atti che, pur non rispettosi delle regole, sono stati sanati per mancata impugnazione, mentre altri ritengono che a seguito della revoca della procedura possano essere rilevati d'ufficio o eccepiti dalla parte interessata, a seconda della natura degli stessi, i vizi degli atti compiuti (cfr. Bettazzi, 164 ss.). Quanto alla portata dello stesso, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che le esigenze di certezza giuridica espresse nel generale principio di conservazione degli effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure concorsuali, ricavabile dagli art. 21 (riprodotto nell'art. 18, comma 15, a seguito del d.lgs. n. 5/2006), 10, comma 2 e 33, d.lgs. n. 270/1999 (per l'amministrazione straordinaria) e 4, d.l. n. 347/2003, conv. nella l. n. 39/2004, estensibile — nei limiti di compatibilità — alla liquidazione coatta amministrativa, comportano che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tale procedura, l'apertura della stessa — con la nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio — costituisce un «fatto giuridico» di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finché esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato che renda non più proseguibile la procedura e che avrà, dunque, effetti ex nunc (Cass. S.U., n. 27346/2009). Peraltro, il principio della salvezza degli effetti degli atti compiuti nel corso della procedura, nell'ipotesi di revoca della stessa, non opera anche in relazione agli atti in corso cui, pertanto, la revoca toglie qualunque efficacia, siano essi di natura negoziale o di natura processuale, potendo proseguire nei confronti dell'ex fallito o dall'ex fallito solo le azioni che potevano essere promosse e che siano state avviate prima dell'apertura del fallimento, restando improcedibili tutti i giudizi che presuppongono in atto la procedura, che esprimono posizioni di interessi riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito e che possono essere riassunti (ove siano stati dichiarati interrotti) da chi vi abbia interesse, solo ai fini dell'emanazione di una pronuncia circa la loro improcedibilità e, in ogni caso, per provvedere alle spese processuali (cfr. Cass., I, n. 11181/2008, in Fall., 2002, 823, con osservazione di Tiscini]. Quanto al regime del decreto emanato dalla Corte d'Appello, occorre chiedersi se lo stesso possa essere annoverato tra le sentenze c.d. in senso sostanziale, ossia tra i provvedimenti i quali, pur non avendo veste formale di sentenza, siano nondimeno definitivi e decisori su diritti soggettivi (Tiscini 2005, 1 ss.) ai fini della proponibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. La S.C. ha condivisibilmente risolto in senso affermativo la questione prospettata, avendo ormai più volte ribadito il principio in forza del quale il provvedimento con cui la Corte di Appello decide, ai sensi dell'art. 33, d.lgs. n. 270/1999, sul reclamo avverso il decreto del tribunale che, ai sensi dell'art. 30 del medesimo d.lgs., dichiara il fallimento in alternativa alla apertura della procedura di amministrazione straordinaria, è ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., avendo carattere decisorio, in quanto incide sul diritto soggettivo dell'imprenditore alla regolazione dell'insolvenza secondo i tempi, le forme e le modalità di cui alla legge speciale per le grandi imprese, ed avendo altresì carattere definitivo, in quanto il corso della procedura, in difetto di impugnazione, non è ritrattabile (v., tra le altre, Cass. I, n. 3769/2009; Cass. I, n. 13120/2004; in senso analogo con riguardo al decreto motivato del tribunale che ai sensi dell'art. 30 del decreto in esame dispone l'apertura dell'amministrazione straordinaria o dichiara in alternativa il fallimento v. Cass. I, n. 13120/2004, in Giust. civ., 2005, 693, con nota di Cultrera). Parte della dottrina ha invece espresso opinione contraria in ordine alla decisorietà del provvedimento in questione ai fini della ricorribilità dello stesso ex art. 111 Cost. avendo riguardo soprattutto alla posizione dei creditori e negando che il decreto potesse incidere sul diritto degli stessi alla via dell'esecuzione individuale dovendo tale effetto essere ricondotto prima alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza (Di Marzio, 11; Cannone, 258). È differente, almeno in giurisprudenza, la soluzione fornita sulla questione del regime del decreto della Corte d'Appello che decida sul reclamo proposto ex art. 22 essendo incontroverso in sede pretoria il principio per il quale è inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'art. 111, comma 2, Cost. avverso il provvedimento della Corte d'Appello che, in sede di