Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 70 - (Effetti della revocazione) 1 .

Federico Rolfi

(Effetti della revocazione)1 .

 

La revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione multilaterale o dalle società previste dall' articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966 , si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione.

Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito.

Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito 2.

Inquadramento

L'art. 70 – il cui disposto assorbe il contenuto dell'ormai abrogato art. 71 (Limitone, 767) — detta una disciplina con caratteri sia generali (il secondo comma, riferito al diritto del soggetto soccombente in revocatoria di insinuarsi al passivo, e peraltro inutilmente duplicato dalla previsione finale del terzo comma), sia specifici (il primo comma, riferito alla revocatoria nei confronti di specifici soggetti, e il terzo comma, riferito alla determinazione degli effetti restitutori nel caso di revocatoria inerente rapporti di conto corrente bancario oppure rapporti continuativi o reiterati), tutti accomunati dal fatto di essere riferiti agli effetti della revocatoria, peraltro apportano una disciplina in gran parte innovativa, e conseguentemente non applicabile retroattivamente.

Pacifica è l'applicabilità della previsione alle sole revocatorie proposte nell'ambito di procedure aperte dopo l'entrata in vigore della norma stessa (Cass. I, n. 24868/2015; Cass. I, n. 20834/2010; Cass. I, n. 19043/2010).

La revocatoria dei pagamenti tramite intermediari specializzati

La previsione costituisce approdo di un percorso normativo che trova precedenti nell'art. 6, l. 21 febbraio 1991, n. 52 (revocatoria fallimentare nella cessione dei crediti di impresa) e nell'art. 4, l. 30 aprile 1999, n. 130 (cartolarizzazione dei crediti), e che avrebbe come finalità quella di estendere l'esenzione a favore di operatori professionali, ed in particolare degli «intermediari specializzati» (Bertacchini, 1455; Patti — Nardecchia — Bosticco, 768).

In realtà la norma prevede che la revocatoria vada esercitata nei confronti del soggetto che, per effetto di tale complesso sistema viene concretamente a ricevere la prestazione, escludendo, quindi, la legittimazione del soggetto che, rispetto al pagamento, risulta essere mero tramite (Bonfatti, 2016, 616). Non si tratta, quindi, di una ipotesi di esenzione dalla revocatoria, bensì di individuazione del soggetto nei cui confronti l'azione deve essere esercitata (Bonfatti, 2016, 616; Benedetti, 747) o di trasferimento dell'azione (Porzio, 356). Viene, quindi, dettata la regola per cui il pagamento deve essere recuperato nei confronti del patrimonio che si è in concreto arricchito, con la logica conseguenza che anche l'elemento soggettivo dovrà essere valutato non con riferimento all'intermediario, ma con riferimento al destinatario finale della prestazione (Benedetti, 749; Bonfatti, 2016, 616; Jorio, 464; Cavallini-Gaboardi, 338; Limitone, 963). Tale regola, però, è speciale, in quanto si applica solo all'intermediario che svolga professionalmente tale attività, restando, conseguentemente, fissa la legittimazione passiva dell'intermediario «non professionale» (Benedetti, 749; Bonfatti, Art. 70, 1098; Bonfatti, 2016, 617), proprio per l'assenza di una disciplina generale delle «attribuzioni indirette» (Cavallini-Gaboardi, 338; Jorio, 463; per un'analisi Terranova, 41 segg.).

La locuzione «intermediari specializzati» è volutamente ampia (Benedetti, 750; Bonfatti, 2016, 617) e va riferita, quindi, a tutte le imprese autorizzate all'attività di intermediazione, e abilitate ad effettuare pagamenti per conto terzi (Bonfatti, 2016, 617; Patti — Nardecchia — Bosticco, 768; Bonfatti, 2006, 1100), e quindi banche, soggetti iscritti agli elenchi speciali di cui agli artt. 106 e 107, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Istituti di moneta elettronica (Imtel), SIM, SGR, agenti di cambio, imprese di investimento comunitarie, imprese extracomunitarie esercenti attività analoghe a quelle creditizia o di prestazione di servizi di intermediazione finanziaria (Bonfatti, 2016, 618).

