Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 13 - Competenza del tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza.

Lunella Caradonna
Ivana Vassallo
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Competenza del tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza.

1. Il tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore, fatta eccezione per le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le norme ordinarie di competenza.

Inquadramento

Il Tribunale, che ritenga sussistenti i requisiti dimensionali e di indebitamento richiesti dalla legge, pronuncia sentenza con cui dichiara lo stato di insolvenza (le possibilità del recupero, invece, possono essere accertate soltanto in un secondo momento, dopo l'apertura della procedura).

Il Tribunale dichiara lo stato di insolvenza anche qualora venga adito per la dichiarazione di fallimento di un'impresa già ammessa al concordato preventivo, atteso che l'amministrazione straordinaria prevale rispetto al fallimento.

Con la sentenza che accoglie la domanda, il Tribunale nomina gli organi necessari in questa fase della procedura; fissa l'udienza di verificazione dello stato passivo davanti al Giudice delegato ed il termine per la presentazione delle domande; stabilisce se la gestione dell'impresa, fino a quando non venga statuita l'ammissione all'amministrazione straordinaria oppure dichiarato il fallimento, debba essere lasciata all'imprenditore oppure debba essere affidata al commissario giudiziale.

Gli organi di questa fase della procedura, quindi, sono il Tribunale, il Giudice delegato, il commissario giudiziale.

Con la precedente normativa si dubitava che il Tribunale che dichiarava lo stato di insolvenza potesse essere assimilato al tribunale fallimentare (Cavalaglio, 657).

La dottrina prevalente, sotto la vigenza della precedente normativa, negava che il Tribunale potesse rivestire la qualità di organo del procedimento, ritenendo che il rinvio alla disciplina sulla liquidazione coatta amministrativa avesse il significato di individuare la competenza ed il diverso ruolo svolto da tale organo nel fallimento e nell'amministrazione straordinaria (Bonsignori, 131).

La nuova normativa ha apportato delle novità particolarmente rilevanti, sia con riferimento alla procedura di dichiarazione dello stato di insolvenza, sia avuto riguardo alla fase successiva ed eventuale dell'amministrazione straordinaria. E, con riferimento alla prima fase, è stato riconosciuto che il Tribunale è un organo del procedimento (Maffei Alberti, 1070).

Quindi, tenuto conto delle disposizioni di legge, deve ritenersi che il Tribunale, così come il Giudice delegato, siano da qualificarsi a pieno titolo come organi della procedura di amministrazione straordinaria.

In particolare, il Tribunale giudica dei presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiarazione di insolvenza, nomina il Giudice delegato ed il commissario o i commissari giudiziali (anche se su designazione vincolante dell'autorità amministrativa), emette i provvedimenti decisori od ordinatori di sua esclusiva competenza, giudica sui reclami avverso i decreti del Giudice delegato, sulla revoca e sulla responsabilità del commissario giudiziale, liquida il compenso dovuto allo stesso, adotta i provvedimenti conservativi nell'interesse del debitore e dei creditori, affida la gestione dell'impresa al commissario giudiziale e ne determina i poteri.

Il tribunale ha la stessa competenza funzionale del tribunale fallimentare ai sensi dell'art. 24 l.fall. e ha la competenza anche per la fase dell'accertamento del passivo.

Inoltre è l'organo deputato a decidere se l'impresa deve continuare o meno l'attività, potendo dichiarare a norma dell'art. 76 la cessazione dell'esercizio dell'impresa. Mentre prima ciò rientrava nell'ambito decisionale dell'autorità amministrativa, con la riforma è di competenza del Tribunale, così come il Tribunale diventa giudice del riesame dei provvedimenti del Giudice delegato.

Il Tribunale ha anche la competenza nella ipotesi di conversione laddove venga accolta l'opposizione fondata sulla carenza dei requisiti di cui all'art. 2.

Opera come organo collegiale anche quando decide sui riesami dei provvedimenti del Giudice delegato ai sensi dell'art. 14 che richiama integralmente l'art. 26 l.fall. cui espressamente rimanda.

