Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 150 - Versamenti dei soci a responsabilità limitata.

Alessandro Nastri

Versamenti dei soci a responsabilità limitata.

 

Nei fallimenti delle società con soci a responsabilità limitata il giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata e ai precedenti titolari delle quote o delle azioni di eseguire i versamenti ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento.

Contro il decreto emesso a norma del primo comma può essere proposta opposizione ai sensi dell'articolo 645 del codice di procedura civile1.

Inquadramento

Ad essere regolata dall'articolo in commento è l'ipotesi in cui, intervenuta la dichiarazione di fallimento di una società di persone o di capitali in cui sia presente la figura dei soci limitatamente responsabili, risulti che questi ultimi (o alcuni di essi) non abbiano ancora integralmente eseguito i versamenti da loro dovuti sulle quote o azioni di cui sono (o erano) titolari. In tale ipotesi, anche quando non sia ancora scaduto il termine previsto per il pagamento, il curatore può chiedere al giudice delegato di emettere nei confronti dei suddetti soci un decreto di ingiunzione, avverso il quale può essere proposta opposizione ai sensi dell'art. 645 c.p.c.. La questione interessa esclusivamente i soci limitatamente responsabili (poiché nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali falliscono automaticamente con il fallimento della società, non può prospettarsi un'ingiunzione all'esecuzione dei versamenti ancora dovuti) e i precedenti titolari delle loro azioni o quote, i quali sono obbligati in solido con gli acquirenti per un periodo di tre anni. Nelle società per azioni e in accomandita per azioni tale periodo decorre dall'annotazione del trasferimento delle azioni nel libro dei soci (art. 2356, comma 1, c.c., applicabile alle società in accomandita per azioni in forza del richiamo ad esso operato dall'art. 2454 c.c.), mentre nelle società a responsabilità limitata il dies a quo di decorrenza è quello dell'iscrizione del trasferimento delle quote nel registro delle imprese (art. 2472, comma 1, c.c., come novellato dall'art. 16, comma 12-sexies, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 2). La procedura di cui all'art. 150 l.fall., in forza dell'espresso richiamo da parte dell'art. 77, comma 3, l.fall., è altresì applicabile nei confronti dell'associato per i versamenti ancora dovuti (nei limiti delle perdite che sono a suo carico) dopo lo scioglimento dell'associazione in partecipazione per fallimento dell'associante.

La norma esprime il principio secondo cui la dichiarazione di fallimento non determina la liberazione dei soci dagli obblighi ancora sussistenti nei confronti della società (Ragusa Maggiore, 579; Blandino, Tomasso, 1772).

