Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 75 - Restituzione di cose non pagate.

Alessandro Farolfi

Restituzione di cose non pagate.

 

Se la cosa mobile oggetto della vendita è già stata spedita al compratore prima della dichiarazione di fallimento di questo, ma non è ancora a sua disposizione nel luogo di destinazione, né altri ha acquistato diritti sulla medesima, il venditore può riprenderne il possesso, assumendo a suo carico le spese e restituendo gli acconti ricevuti, sempreché egli non preferisca dar corso al contratto facendo valere nel passivo il credito per il prezzo, o il curatore non intenda farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale.

Inquadramento

L'attuale legge fallimentare, a differenza del Codice di commercio del 1882, contiene una disciplina specificamente dedicata al tema degli effetti che il fallimento produce sui rapporti giuridici preesistenti (o meglio pendenti) al momento dell'apertura del procedimento concorsuale. Si tratta di ben sedici articoli, dal 72 all'83-bis, di cui il primo è dedicato ai principi generali, mentre i successivi riguardano rapporti contrattuali specifici. L'art. 1 comma 6 della legge delega n. 80/2005 su questo argomento aveva fissato, quali principi direttivi a) l'ampliamento dei termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti; b) la previsione di una disciplina specifica per i patrimoni destinati; c) l'introduzione di una disciplina ad hoc per i contratti di locazione finanziaria. Si è notato come la riforma del 2006-2007 abbia in realtà riformato la materia più in profondità di quanto era lecito attendersi (Bonfatti – Censoni, 319) e che il principio generale oggi applicabile, in assenza più specifica e diversa disciplina, sia quello secondo cui l'esecuzione del contratto ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti al momento del fallimento rimanga sospesa, fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo. A tutela del contraente non fallito — che rischierebbe in questo modo di trovarsi in un limbo indefinito non sapendo, in quanto creditore, se e quando la prestazione gli verrà fornita, ovvero, qualora debitore, dovendo continuamente tenersi pronto all'adempimento – è stata prevista una sorta di actio interrogatoria. Il terzo contraente in bonis può cioè rivolgersi al g.d. affinché questi metta così in mora il curatore, assegnandogli un termine non superiore a 60 giorni per effettuare la propria scelta, decorso inutilmente il quale il contratto dovrà intendersi sciolto. Una disciplina diversa è prevista in relazione a specifici contratti o rapporti, a seconda della prevalenza che il legislatore ha inteso assegnare all'interesse della procedura o del contraente non fallito a dare esecuzione al rapporto, ovvero sciogliersi da esso, in alcuni casi tutelando una situazione di fatto già acquisita, in altri compensando lo scioglimento del rapporto con il riconoscimento al terzo di un indennizzo in prededuzione. Va aggiunto, dal punto di vista generale, che recentemente (1° febbraio 2017) è stato approvato in prima lettura, dalla Camera dei deputati, un disegno di legge di riforma organica delle procedure concorsuali (c.d. Dis. Legge Rordorf, dal nome del Presidente della Commissione che ne ha redatto il testo iniziale), il cui art. 7 contiene – al comma 6 – alcuni principi direttivi in tema di disciplina dei rapporti giuridici pendenti. Tali principi si muovono lungo una direttrice di integrazione della discplina attuale «...a) limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura; b) prevedendo lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguano con il consenso della controparte; c) dettando un'autonoma regolamentazione del contratto preliminare, anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire».

