Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 139 - Provvedimenti conseguenti alla riapertura 1 .

Domenica Capezzera

Provvedimenti conseguenti alla riapertura1.

 

La sentenza che riapre la procedura a norma degli articoli 137 e 138 provvede ai sensi dell'articolo 121.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 126 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

Il procedimento riaperto. Gli artt. 139-141, che disciplinano la riapertura del fallimento in caso di risoluzione o di annullamento del concordato ex artt. 137 e 138 hanno subito lievi modifiche a seguito delle riforme del biennio 2006-2007 (artt. 139 e 141) ovvero nessuna novellazione, essendo stato necessario solo un miglior coordinamento con le norme richiamate (Blatti 1852). È, in sostanza, rimasta invariata l'impostazione tradizionale che non vede nella riapertura una cesura procedimentale, determinandosi, invece, una prosecuzione della fase precedente, senza che vengano meno gli effetti già eseguiti del concordato fallimentare annullato o risolto.

In tal senso va interpretata la previsione normativa secondo cui la sentenza che risolve o annulla il concordato riapre il fallimento, con l'espresso richiamo all'art. 121 in tema di «casi di riapertura del fallimento», dei quali la fattispecie in esame costituisce un'ipotesi speciale. Ne consegue, pertanto, che al procedimento riaperto devono essere preposti, oltre al tribunale, un giudice delegato ed un curatore.

Poiché, secondo quanto dispone l'art. 121, il tribunale richiama in ufficio il giudice delegato e il curatore anteriormente preposti al fallimento o li nomina ex novo, si disputa se abbia in proposito una facoltà discrezionale o possa nominare un nuovo giudice delegato e un nuovo curatore solo se, per qualche ragione, non possano essere richiamati quelli precedenti. Attesa la ritenuta continuità con il procedimento cessato per concordato è preferibile quest'ultima opinione, con la conseguenza che in caso di nuova nomina dovranno esserne esplicitate le ragioni (Giorgeri 88; Limitone 1702). Anche quando sia stato richiamato in ufficio il vecchio curatore, resta ferma la facoltà dei creditori di chiederne la sostituzione ex art. 37-bis dopo la conclusione della nuova adunanza dei creditori fissata ai sensi dell'art. 121, secondo comma, n. 2: nonostante la continuità con la procedura cessata, nell'ambito della quale i creditori hanno già avuto la possibilità di esercitare la facoltà di chiedere la sostituzione del curatore, nel fallimento riaperto l'esercizio di detta facoltà è giustificato dalla differente composizione della massa passiva.

La possibile differente composizione della massa passiva — secondo quanto specificato infra, sub 2) — impone (o comunque potrebbe rendere necessaria) la nomina di un nuovo comitato dei creditori «tenendo conto nella scelta anche dei nuovi creditori» (art. 121, quinto comma).

Verifica dello stato passivo — Pur nell'affermata continuità procedurale, è di tutta evidenza che la fase intermedia costituita dal concordato può comportare in concreto una modifica del ceto creditorio concorrente, posto che, a norma dell'art. 140, nel fallimento riaperto concorrono i creditori anteriori al fallimento cessato per concordato e quelli successivi, compresi coloro che hanno acquistato ragioni di credito nel corso del fallimento e prima del concordato.

La continuità del procedimento implica che le statuizioni adottate in sede di verifica dello stato passivo del fallimento successivamente riaperto non sono soggette a riesame. I creditori esclusi non possono, perciò, riproporre domanda di ammissione, non costituendo la riapertura una riammissione in termini. I creditori ammessi hanno acquisito il diritto di partecipare al fallimento riaperto: poiché, tuttavia, l'art. 121, secondo comma, n. 2, statuisce che i vecchi creditori «possono» chiedere la conferma del provvedimento di ammissione, si disputa se si debbano considerare automaticamente ammessi al passivo del fallimento riaperto, o se abbiano l'onere di chiedere la conferma. Al riguardo, appare maggiormente condivisibile, nel contesto della ratio normativa, la tesi secondo cui non sarebbe ipotizzabile una conferma generale d'ufficio (v. sul punto, Limitone 1704 s. e 1707 e dottrina ivi citata), apparendo opportuna, anche cautelativamente, l'istanza di conferma. In ogni caso la necessità della domanda di ammissione sussiste ove si intenda insinuare al passivo ulteriori interessi, maturati nel corso del fallimento e dopo la sua cessazione sino alla riapertura: tale possibilità, affermata anche prima della riforma (G.U. Tedeschi sub art. 122, par. 2) anche per assicurare parità di trattamento fra creditori vecchi e nuovi, è stata ora espressamente riconosciuta dall'art. 121, secondo comma, n. 2.