Ad esse vanno poi aggiunte le società fiduciarie di cui all'art. 1, l. 23 novembre 1939, n. 1966, e cioè, per l'esattezza, le «società fiduciarie e di revisione (...) che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l'amministrazione dei beni per conto di terzi, l'organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni» (Limitone, 768). Si tratta delle società fiduciarie c.d. «statiche», abilitate alla sola attività di amministrazione dei beni e non anche allo svolgimento di servizi di investimento (Bonfatti, 2016, 618; Cavallini-Gaboardi, 339), la disomogeneità della cui menzione rispetto agli altri soggetti elencati dalla norma è stata anche rimarcata, dal momento che non ci si trova di fronte ad ipotesi di intermediazione (Bonfatti, 2016, 620). Nel caso delle fiduciarie, infatti, a venire in considerazione sono non tanto i pagamenti effettuati (come nel caso degli altri intermediari), ma i pagamenti ricevuti dalla fiduciaria, come nel caso dei rimborsi operati dalla società a favore del socio fiduciante finanziatore (Bonfatti, 2006, 1107). Si desume, quindi, che lo scopo della previsione sia, in questo caso, quello di evitare che le società fiduciarie siano esposte ad azioni revocatorie nell'ipotesi di pagamenti effettuati da un soggetto poi fallito al fiduciante (Bonfatti, 2016, 620), ponendosi, peraltro, il quesito se, nel caso della restituzione dei finanziamenti, trovino applicazione gli artt. 2467 e 2497 c.c. (Bonfatti, 2006, 1107).

Va ricordata la tesi secondo cui tra gli «intermediari specializzati» andrebbero annoverate anche le imprese bancarie per le operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività ordinaria di intermediazione nei pagamenti (Bonfatti, 2016, 620).

Oltre che per determinati operatori, la previsione si occupa di determinate operazioni, e cioè delle procedure di compensazione multilaterale, basate su un sistema di intermediazione centrale rispetto al quale ciascuno dei partecipanti opera il saldo tra le poste in dare ed in avere, in modo da ridurre il numero di operazioni. La previsione costituirebbe recepimento di quanto già disposto — in modo specifico — dal d.lgs. 12 aprile 2001, n. 210 in materia di definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamenti o di regolamento titoli (Bonfatti, 2006, 1103; Bonfatti, 2016, 618; Ronco, 1228) – con un superamento della regola di conoscenza legale dell'apertura del fallimento ex art. 17 (Bonfatti, 2006, 1104) — ma, in realtà si occuperebbe del solo meccanismo dei pagamenti e non anche di quello del regolamento titoli, ai quali continua ad applicarsi la sola disciplina speciale (Benedetti, 751; Bonfatti, 2016, 619).

La revocatoria nei rapporti continuativi o reiterati

La previsione è stata oggetto di intervento integrativo per effetto del d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169, allo scopo di eliminare ogni residuo dubbio sulla sua applicazione ai rapporti di conto corrente bancario, sebbene già in precedenza tendesse ad affermarsi una interpretazione del testo originario conforme alla successiva modifica (Patti — Nardecchia — Bosticco, 769; Tarzia, 273). Nonostante, anzi, la previsione sia dettata in generale per i rapporti di durata, è proprio il conto corrente bancario la fattispecie di maggior rilievo in cui essa viene ad operare, peraltro recependo la teoria del c.d. «massimo scoperto» (Bertacchini, 1459; Jorio, 461; Patti — Nardecchia — Bosticco, 769; Ronco, 1197), e limitando gli effetti della revocatoria a quello che si ritiene essere l'effettivo rientro conseguito dalla banca.

Oltre che al conto corrente bancario, poi, la previsione dovrebbe poter trovare applicazione anche alle ipotesi di concessione da parte di una banca di linee di credito ad utilizzo ripetuto come l'apertura di credito su anticipazioni; le aperture di credito per anticipo salvo buon fine di crediti commerciali (Bonfatti, 2016, 623; Limitone, 963), ma la tesi non è immune da perplessità (Bertacchini, 1459; Tarzia, 278).

Si lamenta, in realtà, che tale impostazione viene a trascurare il vero pregiudizio subito dai creditori, e connesso alla prosecuzione dell'erogazione di credito in una situazione di dissesto, così incrementando quest'ultimo (Patti — Nardecchia — Bosticco, 769), anche se, in realtà, tale profilo di danno non rimane privo di tutela ma – secondo l'orientamento della Suprema Corte – rimesso all'iniziativa dei singoli creditori con l'azione risarcitoria per abusiva concessione di credito.

