Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 19 - Affidamento della gestione dell'impresa al commissario giudiziale.Affidamento della gestione dell'impresa al commissario giudiziale. 1. L'affidamento della gestione dell'impresa al commissario giudiziale, ove non stabilito con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, può essere disposto dal tribunale con successivo decreto. 2. Il decreto è a cura del cancelliere pubblicato mediante affissione e comunicato per l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese. 3. Fermo quanto previsto dall'articolo 18, l'affidamento della gestione al commissario giudiziale determina gli effetti stabiliti dagli articoli 142, 143, 144, 146 e 147 del codice della crisi e dell'insolvenza, sostituito al curatore il commissario giudiziale. Si applicano altresì al commissario giudizionale, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 10, 128, 129, 131 e 132 del codice della crisi e dell'insolvenza, salva la facoltà del tribunale di stabilire ulteriori limiti ai suoi poteri1. 4. Al termine del proprio ufficio, il commissario giudiziale cui è affidata la gestione dell'impresa deve rendere il conto a norma dell'articolo 231 del codice della crisi e dell'insolvenza2. [1] Comma modificato dall'articolo 49, comma 1, lettera c), numero 1), del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e successivamente dall'articolo 53, comma 1, del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. [2] Comma sostituito dall'articolo 49, comma 1, lettera c), numero 2), del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. InquadramentoGià si è detto che non sempre la gestione dell'impresa viene affidata al commissario giudiziale. Si è posto il problema di qualificare la natura della gestione commissariale, che alcuni connotano di una finalità cautelare, tenuto conto della funzione essenzialmente statica di questa fase della procedura che non ha alcuna finalità satisfattiva dei creditori, né evolutiva rispetto all'attività d'impresa, essendo ancora incerta la sua prosecuzione, ristrutturazione o cessazione. Secondo questa tesi l'apertura della procedura produce automaticamente lo spossessamento del patrimonio del debitore nel senso che ogni iniziativa imprenditoriale si trasferisce all'ufficio giudiziario, con la conseguenza che la facoltà del Tribunale di disporre la gestione commissariale diventa espressione della regolamentazione delle modalità di esecuzione dell'attività imprenditoriale, riferibile all'autorità giudiziaria, piuttosto che espressione di un'arbitraria estromissione dell'imprenditore dalla sua azienda. Al commissario si applicano le disposizioni dettate dalla legge fallimentare sul curatore espressamente richiamate, come gli artt. 42, 43, 44, 46 e 47 della l.fall., e quelle richiamate con clausola di compatibilità, come gli artt. 31, 32, 34 e 35 della l.fall., salva sempre la facoltà del tribunale di stabilire ulteriori limiti ai poteri del commissario giudiziale. Quindi, in virtù del richiamo all'art. 42, la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza, priva, dalla sua data, l'insolvente dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data della dichiarazione. Sono compresi nella procedura anche i beni che pervengono durante la stessa, dedotte le passività per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Il commissario giudiziale, previa autorizzazione del giudice delegato, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono all'insolvente durante la procedura qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi. L'art. 43 l.fall., invece, regola i rapporti processuali e prevede che nelle controversie, anche in corso, relative ai rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento stia in giudizio il curatore. Il richiamo alla predetta norma, pertanto, sancisce la legittimazione processuale del commissario giudiziale nelle controversie aventi carattere patrimoniale. L'insolvente, inoltre, può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge. La dichiarazione dello stato di insolvenza determina l'interruzione del processo. Come per le procedure concorsuali fallimentari, anche le controversie in cui è parte una procedura di amministrazione straordinaria sono trattate con priorità. Il capo dell'ufficio trasmette annualmente al Presidente della Corte d'Appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un'amministrazione straordinaria e alla loro durata. Inoltre, il presidente della Corte d'Appello ne dà atto nella relazione sull'amministrazione della giustizia (norma introdotta dall'art. 7 comma 1 lett. b), d.l. 27 giugno 2015 n 83 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015 n 132). In ossequio a quanto previsto dall'art. 44 l.fall., tutti gli atti compiuti dall'insolvente e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza sono inefficaci rispetto ai creditori. Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dall'insolvente dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Fermo quanto previsto dall'art. 42, comma 2, l.fall., sono acquisite alla procedura tutte le utilità che l'insolvente consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui sopra. In base al richiamo all'art. 46 l.fall., invece, non sono compresi nella procedura: 1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale; 2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; 3) i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall'articolo 170 c.c.; 4) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale dell'insolvente e di quella della sua famiglia. Infine, sulla base di quanto previsto dall'art. 47 l.fall., se all'insolvente vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia. La casa di proprietà dell'insolvente, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività. Non sono richiamati né l'art. 45 l.fall., atteso che tale disposizione trova applicazione in ragione di quanto previsto dall'art. 18 del d.lgs. n. 270/1999, né gli artt. 48 e 49 l.fall. che riguardano le limitazioni alla privacy e al diritto di circolazione del fallito. Compiti del commissario giudizialeLa gestione dell'impresa può essere lasciata all'imprenditore o essere affidata al commissario giudiziale. Nel primo caso si producono gli stessi effetti del concordato, ovvero la continuazione dell'impresa da parte dell'imprenditore sotto la vigilanza del Commissario giudiziale e la direzione del giudice delegato. La seconda ipotesi è disciplinata dall'art. 19. Tale decisione può essere contenuta già nella sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, oppure può essere disposta con successivo decreto che deve essere pubblicato, a cura del cancelliere, mediante affissione e da comunicarsi per l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese. Nell'ipotesi in cui la gestione dell'impresa venga affidata al commissario giudiziale si verifica lo spossessamento in capo all'imprenditore insolvente. Questi non ha più alcun potere di amministrazione e non ha nemmeno la disponibilità dei beni esistenti alla data di dichiarazione dello stato di insolvenza. Deve ritenersi applicabile anche al Commissario giudiziale la facoltà di rinunciare ad acquisire i beni che pervengono all'imprenditore insolvente durante la procedura, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi (modifica dell'art. 42 l.fall. introdotta con l'art. 40 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ed entrata in vigore il 16 luglio 2006). Di fondamentale importanza è la norma che attribuisce la legittimazione processuale al commissario giudiziale, il quale sta in giudizio nelle controversie, anche in corso, relative ai rapporti di diritto patrimoniale. Come prima evidenziato, resta ferma la facoltà di intervenire nel giudizio in capo all'imprenditore insolvente nel caso in cui possa scaturire un'imputazione di bancarotta o nelle ipotesi in cui l'intervento sia previsto dalla legge. Anche l'accertamento dello stato di insolvenza determina l'interruzione del processo ed è operante il criterio di priorità nelle trattazioni delle controversie in cui è parte la procedura di amministrazione straordinaria. Dal momento del deposito della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza sono inefficaci rispetto ai creditori gli atti eventualmente compiuti dall'imprenditore ed anche i pagamenti da questi eseguiti o ricevuti. Valgono anche nella procedura concorsuale in esame, per espresso richiamo dell'art. 46 l.fall. (ora modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), le esclusioni ivi stabilite, con la conseguenza che non sono compresi nel fallimento i beni ed i diritti di natura strettamente personale; gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall'articolo 170 c.c.; le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. Parimenti trova applicazione la norma fallimentare dettata in tema di alimenti e della casa di abitazione (art. 47 l.fall., modificata dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5). Cedibilità dell'azienda nel periodo di osservazioneCon il d.lgs. n. 270/1999, a differenza di quanto previsto nella vecchia disciplina, l'apertura dell'amministrazione straordinaria è stata subordinata alla sussistenza di concrete prospettive di recupero e dunque non è più automatica. Si è venuta a creare, quindi, una fase, detta di osservazione, in cui gli organi della procedura valutano se ricorrono o meno i presupposti «de quibus», al fine di evitare la procedura liquidatoria. In tale fase, regolata da alcune norme del concordato preventivo e da alcune norme del fallimento, la dottrina si è chiesta se è ammessa un'attività di liquidazione da parte del commissario giudiziale (cfr. Fabiani, 767). Nella fase di osservazione, il commissario giudiziale deve prendere cognizione delle condizioni in cui versava l'impresa al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza, al fine di valutare se sussistono possibilità di risanamento ed eventualmente attraverso quali strumenti. Non dovrebbero, quindi, essere poste in essere attività di liquidazione del patrimonio aziendale, stante la natura prettamente conservativa della gestione. Per rispondere al quesito occorre riflettere sugli effetti della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza. In particolare, l'art. 