Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 109 - Procedimento di distribuzione della somma ricavata.Procedimento di distribuzione della somma ricavata.
Il giudice delegato provvede alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita secondo le disposizioni del capo seguente. Il tribunale stabilisce con decreto la somma da attribuire, se del caso, al curatore in conto del compenso finale da liquidarsi a norma dell'art. 39. Tale somma è prelevata sul prezzo insieme alle spese di procedura e di amministrazione1. [1] Comma modificato dall'articolo 97 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLa previsione viene concepita come «norma di raccordo» tra la fase della liquidazione e la fase della ripartizione dell'attivo (Montanaro, 1095; Paluchowski, 1388), avente la finalità di disciplinare le ipotesi di calcolo di anticipazioni del compenso al curatore, in modo da determinare gli importi che possono essere oggetto di riparto (Paluchowski, 1388), agevolando in particolare l'effettuazione di riparti in favore dei creditori assistiti da privilegi sui beni che siano già stati liquidati (Bortoluzzi, 1518). L'assetto operativo della norma, peraltro, sembra essere stato significativamente modificato, a seguito della modifica additiva del terzo comma dell'art. 39, ad opera della l. 6 agosto 2015, n. 132 (che ha convertito con modifiche il d.l. 27 giugno 2015, n. 83). È stata, infatti, aggiunta, la previsione per cui gli acconti liquidati dal Tribunale al curatore debbono essere preceduti – salvo giustificati motivi — dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale. In tal modo viene rafforzato il nesso tra determinazione dell'acconto e riparto parziale, facendo del secondo presupposto del primo (ed incentivando, quindi, i riparti parziali), fermo restando che in ogni caso il curatore non vanta un diritto all'acconto, il cui riconoscimento è rimesso ad una valutazione discrezionale del tribunale (Montanaro, 1096). In realtà, anzi, l'innovazione normativa dovrebbe precludere quella possibilità di autorizzare il prelievo dell'acconto prima del decreto di esecutività del piano di riparto che in precedenza era invece ammessa (Montanaro, 1099); e dovrebbe introdurre, per contro, uno schema «liquidazione – riparto – prelievo» che subordina comunque il materiale prelievo dell'acconto alla previa esecuzione del riparto parziale. Ciò ha indotto alcuni autori — considerato, appunto, il venire meno della «eccezionale facoltà» del g.d. di riconoscere l'acconto, ed il riconoscimento di tale potere ormai in via esclusiva al tribunale – di sostanziale inutilità di una previsione che, da un lato si limiterebbe ad operare un rimando generico alle norme sulla distribuzione dell'attivo, e, dall'altro lato, detterebbe una disciplina ormai integralmente compresa nell'art. 39 (Bruschetta, 1178). Il testo della norma, invero, non è stato pienamente adeguato rispetto alle innovazioni della Riforma, ad esempio non tenendo conto che la norma si viene ora ad inserire nell'ambito di una disciplina che non concerne più la sola vendita degli immobili, ma investe tutti i beni (Bortoluzzi, 1517; Paluchowski, 1388), compresa la cessione dei crediti (Montanaro, 1095), con la conseguenza che la funzione originaria della previsione – determinare la quota delle spese prededucibili gravanti sul ricavato della vendita di un immobile ipotecato, ed in particolare gravato da garanzia ipotecaria fondiaria – si estende in realtà a tutti i beni oggetto di garanzie, reali o personali (Bortoluzzi, 1518; Paluchowski, 1388). Ulteriormente, la norma non sembra tenere conto del fatto che il deposito del progetto di riparto e la sua successiva esecuzione non sono più atto del g.d., bensì del curatore, mentre, per contro, anche la determinazione degli acconti è rimessa al Tribunale (Montanaro, 1096; Paluchowski, 1389). Ne deriva che, la previsione, mentre prima si basava su una «cerniera» costituita dal g.d. (che gestiva il riparto e determinava l'acconto), nell'attuale sistema si deve misurare con l'attribuzione delle attività di riparto e liquidazione a due organi diversi. La determinazione dell'accontoCome accennato anche in precedenza, la Riforma ha affidato al tribunale anche il