Una parte della dottrina, poi, afferma che il Tribunale ha anche un potere di indirizzo generale della procedura (Rispoli Farina, 132).

Analogamente, in giurisprudenza, è consolidato il principio per cui, sulla base del disposto degli artt. 69 e 70, sussiste in capo al Tribunale un potere-dovere di controllo di legalità sull'andamento di detta procedura concorsuale nonché di verifica, in piena autonomia decisionale, del permanere delle condizioni che ne giustificano l'esistenza o, viceversa, del sussistere dei presupposti — qualora in corso di procedura o alla scadenza del termine prefissato, il programma iniziale di salvataggio del patrimonio produttivo tramite ristrutturazione o cessione del complesso aziendale divenga inattuabile —, per la sua conversione in fallimento.

Naturalmente, perché il Tribunale possa esercitare in modo corretto tale potere-dovere, è necessario che ricorra all'utilizzo di strumenti sia informativi che di indagine e che i Commissari forniscano adeguate risposte relativamente all'andamento della procedura approfondendo specifici aspetti ovvero evidenziando elementi di criticità, da portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria attraverso le relazioni periodiche che sono tenuti trimestralmente a redigere ed a presentare.

Tutta la fase diretta all'apertura della procedura è ora affidata al Tribunale.

La figura del Giudice delegato rispetto alla legge Prodi, dove non era prevista, è una novità introdotta con il d.lgs. n. 270/ 1999.

Si tratta, quindi, di un nuovo organo della procedura.

Il potere del Giudice delegato è maggiore se il Tribunale provvede alla sostituzione dell'imprenditore con il commissario giudiziale nell'esercizio dell'impresa, anche se va evidenziato che la fase riguardante il procedimento d'insolvenza è assai ristretta, di talché l'attività del Giudice delegato, nella suddetta fase, non è particolarmente intensa.

In ordine alla nomina del commissario giudiziale (o dei commissari), una parte della dottrina ha sollevato dei dubbi sulla conformità alla Costituzione della normativa ritenendo che l'esercizio di un'attività giurisdizionale non possa risultare vincolata alle iniziative della pubblica amministrazione.

È stata così criticata la circostanza che in una procedura, che potrebbe non sfociare in amministrazione straordinaria, in ipotesi di dichiarazione di fallimento, la scelta dell'organo gestionale dipenda da quella che in precedenza ha esercitato il Ministro.

Le norme dettate nel capo relativo agli organi che attengono alla fase successiva alla dichiarazione dello stato di insolvenza chiaramente richiamano quelle che disciplinano il concordato preventivo.

Competenza del Tribunale

Si è già detto che il Tribunale competente è quello in cui si trova la sede principale dell'impresa, intendendo per sede principale la sede effettiva e non la sede legale.

Sempre in ordine alla competenza, va senz'altro condiviso l'orientamento interpretativo che esclude l'applicabilità dell'art. 9 della l.fall. (non espressamente richiamato dal d.lgs. n. 270/1999) che stabilisce, in via d'eccezione, che i trasferimenti avvenuti nell'anno anteriore sono irrilevanti ai fini della competenza territoriale, in quanto ritenuti, con presunzione legale, fittizi.

In particolare, i giudici di merito hanno così argomentato: «le norme che disciplinano la procedura fallimentare non possono essere applicate alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270/1999 (Prodi bis), se non espressamente richiamate. Il fallimento e l'amministrazione straordinaria «Prodi bis» sono infatti procedure concorsuali connotate da finalità ed esigenze proprie, hanno una diversa disciplina speciale, sicché — al di fuori dei richiami espressi (ed eventualmente di lacune normative) — nulla giustifica un'applicazione analogica della normativa dell'una all'altra procedura. Va pertanto ritenuta l'inapplicabilità alla procedura di cui al d.lgs. n. 270/1999 (Prodi bis) dell'art. 9 l.fall. il quale, pur ponendo al primo comma la regola generale (comune alla Prodi bis) della competenza per territorio del Tribunale ove si trova la sede «principale» della società insolvente, in via di eccezione, dispone che i trasferimenti avvenuti nell'anno anteriore sono irrilevanti ai fini della competenza territoriale, in quanto ritenuti, con presunzione legale, fittizi». (Trib. Udine, 9 luglio 2009).

