Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 67 bis - Patrimoni destinati ad uno specifico affare 1Patrimoni destinati ad uno specifico affare 1
Gli atti che incidono su un patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a) del codice civile, sono revocabili quando pregiudicano il patrimonio della società. Il presupposto soggettivo dell'azione è costituito dalla conoscenza dello stato d'insolvenza della società. [1] Articolo inserito dall'articolo 53 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoIntrodotta nel 2006 per disciplinare la revocatoria degli atti incidono su un patrimonio destinato ai sensi dell'articolo 2447-bis, comma 1, lett. a), c.c. la norma condiziona espressamente la possibilità di procedere alla revocatoria al fatto che l'atto che ha inciso sul patrimonio abbia, di riflesso, pregiudicato il patrimonio della società (Scarafoni, 940), e costituisce conseguenza della scelta del legislatore di non attrarre nella procedura concorsuale il patrimonio destinato, conservando una gestione separata dello stesso (Muratori-Ventoruzzi, 278; Scarafoni, 940). Tale gestione, anche se controllata dal curatore, infatti, non rientra nella procedura fallimentare (Scarafoni, 940). La formulazione della norma evidenzia come la stessa si occupi della sola revocatoria di atti che, pur riguardando il patrimonio destinato, risultano di pregiudizio ai creditori sociali, mentre non si occupa della revocatoria di atti che vengono a ledere direttamente i creditori particolari del patrimonio destinato (Scarafoni, 940). Proprio la presenza, come presupposto, del pregiudizio al patrimonio della società pone il problema di individuare le ipotesi in cui un tale pregiudizio di riflesso possa integrarsi, atteso che il regime della separazione dovrebbe proprio evitare tali riflessi (Scarafoni, 940), considerato, in particolare, che il regime specifico del patrimonio separato (art. 2447-quinquies c.c.) mira a limitare la responsabilità della società per le obbligazioni contratte nella sua gestione (Scarafoni, 940). Nel concreto, però, se è vero che il patrimonio separato resta immune rispetto alle pretese dei creditori della società, non è vero l'inverso, in quanto i creditori del patrimonio possono, in certi casi, invocare la responsabilità illimitata della società (Scarafoni, 940). Si tratta delle ipotesi di cui agli artt. 2447-quinquies, terzo comma; 2447-septies, ultimo comma; 2447-quinquies, terzo e quarto comma, c.c., nelle quali, in caso di incapienza del patrimonio destinato, risponde in via illimitata la società (Scarafoni, 940). Sono queste, quindi, le ipotesi in cui ex art. 156, secondo comma, i creditori particolari del patrimonio destinato incapiente hanno diritto di insinuarsi al passivo del fallimento (Benedetti, 706; Muratori-Ventoruzzi, 288; Scarafoni, 940). Si ritiene di aggiungere a tali ipotesi sia quella dell'art. 155, secondo comma, e cioè della cessione o liquidazione del patrimonio destinato ancora capiente, giacché l'atto che abbia depauperato il patrimonio separato viene a ridurre il suo residuo attivo acquisito al fallimento (Benedetti, 707; Scarafoni, 941; Santosuosso, 308 contra Muratori-Ventoruzzi, 290, che osservano che in tal modo di fatto verrebbe sostanzialmente neutralizzato il presupposto specifico del pregiudizio), sia quella di atti che pregiudichino i frutti e proventi del patrimonio separato, atteso che su di essi i creditori sociali potrebbero far valere i loro diritti ex art. 2447-quinquies (Benedetti, 707; Scarafoni, 941; Santosuosso, 308), anche se si obietta che tale quota inerisce non il patrimonio destinato, ma lo stesso patrimonio della società, e che pertanto atti che incidano su tale quota dovrebbero essere revocabili secondo le regole generali (Muratori-Ventoruzzi, 290). La fattispecieAlla luce di tali presupposti, la fattispecie della norma in esame sono: l'atto; l'incidenza di quest'ultimo sul patrimonio destinato ex art. 2447-bis, comma 1, lett. a), c.c. — cosiddetto patrimonio «operativo» od «industriale» (Muratori-Ventoruzzi, 275; Scarafoni, 941), mentre la norma non opera per il patrimonio destinato c.d. «finanziario» (Benedetti, 