compito della determinazione degli acconti spettanti al curatore, in coerenza con la previsione di cui all'art. 39, i cui criteri di liquidazione, quindi, debbono ritenersi operanti anche per la liquidazione degli acconti (Montanaro, 1096; Paluchowski, 1389). Si dovrà, quindi, tenere conto dell'attivo ricavato, del passivo accertato, dell'attività di liquidazione concretamente eseguita, e dei suoi esiti (Liccardo-Federico, 1817), prendendo in considerazione le attività che presentino una utilità anche solo potenziale per i creditori che vantano il privilegio sul bene liquidato (Bortoluzzi, 1518). È da ritenersi, tuttavia, che il curatore non abbia diritto a compenso per l'attività di liquidazione né in caso di vendita in sede giurisdizionale ex art. 107, in quanto si avvarrebbe di una facoltà di legge, limitandosi a chiedere al g.d. l'autorizzazione alla vendita (Montanaro, 1097); né in caso di subentro nella procedura esecutiva, in quanto la liquidazione avverrebbe su pregressa iniziativa di terzi di cui il curatore semplicemente si avvarrebbe, spettandogli, quindi, solo la parte di compenso connessa alla custodia ed eventuale amministrazione del bene, ed all'accertamento del credito privilegiato in sede di stato passivo (Bortoluzzi, 1518). La liquidazione viene, quindi, a permettere il prelievo dell'acconto assieme alle spese affrontate per l'attività di liquidazione e per la precedente attività di amministrazione dei beni (Paluchowski, 1389), ritenendosi che siano da comprendersi anche le spese prededucibili in generale (Paluchowski, 1389). È quindi possibile, operare la individuazione di tre categorie di spese: 1) spese riconducibili alla conservazione e alla liquidazione del bene gravato da privilegio; 2) spese costituite da una quota del compenso del curatore; 3) spese che rappresentano una porzione delle spese generali della procedura (Bortoluzzi, 1518), analizzando il problema dell'accollo al creditore privilegiato in relazione a ciascuna di tali categorie. Va rammentato che, ex art. 111-ter, il curatore deve debba tenere singoli conti autonomi sia delle vendite dei singoli immobili oggetto di privilegio speciale o ipoteca, sia dei singoli beni mobili — o gruppi di mobili, in relazione alla natura dei beni medesimi (Matteri, 2227) — oggetto di pegno o di privilegio speciale, con analitica indicazione delle relative entrate e uscite di carattere specifico e della quota di quelli di carattere generale. Ciò permette non solo di computare separatamente sia le uscite (comprese le imposte sui beni versate dal fallimento: Bortoluzzi, 1519) sia anche le entrate, e cioè i cosiddetti frutti — come i canoni di locazione, oppure le royalties relative ad una proprietà industriale gravata da prelazione, oppure i canoni di affitto di un ramo d'azienda (Minutoli, 804; Paluchowski, 1390) – su cui comunque i creditori con prelazione hanno diritto di soddisfarsi con precedenza, ma agevola conseguentemente la determinazione degli importi da porre a carico delle singole sottomasse attive derivanti dalle vendite, proprio tenendo distinte contabilmente le voci passive e gli introiti attivi (Paluchowski, 1390). Le considerazioni che precedono richiamano la (risalente) tematica della possibilità di far gravare sul creditore privilegiato (sia che si tratti dell'ipotecario all'interno del fallimento, sia che si tratti del fondiario, munito di privilegio processuale ex art. 51), una quota di spese generali del fallimento, tra le quali il compenso del curatore (Paluchowski, 1390). Giustamente si è evidenziato che la Riforma, introducendo all'art. 52, l'obbligo anche per il creditore munito di privilegio processuale ex art. 51 di far comunque accertare il proprio credito mediante l'insinuazione allo stato passivo, ha di fatto chiarito che anche tale categoria di creditori non si sottrae né al concorso formale né al concorso sostanziale, con la conseguenza di attribuire al creditore solo quanto è stato ammesso al passivo (Paluchowski, 1390). Pare a questo punto coerente concludere che anche questa tipologia di creditori dovrà accollarsi una quota di compenso del curatore correlata quantomeno all'attività di amministrazione del bene — se non anche (ove sia avvenuta direttamente