Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 78 - Conto corrente, mandato, commissione 1 .Conto corrente, mandato, commissione1.
I contratti di conto corrente, anche bancario, e di commissione, si sciolgono per il fallimento di una delle parti. Il contratto di mandato si scioglie per il fallimento del mandatario. Se il curatore del fallimento del mandante subentra nel contratto, il credito del mandatario è trattato a norma dell'articolo 111, primo comma, n. 1), per l'attività compiuta dopo il fallimento. [1] Articolo sostituito dall'articolo 64 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLa precedente formulazione dell'art. 78 accomunava la sorte del contratto di conto corrente, di mandato e di commissione, stabilendo che in ogni caso di fallimento di una delle parti il contratto era destinato a sciogliersi. Prevaleva infatti la considerazione che i rapporti di durata basati sulla relazione fiduciaria con la controparte non potevano proseguire, mentre analoga esigenza doveva valere anche per il contratto di conto corrente, al fine di evitare registrazioni successive alla dichiarazione di fallimento, operando piuttosto una cristallizzazione dei rapporti di dare ed avere, riconducibili alla ratio dell'art. 55 l.fall. ed a quella che pure si è vista con riferimento all'art. 76 l.fall. Con il d.lgs. n. 5/2006, invece, tale regola è stata riconfermata per il conto corrente (con la precisazione che tale scioglimento opera anche per il contratto di conto corrente bancario) e per la commissione. Si è invece introdotta una distinzione per il caso del mandato: se a fallire è il mandatario, opera senz'altro la regola tradizionale dello scioglimento del contratto, mentre non è regolato il caso del fallimento del mandante, sì che tale ipotesi deve ritenersi regolata dai principi comuni in tema di rapporti pendenti alla data del fallimento, con la conseguente possibilità del curatore di sciogliersi o subentrare nel contratto (cfr. art. 72). Utilmente la norma ricorda che in caso di subentro del curatore nella posizione contrattuale del mandante, il mandatario acquista un diritto che potrà far valere nel fallimento con il rango di credito prededucibile. Il favore della norma è tuttavia temperato dal fatto che non tutta l'attività del mandatario produce un credito prededucibile, ma soltanto quell'attività che sia posta in essere dopo il fallimento (in ciò può ravvisarsi una deroga rispetto al principio posto dall'art. 74, secondo cui il subentro del curatore rende integralmente dovuto, con carattere prededuttivo, anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già resi). Conto correnteIl conto corrente è definito dall'art. 1823 c.c. come quel contratto con il quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili fino alla chiusura del conto. Tale meccanismo di funzionamento sta alla base del rapporto di conto corrente bancario, al quale comunque non inopportunamente fa espresso riferimento la norma in esame, stabilendo che il conto corrente, anche bancario, si scioglie per il fallimento di una delle parti. Lo scioglimento del rapporto di conto corrente corrisponde alla regola della cristallizzazione posta dall'art. 55 l.fall., in base alla quale anche le obbligazioni pecuniarie non ancora scadute si reputano esigibili alla data del fallimento. È importante notare che lo scioglimento del conto correte bancario si estende ai contratti ad esso accessori, come la convenzione di assegno, i servizi di domiciliazione, la concessione di utilizzo di bancomat e carte di credito, l'apertura di credito sul conto, ecc... Nel caso in cui il conto rechi un saldo attivo, il curatore avrà diritto di acquisire la liquidità per versarla sul conto intestato alla procedura, ai sensi dell'art. 34 l.fall. Nell'ipotesi, invece, nella quale il conto sia passivo, la banca avrà semplicemente la possibilità di insinuarsi allo stato passivo del fallimento per l'importo corrispondente. Si ritiene che lo scioglimento del conto operi dalla pubblicazione della sentenza e che gli addebiti successivi siano inefficaci nei confronti della massa. A tale riguardo una giurisprudenza pressoché costante, in tema di inefficacia ex art. 44 l.fall., ritiene che l'anteriorità o posteriorità al fallimento del pagamento si colleghi all'effetto estintivo dell'obbligazione e non al momento della disposizione (si pensi all'assegno rilasciato dall'imprenditore prima del fallimento ed incassato dal prenditore in un momento successivo: è quest'ultimo momento che rileva ai fini della revocatoria o dichiarazione di