Poiché il secondo comma dell'art. 122 statuisce che «restano ferme le precedenti statuizioni a norma del Capo V» si afferma comunemente che il diritto dei vecchi creditori risultante da statuizione di ammissione non può essere messo in discussione (Limitone sub artt. 122, 1704 e 1707), anche se il termine per proporre impugnazione ex art. 98, terzo comma è certamente decorso per i creditori concorrenti vecchi, ma non per i nuovi. Viene altresì esclusa l'impugnabilità per revocazione ex art. 98, quarto comma, salvo che per «i crediti per i quali siano intervenuti pagamenti nei confronti del creditore dopo la chiusura e prima della riapertura...che pertanto non sono coperti dalla protezione che caratterizza i pagamenti concorsuali pregressi» (Paluchowsky art. sub 122, § 1). Va peraltro rilevato che il principio di irretrattabilità dei piani di riparto non si applica in caso di revocazione dei crediti ammessi (art. 114) e deve ritenersi non si applichi nemmeno in caso di impugnazione ordinaria quando sia stata proposta da un creditore tardivamente ammesso dopo l'esecuzione di un piano di ripartizione; e che, stante il concorso di creditori vecchi e nuovi, questi ultimi non possano essere espropriati del diritto di impugnare i crediti concorrenti, ancorché ammessi anteriormente.

La riforma della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)

Per il commento v. sub art. 124.

Effetti della riapertura

La caducazione del concordato fra rimozione e conservazione — La riapertura del fallimento conseguente a risoluzione od annullamento non comporta una completa obliterazione della vicenda concordataria. Al travolgimento dell'effetto esdebitatorio ed al ripristino della sostituzione fallimentare cessata con la definitività del decreto di omologa si accompagna, infatti, la conservazione del risultato, utile per i creditori, dell'accordo concordatario e della sua esecuzione.

Occorre quindi esaminare separatamente questi profili degli effetti della riapertura del fallimento conseguenti a risoluzione od annullamento del concordato avvertendo che nonostante l'eterogeneità delle vicende della risoluzione e dell'annullamento e delle rispettive cause gli effetti sono disciplinati allo stesso modo, anche se per qualche aspetto una differenza si può cogliere.

La rimozione degli effetti del concordato: (a) il ripristino della situazione debitoria originaria — Nel fallimento riaperto, secondo quanto statuisce il quarto comma dell'art. 140 i vecchi creditori concorrono per l'importo del primitivo credito. Rimane così sancito il venir meno dell'effetto esdebitatorio.

Se l'accordo concordatario prevede l'assunzione degli obblighi da parte di un terzo con liberazione immediata del fallito in caso di inadempimento l'effetto esdebitatorio non viene meno essendo esclusa la risolubilità del concordato (art. 137, settimo comma); in caso di esagerazione dolosa del passivo o di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante dell'attivo la clausola di liberazione immediata del fallito, ostativa della risoluzione, non osta invece all'annullamento (Russo 214 ss.) e, di conseguenza, al venir meno dell'effetto esdebitatorio.

Segue. (b) il ripristino della sostituzione fallimentare — Mentre con la cessazione del fallimento per concordato — salvo che nell'accordo concordatario sia previsto diversamente il fallito riacquista il potere di disporre dei beni già compresi nel fallimento o, in caso di concordato con assunzione, i beni ed il potere di disporre vengono trasferiti all'assuntore, di contro, a seguito della risoluzione o l'annullamento i beni sono riacquisiti al fallimento riaperto.

Poiché il fallito ritornato in bonis o l'assuntore, cui spetta la titolarità ed il potere di disposizione, possono avere ceduto beni a terzi, si pone il problema della tutela dei terzi acquirenti. Per effetto del richiamo all'art. 123, contenuto nel primo comma dell'art. 140, lo strumento per recuperare i beni dei quali abbia disposto il fallito ritornato in bonis sembra essere quello dell'azione revocatoria. Con riguardo agli atti compiuti dall'assuntore vengono per lo più richiamate le norme del codice civile sulla caducazione del titolo del dante causa: quindi quella dell'art. 1458, secondo comma, c.c., sull'inopponibilità della risoluzione ai terzi e quella dell'art. 1445 c.c. sull'inopponibilità dell'annullamento ai terzi acquirenti di buona fede a titolo oneroso, salvi in entrambi i casi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale (v., sul punto, Bran § 16.2). L'individuazione su questi due differenti piani della tutela del terzo acquirente presenta tuttavia un punto di criticità laddove, in caso di annullamento, implica il sacrificio dell'acquirente dall'assuntore, se a titolo oneroso ma in mala fede, e dell'acquirente dal fallito, se a titolo oneroso ma in mala fede, soltanto però nei limiti cronologici dell'esperibilità del rimedio revocatorio.

