Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 31 - Dichiarazione di fallimento.

Lunella Caradonna
Ivana Vassallo

Dichiarazione di fallimento.

1. Il decreto che dichiara il fallimento nomina il giudice delegato per la procedura e il curatore. A seguito di esso cessano le funzioni degli organi nominati con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, salvo quanto previsto dall'articolo 34.

2. L'accertamento dello stato passivo nel fallimento prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

Inquadramento

Il Tribunale dichiara il fallimento se non ravvisa concrete possibilità di recupero dell'equilibrio economico e in questo, come già si è detto, può con adeguata motivazione discostarsi non solo dal contenuto della relazione del commissario giudiziale, ma anche dal parere del Ministro dell'Industria.

Dichiarazione di fallimento

La disposizione in esame stabilisce che, se non si fa luogo all'apertura dell'amministrazione straordinaria e viene dichiarato il fallimento, cessano le funzioni degli organi della procedura di insolvenza, salvo la deroga prevista dall'art. 34 in ordine ai giudizi in corso nei quali non sia intervenuto il commissario straordinario.

Alcuni autori hanno rinvenuto un eccessivo formalismo del legislatore nel sostituire gli organi della procedura d'insolvenza con quelli del fallimento, evidenziando che continueranno ad essere competenti lo stesso Tribunale e giudice delegato della precedente fase concorsuale e che nella maggior parte dei casi il commissario giudiziale assumerà le funzioni di curatore.

Con la conseguenza che piuttosto che configurarsi una sostituzione di organo, si tratterà soltanto di un esercizio di funzioni diverse (Maffei Alberti, 1071).

I giudici di legittimità hanno affermato che se il Tribunale ritiene che l'impresa non possa restare nel mercato per effetto delle risorse così acquisite e residuate dopo il soddisfacimento dei creditori o la liberazione delle passività, il giudizio non può che portare alla dichiarazione di fallimento in quanto il programma di cessione dei complessi aziendali deve considerarsi inadeguato (Cass. n. 3769/2009).

Il Ministro dell'Industria ha la legittimazione processuale e può intervenire nel procedimento per il reclamo proposto avverso il decreto che dichiara il fallimento in quanto portatore dell'interesse generale coinvolto nella vicenda (Filippi, 32 e ss.).

Il decreto motivato con il quale il Tribunale dichiara il fallimento nomina il giudice delegato e il curatore.

La Cassazione, inoltre, ha precisato che dopo l'adozione del decreto che dichiara il fallimento non può più essere posta la questione della competenza territoriale, in quanto il citato decreto costituisce il momento conclusivo di una fase interna della procedura iniziata con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza (Cass. n. 17471/2011).

Ed ancora il decreto con cui il tribunale dichiara il fallimento, in difetto delle condizioni per l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, presuppone, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 270/1999, che non sussistano concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da realizzarsi tramite la cessione dei complessi aziendali o la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, come prevede l'art. 27, comma 1, del d.lgs. citato; ne consegue che la predetta cessione implica un giudizio prognostico, rimesso al giudice di merito, avente ad oggetto l'idoneità della dismissione dell'azienda a condurre al risultato finale dell'equilibrio economico, potendo l'impresa restare nel mercato per effetto delle risorse così acquisite, e residuate dopo il soddisfacimento dei creditori o la liberazione delle passività. (Cass. I, n. 3769/2009).

Si discute se sia consentita la conferma del precedente giudice delegato e del commissario giudiziale quale curatore.

Infatti, se da una parte l'art. 31 della legge n. 270/1999 afferma che gli organi della fase precedente cessano dopo l'apertura del fallimento, dall'altra non sussiste un formale divieto di confermare gli organi precedenti e in verità tale operato sarebbe legittimato da ragioni di economia processuale (Alessi, 60).

In ogni caso, di norma, il commissario giudiziale viene nominato commissario straordinario nell'ipotesi di apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

Il sindacato giurisdizionale sulle concrete prospettive di recupero

Avverso il decreto della Corte di Appello che rigetta il reclamo e conferma la dichiarazione di fallimento è ammesso il ricorso per Cassazione.