inefficacia del pagamento). Nel caso di fallimento di un soggetto cointestatario del conto, invece, l'effetto di scioglimento si produce in relazione alla sola quota del fallito, che si presume uguale a quella degli altri cointestatari del conto (cfr. art. 1298 ult. comma c.c.) salva la prova da parte del curatore che la provvista deriva da esclusivi o maggiori apporti del fallito (nel qual caso la curatela avrà diritto di apprendere somme maggiori della quota parte formalmente riconducibile all'imprenditore). Con riferimento al momento in cui il pagamento rileva, ai fini della sua revocabilità o della dichiarazione di inefficacia (se successivo alla pubblicazione della sentenza di fallimento), si afferma da tempo che in tema di revocatoria fallimentare di pagamenti eseguiti con assegno bancario, l'effetto estintivo dell'obbligazione — e quindi il soddisfacimento del credito — non si realizza nel momento in cui il titolo viene emesso e consegnato al creditore ma in quello in cui viene riscosso; a tal fine avrà quindi rilievo la data di registrazione dell'addebito in conto corrente, essendo irrilevante la data della valuta, la quale riguarda solamente la decorrenza degli interessi (Trib. Milano, 13 gennaio 2009). Sulla girata dell'assegno tratto da un terzo, da parte del debitore ed in favore di un proprio creditore, si è recentemente osservato che in tema di revocatoria fallimentare, non costituisce pagamento del terzo ma adempimento diretto del debitore — e, come tale, revocabile nel concorso di tutti i necessari presupposti — il pagamento eseguito mediante l'invio, fatto da quest'ultimo al proprio creditore, di un assegno bancario tratto da un terzo, consegnato e trasferito al debitore poi dichiarato insolvente, il quale, divenutone proprietario, ha legittimamente esercitato i diritti incorporati nel titolo (Cass. n. 13611/2016). In ordine alla insinuazione della banca al passivo si è recentemente escluso un particolare valore probatorio degli estratti conto, richiedendosi piuttosto la data certa del contratto da cui origina il diritto fatto valere: l'insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria di un credito fondato su di un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta «ad substantiam», postula l'accertamento dell'anteriorità della data di quest'ultimo, ex art. 2704, comma 1, c.c., rispetto alla sentenza dichiarativa dell'insolvenza, in ragione della terzietà dell'organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali ed il debitore, senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso. Né la proposizione, in via subordinata, di domande riconvenzionali di nullità di specifiche clausole contrattuali e di ripetizione di indebito da parte del commissario è idonea a superarne la questione della data certa e, dunque, dell'opponibilità del contratto alla procedura, perché, quando la difesa della parte si articola in più domande subordinate, la verifica di compatibilità deve farsi nell'ambito di ciascuna di esse, implicandone la formulazione in via gradata il progressivo abbandono delle tesi già sostenute (Cass. n. 17080/2016). Sempre in tema di data certa, si è osservato che il contratto di conto corrente bancario, privo di data certa, non è opponibile al fallimento e risultano, comunque, nulle le clausole di tale contratto che prevedano la corresponsione di interessi superiori al tasso legale, determinati “secondo uso piazza”, e degli interessi sugli interessi (Cass. n. 4567/2016). In tema di patto di compensazione contenuto nel contratto bancario si è ritenuto che, a fronte di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute in epoca antecedente rispetto all'ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il fallimento (successivamente dichiarato) del correntista agisca per la restituzione dell'importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all'anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del diritto di "incamerare" le somme riscosse in favore della banca (cd. "patto di compensazione" o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto). Solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a "compensare" il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della "cristallizzazione dei crediti", con la conseguenza che né l'imprenditore durante l'amministrazione controllata, né il curatore fallimentare – ove alla prima procedura sia conseguito il fallimento — hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse anziché porle in compensazione con il proprio credito (Cass. n. 17999/2011). Questo