Con la riapertura del fallimento sono poi acquisiti al fallimento riaperto anche i beni acquistati nel corso del fallimento cessato, atteso che i creditori successivi concorrono nel fallimento riaperto e non può trovare più applicazione la norma dell'art. 42, secondo comma, sull'acquisizione dei beni sopravvenuti al netto delle passività inerenti; nonché i beni acquistati dopo la cessazione del fallimento per concordato.

Il secondo comma dell'art. 141, secondo il quale nel fallimento riaperto possono essere riproposte le azioni revocatorie già iniziate e interrotte per effetto del concordato si ricollega al ripristino, oltre che della sostituzione del curatore al fallito, anche del potere di esercitare le azioni che derivano dal fallimento. Implica la possibilità di proporre anche le azioni revocatorie non ancora precedentemente esercitate, purché non prescritte (Blatti sub art. 140, 1854) e, più in generale, di proporre o riproporre le azioni della massa. Se le azioni revocatorie o altre azioni di pertinenza della massa sono state trasferite all'assuntore e da questi promosse il curatore subentra all'assuntore, disputandosi se in difetto il procedimento si interrompa o prosegua in contraddittorio con l'assuntore ex art. 111 c.p.c. (v., in quest'ultimo senso, Bonsignori sub art. 140 § 11).

Nel fallimento riaperto, in conformità a quanto dispone l'art. 123, richiamato dal primo comma dall'art. 140, sono inefficaci gli atti a titolo gratuito compiuti dopo la cessazione del fallimento. I pagamenti anticipati e gli atti revocabili sono regolati dalle norme degli artt. 65, 67 e 67-bis ed il periodo sospetto legale è computato dalla data della riapertura del fallimento. Nel rimandare, in proposito al commento all'art. 123, sembra opportuno far presente che, in caso di riapertura del fallimento conseguente a risoluzione o annullamento del concordato, la scientia decoctionis costituente il presupposto dell'azione revocatoria fallimentare si deve identificare nella consapevolezza della persistenza dell'insolvenza in dipendenza della risolubilità o della annullabilità del concordato; e, con riferimento allo stesso profilo, va valutata la conoscenza del pregiudizio costituente il presupposto dell'azione revocatoria ordinaria.

La conservazione dei risultati utili per i creditori:

(a) stabilità delle riscossioni — Il principio della stabilità delle riscossioni (e, quindi, il diritto dei creditori che hanno partecipato al riparto o che hanno ricevuto pagamenti in esecuzione del concordato di trattenere quanto ricevuto), statuito dall'art. 140, terzo comma, costituisce un evidente corollario del principio di prosecuzione della procedura riaperta rispetto alle fasi pregresse, ribadito nel comma successivo in ordine al concorso dei creditori anteriori per l'importo primitivo del credito, detratta la parte riscossa in parziale esecuzione del concordato (v. Blatti 1855 s.).

In caso di riapertura del fallimento chiuso per compiuta ripartizione dell'attivo o per mancanza dell'attivo, la stabilità delle riscossioni conseguite nel fallimento, preveduta dall'art. 122, primo comma, si giustifica perché nelle ripartizioni dell'attivo i pagamenti vengono effettuati in conformità a regole atte ad assicurare il rispetto della par condicio, cui si ricollega la irretrattabilità dei pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto (art. 114).

Il rispetto della par condicio, nei limiti in cui opera anche nel nuovo concordato (supra, sub art. 124, II), deve essere assicurato anche nel concordato — in difetto del quale la ritualità della proposta sarebbe censurabile ex art. 125, terzo comma — e dalle modalità di sorveglianza dell'esecuzione del concordato fissate nel decreto di omologa (sulle quali v. supra). L'affermazione, corrente in dottrina ed in giurisprudenza, della ripetibilità dei pagamenti eseguiti in violazione della par condicio (per richiami sul punto v. Fabiani 874 ss., 879) si giustifica perché della stabilità godono, secondo quanto dispone l'art. 140, i pagamenti effettuati «in esecuzione del concordato»; e quelli effettuati senza il rispetto della par condicio sono conseguenza della violazione delle regole dell'accordo concordatario.

