Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 173 - Revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura 1 .Revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura1.
Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o piu' crediti, esposto passivita' insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori e' eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo 171, secondo comma2. All'esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all'articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell'articolo 18. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilita' del concordato. [1] Articolo sostituito dall'articolo 14 del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [2] Comma modificato dall' articolo 17, comma 1, lettera s), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221 . Per l'applicazione del presente comma vedi quanto disposto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 17. InquadramentoIl legislatore non è mai intervenuto in maniera incisiva sul disposto di cui all'art. 173 l.fall.: fatta eccezione per gli aspetti procedurali relativi alla rilevazione delle condotte ed all'apertura ufficiosa da parte del tribunale del sub-procedimento di revoca dell'ammissione al concordato preventivo in presenza di rilievi dell'organo commissariale, la norma risulta sostanzialmente immutata. Con tecnica similare a quella utilizzata in altri contesti nomativi (si veda, per es.: l'art. 2598 c.c. in materia di atti di concorrenza sleale), il legislatore, oltre a tipizzare alcune condotte di natura commissiva ed omissiva, ha previsto una formula di chiusura che ricomprende tutte le condotte non tipizzate che siano caratterizzate dalla connotazione fraudolenta dell'atto. Ove si consideri che l'interesse generale sotteso al concordato preventivo consiste nella salvaguardia dei valori aziendali, nel parallelo rispetto della tutela ragionevole dei crediti, appare evidente che le «frodi» continuino ad essere rilevanti nella misura in cui siano tese, in ambito concordatario, alla soddisfazione di interessi egoistici ed eccentrici rispetto al premesso interesse generale. In questo contesto l'art. 173 assolve alla funzione di consentire, in costanza di concordato, un controllo permanente e ad ampio spettro della procedura. Non è un caso che le fattispecie enucleate dalla norma e suscettibili di comportare l'immediato arresto della procedura siano addirittura otto. Cinque si rinvengono nel primo comma: occultamento di parte dell'attivo, dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti, esposizione di passività inesistenti, commissione di altri atti di frode; tre si ritrovano nel terzo comma: commissione di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori, commissione di atti non autorizzati ex art. 167 l.fall., carenza delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato. Il tribunale deve rimanere garante della procedura e intervenire ogni qualvolta possa esserne alterato il regolare svolgimento, sia in relazione ad atti anteriori o coevi all'ammissione che emergano successivamente ad essa (le fattispecie del primo comma), sia in relazione ad atti compiuti o a situazioni venute in essere successivamente all'ammissione stessa. La latitudine estesa e composita della norma comporta la rilevanza ai fini della revoca di qualsivoglia condotta commissiva od omissiva, a contenuto sia patrimoniale che documentale, collocata temporalmente in epoca precedente o successiva alla presentazione della domanda concordataria, che, posta in essere volontariamente, sia rivolta ad incidere sulle condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, pregiudicando i creditori o sotto il profilo informativo, mediante la somministrazione di una rappresentazione lacunosa e non corrispondente alla situazione reale dell'impresa, o sotto il profilo patrimoniale, mediante la sottrazione di beni e utilità. L'art. 173 l.fall. nella interpretazione «orientata» della Cassazione non costituisce uno strumento sanzionatorio, posto che la legittimazione all'accesso alla procedura concordataria non è più riservata al solo imprenditore specchiato e meritevole, essendo state eliminate tutte le condizioni di ammissibilità del concordato che attenevano alle qualità soggettive del debitore: iscrizione nel registro imprese da due anni, assenza di procedure concorsuali collegate all'insolvenza nei cinque anni anteriori, mancanza di condanne per reati fallimentari o contro il patrimonio, la fede pubblica, l'economia pubblica l'industria ed il commercio; oltre al requisito di meritevolezza di cui all'art. 181 l.fall. che permeava tutta la