18 del d.lgs. n. 270/99 rinvia, tra l'altro, all'art. 167 l.fall. che non esclude il compimento di atti dispositivi da parte del debitore, atteso che fra gli atti di straordinaria amministrazione rientra anche la vendita di beni immobili. In materia di concordato, la giurisprudenza di merito ha affermato che è possibile, previa autorizzazione del giudice delegato, prima dell'omologazione vendere l'intero complesso aziendale (cfr. Trib. di Verona, 18 marzo 1991); per contro la giurisprudenza di legittimità ha optato per una interpretazione restrittiva della norma, escludendo, prima dell'omologazione, l'autorizzazione da parte del giudice delegato di contratti che comportano la definitiva perdita dei beni dell'imprenditore (cfr. Cass. n. 64/1985). Da ciò si desume che, nella procedura di amministrazione straordinaria, sebbene non sia esclusa la vendita di singoli beni aziendali, con l'autorizzazione del giudice delegato, anche nella fase di osservazione può procedersi alla vendita di una parte del patrimonio aziendale. Se il Tribunale ha affidato la gestione dell'impresa al commissario giudiziale, le norme applicabili sono quelle che regolano gli effetti del fallimento nei confronti del debitore e le attribuzioni degli organi della procedura. L'art. 19 del d.lgs. n. 270/1999 statuisce che, fermo quanto previsto dall'art. 18, l'affidamento della gestione al commissario giudiziale determina gli effetti stabiliti dagli artt. 42, 43, 44, 46 e 47 della l.fall., sostituito al curatore il commissario giudiziale. Si applicano altresì al commissario giudiziale, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 31, 32, 34 e 35 della l.fall., salva la facoltà del Tribunale di stabilire ulteriori limiti ai suoi poteri. In mancanza di un rinvio a norme analoghe all'art. 167 l.fall., ci si chiede se anche il commissario giudiziale sia vincolato ad una gestione di tipo conservativo. Nel fallimento, tra gli atti di straordinaria amministrazione di cui all'art. 35 l.fall. non possono rientrare anche le vendite dei beni immobili, che devono avvenire secondo procedure competitive e comunque nel rispetto delle regole stabilite nel programma di liquidazione. È stata proposta, allora, dalla dottrina una interpretazione della norma che tenga conto delle peculiarità delle caratteristiche che contraddistinguono la procedura di amministrazione straordinaria rispetto al fallimento. Secondo tale interpretazione, se il debitore può compiere atti dispositivi durante la fase di osservazione, non vi è ragione per escludere che tali atti possano essere compiuti dal Commissario giudiziale. Ciò che conta è che l'atto dispositivo, oltre a seguire le regole di cui all'art. 35, in quanto atto di transazione, rispetti anche le procedure di cui all'art. 104 -ter l.fall. in quanto atto di liquidazione, quindi nel rispetto di un programma e con l'approvazione del comitato dei creditori. In ogni caso, l'esigenza di non rinunciare ad occasioni vantaggiose deve essere contemperata con l'esigenza di una gestione prudente, non conoscendosi, allo stato, l'esito della procedura. Ancora, va sottolineato l'art. 104-ter non stabilisce dei limiti alla consistenza dei beni alienabili anticipatamente rispetto alla approvazione del programma di liquidazione: se il ritardo nella liquidazione comporta un pregiudizio per i creditori, la procedura di vendita può essere anticipata (sempre rispettando le procedure competitive di cui all'art. 107 l.fall., non necessarie soltanto se si tratta di beni di «modesto valore»). Occorre comprendere fino a che punto ciò possa avvenire anche nella fase di osservazione. Diversi i punti di criticità. Non soltanto gli organi della procedura sono diversi e nel periodo di osservazione e nel periodo successivo, ma la vendita di alcuni beni o dell'intero complesso aziendale può rivelarsi incompatibile con l'evoluzione della procedura; inoltre la breve durata del periodo di osservazione rende complesso il ricorso a procedure competitive. In realtà tali obiezioni non sono superabili, soprattutto per ciò che concerne il rilievo della diversità degli organi della procedura e della breve durata della fase di osservazione rispetto alla necessità di adottare procedure competitive: per un verso, infatti, bisogna concepire l'ufficio come organo unitario e per altro verso non sono previste forme vincolate di vendita, essendo sufficiente garantire trasparenza, pubblicità e parità di trattamento. Il problema, piuttosto, attiene alla compatibilità, logica prima ancora che giuridica, tra il ruolo del commissario giudiziale in questa fase, durante la quale deve acquisire le informazioni necessarie per conoscere le condizioni in cui versa l'impresa, e i successivi sviluppi della procedura, che può evolversi nell'apertura dell'amministrazione straordinaria oppure nel fallimento. La cessione dell'intero complesso aziendale, ad esempio, escluderebbe il programma di risanamento, diversamente la vendita di singoli beni (oppure di rami di azienda) potrebbe consentire la ristrutturazione economico e finanziaria dell'impresa. In ogni caso, nell'amministrazione straordinaria, a prescindere dal programma