Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 26 - Società cooperative.Società cooperative. 1. Le disposizioni del presente capo non si applicano alle società cooperative. InquadramentoIl divieto di estensione alle società cooperative trova la propria giustificazione nella natura delle suddette società, siano esse a responsabilità sussidiaria illimitata o limitata. Questi soggetti collettivi, infatti, si caratterizzano perché sono società a capitale variabile e perseguono prevalentemente lo scopo mutualistico, ovvero lo scopo di fornire beni, servizi e occasioni di lavoro direttamente ai membri dell'organizzazione (soci cooperatori) a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato. Il corollario è che i soci della cooperativa mirano a realizzare un proprio vantaggio patrimoniale, attraverso lo svolgimento dell'attività d'impresa, ma tale vantaggio non coincide con una più alta remunerazione del capitale investito, bensì è rappresentato dal soddisfacimento di un preesistente bisogno economico. Ben può coesistere lo scopo mutualistico con quello lucrativo: l'atto costitutivo può stabilire che le società cooperative possono svolgere anche attività con terzi e tali attività sono finalizzate allo scopo lucrativo. Quindi, sebbene nelle cooperative lo scopo mutualistico sia quello prevalentemente perseguito dall'attività d'impresa, tale scopo sociale può coesistere con quello lucrativo. Le società cooperativeL'estensione è, per espressa previsione normativa, esclusa per i soci illimitatamente responsabili delle società cooperative, così come accade in sede fallimentare. La ragione di tale divieto è da ricercare nella frammentazione del capitale che all'interno di tali soggetti collettivi può essere molto elevata, con un altissimo numero dei soci e con meccanismi poco formali di entrata e di uscita dei soci, il che rende l'estensione particolarmente problematica. Inoltre gli artt. 151 e 211 l.fall. sanciscono che nelle società cooperative a responsabilità illimitata o limitata dei soci, assoggettate a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa, i soci dopo la pronuncia del decreto di esecutività dello stato passivo o dell'elenco dei creditori, ex art. 209 l.fall. possono essere chiamati a versare le somme necessarie per estinguere le passività ai sensi dell'art. 2263 c.c. Per ciò che concerne, invece, l'applicabilità della disciplina dell'amministrazione straordinaria alle società cooperative, va evidenziato che, vigente la l. n. 95/1979, ci si è chiesti, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, se la nuova procedura potesse estendersi alle stesse. Sul punto, per un verso la dottrina manifestava delle perplessità, in ragione degli scopi mutualistici (cfr. Verrucoli, 705 e 717), per altro verso, la giurisprudenza era pacificamente orientata per l'applicabilità (cfr. Trib. di Roma, 3 giugno 1982, in Dir. fall. 1982, II, 1444). Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 270/1999, stante il chiaro tenore letterale dell'art. 26, nessun dubbio sorge sulla applicabilità dell'amministrazione straordinaria anche alle società cooperative, sia pure non estendendosi gli effetti della procedura ai soci, siano essi illimitatamente o limitatamente responsabili. Si pongono, tuttavia, avuto riguardo ai requisiti dimensionali, alcuni problemi interpretativi (cfr. Schiano Di Pepe, 961). Se da una parte, la dottrina si è interrogata se effettivamente nella nozione di cui all'art. 2 del decreto legislativo in commento (che parla di «dipendenti») si possa far rientrare anche la nozione di socio lavoratore, la giurisprudenza, anche di legittimità (cfr. Cass. n. 10906/1998, in Soc. 1998, 305, con nota di Bonfante), non ha manifestato alcuna perplessità nel considerare il giudice del lavoro competente a decidere in ordine alla controversia sorta tra socio lavoratore e società cooperativa, in tal modo offrendo argomentazioni utili al fine di computare, per accertare la sussistenza del requisito dimensionale, anche i soci lavoratori, che, nelle società cooperative di produzione e lavoro rappresentano una componente significativa della forza lavoro. Peraltro, sul piano ermeneutico, che la volontà del legislatore sia orientata nella predetta direzione si desume dalla espressa estensione, operata dall'art. 24 della l. 24 giugno 1997, n. 196, ai soci della società cooperativa di produzione e lavoro, sia delle disposizioni di cui all'art. 2 della l. 29 maggio 1982, n. 297, sia delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, che contengono norme a tutela dei dipendenti di imprese in stato di insolvenza. Tuttavia, una parte della dottrina (cfr. G. Schiano Di Pepe) ha ritenuto che, con la sentenza 16-30 settembre 1998 n 451, la Corte cost. dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2751-bis, numero 1, c.c. — nella parte in cui non prevede, tra i crediti aventi privilegio generale sui mobili del debitore, i crediti dei soci delle cooperative di produzione e lavoro per il lavoro prestato in adempimento del contratto sociale, in relazione all'articolo 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento che si determinerebbe tra i crediti dei lavoratori subordinati, per retribuzioni ed indennità di fine rapporto, che sarebbero assistiti dal privilegio generale sui mobili del debitore ai sensi dell'art. 2751-bis, numero 1, c.c. ed i crediti dei soci delle cooperative di lavoro e di produzione, che ne sarebbero invece esclusi – abbia invece trascurato l'aspetto lavoristico. In realtà, la Consulta ha ricondotto