Infatti, il suddetto reclamo incide sul diritto soggettivo dell'imprenditore a che la sua situazione di insolvenza venga regolata dalla disciplina dettata dal legislatore per le grandi imprese e il ricorso per Cassazione rappresenta l'unico strumento di impugnazione.

Ciò in ossequio a quanto previsto dall'art. 111 della Costituzione, pur non trattandosi di provvedimento avente la forma della sentenza, in quanto pur sempre in possesso dei requisiti della definitività e della decisorietà.

In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità ponendosi in linea di continuità rispetto al precedente indirizzo interpretativo formatosi sotto la vigenza della legge Prodi [(cfr. Cass. n. 4749/1997, in Fall., 1998, 166, con nota di Rossomando, secondo cui «Il decreto con cui la Corte d'appello, in sede di reclamo avverso analogo provvedimento del Tribunale, rigetti la domanda di società assoggettata a fallimento di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dal d.l. 30 gennaio 1979, convertito dalla l. 3 aprile 1979, n. 95, per difetto dei requisiti richiesti, preclude il passaggio alla procedura di amministrazione straordinaria e determina sotto tale profilo la prosecuzione del fallimento; conseguentemente esso ha carattere definitivo e decisorio e nei suoi confronti è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Nella specie, il giudice di merito aveva rigettato l'istanza con riferimento sia alle previsioni di cui all'art. 1, sia a quelle dell'art. 4 riguardanti la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria; la S.C. in concreto ha dichiarato inammissibile il ricorso perché i suoi motivi non investivano tutte le rationes decidendi)]».

Diverso è il caso relativo al decreto con cui la Corte di Appello rigetta l'istanza per la dichiarazione di fallimento, nel quale caso il ricorso per Cassazione deve ritenersi inammissibile trattandosi di un provvedimento privo dei requisiti della definitivà e della decisorietà.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione: «È inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'articolo 111, secondo comma Cost. avverso il provvedimento della Corte d'appello che, in sede di reclamo, conferma il decreto di rigetto dell'istanza per la dichiarazione di fallimento, trattandosi di provvedimento privo dei caratteri della decisorietà e della definitività; infatti, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento non si attua un diritto soggettivo del creditore al fallimento del proprio debitore in stato di insolvenza, non configurabile sulla base del diritto sostanziale, ma si provvede alla mera gestione e tutela di interessi (quello dell'ordinamento all'organizzazione economica generale, quello dei creditori alla non dispersione del patrimonio e alla attuazione della «par condicio creditorum», quello del debitore al non aggravamento del dissesto), e il provvedimento che lo conclude è privo di attitudine al giudicato, in quanto il decreto che accoglie il reclamo è destinato a confluire nella sentenza di fallimento avverso la quale è esperibile l'opposizione, mentre il provvedimento di rigetto non ha alcun effetto preclusivo ed è sempre possibile dichiarare il fallimento, d'ufficio, su istanza di diverso creditore o anche dello stesso in relazione a fatti sopravvenuti, preesistenti non conosciuti o anche già dedotti ma rispetto ai quali si prospetti un errore di fatto» (cfr. Cass. n. 11107/1999).

La soluzione proposta dalla giurisprudenza di legittimità ha ricevuto il plauso della dottrina che ha evidenziato la coerenza della suddetta opzione ermeneutica col principio che attribuisce prevalenza alla natura decisoria e definitiva dell'atto e con quanto precedentemente affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, secondo la quale (cfr. Cass. n. 13120/2004, in Giust. civ., 2005, 693, con nota di Cultrera, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Potere od obbligo del Tribunale di aprire la procedura?) «il decreto motivato del Tribunale che, ai sensi dell' art. 30 d.lgs. 270/99, dispone l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria o, in alternativa, dichiara il fallimento, — pur non avendo forma di sentenza — è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., avendo carattere decisorio, in quanto incide sul diritto soggettivo dell'imprenditore all'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, e definitivo, in quanto non è altrimenti impugnabile» (cfr. Filippi, 25).