adottato, l'attività imprenditoriale deve continuare per almeno un anno (infatti il Tribunale deve dare le necessarie disposizioni per la prosecuzione dell'esercizio dell'impresa); se viene adottato il programma di cessione, l'acquirente deve impegnarsi a continuare le attività imprenditoriali per almeno due anni (cfr. Bonfatti, Censoni, 545). La scelta di attuare il programma attraverso la cessione dei complessi aziendali rimane pur sempre orientata verso l'obiettivo del risanamento, ancorché realizzato dal cessionario, infatti nello stesso devono essere indicati i tempi e le modalità di soddisfacimento dei creditori. La soluzione interpretativa prospettata trova riscontro anche nella disciplina introdotta con il d.l. n. 134/2008 che esclude che nella «fase di osservazione » possano essere compiuti atti di liquidazione dell'intero complesso aziendale. Sono espressamente previste operazioni di dismissione del patrimonio aziendale più snelle soltanto per le imprese che operano nei servizi pubblici essenziali. Inoltre, sempre sul piano positivo, l'art. 55 del d.lgs. 270/99 prevede che il programma deve essere redatto dal commissario in conformità degli indirizzi di politica industriale: una dismissione anticipata dell'intero complesso aziendale, pertanto, svuoterebbe di significato il ruolo dell'autorità amministrativa. Né può ritenersi di potere attribuire al ministro un ruolo di controllo in questa fase, in cui il commissario giudiziale opera sotto la vigilanza dell'autorità giudiziaria. Concludendo, nella «fase di osservazione » il commissario giudiziale, certamente, previa autorizzazione del giudice delegato e rispettando le procedure competitive, può vendere singoli beni aziendali ovvero cedere rami d'azienda, ma non può porre in essere atti di liquidazione suscettibili di compromettere la successiva evoluzione della procedura, dovendo, piuttosto, attenersi ad una gestione «conservativa» dell'attività imprenditoriale. Ove emergano situazioni eccezionalmente vantaggiose non procrastinabili e non ripetibili, per non perderle, non resta che accelerare i tempi di svolgimento della procedura. Gestione dell'impresa del commissario giudizialeIn ordine alla gestione dell'impresa il commissario giudiziale ha l'amministrazione del patrimonio e non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti alla procedura, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore. Anche il Commissario giudiziale, come il curatore, non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano la procedura. Si applica espressamente alla procedura di amministrazione straordinaria l'art. 31-bis della l.fall. introdotto dall'art. 17 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221. In particolare, la nuova disposizione si applica dal 19 dicembre 2012 (data di entrata in vigore della citata legge di conversione) anche alle procedure di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria pendenti, rispetto alle quali, alla stessa data, non è stata effettuata la comunicazione rispettivamente prevista dagli artt. 92, 171, 207 l.fall. e dall'art. 22 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270. Per le procedure in cui, alla data 19 dicembre 2012, sia stata effettuata la comunicazione suddetta, la nuova disposizione si applica a decorrere dal 31 ottobre 2013. Il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il commissario straordinario entro il 30 giugno 2013 comunicano ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni il loro indirizzo di posta elettronica certificata e li invitano a comunicare, entro tre mesi, l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, avvertendoli di rendere nota ogni successiva variazione e che in caso di omessa indicazione le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. In applicazione dell'art. 31-bis l.fall., che tratta delle comunicazioni del curatore, le comunicazioni ai creditori e ai titolari di diritti sui beni che la legge o il giudice delegato pone a carico del commissario giudiziale sono effettuate all'indirizzo di posta elettronica certificata da loro indicato nei casi previsti dalla legge. Quando è omessa l'indicazione di cui al comma precedente, nonché nei casi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, tutte le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. In pendenza della procedura e per il periodo di due anni dalla chiusura della stessa, il commissario giudiziale è tenuto a conservare i messaggi di posta elettronica certificata inviati e ricevuti. Si applica al commissario giudiziale la nuova disciplina dettata dall'art. 32 l.fall. introdotta dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 che, all'art. 22 recita che la modifica si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1 gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente. Il Commissario giudiziale esercita le funzioni del suo ufficio personalmente e può delegare ad altri specifiche operazioni con le autorizzazioni previste, con esclusione degli adempimenti di cui agli artt. 89, 92, 95, 97 e 104-ter. L'onere per il compenso del delegato, liquidato dal giudice, è detratto dal compenso