l'infondatezza della questione di incostituzionalità ad un duplice ordine di considerazioni, che impedisce di ritenere la non sovrapponibilità della nozione di socio lavoratore alla nozione di lavoratore dipendente laddove vengano in questione esigenze specifiche di tutela dello stesso. In particolare, ha evidenziato la Corte, che l'estensione ai crediti dei soci lavoratori del privilegio di cui all'art. 2751-bis, numero 1, c.c. sui mobili della cooperativa avrebbe comportato un inammissibile soddisfacimento preferenziale dei diritti dei soci sul patrimonio della società di cui gli stessi soci fanno parte, e una corrispondente compressione dei diritti dei terzi che quel patrimonio é, per definizione, destinato a garantire. Inoltre, priva di giustificazione sarebbe stata l'introduzione di una causa di prelazione sostanzialmente omogenea a quella già accordata ai crediti delle cooperative di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti (art. 2751-bis, numero 5, del c.c.), in quanto fondata sulla tutela del lavoro cooperativo. Non sono state rinvenute, pertanto, ragioni convincenti per non interpretare la nozione in esame in senso lato, così come in senso ampio veniva interpretata la nozione di «addetti» di cui alla l. n. 95/1979. A ciò sono state aggiunte argomentazioni di natura sociale, avuto riguardo al ruolo di ammortizzatore sociale della procedura di amministrazione straordinaria, il cui obiettivo è quello di offrire alle grandi imprese in crisi gli strumenti idonei ad evitare la liquidazione e superare il momento di difficoltà. Tale esigenza, infatti, deve essere avvertita con la stessa intensità sia laddove i lavoratori siano lavoratori subordinati sia laddove i lavoratori siano lavoratori soci. Peraltro, a corroborare la suddetta linea interpretativa è la considerazione per cui il presupposto oggettivo, con la legge in commento, a differenza di quanto previsto dalla l. n. 95/1979, è completamente svincolato dal capitale, di talché nessuna difficoltà può sorgere, stante la variabilità del capitale nelle società cooperative, in relazione alla individuazione del requisito patrimoniale. Per ciò che concerne, invece, la tipologia delle società cooperative alle quali è possibile applicare la procedura di amministrazione straordinaria, trattasi delle imprese che svolgono una attività commerciale e per le quali ricorrono altresì gli ulteriori presupposti previsti dagli artt. 1 e 2 del decreto legislativo in commento. Sono, invece, fallibili le cooperative commerciali e sono soggette a liquidazione coatta tutte le cooperative. Dalla esclusione, esplicitamente disposta dall'articolo 26, ai soci illimitatamente responsabili – per cui, pur essendo applicabile la procedura di amministrazione straordinaria alla società cooperativa, la stessa non determina gli effetti previsti dagli artt. 18 e 19 nei confronti dei soci illimitatamente responsabili —, secondo una parte della dottrina (cfr. cfr. Schiano Di Pepe, 961), si ricaverebbe, tra l'altro, che in caso di amministrazione straordinaria applicabile a una cooperativa non potrebbe trovare applicazione l'art. 203 l.fall. secondo il quale, in ipotesi di dichiarazione di insolvenza, deve trovare applicazione, anche nei confronti di soci a responsabilità illimitata, la disciplina della revocatoria fallimentare nonché le disposizioni in tema di bancarotta. Diversamente, l'art. 25 prevede che i provvedimenti di apertura dell'amministrazione straordinaria, di dichiarazione di fallimento e di conversione delle procedure, previsti dal decreto, si estendono ai soci illimitatamente responsabili cui sono estesi gli effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza o che, nel caso di conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, sono stati dichiarati falliti. Sempre con riguardo alla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle società cooperative, non sono state individuate ragioni per escludere che, anche in tali ipotesi, possano configurarsi situazioni di controllo, con la conseguente applicazione delle disposizioni di cui all'art. 80. In particolare, in caso di controllo (ad esempio in presenza di soci sovventori ex art. 4 l. n. 59/1992) l'apertura della amministrazione straordinaria della controllante o della controllata si comunicherà anche all'altra società, purché insolvente. Deve, tuttavia, sottolinearsi sul punto che, anche se i voti attribuiti ai soci sovventori non possono superare il terzo dei voti, la suddetta percentuale, pur non essendo oggettivamente idonea a determinare il controllo della società, può comunque attuare un'influenza dominante sull'assemblea ordinaria (art. 2359, n. 2, c.c.). Altra ipotesi di controllo potrebbe essere il controllo contrattuale previsto dall'art. 2359 n. 3. c.c. Infine, in relazione all'applicabilità della disciplina dell'amministrazione straordinaria alle società cooperative, si è posto, in dottrina, il problema della possibilità di continuare l'attività di impresa in forma diversa da quella cooperativa, avuto riguardo al divieto di cui all'art. 14 della l. 17 febbraio 1971, n. 127, che preclude la trasformazione di una società cooperativa in una società lucrativa. La dottrina maggioritaria osserva che non vi sono ragioni per superare tale divieto (cfr. G. Schiano Di Pepe, 961), con la conseguenza che il commissario potrebbe superare l'ostacolo procedendo alla rinnovazione dell'oggetto sociale attraverso la vendita dell'azienda oppure alla riduzione dello stesso attraverso la vendita di un ramo di azienda. Bibliografiav. sub art. 23. |