Per ciò che concerne la cd. competenza funzionale, il Tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza, ai sensi dell'art. 5, ha la competenza per tutte le azioni che nascono dalla procedura, con esclusione delle azioni reali immobiliari, in analogia alla competenza che aveva prima il Tribunale fallimentare.

L'articolo in commento, quindi, riproduce sostanzialmente il contenuto dell'art. 24 l.fall., modificato dal d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, secondo il quale il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.

Secondo la vecchia formulazione dell'art. 24 l.fall. (in vigore prima della modifica introdotta con l'art. 21 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), per quanto rileva in questa sede, operava la c.d. vis attractiva, con l'attribuzione al Tribunale, che aveva dichiarato il fallimento, della competenza a conoscere di tutte le azioni che ne derivavano, ivi comprese le controversie relative a rapporti di lavoro ed escluse le azioni reali immobiliari.

La suddetta norma era stata novellata con la legge sopra menzionata, che aveva eliminato, al primo comma, il riferimento alle controversie relative a rapporti di lavoro e l'esclusione delle azioni reali immobiliari.

Il secondo comma dell'art. 24 l.fall. (che prevedeva l'applicazione delle norme di cui agli articoli da 737 a 742 c.p.c.), pure previsto dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, è stato invece abrogato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

Già si è detto che non esiste una linea di demarcazione certa per discernere le controversie che derivano dal fallimento da quelle che non ne derivano, ragion per cui si è soliti distinguere tra controversie proposte nei confronti della procedura e controversie proposte dalla procedura, con la conseguenza che con riferimento alle azioni proposte nei confronti della procedura vanno attribuite alla competenza del Tribunale che ha dichiarato il fallimento tutte le controversie idonee ad incidere sulla massa attiva (così l'azione di simulazione proposta dal terzo per il recupero di beni fittiziamente intestati al fallito); mentre con riguardo alle azioni promosse dalla procedura il principio generale è che non rientrano nella vis attractiva le controversie nelle quali il curatore si ponga quale semplice avente causa del fallito, facendo valere diritti già preesistenti.

La competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare (come quella prevista dall'art. 24 l. fall.) opera con ri9ferimento non solo alle controversie che traggono origine e fondamento dalla dichiarazione dello stato di insolvenza ma anche a quelle destinate a incidere sulla procedura concorsuale in quanto l'accertamento del credito verso il debitore costituisca la premessa di una pretesa nei confronti della massa (Cass. VI, ord. n. 15982/2018). In particolare, a proposito delle controversie riservate al giudice del lavoro è stato affermato che, qualora risulti l'interesse del lavoratore all'accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria bensì alla tutela della propria posizione all'interno dell'impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento dell'entità dell'indennità risarcitoria (Cass. lav., n. 16443/2018).   