reclamo, conferma il decreto di rigetto dell'istanza per la dichiarazione di fallimento, trattandosi di provvedimento privo dei caratteri della decisorietà e della definitività poiché nel procedimento per la dichiarazione di fallimento non si attua un diritto soggettivo del creditore al fallimento del proprio debitore in stato di insolvenza, non configurabile sulla base del diritto sostanziale, ma si provvede alla mera gestione e tutela di interessi (quello dell'ordinamento all'organizzazione economica generale, quello dei creditori alla non dispersione del patrimonio ed alla attuazione della par condicio creditorum, quello del debitore al non aggravamento del dissesto), ed il provvedimento che lo conclude è privo di attitudine al giudicato, in quanto il decreto che accoglie il reclamo è destinato a confluire nella sentenza di fallimento avverso la quale è esperibile l'opposizione, mentre il provvedimento di rigetto non ha alcun effetto preclusivo ed è sempre possibile dichiarare il fallimento, d'ufficio, su istanza di diverso creditore o anche dello stesso in relazione a fatti sopravvenuti, preesistenti non conosciuti o anche già dedotti ma rispetto ai quali si prospetti un errore di fatto (v., tra le molte, Cass. I, n. 11107/2009). In dottrina, questa tesi è stata criticata in ragione della natura contenziosa del procedimento che si conclude, invero, con un provvedimento che incide su diritti soggettivi (Pajardi, 142). Tuttavia, anche con riferimento all'assetto attuale, occorre tenere presente che, in accordo con un precedente di legittimità, la ricorribilità per cassazione può essere predicata esclusivamente per il decreto della Corte d'Appello di rigetto del reclamo e non anche per il decreto di accoglimento del gravame che non si conclude ex se con l'adozione del provvedimento di conversione, limitandosi la Corte con lo stesso a rimettere gli atti al Tribunale per l'emanazione di tale provvedimento, il quale soltanto produrrà la modificazione della situazione giuridica che si intende contrastare con il ricorso per cassazione (Cass., I, n. 19223/2005). Sotto un distinto profilo, in ordine al dies a quo ai fini della decorrenza del termine di giorni sessanta per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione avverso il provvedimento in esame, potrebbe trovare applicazione il principio, più volte affermato dalla Corte di Cassazione con riguardo ai provvedimenti decisori pronunciati dal Tribunale fallimentare, secondo cui il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione avverso i provvedimenti definitivi di contenuto decisorio adottati dal tribunale fallimentare, non decorre dalla data del deposito in cancelleria dei suddetti provvedimenti, bensì dalla data della comunicazione o notificazione d'ufficio di essi agli interessati e non può trovare un equipollente nella conoscenza di fatto, aliunde acquisita, del provvedimento stesso (così, tra le molte, Cass. n. 2991/2006, in Fall. 2006, 10, 1142, con nota di Bellomi). BibliografiaBettazzi, La revoca del fallimento, in Fall. 2014, n. 2, 164; Cannone, L'apertura della procedura di amministrazione straordinaria: i profili processuali, in Costa (a cura di), L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dopo il d.lgs. 12.9.2007, n. 169, Torino, 2008; Cultrera, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Potere od obbligo del Tribunale di aprire la procedura?, in Giust. civ. n. 3, 2005; Di Marzio, Appunti sull'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, in ilfallimentarista.it, 22 maggio 2012; Di Marzio – Macario, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, in Trattato di diritto fallimentare a cura di Jorio - Sassani, Milano 2017; Fabiani, Profili processuali della nuova amministrazione straordinaria, in Fall. 2000, 10; Fauceglia, Fallimento e amministrazione straordinaria, in Fall. 2014, n. 3, 277; Guglielmucci, Una procedura concorsuale amministrativa sotto il controllo giudiziario, in Fall. 2000, 2; La Malfa, L'apertura della procedura, in Bonfatti-Falcone (a cura di), La riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma 2000; Marraffa, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e tutela dei creditori, Milano 2005; Miccolis, L'efficacia della sentenza di revoca del fallimento, in Corr. giur. 1998; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2010; Tiscini, Opposizione allo stato di insolvenza nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: gli inutili tentativi di superare il muro della tardività, in Giur. it. 2009; Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005; Tiscini, Revoca del fallimento e giudizi proseguibili nei confronti del fallito, in Fall. 2002. |