In ogni caso la previsione appare applicabile anche a tutti i rapporti di fornitura nei quali si succeda una pluralità di acquisti e vendite o prestazioni di servizi regolate da una pluralità di pagamenti (Bonfatti, 2016, 623; Ronco, 1229; contra, per una lettura più restrittiva Cavallini-Gaboardi, 341).

L'incidenza della norma sulle revocatorie aventi ad oggetto rapporti di conto corrente bancario solleva il problema del rapporto tra la previsione in esame e la disciplina dettata dall'art. 67, comma terzo, lett. b) per tale specifica categoria di revocatorie, ed in particolare del rapporto col parametro della «durevolezza» cui (assieme alla «consistenza») viene subordinata la revocabilità delle rimesse. Si pone, in particolare, il problema di stabilire se il regime dell'art. 67 debba prevalere come norma speciale sulla norma generale dell'art. 70; ovvero se le stesse operino congiuntamente in quanto l'art. 67 verrebbe ad individuare l'ambito delle rimesse revocabili, laddove l'art. 70 (una volta individuate, appunto, dette rimesse) operi una limitazione del quantum che deve essere effettivamente restituito. La tesi maggiormente seguita è quest'ultima, con la conseguenza che l'ammontare specifico del debito restitutorio ben potrà essere inferiore all'ammontare delle rimesse revocate, quando la riduzione sia stata consistente e durevole, ma non definitiva (Tarzia, 277), potendo addirittura arrivare a zero (Limitone, 963).

L'interpretazione che concepisce la previsione in esame come norma che non vale ad individuare i pagamenti revocabili, bensì come limite oggettivo all'obbligo di restituzione, derivante dall'adozione del criterio del massimo scoperto è stata recentemente riaffermata dalla Suprema Corte (Cass. I, n. 24868/2015), dopo che era stata adottata dai giudici di merito (Trib. Milano 27 marzo 2008, Giur. It., 2009, 2, 387).

Discorso diverso è se tale interpretazione possa condurre ad affermare che l'innovazione normativa porti a ritenere superata anche la distinzione – ampiamente utilizzata in passato — tra conto «passivo» e conto «scoperto» ai fini della individuazione delle rimesse aventi natura solutoria, con conseguente revocabilità di tutte le rimesse che comportino una riduzione consistente e durevole dell'esposizione debitoria, a prescindere dal fatto che rientrino o meno in un fido (Trib. Udine, 24 febbraio 2011; contra Trib. Milano, 21 luglio 2009, Dir. fall., 2010, II, 360).

Gli effetti generali della revocatoria

La previsione detta una regola specifica e non si occupa degli effetti generali dell'accoglimento dell'azione revocatoria, in particolare nel caso in cui essa interessi il trasferimento di beni. Coloro che affermano il carattere restitutorio dell'azione, ritengono che l'azione revocatoria determini la restituzione dei beni alla garanzia dei creditori, ma senza trasferimento della proprietà dei beni medesimi nel patrimonio del fallito (Bertacchini, 1457). Un tentativo di sistemazione generale afferma che: a) se l'atto revocato ha comportato l'assunzione di obbligazioni, il credito è escluso dal concorso; b) se l'atto comportava il trasferimento di diritti, questi ultimi entrano nella massa attiva fallimentare; c) se l'atto comportava la costituzione di diritti di godimento, il bene viene acquisito appreso alla massa fallimentare (e liquidato) del tutto libero; d) se l'atto comportava la costituzione di diritti di prelazione, il credito potrà essere ammesso al passivo ma al chirografo; e) se l'atto aveva ad oggetto un pagamento o il trasferimento di un bene, il terzo dovrà restituire la somma percepita o il bene acquisito, o il suo equivalente, se la restituzione non è possibile (Bertacchini, 1457; ma cfr. anche Limitone, 962).

Altrettanto rilevante è il fatto che la norma nulla stabilisca circa il diritto del soggetto soccombente in revocatoria alla restituzione del bene in natura che si trovi nel patrimonio del debitore fallito (Ronco, 1228). Si tratta di questione che si ricollega direttamente alla qualificazione in termini indennitari o anti-indennitari della revocatoria, e che tuttavia, ove risolta sulla base proprio del silenzio della norma, dovrebbe condurre alla risposta negativa (Ronco, 1228), ma riscuote invece consensi (Benedetti, 753).