Destinatari dell'ingiunzione possono essere, oltre ai soci limitatamente responsabili di società di capitali, anche i soci accomandanti di società in accomandita semplice (Cass. I, n. 3324/1988; Trib. Salerno, 11 luglio 2014; Trib. Pavia, 12 febbraio 1996, in Fall., 1996, 786; Trib. Perugia, 29 dicembre 1984, in Fall., 1985, 1176; Trib. Parma, 3 giugno 1971, in Fall., 1971, II, 637). Il versamento può essere richiesto non solo a coloro che sono soci limitatamente responsabili al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche ai precedenti titolari delle rispettive azioni o quote, i quali non possono invocare il beneficium excussionis previsto dagli artt. 2356, comma 2, e 2472, comma 2, c.c. (Cass. I, n. 129/1973; Trib. Torino, 26 settembre 2006, Giur. it., 2007, 8-9, 1975; Trib. Napoli, 21 giugno 1996, in Fall., 1996, 1242; Trib. Genova, 4 aprile 1989, in Fall., 1989, 1231; Trib. Milano, 27 marzo 1986, in Fall., 1986, 929; Trib. Roma, 16 ottobre 1967, in Fall., 1968, II, 105; Trib. Roma, 10 giugno 1966, in Dir. fall., 1966, II, 863); beneficio che invece può essere invocato dall'alienante laddove il curatore agisca in via ordinaria non avvalendosi dello speciale procedimento monitorio previsto per la procedura fallimentare (Trib. Pavia, 12 febbraio 1996, in Fall., 1996, 786), il che rientra nelle sue facoltà (Trib. Perugia, 29 dicembre 1984, in Fall., 1985, 1176; App. Firenze, 23 dicembre 1982, in Dir. fall., 1983, II, 704). Il termine di prescrizione di tre anni per l'esercizio dell'iniziativa monitoria da parte del curatore non decorre dalla dichiarazione di fallimento ma dall'annotazione del trasferimento delle azioni nel libro soci (Trib. Genova, 4 aprile 1989, in Fall., 1989, 1231) o del trasferimento delle quote nel registro delle imprese. La responsabilità del socio per i versamenti dovuti in conseguenza di un aumento di capitale non è esclusa dalla mancata liberazione delle azioni precedentemente emesse, come precisato in funzione interpretativa dal legislatore in occasione della modifica dell'art. 2438 c.c. ad opera dell'art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (Cass. I, n. 25731/2011; per il contrasto insorto nella giurisprudenza di merito prima della predetta modifica normativa, si vedano: App. Genova, 21 ottobre 1999, in Soc., 200, 440; App. Napoli, 25 giugno 1996, in Giur. comm., 1997, II, 753; Trib. Napoli, 6 marzo 1996, in Giur. comm., 1997, II, 753; Trib. Napoli, 14 ottobre 1993, in Soc., 1994, 252; Trib. Napoli, 28 novembre 1985, in Dir. fall., 1986, II, 997; Trib. Vicenza, 20 gennaio 1984, in Giur. comm., 1985, II, 556; App. Bari, 22 maggio 1980, in Giur. it., I, 2, 695). I soci non possono sottrarsi ai versamenti eccependo il carattere fittizio dell'aumento di capitale (Trib. Roma, 30 gennaio 1954, in Dir. fall., 1954, II, 80) o la natura fiduciaria dell'intestazione delle azioni o delle quote(che determina esclusivamente il diritto di rivalsa del fiduciario nei confronti del fiduciante: v. Trib. Milano, 13 febbraio 2008, in Soc., 2009, 2, 223, in Dir. Fall., 2009, 2, 208, e in Banca borsa tit. cred., 2008, 4, 498). Il procedimento di cui all'art. 150 l.fall. non è utilizzabile per la ripetizione di somme indebitamente restituite dalla società ai soci (nella specie: restituzione di somme versate dai soci e imputate ad aumento di capitale), per cui il curatore, in tal caso, deve proporre la domanda nelle forme ordinarie (Trib. Torino, 19 giugno 1981, in Giur. comm., 1982, II, 349, e in Dir. fall., 1981, II, 524).

In dottrina è pacifico che il decreto di ingiunzione possa emettersi anche nei confronti dei soci limitatamente responsabili di società di persone (Irrera, 2197; Pirazzoli, 1034; Adiutori, 1972). Il diritto di credito all'esecuzione dei versamenti non sorge ex novo in capo alla curatela fallimentare ma è lo stesso che già esisteva nel patrimonio sociale prima della dichiarazione di fallimento (Bianchi, 2671; Macchia, 1232), con l'unica differenza ravvisabile nella decadenza del socio dal beneficio del termine (Cataldi, 34; Fabiani, 507; Bonsignori, 186; Nigro, Vattermoli, 324; Bianchi, 2671; Amatucci, 89; Pajardi, Paluchowski, 796); decadenza che, dal punto di vista sistematico, può essere vista come eccezionale deroga alle regole di cui agli artt. 1183 e 1186 c.c. (Campobasso, 521; Blandino, Tomasso, 1773), ma anche come applicazione «speculare» del principio di cui all'art. 55 l.fall. (Bertacchini, 465). All'immutata natura del diritto di credito verso il socio consegue, tra l'altro, che il curatore può subentrare nell'azione recuperatoria che gli amministratori abbiano eventualmente già promosso prima della dichiarazione di fallimento (Pirazzoli, 1035; Blatti, 1943). Il provvedimento emesso dal giudice delegato è un vero e proprio decreto ingiuntivo, emesso all'esito di un procedimento di natura monitoria che non costituisce una fase della procedura fallimentare, pur innestandosi in essa (Guerrera, 903; Pirazzoli, 1033; Provinciali, 2170; Blandino, Tomasso, 1776; ma v. Del Bene, Bonfante, 370, per la qualificazione della proposta del curatore come atto interno alla procedura fallimentare); il che spiega, tra l'altro, perché il decreto non è impugnabile con reclamo ex art. 26 ma opponibile nelle forme e nei termini previsti dal codice di procedura civile per l'opposizione a decreto ingiuntivo (Guglielmucci, 292; Grossi, 1319; Franco, 26; Irrera, 2198; Adiutori, 1974; Pirazzoli, 1034; Guerrera, 903, Blatti, 1945; Provinciali, 2174 ss.). Solo una parte della dottrina è concorde in merito alla possibilità di emettere il decreto nei confronti dei precedenti titolari di azioni o quote a prescindere dalla preventiva infruttuosa escussione del socio moroso, stante il carattere speciale della norma di cui all'art. 150, spiegabile con le peculiari esigenze della liquidazione fallimentare (Guglielmucci, 292; Sangiovanni, 410; Adiutori, 1972; Bonsignori, 268; Pirazzoli, 1033; Pajardi, Paluchowski, 796; Pellegrino, 10, 742; Satta, 469; Irrera, 2197; Provinciali, 2169; Blandino, Tomasso, 1773), mentre altri autori affermano che anche nei confronti della procedura fallimentare la responsabilità di coloro che abbiano alienato le azioni o le quote resterebbe sussidiaria, trovando pur sempre fondamento negli artt. 2356 e 2742 c.c. (Ragusa Maggiore, 580; Campobasso, 534).