Stante la natura bifasica del sistema delineato dalla Prodi bis, con il reclamo de quo non è possibile dedurre i motivi che avrebbero potuto farsi valere con il rimedio dell'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

Infatti, la sentenza dichiarativa dell'insolvenza viene pronunciata su ricorso del debitore, dei creditori, d'ufficio o dal pubblico ministero, verificata la sussistenza dei requisiti di cui all' art. 3 d.lgs. n. 270/1999 e ritenuta la sussistenza di uno stato di insolvenza (da intendere ai sensi dell'art. 5 della legge fallimentare).

Se pertanto l'ordinamento giuridico offre uno strumento di impugnazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza nella fase prodromica alla procedura (essendo previsto il rimedio dell'opposizione), non può che escludersi nella fase successiva una seconda analisi della sussistenza di tali presupposti, potendo il giudice in tale contesto soltanto verificare la sussistenza delle concrete prospettive di recupero.

La Cassazione si è soffermata anche sulla tematica relativa al sindacato giurisdizionale in ordine alle «concrete prospettive di recupero» ed ha evidenziato il principio secondo il quale «Il decreto con cui il tribunale dichiara il fallimento, in difetto delle condizioni per l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, presuppone, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 270 del 1999, che non sussistano concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da realizzarsi tramite la cessione dei complessi aziendali o la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, come prevede l'art. 27,comma 1, del d.lgs. citato; ne consegue che la predetta cessione implica un giudizio prognostico, rimesso al giudice di merito, avente ad oggetto l'idoneità della dismissione dell'azienda a condurre al risultato finale dell'equilibrio economico, potendo l'impresa restare nel mercato per effetto delle risorse così acquisite, e residuate dopo il soddisfacimento dei creditori o la liberazione delle passività» (cfr. Cass. I, 17 febbraio 2009).

In altri termini, il presupposto per l'ammissione alla procedura va accertato sulla base di una valutazione di natura economica, la cui verifica è rimessa al potere giurisdizionale.

La l. n. 95/1979, cd. Prodi, attribuiva all'autorità amministrativa ogni decisione riguardo all'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, analogamente come accade per le imprese con numero di dipendenti superiore a 500 sulla base di quanto previsto dalla legge Marzano.

In ordine all'ampiezza del potere del giudice, nella fase di ammissione, di accertare la sussistenza di «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali », si sono formati diversi orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, il riequilibrio è da intendersi alla stregua di «riposizionamento sul mercato in termini di normalità» (cfr. Trib. Torre Annunziata 14 novembre 2001, in Fall., 2002, 1104), secondo un'altra linea interpretativa, viene in questione la verifica della concreta situazione finanziaria.

La scelta per l'una o per l'altra opzione ermeneutica dipende anche dalle modalità di intendere il salvataggio delle imprese, se economico in senso stretto o politico in senso ampio.

L'istruttoria prevista dall'art. 28 d.lgs. n. 270/1999 si basa essenzialmente sulla alla relazione del commissario, che deve contenere sia la descrizione particolareggiata delle cause dell'insolvenza sia una valutazione motivata circa l'esistenza delle condizioni di cui all' art. 27 d.lgs. n. 270/1999 ai fini dell'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.

Il parere del Ministro è invece diretto a dare rilievo all'interesse generale coinvolto nella vicenda. Trattasi infatti di una parte processuale legittimata nel procedimento per il reclamo.

Una particolare disciplina è invece contenuta nella legge Marzano, caratterizzata da una maggiore degiursidizionalizzazione, per le imprese che si caratterizzano per livelli occupazionali più importanti.

Accertamento dello stato passivo

La fase dell'accertamento del passivo è anticipata sin dall'apertura d'insolvenza, pertanto il procedimento non subisce alcuna interruzione per effetto del sopravvenire della procedura liquidatoria o conservativa.

Inoltre, il richiamo della disciplina dell'accertamento del passivo fallimentare acquista una notevole rilevanza sotto lo specifico profilo della tutela dei diritti dei creditori.

Bibliografia

v. sub art. 27.

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