tema mantiene una forte attualità anche in tema di concordato, ove è discusso se lo scioglimento del rapporto disposto dal giudice, ex art. 169-bis l.fall., possa o meno applicarsi e se – in caso affermativo – tale provvedimento comporti anche lo scioglimento di rapporti e patti accessori, come la clausola di compensazione (in senso favorevole App. Brescia, 1 giugno 2016). Per ulteriori approfondimenti si rinvia, peraltro, al commento all'art. 169 bis cit. CommissioneLa commissione è un contratto disciplinato dall'art. 1731 c.c. come quell'accordo che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario. Come tale esso è riconducibile al mandato senza rappresentanza. Tale aspetto giustifica l'immediato scioglimento che determina la pronuncia di fallimento di una delle parti del rapporto, posto che il meccanismo di funzionamento presuppone un intuitus fiduciae che l'intervenuto fallimento spezza definitivamente. Va notato che con la riforma del 2006 gli effetti del fallimento sul mandato sono stati modificati, in quanto lo scioglimento automatico in detto tipo contrattuale si verifica solo in caso di fallimento del mandatario. Tale distinzione non è stata invece recepita per la commissione, di cui è previsto lo scioglimento sia in caso di fallimento del committente, sia in caso di fallimento del commissionario. Tale effetto automatico viene, secondo tesi prevalente, applicato anche al contratto di agenzia. Si è ritenuto che l'art. 78 è applicabile ai contratti di agenzia con conseguente automatico scioglimento del contratto (Trib. Milano, 1 luglio 2010). Si è precisato altresì che nel contratto di commissione, che implica un mandato senza rappresentanza, è direttamente il commissionario ad acquistare o vendere i beni, pur se, solitamente, non è responsabile della corretta esecuzione del contratto stipulato per conto del committente, a meno che il contratto di commissione non preveda che il commissionario risponda personalmente anche per la corretta esecuzione ed adempimento del contratto da parte del terzo contraente (Trib. Salerno, 1 giugno 2016). MandatoLa norma disciplina in modo espresso lo scioglimento del rapporto di mandato in caso di fallimento del mandatario. In precedenza il medesimo effetto era stabilito anche per il caso di fallimento del mandante, che ora invece la norma opportunamente ha distinto. Si deve perciò ritenere che in caso di fallimento del mandante non operi più alcuno scioglimento automatico, ma valga la regola generale dell'art. 72, ciò che determina che il rapporto resti sospeso sino a quando il curatore non abbia deciso se sciogliersi dal rapporto o subentrare nello stesso. In tal caso la norma precisa, all'ultimo comma, che il credito del mandatario è trattato a norma dell'art. 111, comma 1, n. 1) per l'attività compiuta dopo il fallimento. Il fallimento, in altri termini segna una cesura, ed anche in caso di subentro del curatore nella posizione del mandante solo le attività compiute dopo l'apertura della procedura concorsuale da parte del mandatario generano, a favore di quest'ultimo, un credito prededucibile, restando invece credito anteriore quello relativo alle attività compiute ante fallimento. Va ricordato che per il caso del fallimento del mandatario l'art. 103 comma 2 – nel testo modificato nel 2007 — fa salve le disposizioni dell'art. 1706 c.c., secondo cui il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquisiti dai terzi per effetto del possesso di buona fede, mentre per gli immobili ed i mobili registrati è previsto un obbligo di ritrasferimento a carico del mandatario, azionabile anche ex art. 2932 c.c. Naturalmente la norma, rispetto alla curatela fallimentare, deve coordinarsi con l'art. 1707 c.c., che disciplina l'ipotesi di conflitto del mandante ed i creditori del mandatario, stabilendo la prevalenza del primo solo se – per i beni mobili – il mandato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento (leggasi dichiarazione di fallimento ex art. 45 l.fall.), mentre per i beni immobili od i mobili registrati occorre che l'anteriorità riguardi o la trascrizione dell'atto di ritrasferimento, o la trascrizione della domanda giudiziale del terzo volta ad ottenerlo. In questo modo l'operatività dell'art. 1706 nel fallimento è fortemente ridotta, per il possibile prestarsi di detta norma ad abusi e collusioni fra l'imprenditore fallito ed il terzo rivendicante. Si è ritenuto che, con riguardo ad un mandato in rem propriam che integri una cessione di credito con funzione solutoria, ancorché sia seguito dal fallimento del