Come si è avuto modo di sottolineare, pur in assenza di una espressa definizione normativa di un criterio discretivo mediante il quale individuare le cause che derivano dallo stato di insolvenza, i giudici di legittimità hanno precisato che «per azioni che derivano dal fallimento, a norma dell'art. 24 della cosiddetta legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942), debbono intendersi — con principio estensibile anche alla procedura di amministrazione straordinaria (attesane la indiscutibile omogeneità di «ratio» sotto il profilo della tutela della «par condicio») — non soltanto quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, ma tutte quelle che incidono sul patrimonio del fallito e che, per la sopravvenienza del fallimento, sono sottoposte ad una speciale disciplina, con la conseguenza che deve essere affermata la competenza del tribunale fallimentare ogni qual volta l'accertamento di un credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa. Pertanto, con riferimento alla controversia instaurata dal locatore, nei confronti della curatela del fallimento del conduttore, per denunciare l'inadempimento di detta curatela (e del corrispondente commissario nel caso dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria) subentrata nel rapporto locatizio ed ottenere la risoluzione del rapporto, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, la competenza funzionale e inderogabile del tribunale fallimentare deve essere affermata limitatamente alla domanda risarcitoria, che ha ad oggetto un credito verso la massa, mentre la domanda principale di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento resta disciplinata dalle ordinarie regole di competenza, in quanto esula dalle previsioni dell'art. 24 della cosiddetta legge fallimentare, e non è soggetta alla vis attractiva della competenza sulla domanda accessoria, sicchè deve essere proposta dinanzi al tribunale del luogo in cui si trovi l'immobile locato, al quale resta devoluto anche l'esame di tutte le eccezioni formulate dall'intimato in ordine alla validità del titolo ed alla prosecuzione del rapporto da parte del fallimento (ovvero dell'amministrazione straordinaria) del conduttore» (Cass. III, n. 20350/2005).

Per quanto attiene al rapporto tra la competenza funzionale del Tribunale fallimentare e del Tribunale delle Imprese, va condiviso l'orientamento interpretativo che afferma la competenza del Tribunale fallimentare, piuttosto che del Tribunale delle Imprese, nel caso di revocatoria fallimentare ex art 67, primo comma n.1) l.fall., avente ad oggetto un contratto di cessione di azioni per un prezzo notevolmente inferiore al loro reale valore, intentata da una società dichiarata insolvente (e quindi da una società ammessa all' amministrazione straordinaria) nei confronti dell'acquirente, che sia collegata ad altra azione di revocatoria ordinaria promossa dalla stessa società exartt. 66 l.fall. e 2901 c.c. nei confronti del terzo cui l'acquirente aveva successivamente ceduto quelle azioni, e ciò in quanto le azioni revocatorie proposte exartt. 66 e 67 l.fall., così come tutte le azioni di cui all'art. 24 l.fall., rientrano nella competenza funzionale ed inderogabile del Tribunale che ha dichiarato il fallimento e dunque del Tribunale che ha dichiarato l'insolvenza (cfr. Trib. di Arezzo, ord. 18 novembre 2015).

Per che concerne le azioni promosse dall'amministrazione straordinaria, va ritenuta l'improcedibilità dell'azione di responsabilità della società in amministrazione straordinaria avverso soggetti che si sono succeduti nel tempo come amministratori qualora sia stata promossa in assenza della rituale autorizzazione ministeriale prescritta dagli artt. 36 d.lgs. n. 270/1999 e 206 l.fall. ovvero qualora non sia stata fornita adeguata prova dell'esistenza stessa; infatti, qualora una parte eccepisca il difetto di rappresentanza processuale, l'onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente così da contraddire sui rilievi di controparte con una opportuna documentazione (cfr. Trib. Milano, 21 aprile 2016, n 5064).

Bibliografia

Abate, Gli organi delle procedura concorsuali, Padova, 1999, 131; Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1979, 72; Cavalaglio, L'amministrazione straordinaria, in Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, 657; Dimundo, L'accertamento dei crediti nell'amministrazione straordinaria, Seminario di studi – Impresa insolvente, banche e nuova legge sull'amministrazione straordinaria, in Fall. 2000, 11, 1189; Fauceglia, Osservazioni sulla determinazione dei compensi del commissario giudiziale nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Dir. fall. 2015, 20542; Lo Cascio, Commentario alla legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 102; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 1070; Patti, L'imparzialità del giudice fallimentare, Seminario Nazionale di Studi – Genova 2-3 aprile 2004, in Fall. 2004, 9, 990; Rispoli Farina, Prime riflessioni sulla nuova amministrazione straordinaria con particolare riguardo agli organi e alla procedura, in AA.VV., La riforma dell'amministrazione straordinaria, Roma, 2000, 132.

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