Ambito e ratio della norma

L'art. 75, più in particolare, fa parte di un gruppo di ben sei norme dedicate al contratto di vendita od a rapporti affini, essendo specificamente rivolto a disciplinare il caso del fallimento del compratore che sopravvenga, in un contratto di vendita di cose mobili da consegnare, quando la consegna non si è ancora verificata nel luogo di destinazione. In tal caso al venditore è concesso il beneficio del c.d. stoppage in transitu. La ratio della disposizione vuole introdurre una speciale forma di tutela, di carattere reale, al venditore quando, appunto, il fallimento del compratore viene dichiarato mentre le merci a lui vendute sono ancora in viaggio e, pertanto, devono ancora arrivare a destinazione. La norma realizza una sorta di diritto di seguito sul bene ed una forma impropria di diritto di ritenzione sulla res venduta, che si esercita non soltanto quando il bene, come ovvio, venga trasportato direttamente a destinazione con mezzi e personale del venditore, ma anche quando, dal punto di vista puramente civilistico, l'alienante abbia perso il possesso del bene, rimettendolo ad un vettore esterno. Questo istituto è conosciuto anche in ordinamenti stranieri; ad es. il Sale of goods Act inglese del 1893 ai paragrafi 44 e ss. e come nel nostro sistema presuppone che il venditore non sia stato pagato (c.d. unpaid seller) .

Applicazione della norma ed effetti

La portata della norma può essere compresa soltanto coordinando il testo letterale dell'art. 75 l.f. con la disciplina civilistica della vendita di cose mobili da piazza a piazza. Afferma, infatti, l'art. 1510 comma 2 c.c. che nella vendita di cose mobili, se la cosa deve essere trasportata da un luogo di partenza ad uno di destinazione, il venditore si libera dall'obbligo di consegna della res semplicemente rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere (salvo uso o pattuizione contraria). Del pari, quando si tratti di cose determinate soltanto nel genere (ad es. una certa quantità di grano, un certo quantitativo di latte, ecc.) il trasferimento, in base all'art. 1378 c.c. avviene al momento della loro individuazione, che coincide con la consegna al vettore o allo spedizioniere. Da un punto di vista civilistico, quindi, saremmo di fronte a contratti che sono stati – mediante detta consegna – completamente eseguiti dal venditore. Invece la norma vuole prestabilire una speciale forma di tutela per il venditore nel caso in cui il fallimento intervenga quando la cosa è già «in viaggio» ma non ancora arrivata a destinazione nella disponibilità dell'acquirente fallito. Infatti, in tal caso, anche se l'alienante non possa esercitare il c.d. contrordine di cui all'art. 1685 c.c., questi potrà eccezionalmente riprendere il possesso della cosa, sostenendo le relative spese e restituendo gli eventuali acconti già ricevuti. L'esercizio del diritto assicurato dalla norma, ispirato come si è visto al c.d. stoppage in transitu di anglosassone memoria, mira a rimettere le parti nelle stesse condizioni iniziali: il fallito non dovrà sostenere alcun onere e riavrà in moneta piena gli eventuali acconti che avesse pagato prima del fallimento; l'alienante a sua volta riotterrà il bene, che potrà quindi liberamente commerciare, semplicemente sostenendo le spese per la restituzione della cosa «in transito» e restituendo l'eventuale acconto già ottenuto. Questa, tuttavia, è una semplice facoltà per il venditore. Egli potrebbe infatti non esercitare il diritto discendente dall'art. 75, rispettare quindi la già avvenuta conclusione del contratto ed il principio di cui all'art. 1372 c.c., secondo cui il contratto ha forza di legge fra le parti, e quindi preferire esercitare il credito che gli deriva dal contratto, cioè esigere il prezzo. Tuttavia per farlo dovrà naturalmente insinuarsi allo stato passivo ed il relativo credito dovrà ritenersi concorsuale e, quindi, chirografario posto che la causa dell'obbligazione non deriva dall'arrivo a destinazione della merce, ma dalla precedente conclusione del contratto, la cui esecuzione è iniziata prima della dichiarazione di fallimento. Si tratta, conseguentemente, di un credito anteriore, che sarà pagato in moneta fallimentare. Vi è quindi da credere che ogni qual volta l'alienante abbia notizia del fallimento del compratore prima dell'arrivo della merce a destinazione, sol che possa ricorrerà alla disposizione in esame, posto che al netto delle spese il valore residuo del bene potrebbe consentirgli di realizzare un prezzo di mercato ben superiore rispetto a quello, in percentuale molto spesso risibile, che riceverebbe a distanza di tempo in sede di (eventuale) riparto. In caso di perdita della res durante il viaggio all'alienante non resterà che insinuarsi al passivo per il prezzo di vendita. L'operatività della norma è tuttavia limitata da due condizioni: a) dal fatto che medio tempore nessun terzo abbia acquistato diritti sulla cosa (in altri termini lo speciale strumento di tutela apprestato dalla norma in esame opera nel campo della bilateralità, ma non può travolgere diritti nel frattempo acquisiti sulla cosa da soggetti terzi); b) dalla circostanza che il curatore preferisca ottenere la res in natura pagandone il prezzo: la scelta del curatore (che ad esempio potrebbe già aver reperito altro acquirente ad un prezzo maggiore, oppure potrebbe necessitare del bene perché essenziale nell'ambito di un esercizio provvisorio d'azienda) trasforma il credito per il prezzo – che come si è detto sarebbe anteriore al fallimento – in un credito prededucibile. In tal caso – appunto perché la tutela si sposta sul diritto all'incasso del prezzo in via antergata rispetto agli altri creditori che non siano a loro volta prededucibili – l'interesse del venditore diviene subvalente rispetto a quello del curatore.