Il procedimento di ingiunzione

Il procedimento non prende avvio da un ricorso ma da una semplice «proposta» del curatore, il quale non necessita all'uopo dell'assistenza di un difensore (Cass. I, n. 2066/1972;  Trib. Salerno, 11 luglio 2014; Trib. Nola, 7 marzo 2006; Trib. Torino, 19 giugno 1981, in Giur. comm., 1982, II, 349, e in Dir. Fall., 1981, II, 524; Trib. Milano, 20 novembre 1975, in Dir. fall., 1976, II, 412; Trib. Parma, 3 giugno 1971, in Dir. fall., 1971, 637; Trib. Roma, 12 ottobre 1967, in Dir. fall., 1967, II, 1044; Trib. Roma, 10 giugno 1966, in Dir. fall., 1966, II, 863), che occorre invece per la costituzione nell'eventuale fase di opposizione previa autorizzazione del giudice delegato (Cass. I, n. 2066/1972). Sebbene la norma non menzioni tra i presupposti dell'ingiunzione la prova scritta del credito, parte della giurisprudenza di merito afferma che il decreto non può essere emesso in mancanza di tale prova, sia pure da valutare in via sommaria (Trib. Ivrea, 3 gennaio 2005, in Fall., 2005, 469; contra Trib. Salerno, 11 luglio 2014; Trib. Nola, 7 marzo 2006; App. Firenze, 23 dicembre 1982, in Dir. fall., 1983, II, 704). La prova scritta consiste in qualsiasi documento ritenuto dal giudice idoneo a dimostrare il diritto fatto valere, ivi incluse le scritture contabili della società (Trib. Milano, 13 febbraio 2008, in Soc., 2009, 2, 223, in Dir. fall., 2009, 2, 208, e in Banca borsa tit. cred., 2008, 4, 498) e il verbale di audizione da parte del curatore dal quale risulti la dichiarazione del socio circa il mancato versamento integrale del capitale sociale (Trib. Bari, 27 aprile 2016).  Poiché il decreto ex art. 150 l.fall. è considerato una species del decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 ss. c.p.c. (Trib. Siracusa, 11 novembre 2004), si ritiene che il giudice delegato possa concedere la provvisoria esecuzione in presenza dei presupposti di cui all'art. 642 c.p.c. (Trib. Ivrea, 3 gennaio 2005, in Fall., 2005, 469), e che il decreto perda efficacia se non notificato al debitore entro il termine di cui all'art. 644 c.p.c. (App. Bari, 9 maggio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 317). Si è tuttavia precisato che la mancanza dell'avvertimento di cui all'art. 641, comma 1, c.p.c. non determina la nullità del decreto ingiuntivo, non essendo tale avvertimento espressamente richiesto dall'art. 150 (Trib. Roma, 12 ottobre 1967, in Dir. fall., 1967, II, 1044). In caso di mancata impugnazione nei termini di legge il decreto, al pari di qualsiasi altro decreto ingiuntivo, assume efficacia di giudicato (Trib. Roma, 23 maggio 1967, in Dir. fall., 1967, II, 544; Trib. Roma, 30 giugno 1966, in Dir. fall., 1966, II, 863; Trib. Milano, 12 luglio 1961, in Dir. fall., 1962, II, 462).