creditore cedente, l'effetto sostanziale dell'avvenuta cessione, che fa uscire il credito dal patrimonio del fallito prima della dichiarazione di fallimento (salva l'esperibilità della revocatoria fallimentare), non solo preclude l'applicazione dell'art. 78, ma neppure legittima gli organi della curatela alla revoca del mandato per giusta causa, ai sensi del secondo comma dell'art. 1723 c.c. (Cass. n. 15797/2009). Di rilievo la seguente affermazione: in tema di appalto di opere pubbliche stipulato da due imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento dell'impresa capogruppo, costituita mandataria dell'altra ai sensi dell'art. 23, comma ottavo, del d.lgs. n. 406/1991, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi dell'art. 78 della legge fall., con la conseguenza che l'impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall'appalto ad essa imputabile, ma tale azione non comprende i crediti maturati dopo il fallimento, il quale determina anche lo scioglimento dell'appalto, escludendo la configurabilità di una successione dell'impresa mandante nel relativo rapporto, la cui prosecuzione in via di mero fatto dà luogo ad un diverso rapporto, che attribuisce all'impresa mandante un titolo diretto per azionare nei confronti del committente i crediti originati dal suo apporto esclusivo (Cass. n. 3810/2010). Si è altresì osservato che in tema di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, qualora la società capogruppo e mandataria sia sottoposta ad amministrazione straordinaria con prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, il nominato commissario, in deroga a quanto previsto dagli articoli 77, 78 ed 81 l.fall., deve considerarsi subentrato nell'ATI, assumendo la medesima posizione contrattuale già facente capo alla predetta società «in bonis», tanto nei rapporti con l'ente appaltante che in quelli con le imprese mandanti. Ne consegue che il credito corrispondente alle somme complessivamente versate da detto ente alla mandataria per lavori eseguiti e fatturati (ancorché anteriormente all'inizio della procedura) da una delle imprese mandanti, di cui quest'ultima abbia chiesto l'ammissione al passivo della prima, deve qualificarsi come credito di massa (ed essere collocato in prededuzione) nella sola misura concernente i pagamenti effettuati al commissario dopo la data di inizio della descritta procedura, trovando esso titolo non nel contratto di appalto stipulato dall'ATI con l'ente pubblico, bensì nel mandato conferito alla capogruppo dalle partecipanti all'associazione, ed essendo sorto in capo alla mandataria, «in parte qua», il corrispondente obbligo di trasferire alle mandanti gli importi riscossi in nome e per conto loro contestualmente alla ricezione dei menzionati pagamenti (Cass. n. 21981/2012). Sullo stesso tema cfr. la più recente affermazione, secondo cui il rapporto interno caratterizzante un raggruppamento temporaneo di imprese costituito per lo svolgimento di un appalto è riconducibile al mandato – con la capogruppo quale mandataria delle altre partecipanti...ne discende pertanto che ogni singola impresa o soggetto associato può sicuramente fa valere ni confronti della mandataria l'eventuale responsabilità per il mancato adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto, senza che questa richiesta investa necessariamente la partecipazione degli altri associati (Cass. n. 17521/2016). Altra questione problematica concerne la possibilità o meno di invocare l'art. 78 sul mandato agli arbitri discendente da una clausola compromissoria; al riguardo si è ritenuto che nel caso di convenzione contenente una clausola compromissoria stipulata prima della dichiarazione di fallimento di una delle parti (nella specie, una clausola di arbitrato internazionale), il mandato conferito agli arbitri non è soggetto alla sanzione dello scioglimento prevista dall'art. 78, configurandosi come atto negoziale riconducibile all'istituto del mandato collettivo e di quello conferito anche nell'interesse di terzi. Tale interpretazione trova indiretta conferma nel disposto dell'art. 83-bis l.fall., atteso che, se il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito nel caso di scioglimento del contratto contenente la clausola compromissoria, deve, di contro, ritenersi che detta clausola conservi la sua efficacia ove il curatore subentri nel rapporto, non essendo consentito a quest'ultimo recedere da singole clausole del contratto di cui chiede l'adempimento (Cass. S.U., n. 10800/2015). 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