La disposizione in esame non ha ricevuto ampie applicazioni giurisprudenziali. Del resto, la legittimazione al ricorso ad una sorta di autotutela che essa comporta, si presta a soluzioni che difficilmente raggiungono la ribalta delle riviste giuridiche. Peraltro, in ordine all'utilizzo di un istituto vicino, già previsto dal diritto comune, si è affermato: la facoltà del venditore di riprendere il possesso delle cose mobili vendute e non pagate, prevista dall'art. 1519 primo comma c.c., può essere esercitata anche dopo la dichiarazione di fallimento del compratore, ma alla condizione, evincibile dal terzo comma del citato articolo, che il venditore medesimo dimostri la conoscenza da parte dei creditori del compratore, al momento della dichiarazione di fallimento, del mancato pagamento del prezzo. Questa condizione opera anche nel caso in cui il curatore del fallimento non abbia impugnato la sentenza di condanna del compratore alla restituzione dei beni poiché, anche quando il credito del venditore della cosa non è contestato dagli organi fallimentari, la richiesta di restituzione della merce pone il problema dell'opponibilità o meno, di essa alla massa fallimentare (Cass. n. 2336/1975). In termini più generali si è osservato che nella vendita con spedizione disciplinata dall'art. 1510, comma 2, c.c., il contratto di trasporto concluso tra venditore-mittente e vettore, pur essendo collegato da un nesso di strumentalità con il contratto di compravendita concluso tra venditore-mittente ed acquirente-destinatario, conserva la sua autonomia ed è, pertanto, soggetto alla disciplina dettata dagli art. 1683 ss. c.c., con la conseguenza che il venditore-mittente, anche dopo la rimessione delle cose al vettore, conserva la titolarità dei diritti nascenti dal contratto di trasporto — ivi compreso quello al risarcimento del danno da inadempimento — fino al momento in cui, arrivate le merci a destinazione (o scaduto il termine entro il quel esse sarebbero dovute arrivare), il destinatario non ne richieda la riconsegna al vettore, ex art. 1689, comma 1 c.c. (Cass. n. 553/2012). La consegna al vettore della merce non segna generalmente la conclusione del contratto ma corrisponde all'esecuzione di un'obbligazione discendente da un contratto già concluso. Tuttavia la consegna è rilevante sotto il profilo del momento in cui si verifica il trasferimento della proprietà, cioè che può a sua volta rilevare in materia fiscale: in tema d'imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, in caso di acquisto di merce affidata a terzi per il trasporto, ai sensi dell'art. 1510, comma 2, c.c., a cui la norma tributaria rimanda, l'effetto traslativo si considera verificato alla data della spedizione, quale risulta dai documenti che accompagnano la merce, a meno che le condizioni dello specifico contratto, che è onere del contribuente allegare, non indichino un momento diverso, sicché, in base alla regola generale di cui all'art. 75 (attuale 109), comma 2, lett. a, del d.P.R. n. 917/1986, il relativo costo si considera sostenuto e va, quindi, imputato all'esercizio dell'anno in cui il bene è stato spedito (Cass. n. 16771/2016).

Bibliografia

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