702; Bertacchini, 1441; Santosuosso, 314) — il pregiudizio che tale incidenza crea sul patrimonio della società; la conoscenza dello stato d'insolvenza della società in capo a coloro che pongono in essere l'atto (Scarafoni, 941). Va peraltro sottolineato che la norma non descrive direttamente gli atti che possono essere alla base della revocatoria, dal che si desume che il legislatore abbia indirettamente richiamato l'art. 67 e le ipotesi ivi previste (Benedetti, 703; Muratori-Ventoruzzi, 286; Patti — Nardecchia – Bosticco, 753; Pellegrino, 402; Scarafoni, 941), con conseguente richiamo anche del regime complessivo, quanto a limiti temporali (Pellegrino, 404; Scarafoni, 941; contra Benedetti, 714; Bertacchini, 1443; Muratori-Ventoruzzi, 293, che invece ritengono applicabile unicamente la previsione dell'art. 69-bis) ed esenzioni (Scarafoni, 941), anche se le peculiarità della norma non possono non incidere sull'applicabilità dei meccanismi dell'art. 67 (Scarafoni, 941). Secondo una ricostruzione, quindi, gli atti passibili di revocatoria sarebbero quelli mediante i quali il patrimonio destinato viene utilizzato – violando il meccanismo di segregazione – per pagare debiti, costituire garanzie, o procurare controprestazioni a vantaggio della società (Pellegrino, 402); mentre altra tesi ritiene che la norma prenda in considerazione gli atti «iniqui» intercorsi tra società «gemmante» e «cellula» e posti in essere dalla società a beneficio del patrimonio dstinato ed in danno del patrimonio sociale (Fimmanò, 1053). In sintesi, la funzione della norma sarebbe quella di consentire, in certi casi, l'applicazione della norma di cui all'art. 67 al patrimonio destinato, sebbene lo stesso non sia acquisito al fallimento (Santosuosso, 307; Scarafoni, 941; Benedetti, 701), allo scopo di ripristinare in concreto la separazione patrimoniale violata dagli atti medesimi, tutelando non solo i creditori del patrimonio, quanto anche i creditori della società, le cui ragioni vengono compromesse dal depauperamento del patrimonio (Pellegrino, 402-403). Sembrano restare al di fuori dell'ambito di applicazione della norma le disposizioni «interne» tra patrimonio e società, in quanto — soprattutto nei casi di depauperamento del patrimonio destinato a favore della società, o di disposizioni tra diversi patrimoni destinati – la revocatoria verrebbe a reintegrare proprio il patrimonio destinato, estendendo allo stesso la disciplina concorsuale, in modo contrario al dato normativo (Beneetti, 703; Muratori-Ventoruzzi, 285; Pellegrino, 395; Santosuosso, 308). Ciò si traduce nel ritenere che la fattispecie in esame abbia come necessario presupposto il compimento di un atto con un soggetto terzo estraneo alla società (Muratori-Ventoruzzi, 285). L'incidenza dell'atto ed il pregiudizio al patrimonio socialePresupposto fondamentale è che l'atto abbia interessato un bene od un rapporto incluso nel patrimonio destinato (Scarafoni, 941). A tale presupposto si aggiunge quello del pregiudizio riflesso al patrimonio sociale, e cioè un elemento che non è contemplato invece nell'art. 67, che non richiede l'esistenza del danno come presupposto della revocatoria, ed anzi in alcune ipotesi lo presume in via assoluta (Scarafoni, 942). Proprio l'espressa previsione di tale danno nell'ipotesi in commento, impedisce di costruire alcuna forma di presunzione di danno (Scarafoni, 942), ed impone al curatore che agisca in revocatoria di allegare e, soprattutto, dimostrare il danno medesimo (Benedetti, 705; Muratori-Ventoruzzi, 289; Patti — Nardecchia – Bosticco, 755; Scarafoni, 942). Da ciò si desume la difficoltà di dedurre e provare la sussistenza di tale danno nei casi del pagamento di un credito liquido ed esigibile o del compimento di un atto a titolo oneroso, in quanto la revoca di tali atti non dovrebbe apportare beneficio al patrimonio della società (Muratori-Ventoruzzi, 287; Scarafoni, 942). Ulteriormente, la revocatoria in questione non dovrebbe essere esperibile né quando l'attivo fallimentare sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori (Santosuosso, 309; Scarafoni, 942), né quando il beneficio derivante al patrimonio generale