Non necessitando del ministero di un difensore (Grossi, 1318; Sangiovanni, 409; Fabiani, 507; Amatucci, 150; Irrera, 2197; Provinciali, 2168; Pirazzoli, 1034; Blatti, 1943, Blandino, Tomasso, 1772), per la formulazione della proposta di ingiunzione il curatore non è tenuto a richiedere l'autorizzazione del giudice delegato (Pellegrino, 82, 154; Pajardi, Paluchowski, 796), stante il disposto dell'art. 31 comma 2 l.fall. Il fatto che la legge definisca l'iniziativa del curatore come una «proposta» induce taluno (Grossi, 1318; Sangiovanni, 409) ad attribuire una natura quasi ufficiosa al potere del giudice delegato di emettere il decreto ingiuntivo, ma si è giustamente obiettato che la proposta del curatore è una condizione per la pronuncia del decreto e che, pertanto, non può parlarsi di potere di emettere il decreto d'ufficio (Casucci, 788). Del resto questa soluzione è coerente con l'impianto legislativo che individua nel curatore il soggetto chiamato, sia pure sotto il controllo del tribunale e del giudice delegato, a recuperare il patrimonio del fallito per distribuirlo fra i creditori (Sangiovanni, 409). La competenza del giudice delegato (in deroga all'art. 637 c.p.c.: Sangiovanni, 409), connessa alla sua funzione nella procedura concorsuale (Cataldi, 34) e finalizzata a semplificare il più possibile il procedimento al fine di una rapida ricostruzione dell'attivo (Sangiovanni, 406 e 409; Fabiani, 507; De Cicco, 276; Pirazzoli, 1034; Del Bene, Bonfante, 369), è da taluni ritenuta non giustificata, in relazione al nuovo ruolo che il giudice delegato ha assunto a seguito della riforma del 2006 (Zanichelli, 399) e all'assunto secondo cui le deroghe al principio del giudice naturale dovrebbero riguardare solo casi eccezionali, nei quali non pare rientrare l'azione di recupero del credito sociale per i versamenti non eseguiti dal socio (Pajardi, Paluchowski, 797). Anche la dottrina, come la giurisprudenza, è divisa circa la necessità della prova scritta del credito per l'emissione del decreto ingiuntivo (in senso positivo Campobasso, 522; Bianchi, 2673; Bonsignori, 319; Del Bene, Bonfante, 372; v. altresì Blandino, Tomasso, 1777-1778, il quale tuttavia evidenzia che tale prova non potrebbe essere data attraverso le scritture contabili, stante l'inapplicabilità dell'art. 2710 c.c. al curatore fallimentare; contra Caridi, 923) e la possibilità per il giudice delegato di concedere la provvisoria esecuzione (favorevoli Pajardi, Paluchowski, 797; contra Caridi, 923). In merito all'esperibilità (alternativa) della domanda in via ordinaria, che sarebbe confermata dall'utilizzo dell'espressione «può» con riferimento alla competenza del giudice delegato (Sangiovanni, 410; Del Bene, Bonfante, 369), si è giustamente sottolineato che il curatore che operasse una tale scelta non renderebbe un buon servizio ai creditori sociali, perché di fatto opterebbe per uno strumento meno vantaggioso per ottenere più tardi il medesimo risultato conseguibile con il procedimento di cui all'art. 150 l.fall. (Sangiovanni, 410), fermo restando che, invece, non è affatto precluso ed è anzi consigliabile un previo tentativo di riscossione del credito in via stragiudiziale (Del Bene, Bonfante, 369). È stato inoltre osservato che non parrebbero sussistere ostacoli alla possibilità di compromettere in arbitri la controversia (Zucconi Galli Fonseca, 1; contra Lipponi, 705, nt. 7, e Del Bene, Bonfante, 371).

Il nuovo comma 2: l'opposizione al decreto ingiuntivo

La riforma ha espressamente recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. I, n. 9803/1999; Cass. I, n. 2066/1972; Trib. Genova, 1 giugno 1998, in Fall., 1998, 1291; Trib. Roma, 19 aprile 1995, in Gius., 1995, 1643; Trib. Venezia, 24 luglio 1984, in Fall., 1985, 657; App. Bari, 9 maggio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 317; Trib. Bari, 19 marzo 1979, in Giur. it., 1980, I, 269; contra Trib. Venezia, 16 marzo 1963, in Dir. fall., 1963, II, 362, e Trib. Arezzo, 30 settembre 1953, in Dir. fall., 1953, II, 568) derivante dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 118 del 1963 secondo cui il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 150 l.fall. è impugnabile con l'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 645 c.p.c., non applicandosi l'art. 26 l.fall. ai provvedimenti decisori del giudice delegato incidenti su diritti soggettivi.