Rilevante è anche l'individuazione degli effetti della revocatoria fallimentare nei confronti del terzo subacquirente, priva di disciplina nell'ambito della revocatoria fallimentare, a differenza di quella ordinaria ex artt. 2901 e 66 l.fall. (Bertacchini, 1461). L'opinione favorevole ad una estensione degli effetti della revocatoria al terzo afferma che tale estensione avverrebbe in via automatica nel caso in cui il terzo abbia acquistato a titolo gratuito o abbia trascritto l'acquisto dopo la trascrizione della domanda; previa instaurazione di autonomo giudizio e dimostrazione della malafede del terzo stesso negli altri casi (Bertacchini, 1461). La giurisprudenza riconduce l'azione del curatore verso il terzo subacquirente nell'ambito della revocatoria odinaria, con il relativi presupposti ed oneri probatori.

L'accoglimento della revocatoria dovrebbe comportare l'obbligo del terzo di restituire il bene o il suo equivalente senza potersi insinuare al passivo, giacché il terzo vanta le proprie pretese nei confronti del primo acquirente e non nei confronti del fallito (Benedetti, 753; Bertacchini, 1462; Cavallini-Gaboardi, 335).

L'azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare nei confronti di terzi aventi causa del primo acquirente del fallito viene ricondotta nell'ambito della revocatoria ordinaria (Cass. I, n. 27230/2009), con conseguente onere del curatore di dare prova della mala fede del terzo subacquirente (Cass. I, n. 18370/2010; Cass. I, n. 10066/2008; Cass. I, n. 11083/2004). Meno persuasiva è l'affermazione secondo cui sarebbe irrilevante il fatto che la domanda revocatoria del curatore sia stata trascritta prima dell'atto del terzo subacquirente (Cass. I, n. 27230/2009).

Revocatoria ed ammissione al passivo

Poiché la revocatoria fallimentare mira a ripristinare il meccanismo della par condicio creditorum, comportando che il creditore soccombente possa soddisfarsi secondo tale ultima regola, il soggetto che, per effetto dell'azione revocatoria, abbia dovuto restituire al fallimento quanto percepito dal debitore in bonis in viola della par condicio – salvi i casi di declaratoria di inefficacia ex artt. 44 e 64 (Benedetti, 753; Limitone, 961) — avrà diritto di insinuarsi al passivo per la relativa pretesa creditoria risorta per effetto della revocatoria stessa. Poiché il diritto di insinuarsi al passivo dipende dalla effettiva restituzione (Benedetti, 752; Bertacchini, 1456; Limitone, 961), appare evidente la inammissibilità di una compensazione tra l'obbligo restitutorio e la pretesa insinuata al passivo (Jorio, 461; Limitone, 961), in quanto il debito di restituzione è debito verso la massa (Bertacchini, 1457).

Il principio, però, deve misurarsi con le innovazioni introdotte dalla Riforma, a cominciate dalla introduzione di un termine di decadenza per la presentazione delle domande tardive, quale indubbiamente sarà la domanda del creditore soccombente, considerati i tempi anche fisiologici di un giudizio contenzioso. Da ciò deriva il pericolo che il diritto del soccombente di partecipare comunque al concorso venga pregiudicato proprio dalla durata della revocatoria, ponendolo nel dilemma tra la rinuncia all'insinuazione o la rinuncia alla difesa in giudizio. Di qui l'esigenza di ritenere che il ritardo nell'insinuazione, qualora dipenda unicamente dalla tempistica del giudizio di revocatoria, venga ritenuto dipendente da causa non imputabile al creditore medesimo, anche in considerazione della liceità dell'atto revocato (Patti-Nardecchia-Bosticco, 771; Cavallini-Gaboardi, 336).

Connessa a tale tematica è quella della cessione delle azioni revocatorie ai sensi dell'art. 106, giacché in questo caso l'ipotetica accelerazione che la cessione dovrebbe imprimere sull'attività di liquidazione dell'attivo, potrebbe avere come conseguenza che al momento dell'accoglimento della revocatoria (ceduta), il creditore soccombente che abbia restituito la somma al cessionario dell'azione non possa più insinuarsi al passivo, essendo stato il fallimento già chiuso, fermi restando i problemi appena esaminati connessi all'insinuazione tardiva, e fermo restando che anche in caso di insinuazione tardiva la partecipazione sarebbe limitata ai riparti successivi (Limitone, 962). Le soluzioni proposte vanno da quella (processuale) di ritenere che il convenuto in revocatoria già in caso di soccombenza in primo grado (e di pagamento per effetto della provvisoria esecutività della stessa) possa insinuarsi al passivo del fallimento con riserva subordinata all'esito dei gravami; a quella (sostanziale) di ritenere che il soccombente debba restituire non l'intera somma revocata, ma la stessa decurtata di quella percentuale di cui egli avrebbe potuto ottenere l'insinuazione e successivo pagamento in sede di riparto, di fatto opponendo nei confronti del cessionario il credito da restituzione che si sarebbe potuto far valere nei confronti del fallimento.