dalla revoca sia interamente compensato dall'insinuazione del creditore particolare che trovi piena soddisfazione in sede di riparto (Scarafoni, 942), ed anzi, qualora il curatore – per effetto della revocatoria – recuperi un bene o una somma ma abbia già soddisfatto tutti i creditori con l'attivo fallimentare, dovrebbe restituirli al soggetto che ha subito revocatoria e non al fallito (Scarafoni, 943; Santosuosso, 310-311). Il requisito soggettivoLa norma sembra chiedere fissare come presupposto generale della revocatoria in esame la conoscenza dello stato di insolvenza della società, laddove ben diverso è il regime dell'art. 67, che in alcune fattispecie richiede, semmai, la prova dell'inscientia decoctionis. La formulazione della previsione pone, quindi, un problema applicativo concreto, tenuto anche conto del fatto che la revocatoria ha ad oggetto un atto che concerne il patrimonio separato, laddove l'elemento soggettivo dovrebbe riguardare lo stato di insolvenza della società (Scarafoni, 943). Si ritiene, conseguentemente, che nel caso in esame l'elemento oggettivo debba essere sempre provato dal curatore anche qualora l'atto risulti riconducibile nelle ipotesi di cui al primo comma dell'art. 67, per le quali non è richiesta detta prova (Muratori-Ventoruzzi, 291; Patti — Nardecchia – Bosticco, 755; Santosuosso, 309; Scarafoni, 944), anche se ciò avrebbe come conseguenza sia la non revocabilità degli atti posti in essere con la piena consapevolezza dell'incapienza del patrimonio destinato, tutte le volte che il curatore non riesca a dare la prova della conoscenza, da parte del convenuto, dello stato d'insolvenza della società (Bonfatti, 608), sia la non revocabilità degli atti posti in essere con la piena consapevolezza dell'incapienza del patrimonio destinato ed anche dello stato d'insolvenza della società, tutte le volte che il curatore non riesca a dare la prova del pregiudizio al patrimonio sociale, con un risultato marcatamente favorevole alla concezione indennitaria della revocatoria (Bonfatti, 608). Ulteriormente, il dato normativo sarebbe incompatibile con l'applicazione di qualsivoglia meccanismo presuntivo, in quanto il carattere «anomalo» dell'atto dispositivo potrebbe al più far presumere la crisi del patrimonio separato, ma non l'insolvenza della società (Benedetti, 709; Jorio, 451; Muratori-Ventoruzzi, 291; Scarafoni, 944). Altra tesi, tuttavia, ritiene che il richiamo al presupposto della scientia decoctionis andrebbe inteso come delimitazione dell'ambito di operatività della previsione alle tipologie di atti che, ex art. 67, tale presupposto richiedono, e cioè agli atti a titolo oneroso, senza tuttavia incidere sui diversi regimi che l'art. 67 detta in relazione all'elemento soggettivo, con conseguente operatività anche delle presunzioni (Pellegrino, 404-405). Si pone, poi, il problema di stabilire se il curatore debba provare anche la consapevolezza del pregiudizio al patrimonio della società, ma proprio l'autonomia del patrimonio separato rispetto a quest'ultimo indice ad escludere un simile approdo, atteso che la conoscenza di tale circostanza verrebbe a dipendere da elementi che potrebbero essere del tutto ignoti al terzo, e che peraltro il pregiudizio al patrimonio della società potrebbe manifestarsi in un momento successivo al compimento dell'atto (Muratori-Ventoruzzi, 291; Patti — Nardecchia – Bosticco, 755; Santosuosso, 310; Scarafoni, 944). Le conseguenze della revocaLa norma non si preoccupa delle conseguenze della revoca, e quindi né delle modalità con cui avviene la reintegrazione, né dell'individuazione del patrimonio a favore del quale opera la revoca dell'atto (Scarafoni, 945). Se il presupposto del danno al patrimonio della società induce a ritenere che la reintegrazione vada a favore del fallimento, tenuto anche conto che il curatore agisce proprio per reintegrare il patrimonio della società (Scarafoni, 941), per altro verso non va dimenticato che il danno per la società è solo il riflesso del depauperamento del patrimonio destinato, che rimane tale anche dopo il fallimento, sicché si dovrebbe ritenere che la reintegrazione vada a favore del patrimonio