In dottrina si è evidenziato che la diversa opzione rappresentata dalla reclamabilità del decreto ai sensi dell'art. 26 l.fall. avrebbe ingiustamente privato il socio della normale tutela garantita dall'art. 24 comma 2 Cost., non potendo considerarsi il processo camerale di cui all'art. 26 l.fall. uno strumento di piena realizzazione del diritto di difesa (Bonsignori, 319; Blandino, Tomasso, 1776-1777; Del Bene, Bonfante, 372).

L'opponente può eccepire la prescrizione del credito nello stesso modo in cui avrebbe potuto eccepirla alla società (Cass. I, n. 3324/88; Trib. Napoli, 21 giugno 1996, in Fall., 1996, 1242; Trib. Genova, 4 aprile 1989, in Fall., 1989, 1231). Si è peraltro affermato che, persistendo l'obbligo di conferimento per tutta la durata sociale, la prescrizione potrebbe decorrere solo a partire dalla data della cessazione del rapporto sociale (Cass. I, n. 3324/88). In merito alla prova dell'esecuzione dei versamenti, la Corte di Cassazione ha precisato che il verbale di assemblea contenente la dichiarazione dell'amministratore circa la liberazione delle azioni o delle quote sottoscritte non ha il valore di confessione stragiudiziale nei confronti del curatore del fallimento della società (il quale è parte processuale diversa dalla società fallita), ma è liberamente valutabile dal giudice del merito (Cass. I, n. 13095/1992). La suddetta prova non è integrata dalla mancata iscrizione del debito nel bilancio della società fallita non depositato nel registro delle imprese (Trib. Bari, 27 aprile 2016). Si applica anche all'opposizione avverso il decreto ex art. 150 l.fall. il principio secondo cui, in pendenza del giudizio di accertamento negativo del credito oggetto della domanda monitoria, una volta proposta l'opposizione al decreto ingiuntivo si determina l'esigenza della riunione dei due procedimenti ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c. (Cass. I, n. 9803/99).

L'eccezione di compensazione del debito da parte dell'opponente

Si registra un contrasto di giurisprudenza circa la possibilità per l'opponente di invocare, ai sensi dell'art. 56 l.fall., la compensazione del debito per i versamenti non eseguiti in occasione di un aumento di capitale con eventuali crediti (diversi da quelli aventi ad oggetto la liquidazione della quota, in relazione al quale si veda il commento all'art. 149 l.fall.) vantati nei confronti della società: se alcune pronunce affermano che sussisterebbe un divieto a tale compensazione, imposto dalla legge ai sensi dell'art. 1246 n. 5 c.c. a salvaguardia della corrispondenza tra il valore nominale del capitale sociale e la sua effettiva entità (Cass. I, 13095/1992; Trib. Genova, 14 giugno 2005, in Soc., 2005, 8, 1000; Trib. Milano, 20 novembre 1995, in Fall., 1996, 573; Trib. Vicenza, 24 giugno 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 421), altre negano che un tale divieto implicito possa desumersi dai principi inderogabili del diritto societario (Cass. I, 6711/2009; Cass. I, 936/1996; Trib. Casale Monferrato, 20 febbraio 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 909; Trib. Milano, 9 febbraio 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 909, e Soc., 1995, 12, 1591; Trib. Perugia 22 dicembre 1990, in Fall., 1991, 737), non potendo ravvisarsi alcun pregiudizio per i creditori sociali in un aumento di capitale sottoscritto mediante la contestuale estinzione per compensazione di un credito del socio sottoscrittore (Cass. I, n. 4236/1998; Trib. Verona, 14 marzo 1994, in Soc., 1994, 961; Trib. Verona, 20 ottobre 1993, in Soc., 1994, 361).

La prevalente dottrina esclude che sussista un divieto di compensazione del credito della società per i versamenti ineseguiti con i crediti del socio verso la società (Irrera, 2197; Caridi, 925; Adiutori, 1975; Bianchi, 2673-2674; Amatucci, 151; Provinciali, 2171; Blatti, 1945; Logoteta, 172 ss.; contra De Marco, 247, e Brunetti, 428, sull'assunto dell'intangibilità del capitale sociale). Si ritiene invece inapplicabile al caso di specie l'art. 2941 comma 1 c.c., che nelle società a responsabilità limitata consente ai liquidatori di chiedere ai soci i versamenti non ancora eseguiti solo se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali (Campobasso, 511; contra Bertacchini, 465, secondo cui l'obbligo dei soci al versamento dei conferimenti residui sussisterebbe solo in caso di insufficienza del patrimonio sociale in relazione al passivo fallimentare o nell'ipotesi in cui tale versamento consenta di accelerare i tempi di svolgimento della procedura).

Bibliografia

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