L'art. 122, relativo alla riapertura del fallimento chiuso per compiuta ripartizione dell'attivo o per mancanza di attivo, nello statuire che i creditori anteriori concorrono per le somme dovute, dedotto quanto hanno percepito nelle precedenti ripartizioni «salve in ogni caso le cause legittime di prelazione», prevede una deroga al principio di stabilità delle riscossioni per un'esigenza di tutela dei nuovi creditori, che nel fallimento riaperto concorrono con i creditori anteriori su di un piano di parità. La norma è richiamata dall'art. 140, primo comma, e quindi anche per i pagamenti effettuati in parziale esecuzione del concordato è configurabile per la medesima ragione analoga deroga al principio di stabilità.

La disciplina dell'art. 140, rimasta immutata, va poi vagliata alla luce delle peculiarità del nuovo sistema, nel quale la proposta di concordato può prevedere il soddisfacimento dei creditori attraverso qualsiasi forma e, con la suddivisione dei creditori in classi, una deviazione dalle regole tradizionali della par condicio.

Poiché nel fallimento riaperto è ripristinata la regola del soddisfacimento dei creditori esclusivamente con l'attribuzione di importi in denaro (con l'unica eccezione prevista dal terzo comma dell'art. 117), ove nel concordato fosse intervenuto un soddisfacimento in altra forma, la detrazione dell'importo del primitivo credito di quanto conseguito in esecuzione del concordato dovrà essere effettuata per equivalente pecuniario, in aderenza a quanto previsto dall'art. 59 per l'ammissione al concorso dei crediti aventi ad oggetto una prestazione diversa dal danaro. Ma talora — come nel caso di conversione, per una classe di creditori, dei crediti in partecipazione della società (provvisoriamente) ritornata in bonis — si dovrebbe considerare che la riapertura del fallimento varrebbe a privare di valore la prestazione eseguita in adempimento del concordato.

In caso, poi, di suddivisione dei creditori in classi e di trattamento differenziato dei creditori delle varie classi, può accadere che la riapertura del fallimento intervenga quando i creditori di una classe sono stati interamente soddisfatti (ad esempio i piccoli creditori chirografari il cui soddisfacimento fosse stato previsto in tempi rapidi) e quelli di altre classi sono rimasti del tutto insoddisfatti. Il principio di stabilità delle riscossioni — concepito in un sistema ispirato ad una rigida concezione della par condicio — finirebbe in tal caso con l'avvantaggiare i creditori che hanno ottenuto in esecuzione del concordato esattamente quanto ad essi proposto e da essi accettato, consentendone il concorso, per la parte residua del loro primitivo credito, con i creditori rimasti completamente insoddisfatti; e se questa conseguenza può essere logica in caso di annullamento del concordato, in quanto fondato su di un vizio del consenso, lo appare un po' meno in caso di risoluzione. Tuttavia la prospettazione di un'efficacia della riapertura del fallimento per alcuni creditori, quelli in tutto o in parte insoddisfatti, e non per altri creditori quelli cioè interamente soddisfatti in conformità all'accordo concordatario, non potrebbe trovare una giustificazione normativa e non sarebbe comunque razionale attesa l'uniformità di disciplina degli effetti di risoluzione e annullamento del concordato.

(b) conservazione delle garanzie — Secondo quanto dispone il terzo comma dell'art. 140 i creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato. Riproposto così pari il testo dell'art. 140 ante riforma, si è persa l'occasione di differenziare gli effetti della riapertura del fallimento sui garanti nei casi di risoluzione rispettivamente e di annullamento. Occorre ricordare, in proposito, che nel codice di commercio del 1882 si statuiva che «la risoluzione del concordato non libera i fideiussori in esso intervenuti, né fa cessare le ipoteche e le altre garanzie con esso costituite» (art. 843, quarto comma) e che, invece «l'annullamento libera di diritto le fideiussioni date per il concordato» (art. 842, secondo comma). Il legislatore del 1942 aveva per la verità giustificato la scelta, sotto l'indicato profilo, di una disciplina unitaria, con la considerazione che «anche l'annullamento è un mezzo di tutela dei creditori, né deve risolversi a loro danno o a vantaggio del terzo» (Relazione del Guardasigilli alla legge fallimentare del 1942, n. 32), ma trascurando di considerare che il garante ordinariamente conta sulla possibilità di agire in regresso dopo la cessazione della procedura fallimentare e si giustifica che questa possibilità gli sia preclusa in caso di risoluzione, essendosi egli assunto il rischio di inadempimento del debitore garantito, non invece quando la riapertura del fallimento sia la conseguenza del dolo del proponente il concordato, al quale, sino a prova contraria, il garante si deve ritenere estraneo.