ad opera del Curatore) di liquidazione — all'attività di verifica crediti, all'attività di predisposizione della relazione ex art. 33, e di tutte le attività che possono dirsi essere state svolte anche nell'interesse del creditore ipotecario ordinario o fondiario (Paluchowski, 1390). Ne deriva la possibilità di calcolare la quota di compenso operando assumendo come attivo la proporzione tra l'ammontare del ricavato dell'alienazione del bene gravato da privilegio e valore complessivo dell'attivo fallimentare; e come passivo la proporzione tra entità del credito privilegiato gravante sul bene e passivo complessivo del fallimento (Paluchowski, 1391). Si osserva – peraltro correttamente – che, poiché il compenso del curatore è determinato a percentuale sulla base di scaglioni, un calcolo del compenso che tenesse in considerazione il solo valore dei beni gravati da privilegio, condurrebbe all'applicazione delle percentuali più elevate previste per gli scaglioni più bassi, ed alla liquidazione di una quota di compenso in misura maggiore del dovuto (Bortoluzzi, 1519). Particolari sono le ipotesi in cui al riparto vengano a partecipare soggetti che non sono insinuati al passivo, come nel caso del creditore rispetto al quale il fallito era mero terzo datore di ipoteca e del creditore di un terzo (alienante) che abbia esercitato con successo l'azione revocatoria nei confronti del fallito (acquirente). In questi casi, infatti, tali soggetti non sono creditori del fallito ma hanno diritto a soddisfarsi su uno o più suoi beni, senza tuttavia passare attraverso l'insinuazione al passivo, con la conseguenza che su di essi non dovrebbero essere fatti gravare oneri che riguardano la procedura fallimentare nel suo complesso — come le spese generali, la quota di compenso riferibile alla predisposizione della relazione ex art. 33 o la quota di compenso del curatore — ma solo le spese dirette di amministrazione del bene (Bortoluzzi, 1519), in quanto essi sono, appunto, estranei alla procedura concorsuale e non se ne avvalgono. Principio ricavabile dall'elaborazione giurisprudenziale anche anteriore alla riforma è che il creditore ipotecario è tenuto a sopportare le sole spese della procedura che si riferiscono al bene gravato dal suo diritto, e quindi sia delle specificamente sostenute per la gestione, conservazione, incremento e liquidazione del bene, sia delle spese generali riconducibili all'interesse e all'utilità anche potenziale del creditore garantito (Cass. I, n. 4626/1999; Cass. I, n. 5784/1981 presupposto per l'accollo sulla massa attiva immobiliare delle spese, infatti, è l'utilità specifica che le singole spese abbiano avuto per i creditori prelazionari sui singoli beni (Cass. I, n. 13672/2006; Cass. I, n. 7756/1997). Nel caso di vendita di immobili gravati da garanzia reale, la Cassazione ha chiarito che vanno collocate in prededuzione non solo le spese riconducibili alla conservazione e alla liquidazione del bene ipotecato ma anche una quota parte del compenso del curatore – da determinarsi ponendo a confronto l'attività svolta nell'interesse generale e quella esercitata nell'interesse del creditore garantito – nonché una porzione delle spese generali della procedura — da determinarsi in proporzione alla loro concreta utilità per il creditore garantito – ammettendo anche il ricorso al criterio di proporzionalità (Cass. I, n. 11500/2010). Nel caso di obbligazioni sorte nell'ambito di un'amministrazione controllata, precedente al fallimento, i crediti ipotecari sono stati ritenuti prevalenti sui crediti sorti nell'ambito dell'amministrazione controllata, ad eccezione sia di quei crediti prededucibili che erano ricollegabili ad attività direttamente e specificamente rivolte ad incrementare o ad amministrare o a liquidare i beni ipotecati, o che comunque avevano recato specifiche utilità ai creditori ipotecari (non individuabili nella semplice esistenza della procedura di risanamento), sia di un'aliquota delle spese generali (Cass. I, n. 335/2004; Cass. I, n. 251/1995). Circa lo specifico profilo della partecipazione del creditore ipotecario alla quota parte del compenso spettante del curatore, presupposto di tale partecipazione è che il curatore abbia svolto