Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 123 - Effetti della riapertura sugli atti pregiudizievoli ai creditori.Effetti della riapertura sugli atti pregiudizievoli ai creditori.
In caso di riapertura del fallimento, per le azioni revocatorie relative agli atti del fallito, compiuti dopo la chiusura del fallimento, i termini stabiliti dagli artt. 65 , 67 e 67-bis sono computati dalla data della sentenza di riapertura1. Sono privi di effetto nei confronti dei creditori gli atti a titolo gratuito e quelli di cui all'articolo 69, posteriori alla chiusura e anteriori alla riapertura del fallimento2. [1] Comma modificato dall'articolo 113, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma sostituito dall'articolo 113, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLa norma in commento disciplina gli effetti della riapertura del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti dopo la chiusura (ossia dalla data in cui il decreto di chiusura ha acquistato efficacia: art. 119, comma 4, l.fall.), fino alla data della sentenza con cui il fallimento viene riaperto. Invero, gli atti ed i pagamenti effettuati dopo la chiusura del fallimento sono assoggettabili ad azione revocatoria fallimentare se posti in essere nei termini di cui agli artt. 65, 67, 67-bis l.fall., che vanno computati a ritroso rispetto alla data della sentenza di riapertura. A tal proposito, in dottrina, è stato osservato che contro gli stessi atti devono ritenersi ammissibili anche le azioni previste dagli articoli 66, 68, 69 l.fall., considerato che il rinvio alle disposizioni di cui agli articoli citati nella disposizione del 123, comma 1, l.fall. pare sia essenzialmente funzionale alla individuazione dei termini entro i quali dar corso alle azioni in questione (Maffei, 123). I richiami di leggeQuanto agli atti di cui all'art. 65 l.fall., si evidenzia che sono privi di effetto rispetto ai creditori, dunque inefficaci ope legis, i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della riapertura del fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla sentenza di riapertura. In merito all'articolo 67 l.fall., invece, gli atti estintivi di debiti e le garanzie ivi contemplati sono revocabili, su domanda del curatore, se compiuti, a seconda dei casi, nell'anno [fattispecie di cui all'art. 67, comma 1, nn. 1), 2) e 3), l.fall.) o nei sei mesi [fattispecie di cui all'art. 67, comma 1, n. 4), e comma 2, l.fall.] anteriori alla sentenza di riapertura. Sembra che, non essendo diversamente disposto dall'articolo in commento, vada applicato lo stesso regime probatorio stabilito dalla norma da esso richiamata: nei casi di cui al primo comma dell'art. 67 l.fall., spetta alla parte convenuta l'onere di provare che «non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore»; nei casi di cui al secondo comma dell'art. 67 l.fall. spetta, invece, al curatore l'onere di provare che «l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore». Sicché sono esposte all'azione revocatoria, ovviamente, anche i pagamenti effettuati dopo la chiusura del fallimento a beneficio dei vecchi creditori, dai quali, laddove il fallimento venga riaperto, discende comunque una lesione per par condicio creditorum (Capo, 552). La revocatoria può riguardare anche pagamenti fatti ai vecchi creditori dopo la chiusura del fallimento (Pajardi, 897). Si esclude, comunque, la revocabilità di pagamenti percentuali effettuati in ugual misura a tutti i creditori, sia vecchi che nuovi, in acconto del loro maggior credito (Pajardi, 897). Infine, quanto al richiamo di cui all'articolo 67-bis l.fall., dovrebbero essere revocabili gli atti che incidono su un patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall'art. 2447-bis, comma 1, lett. a), c.c., quando essi «pregiudicano il patrimonio della società». Tuttavia, non è chiaro come la norma — che presuppone il fallimento di una società di capitali — possa mai trovare applicazione in un fallimento riaperto, posto che non sembra possibile la riapertura del fallimento di una società, una volta cancellata dal registro delle imprese su richiesta del curatore (art. 118, comma 2, l.fall.), a meno che non voglia ritenersi applicabile anche alla riapertura il termine di un anno dalla cancellazione ex art. 10 l.fall. Atti compiuti prima della dichiarazione di fallimentoPer gli atti ed i pagamenti effettuati prima della sentenza dichiarativa di fallimento, che restano anch'essi esposti alla revocatoria fallimentare, i confini del periodo sospeso restano invece tracciati in relazione alla data di tale provvedimento: nel caso di esito favorevole dell'azione, peraltro, dei risultati vantaggiosi devono poter approfittare sia i creditori vecchi che quelli nuovi. Nel caso in cui, al momento della chiusura del fallimento, vi fossero delle azioni revocatorie pendenti, ed il fallimento non sia stato chiuso ex art. 118, comma 2, terzo periodo e segg., l.fall., le azioni in questione possono essere riassunte dal curatore del fallimento riaperto (Maffei Alberti 832; Grossi 1656). Il curatore del fallimento riaperto, comunque, può esperire, riassumendole, non solo le azioni revocatorie già iniziate prima della chiusura, ma anche quelle neppure iniziate, purché sia ancora nei termini (Limitone 1711). Atti gratuiti e atti tra i coniugiAi sensi dell'art. 123 l.fall., infine, sono privi di effetto nei confronti dei creditori gli atti a titolo gratuito e quelli compiuti fra i coniugi, di cui all'art. 69 l.fall., posteriori alla chiusura del fallimento ed anteriori alla riapertura: il che individua l'unica restrizione di ordine patrimoniale che resta imposta al debitore nonostante la cessazione della procedura; restrizione che, tuttavia, opera soltanto nell'ipotesi di prosecuzione del fallimento (Capo, 552). Per meglio dire, il secondo comma dell'articolo in commento stabilisce l'inefficacia ipso iure degli «atti a titolo gratuito» e di quelli di cui all'art. 69 l.fall., posti in essere dal fallito nel periodo tra la chiusura e la riapertura del fallimento: i primi si identificano con gli atti di cui all'art. 64 l.fall. e l'implicito richiamo di tale norma vale a rendere operative le esclusioni ivi previste; i secondi sono gli atti compiuti tra coniugi. Per questi ultimi non si richiede che il coniuge fallito «esercitava un'impresa commerciale», quindi che avesse ripreso ad esercitare un'attività commerciale dopo la chiusura del fallimento, né l'altro coniuge può essere ammesso a provare che «ignorava lo stato d'insolvenza del coniuge fallito», poiché l'inefficacia opera automaticamente, prescindendo del tutto dalla conoscenza o dall'ignoranza. Bibliografiav. sub art. 118. |