stesso (Benedetti, 713; Muratori-Ventoruzzi, 293; Pellegrino, 403; Santosuosso, 310). Secondo tale seconda opinione solo qualora, prima dell'esito della revocatoria, il curatore abbia ceduto in blocco o liquidato il patrimonio ex art. 155 l.fall., l'effetto restitutorio dovrebbe operare necessariamente a vantaggio del patrimonio sociale (Muratori-Ventoruzzi, 294; Santosuosso, 311). La considerazione che lo scopo della revocatoria è la reintegra della massa fallimentare, induce, tuttavia, altri ad optare per la prima tesi (Scarafoni, 945), con la conseguenza che il destinatario della revoca dovrebbe far valere il proprio credito solo nell'ambito della liquidazione separata del patrimonio separato e non mediante la domanda di ammissione al passivo del fallimento ex art. 70 (Scarafoni, 951). Chi invece opta per la tesi della reintegra a favore del patrimonio destinato, deduce che il creditore soccombente in revocatoria potrà, a quel punto, attivare il meccanismo della liquidazione ordinaria ex art. 2447-novies o comunque beneficiando della liquidazione separata chiesta ex art. 156 dalla curatela (Muratori-Ventoruzzi, 293; Santosuosso, 310), salva facoltà di insinuarsi al passivo del fallimento per effetto della responsabilità solidale e sussidiaria della società (Muratori-Ventoruzzi, 294; Pellegrino, 403). L'applicabilità della disciplina alle altre fattispecieSe è vero che il riferimento primario del riferimento che la norma opera agli atti revocabili sembra costituito dall'art. 67 l.fall., è anche vero che non vi sono elementi concreti per ritenere che tra tali atti possano rientrare anche le ipotesi di revocatoria ordinaria ex artt. 2901 c.c. e 66 l.fall., considerata l'omogeneità tra quest'ultima revocatoria e quella fallimentare (Benedetti, 704; Muratori-Ventoruzzi, 286; Patti — Nardecchia – Bosticco, 753; Santosuosso, 311; Scarafoni, 945). Vengono invece esclusi sia gli atti a titolo gratuito previsti dall'art. 64 sia i pagamenti previsti dall'art. 65 l.fall., trattandosi di ipotesi di vera e propria inefficacia, distinta dalla revocatoria, in quanto risultato di un effetto automatico del fallimento oggetto di una sentenza di mero accertamento (Benedetti, 704; Muratori-Ventoruzzi, 286; Patti — Nardecchia – Bosticco, 753; Santosuosso, 311 Scarafoni, 945), anche se tale interpretazione viene ad integrare una disparità di trattamento dei creditori (Benedetti, 704; Scarafoni, 945). La revoca della deliberazione costitutiva del patrimonio destinatoIl tenore letterale della previsione conforta la tesi che escluda dal suo ambito di applicazione l'atto di vera e propria costituzione del patrimonio destinato, che è peraltro atto che concerne il patrimonio della stessa società e non il patrimonio che con la delibera viene costituito (Benedetti, 710; Jorio, 451; Muratori-Ventoruzzi, 280; Ronco, 1213; Pellegrino, 395; Porzio, 353; Santosuosso, 313; Scarafoni, 946). La revocabilità di quest'ultimo atto viene esclusa da coloro che ritengono che il rimedio per i creditori della società sia la sola opposizione ex art. 2447-quater c.c., omessa o respinta la quale, non vi sarebbe spazio per una successiva revocatoria (Benedetti, 711; Muratori-Ventoruzzi, 283; Patti — Nardecchia – Bosticco, 753; Scarafoni, 946). A tale argomentazione si affianca quella che evidenzia che la delibera in sé non configura una disposizione patrimoniale in senso tecnico, ma costituisce atto di organizzazione aziendale (Muratori-Ventoruzzi, 282; Fimmanò, 1055)) che si limita ad imprimere ai beni un vincolo, senza che tuttavia si possa parlare di atto a titolo gratuito, non essendovi un soggetto che se ne avvantaggia, risultando così preclusa la revocatoria (Benedetti, 711; Scarafoni, 946). Si osserva, ulteriormente, che ammettere la revocabilità dello stessa costituzione del patrimonio separato, verrebbe in gran parte a depotenziare lo stesso strumento dell'art. 67-bis, cui il curatore verrebbe a ricorrere solo qualora gli sia preclusa (per prescrizione o per altre ragioni) la revocatoria della costituzione (Muratori-Ventoruzzi, 281). Altre opinioni ammettono invece la revocatoria (Bertacchini, 1443; Santosuosso, 314), argomentando