del commissario. Inoltre il commissario giudiziale può essere autorizzato a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso l'imprenditore insolvente, sotto la sua responsabilità e del compenso riconosciuto a tali soggetti si tiene conto ai fini della liquidazione del compenso finale del curatore. Anche l'art. 33 l.fall. si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1 gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (art. 22 d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169). Il commissario giudiziale è, quindi, tenuto a redigere una relazione particolareggiata iniziale e dei rapporti riepilogativi delle attività svolte. Copia di detti rapporti è trasmessa al comitato dei creditori, unitamente agli estratti conto dei depositi postali o bancari relativi al periodo. Il comitato dei creditori o ciascuno dei suoi componenti possono formulare osservazioni scritte. Altra copia del rapporto è trasmessa, assieme alle eventuali osservazioni, per via telematica all'ufficio del registro delle imprese, nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito delle osservazioni nella cancelleria del Tribunale. Nello stesso termine altra copia del rapporto, assieme alle eventuali osservazioni, è trasmessa a mezzo posta elettronica certificata ai creditori e ai titolari di diritti sui beni. Detta disposizione è stata aggiunta dall'art. 17 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221. La nuova disposizione si applica dal 19 dicembre 2012 (data di entrata in vigore della citata legge di conversione) anche alle procedure di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria pendenti, rispetto alle quali, alla stessa data, non è stata effettuata la comunicazione rispettivamente prevista dagli artt. 92, 171, 207 l.fall. e dall'art. 22 d.lgs. n. 270/1999. Per le procedure in cui, alla data 19 dicembre 2012, sia stata effettuata la comunicazione suddetta, la nuova disposizione si applica a decorrere dal 31 ottobre 2013. Il curatore, il commissario giudiziale, il commissario liquidatore e il Commissario straordinario entro il 30 giugno 2013 comunicano ai creditori e ai terzi titolari di diritti sui beni il loro indirizzo di posta elettronica certificata e li invitano a comunicare, entro tre mesi, l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, avvertendoli di rendere nota ogni successiva variazione e che in caso di omessa indicazione le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Il commissario giudiziale ha l'obbligo di depositare le somme riscosse a qualunque titolo entro il termine massimo di dieci giorni dalla corresponsione sul conto corrente intestato alla procedura aperto presso un ufficio postale o presso una banca. Anche le norme dettate dall'art. 35 l.fall. sono operative per il Commissario giudiziale, che può eseguire riduzioni di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti di terzi, cancellazione di ipoteche, restituzione di pegni, svincolo delle cauzioni, accettazione di eredità e donazioni e atti di straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del comitato dei creditori se di valore non superiore a cinquantamila euro. Se gli atti suddetti sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni, il commissario giudiziale ne informa previamente il Giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell'articolo 104-ter comma ottavo (comma dell'art. 35 modificato dall'art. 3 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169). La modifica si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data del 1 gennaio 2008, nonché alle procedure concorsuali e di concordato aperte successivamente (art. 22 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169). Rendiconto del Commissario giudizialeIl commissario giudiziale che ha gestito l'impresa, al termine del suo incarico, deve rendere il conto. Si applica l'articolo 116 della l.fall., come modificato dall'art. 106 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, fatta eccezione per le modalità di comunicazione che sono espressamente disciplinate dall'art. 19, comma 4, d.lgs. n. 270/ 1999. Il rendiconto deve contenere l'esposizione analitica delle operazioni contabili e della attività di gestione della procedura compiute dal commissario giudiziale. Il giudice ordina il deposito del conto in cancelleria e fissa l'udienza fino alla quale ogni interessato può presentare le sue osservazioni o contestazioni, prevedendo un termine libero di quindici giorni dal deposito del rendiconto. Dell'avvenuto deposito del conto e della fissazione dell'udienza per la presentazione delle osservazioni è data notizia mediante affissione, a cura del cancelliere; tale formalità sostituisce la comunicazione ai singoli creditori prevista dal terzo comma del medesimo articolo 116 della l.fall. All'udienza stabilita, laddove non sorgano contestazioni o su queste venga raggiunto un accordo, il giudice, con decreto, approva il conto della gestione. Per contro, in caso di mancato raggiungimento di un accordo sulle contestazioni, il giudice fissa l'udienza davanti il collegio che provvede in camera di consiglio. Bibliografiav. sub art. 18. |