Si afferma talora la persistenza a favore dei creditori anteriori anche delle obbligazioni dell'assuntore (Russo 219 ss.). Occorre, peraltro, considerare che l'assunzione rappresenta il corrispettivo della cessione dei beni e che venuto meno l'effetto traslativo, deve necessariamente venir meno anche il diritto al corrispettivo in conformità alle regole che disciplinano gli effetti dell'annullamento e della risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive. È certamente vero che, in caso di risoluzione, l'assuntore è inadempiente, ma ciò implica soltanto l'obbligo di risarcire i danni costituiti dalla differenza fra quanto l'assuntore si era impegnato a corrispondere e quanto conseguito dai creditori nel fallimento riaperto attraverso la liquidazione dei beni già ceduti all'assuntore e recuperati alla massa fallimentare; in questo senso va intesa l'affermazione della permanenza del dovere di pagare quello a cui si è impegnati... nei limiti del danno effettivamente subito (Bonsignori). Sulla legittimazione a far valere le garanzie prestate per l'esecuzione del concordato, poi risolto o annullato, sussiste un contrasto interpretativo tra chi esclude che il curatore del fallimento riaperto possa agire, competendo ciò solo ai singoli creditori (Cass. n. 16878/2002) e chi, invece, è di contrario avviso (Pajardi, 568; v. anche Trib. Bologna 5 febbraio 1997, in Dir. fall. soc. comm. 1998, II, 403, secondo cui il curatore è legittimato ad assumere iniziative cautelari per mantenere le garanzie patrimoniali prestate da terzi a favore dei creditori concorsuali e sulla base delle quali è stato omologato il concordato; Blatti 1855).

La considerazione che le garanzie giovano soltanto ai creditori anteriori (Lo Cascio 1152) è legata ad una concezione riduttiva della nozione di azioni della massa — da ultimo avallata dalle sezioni unite per negare la legittimazione del curatore a far valere la pretesa al risarcimento dei danni da concessione abusiva del credito (Cass. S.U. n. 7030/2006) — secondo la quale rientrano fra le azioni della massa, come tali esperibili dal curatore, solo quelle che giovano a tutti i creditori.

Nuova proposta di concordato

La norma dell'art. 141, originariamente preveduta per offrire una seconda occasione al fallito, che era l'unico legittimato a proporre il concordato, dopo l'allargamento della legittimazione ai creditori ed ai terzi regola la presentazione di una nuova proposta di concordato da parte del proponente del concordato risolto o annullato. Se la nuova proposta viene presentata da un soggetto diverso trova applicazione la disciplina generale (Blatti).

Riproponendo la vecchia dizione, l'art. 141 consente la presentazione di una nuova proposta da parte del proponente del concordato risolto o annullato solo dopo reso esecutivo lo stato passivo, cioè il nuovo stato passivo previsto dall'art. 121, secondo comma, n. 2. Non è, quindi, ammessa la presentazione di una proposta anticipata in conformità alla previsione del primo comma dell'art. 124.

Prima della riforma condizione di ammissibilità della nuova proposta era il deposito delle somme occorrenti per l'integrale adempimento del concordato. È stata ora prevista la possibilità che vengano prestate garanzie equivalenti, quali, ad esempio, fideiussioni a prima richiesta di primario istituto bancario od assicurativo (Blatti, 1858; Ruosi sub art. 141, § 2). La prescrizione del deposito delle somme occorrenti per l'integrale adempimento o della prestazione di garanzie equivalenti non sembra consentire la presentazione di una nuova proposta di concordato che preveda il soddisfacimento dei creditori attraverso forme diverse dal pagamento in danaro.

Bibliografia

Blatti, in La legge fallimentare-commentario teorico pratico, Padova 2014; Bonsignori, Del concordato, in Comm. S.B., Bologna; Bran, il concordato fallimentare, il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino 2002; Cavalaglio, in Il nuovo diritto fallimentare, Bologna 2007; Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna 2010; Limitone, la legge fallimentare, Padova 2007; Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, Milano 2008; Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, Milano 2008; Ruosi, in La riforma della legge fallimentare, Torino 2006; Russo, La risoluzione e l'annullamento del concordato fallimentare, in Fall. 1989; Tedeschi, in La legge fallimentare, commentario teorico pratico, Padova 2011.

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