procedura, non solo in fase di omologazione. Escluso che il carattere frodatorio sia necessariamente connesso ad una mera condotta sottrattiva del patrimonio, nel contesto del diritto riformato assume predominanza la tutela dell'informazione in sé quale valore perseguito dal legislatore per garantire l'espressione da parte del ceto creditorio di un consenso informato. L'art. 173 assurge, in tal senso, ad elemento di riequilibrio delle asimmetrie informative tra il debitore, propenso naturalmente ad un atteggiamento opportunistico (i.e. a perorare la propria salvezza ad ogni costo), ed il ceto creditorio. Alla luce della abrogazione del criterio di meritevolezza non possono rientrare nella nozione di atti di frode né le condotte, seppure riprovevoli, del debitore che non abbiano attinenza al concordato sotto il profilo oggettivo, né quelle che siano ininfluenti sul consenso informato del ceto creditorio quale unico bene giuridico protetto dalla disciplina riformata. In via astratta è del resto possibile che la proposta concordataria sia compatibile con condotte dispositive patrimoniali poste in essere dal debitore in un momento che precede l'attivazione della procedura, o nel corso della stessa (purché autorizzate ex art. 160, comma 7, l.fall.). Va ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, nella pendenza del procedimento di concordato preventivo il fallimento dell'imprenditore (su istanza di un creditore o su richiesta del P.M. può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. e cioè quando: la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile; è stata revocata l'ammissione alla procedura; la proposta di concordato non è stata approvata; e, all'esito del giudizio di omologazione, il concordato è stato respinto – fermo restando che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra le procedure e che la dichiarazione di fallimento non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass. S.U. n. 9935/2015; Cass. ord. n. 8982/2021). Frodi tipicheCon l'art. 173 l.fall. sono state enucleate ipotesi ben precise nelle quali è d'uopo addivenire alla revoca dell'ammissione: esse sono distinte tra primo e terzo comma, a seconda che le condotte vengano commesse precedentemente al decreto di ammissione alla procedura, ovvero nel corso della procedura medesima. I fatti di frode rilevanti sono, comunque, «promiscuamente» riferibili tanto alla fase precedente che a quella posteriore alla presentazione del ricorso. Con riferimento alle condotte poste antecedentemente all'ammissione, il segnalato primo comma tipizza, anzitutto, alcune fattispecie di atti di frode commessi in danno del ceto creditorio, individuandole nell'occultamento o nella dissimulazione dell'attivo, nella dolosa omessa denuncia di crediti, nella rappresentazione di passività in realtà insussistenti. Si tratta all'evidenza di modalità, suscettibili d'essere variamente congegnate, ma rispondenti alla equipollente funzione di sottrarre utilità del patrimonio in spregio all'art. 2740 c.c.. L'occultamento dell'attivo consiste nel nascondimento materiale di beni laddove la dissimulazione dell'attivo si sostanzia nel suo nascondimento giuridico, mediante atti simulati o mediante l'alterazione delle scritture contabili oppure per mezzo della relazione infedele dello stato analitico ed estimativo delle attività. L'omessa denuncia del credito null'altro è che una peculiare sottospecie di occultamento dell'attivo. La quarta fattispecie è rappresentata dalla esposizione di passività inesistenti, che si traduce nella appostazione di crediti fittizi mirata ad assicurare un trattamento migliore a taluni creditori in luogo di altri oppure funzionale ai inquinare il voto dei creditori, creando maggioranze artificiose. Frodi atipicheLa norma in commento, sia al primo che al terzo comma, ricorre alla formula residuale degli «altri atti di frode». La nozione va letta in una duplice chiave, rilevando, per un verso, la «frode soggettiva» – nella quale l'atto viene ingannevolmente nascosto ai creditori –, per altro verso, una «frode oggettiva» attinente al compimento, da parte del debitore, di atti non solo e non tanto finalizzati ad ingannare i creditori, ma a pianificare il dissesto, in guisa da approfittarne e da far poi apparire la soluzione concordataria la migliore possibile. L'imprenditore che si trova già in stato di dissesto e che compie atti volti a depauperare la garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori occultandoli a costoro per ottenere un consenso fondato su di una alterata percezione dei fatti, non può sfuggire alla sanzione della revoca del concordato allorquando