che i profili deducibili con la stessa non sarebbero coincidenti con quelli dell'opposizione (la quale peraltro costituirebbe rimedio speciale rispetto al rimedio generale della revocatoria). È stato, del resto, argomentato che vi sarebbe differenza fra i due strumenti di tutela, in quanto l'opposizione impedirebbe in radice la creazione del patrimonio e tutelerebbe i singoli creditori, mentre la revocatoria lo renderebbe a posteriori inefficace e tutelerebbe la generalità dei creditori (Fimmanò, 1065). Coloro che ammettono la revocabilità direttamente dell'atto di costituzione del patrimonio destinato, accostano la figura a quella dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, affermando, conseguentemente, la possibilità di pervenire alla declaratoria di inefficacia ex art. 64 l.fall. (Scarafoni, 946). Altri invece ritengono che la revocatoria debba interessare non la costituzione in sé ma gli atti dispositivi di apporto nel patrimonio, con conseguente applicabilità non solo dell'art. 64, ma anche degli artt. 66 e 67 (Fimmanò, 1056, che richiama le ipotesi di cui all'art. 67, comma 1, nn. 3) e 4), nonché l'art. 67, comma 2) l.fall., anche se alla tesi della revocabilità degli «atti di dotazione» si obietta che, ex art. 2447-ter c.c., la delibera istitutiva del patrimonio destinato deve già indicare i beni e rapporti giuridici compresi nel patrimonio medesimo (Muratori-Ventoruzzi, 282; Patti — Nardecchia – Bosticco, 754). La revoca dei finanziamentiL'ambito di applicazione della norma è limitato alla revocatoria degli atti relativi ai patrimoni destinati «operativi» od «industriali», e non si occupa dei patrimoni destinati «finanziari». Ne consegue che la revocabilità degli atti concernenti questi ultimi — contratto di finanziamento, garanzie eventuali nello stesso previste, i rimborsi effettuati con i proventi dell'affare – rientra nella sfera generale di operatività dell'art. 67 (Bertacchini, 1441; Santosuosso, 314; Scarafoni, 947). Si deve però tenere conto del fatto che ex artt. 2447- decies c.c. e 72-ter l.fall., il contratto non si scioglie ed anzi prosegue, se il fallimento non impedisce la realizzazione dell'affare (Bertacchini, 1441; Santosuosso, 314); e che per contro se il fallimento impedisce la realizzazione dell'affare, il contratto di finanziamento si scioglie, ma il finanziatore ha diritto d'insinuazione al passivo per il suo credito, detratte le somme per i proventi dell'affare già maturati, ed i relativi frutti (Scarafoni, 947; Fimmanò, 1061). BibliografiaBenedetti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. – sez. VII: I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014; Bertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano, 2016; Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Didone (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali, Milano, 2016; Fimmanò, Articolo 67-bis - Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Jorio-Fabiani (diretto da e coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006; Jorio, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Ambrosini, Cavalli, Jorio, Il Fallimento - Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova 2009; Muratori-Ventoruzzi, Art. 67-bis – Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge Fallimentare, I, Milano, 2010; Nigro, Sub art. 67-bis, in Nigro-Sandulli-Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Milano, 2010; Patti - Nardecchia - Bosticco, Art. 67-bis, in Lo Cascio (a cura di), Codice Commentato del Fallimento, Milano, 2015; Pellegrino, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Vitalone, Patroni Griffi, Riedi (a cura di), Le azioni revocatorie: la disciplina, il processo, Milano, 2014; Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Buonocore-Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova 2010; Ronco, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, I, Milano, 2016; Santosuosso, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Ghia-Piccininni-Severino (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, II, Torino, 2010; Scarafoni, Sub art. 67-bis, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014. |