Al di fuori delle ipotesi di chiusura del fallimento si pone comunque il problema della determinazione dell'entità della somma che il ceduto soccombente può insinuare al passivo (Limitone, 962). Ad una tesi che ritiene che l'insinuazione concerna l'intera somma restituita si contrappone la tesi secondo cui la restituzione concerne la sola somma incassata dal fallimento per la cessione (Patti — Nardecchia — Bosticco, 771).

Tematica di rilievo è quella, in caso di revocatoria, della reviviscenza delle garanzie che assistevano il credito soddisfatto con il pagamento revocato (Cavallini-Gaboardi, 334), da alcuni affermata (Bertacchini, 1458), anche se viene sottolineato che non si rinvengono concreti argomenti normativi a supporto della tesi favorevole (Bonfatti, 2016, 624), eccezion fatta per le fideiussioni contenenti espressamente la clausola di reviviscenza (Bonfatti, 2016, 624) e per i privilegi generali, ma non quelli speciali (Limitone, 961). Discussa, in particolare, l'applicabilità dell'art. 2881 c.c. in tema di ipoteche, atteso che la norma si riferisce a ipotesi di declaratoria di nullità della causa estintiva dell'obbligazione (Bonfatti, 2006, 1101), anche da altri viene invocata l'ipotesa di inesistenza, per qualunque causa del pagamento, (Benedetti, 753).

La tematica affrontata dalla previsione in esame risente, ovviamente, dell'influsso dell'orientamento favorevole a riconoscere alla revocatoria natura costitutiva, con conseguente efficacia ex nunc della sentenza (Cass. S.U., n. 6538/2010; Cass. I, n. 14896/2009; Cass. S.U., n. 11594/2001).

Nonostante tale orientamento, la possibilità per il soccombente in revocatoria che abbia restituito quanto ricevuto di insinuarsi al passivo anche se la restituzione non sia avvenuta sulla base di una sentenza definitiva viene affermata dalla Suprema Corte sia perché in questo caso la statuizione condannatoria sarebbe meramente dipendente dall'effetto costitutivo (ammettendosi l'anticipazione dell'effetto di condanna rispetto a quello costitutivo) sia sulla base del dato testuale dell'art. 70, che non subordina l'insinuazione alla definitività della sentenza (Cass. I, n. 16737/2011), mentre alcuni giudici di merito hanno aderito alla tesi per cui il soccombente in revocatoria che abbia restituito i pagamenti dichiarati inefficaci avrebbe diritto ad insinuarsi al passivo ed a conseguire l'accantonamento della somma in pendenza dei gravami, ai sensi dell'art. 113 l.fall. (Trib. Roma 9 maggio 2012, Fall. 2012, 881; Trib. Latina, 24 maggio 2012, Dir. Fall. 2013, II, 315).

Il soggetto rimasto soccombente nella revocatoria non può compensare il debito restitutorio con il credito che egli abbia insinuato al passivo (Cass. I, n. 27518/2008; Cass. I, n. 2044/2002).

Articolata è la posizione della giurisprudenza di legittimità sulla reviviscenza delle garanzie. Se si è affermato che la reviviscenza dell'originaria obbligazione, è accompagnata dalla reviviscenza delle relative garanzie, se prestate dal debitore principale, ma non di quelle prestate da terzi, alla luce della eccezionalità della previsione dell'art. 2881 c.c. (Cass. III, n. 21585/2004, peraltro in tema di fideiussione ed al di fuori della tematica della revocatoria; Cass. I, n. 8156/2002, invece proprio con riferimento alla revocatoria); si è però ritenuta valida – e non soggetta all'art. 1341 c.c. — la clausola dei contratti di fideiussione che prevedeva la reviviscenza dell'obbligazione di garanzia per il caso di revoca dei pagamenti effettuati dal debitore garantito (Cass. I, n. 3011/2008; Cass. I, n. 25361/2008).

Bibliografia

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