attività di amministrazione e liquidazione specificamente riferibili ai beni ipotecati e finalizzate a consentire il soddisfacimento delle ragioni del creditore ipotecario, mentre la determinazione dell'entità della quota è stata ricollegata ad una valutazione in concreto delle specificità della singola procedura, pur ammettendosi il ricorso al criterio proporzionale (Cass. I, n. 5104/1997). Va rammentata la particolare posizione del creditore dell'alienante che ottenga nei confronti del fallito acquirente, sentenza ex art. 2901 c.c., che dichiari inefficace l'atto. Detto creditore si troverà in posizione analoga a quella creditore ipotecario rispetto a bene del quale il fallito sia terzo datore di ipoteca, e potrà – pur non essendo creditore diretto del fallito — ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell'immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l'alienante, prevalendo sui creditori concorsuali (Cass. I, n. 25850/2011). ImpugnazioneIl decreto di liquidazione dell'acconto è da alcuni ritenuto reclamabile ex art. 26 (Liccardo-Federico, 1817), non essendovi nell'art. 109 espressa previsione in senso contrario, come invece nel caso dell'art. 39 (Montanaro, 1097; Paluchowski, 1391; Sandulli, 668). Tale opinione viene tuttavia contrastata da chi osserva che, in tal modo, il procedimento di concessione dell'acconto verrebbe ad essere assistito da una tutela maggiore di quella prevista per la liquidazione definitiva, e conclude quindi per la non reclamabilità (Bortoluzzi, 1520; Minutoli, 863). Risulta invece pacifica l'esclusione della possibilità di ricorso in Cassazione, non ricorrendo ipotesi di lesione di diritti soggettivi perfetti (Paluchowski, 1391) e non avendo il provvedimento di liquidazione dell'acconto carattere di definitività (Bortoluzzi, 1520; Montanaro, 1097). La tematica dell'impugnazione non può tuttavia essere esaminata senza tenere conto dell'interesse dei creditori (ed in particolare del creditore prelatizio che vede gravare sul ricavato che gli spetta una quota di oneri) alla corretta determinazione dell'acconto. Tale interesse, infatti, risulta qualificabile nei termini di diritto soggettivo, giustificando il riconoscimento al creditore prelatizio non solo di reclamare ex art. 26 il decreto del tribunale che liquida l'acconto, ma anche di impugnare in Cassazione la decisione della Corte d'appello (Bortoluzzi, 1520). Sul carattere decisorio, e sulla conseguente ammissibilità del ricorso ex art. 111 cost., avverso i provvedimenti che, statuendo in merito al piano di riparto parziale, vengono ad incidere sui diritti dei creditori ammessi al passivo può richiamarsi il precedente (Cass. I, n. 9490/2002) che ha ammesso tale forma di ricorso, ove indirizzato avverso le statuizioni relative alle spese da pagare in prededuzione, dal momento che tali provvedimenti riducono l'entità delle somme destinate ad essere attribuite ai creditori. In ogni caso conserva validità il principio per cui il decreto con cui il tribunale concede o rifiuta l'acconto chiesto dal curatore, è espressione di un potere discrezionale e non assume l'efficacia di cosa giudicata, con la conseguenza che non incide su un diritto soggettivo del curatore, e che non può essere oggetto di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 9721/1993). BibliografiaBortoluzzi, Sub art. 109, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova 2014; Bruschetta, La liquidazione dell'attivo. Tipologie di vendite, in Didone (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali, Milano 2016; Liccardo-Federico, Sub art. 109, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2007; Mattei, La ripartizione dell'attivo, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, II, Milano 2016; Minutoli, Sub art. 109, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova 2007; Montanaro, Art. 109. Procedimento di distribuzione della somma ricavata, in Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge Fallimentare, II, Milano 2010; Sandulli, Sub art. 109, in Nigro-Sandulli (diretto da), La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006; Paluchowski (agg. De Matteis), Art. 109, in Lo Cascio (a cura di), Codice Commentato del Fallimento, Milano 2015. |