quegli atti vengano disvelati. Il concetto di atto di frode che oggi assume pregnanza nel contesto del diritto fallimentare riformato sembra coincidere con quello della condotta consapevolmente orientata al fine di fuorviare i creditori sulle possibilità di effettivo realizzo del proprio credito e di condizionarne il consenso informato quale valore assoluto, in un contesto di esclusione di un sindacato di convenienza economica del tribunale. In questo solco ermeneutico, la condotta rilevante ai sensi dell'art. 173 l.fall. è solo quella volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero comportato una valutazione diversa e negativa della proposta. In quest'ottica senz'altro rilevano le condotte distrattive, per quanto stranamente non menzionate tra le frodi tipiche (v. 2.) Configurano «atti di frode» tutti quei comportamenti che: «per quanto dotati di una portata interna alla procedura concorsuale, siano nondimeno finalizzati a frodare le ragioni del ceto creditorio, nel senso di inficiare il percorso formativo del consenso che i creditori sono chiamati ad esprimere sulla proposta. Si tratta, in sostanza, di quegli atti che consentono di prospettare ai creditori, al fine di ottenerne il consenso, una surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice» (così Trib. Siracusa 20 dicembre 2012). Gli atti in frode ostativi all'accoglimento della proposta concordataria della società debitrice devono, in altre parole, ravvisarsi in quei fatti avvenuti prima della presentazione della domanda di concordato che hanno fraudolentemente diminuito e/o dissipato e/o distratto il patrimonio sociale a danno dei creditori, purché posti in essere con lo scopo di avvalersi dello strumento concordatario, ponendo i creditori di fronte ad una situazione compromessa sotto il profilo delle garanzie patrimoniali in modo da far accettare ai creditori stessi un piano migliore di quello acquisibile in sede liquidatoria o, nel caso di loro occultamento, in quegli atti posti in essere dall'imprenditore al fine di alterare la percezione dei creditori sulla reale situazione del debitore, influenzandone il giudizio (App. Roma 3 luglio 2012). Del resto, laddove emerga la prova che determinati comportamenti depauperativi del patrimonio siano stati posti in essere con la prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento del concordato, ponendo i creditori di fronte ad una situazione di pregiudicate o insussistenti garanzie patrimoniali in modo da indurli ad accettare una proposta comunque migliore della prospettiva liquidatoria, il concordato non è ammissibile in quanto rappresenterebbe il risultato utile della preordinata attività contraria al principio di buona fede, immanente nell'ordinamento. Minimo comune denominatore delle frodiIl minimo comune denominatore dei comportamenti indicati dall'art. 173, comma 1, l.fall. è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare (Cass. n. 13817/2011). La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ribadire che «i comportamenti del debitore anteriori alla domanda di concordato sono rilevanti esclusivamente nel caso in cui abbiano valenza decettiva e siano quindi tali da pregiudicare l'espressione di un consenso informato da parte dei creditori. La rilevanza di detti comportamenti è, infatti, data dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da fare apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. Detta attitudine deve ricorrere ai fini in questione anche per gli «altri atti di frode» (Cass. n. 23387/2013). Nell'art. 173 l.fall. il legislatore enuncia espressamente alcuni dei possibili comportamenti rilevanti (occultamento o dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione dell'esistenza di crediti, esposizione di passività inesistenti) e con una evidente disposizione di chiusura integra tale elencazione, indicativa e non tassativa, con il richiamo ad «altri atti di frode». Non pare contestabile, stante l'utilizzo dell'aggettivo «altri», che abbia inteso creare un collegamento con la precedente elencazione nel senso che i comportamenti espressamente indicati sono atti di frode e che nella stessa categoria rientrano quegli altri comportamenti che hanno le stesse caratteristiche distintive. E allora non può non rilevarsi che gli atti elencati non sono accomunati, ad esempio, dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, posto che tale attitudine non ha l'esposizione di passività inesistenti, mentre invece un minimo comune denominatore è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulla reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. In altri termini, si tratta di comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano compiere le valutazioni di competenza avendo presente l'effettiva consistenza e la reale situazione giuridica degli elementi attivi e passivi dei patrimonio dell'impresa. In questo senso si coglie la ratio dell'istituto ed il discrimen rispetto ad altri istituti che sono preposti a tutelare la massa dei creditori sotto il profilo reintegrativo. L'atto di frode deve possedere una duplice attitudine: sotto il profilo soggettivo deve denotare l'intento frodatorio del debitore, inteso come la volontà di concorrere unitamente o disgiuntamente con altri atti ad alterare la percezione dei creditori sulla qualità della proposta concordataria di modo da alterarne il libero consenso; sotto il profilo oggettivo, l'atto deve poter arrecare una «danno» alla massa dei creditori. Dolo della frodeSul piano soggettivo il comportamento fraudolento deve essere stato posto in essere con dolo, inteso come volontarietà del fatto (cfr. in tal senso Cass. n. 23387/2013). Con riferimento agli «atti in frode» contemplati dall'art. 173, la Cassazione ha avuto occasione di osservare come non si possa prescindere dall'accertamento che il comportamento del proponente è stato posto in essere con dolo (Cass. n. 17038/2011), consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori (Cass. n. 10778/2014). In buona sostanza, l'intento fraudolento, ossia il dolo a cui fa riferimento l'art. 173 l.fall., consiste nella mera consapevolezza dei comportamenti e della loro attitudine a trarre in inganno i creditori, indipendentemente dall'eventuale fine ingannevole preordinato a conseguire ingiusti vantaggi mediante la procedura concordataria. Esemplificativamente, l'omessa denuncia di uno o più crediti può condurre alla revoca solo se l'omissione sia stata dolosa e se il credito sia stato conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza. La norma richiede, quindi, la volontà di non dichiarare consapevolmente i crediti ed è esclusa nel caso di omissione non volontaria. Non possono cioè integrare la fattispecie errori rispetto ai quali sia riconoscibile la buona fede del debitore. Abolito il canone di meritevolezza, è coerente rinvenire la necessità che il dolo, ai fini della sua rilevanza ex art. 173 l.fall., sia orientato a frodare i creditori esclusivamente in funzione della domanda di concordato e non in senso astratto. In altri termini, non assume rilevanza l'atto di disposizione patrimoniale in sé, ma la consapevolezza della sua diretta correlazione con la diminuzione dell'attivo disponibile ai fini concordatari e della sua incidenza sulla percezione che il ceto creditorio ha della effettiva disponibilità patrimoniale del debitore in «funzione» della proposta concordataria. In questo senso si coglie il disvalore giuridico dell'atto espoliativo connesso ad una domanda concordataria in cui il debitore «simuli» di mettere a disposizione dei creditori tutti i beni di cui è titolare (adempiendo con tutto il suo patrimonio presente e futuro ai sensi dell'art. 2740 c.c.) dopo essersene spogliato, denotando così di voler utilizzare il concordato in senso abusivo o quale negozio indiretto in frode dei creditori, che avrebbe solo quale finalità egoistica l'esdebitazione. «Scoperta» della frodeLa giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di puntualizzare che l'atto di frode del debitore ammesso al concordato preventivo, per avere rilievo ai fini della revoca dell'ammissione alla procedura, ai sensi dell'art. 173 comma 1 l.fall., deve essere «accertato» dal commissario giudiziale e quindi dallo stesso «scoperto» essendo prima ignorato dagli organi della procedura o dai creditori, non potendosi certo attribuire al termine «accerta» il significato di «trova la conferma di quanto già enunciato nella domanda» in ordine a determinati eventi (Cass. n. 13817/2011). Ciò in quanto, se la norma si volesse riferire alla segnalazione di eventi già noti al momento dell'ammissione alla procedura, detta segnalazione da parte del commissario costituirebbe una sollecitazione al tribunale a riprendere in considerazione e a diversamente valutare fatti già ritenuti non ostativi all'ammissione e quindi, in sostanza, l'esercizio di un potere di sollecitazione di una pronuncia giurisdizionale modificativa di una precedente che costituirebbe una straordinaria deviazione dalle funzioni proprie dell'organo che sono unicamente consultive. In buona sostanza, viene assegnato al commissario il ruolo di necessario «scopritore» delle condotte non dichiarate dal debitore nella proposta sulla base dell'interpretazione della norma ai sensi dell'art. 12 preleggi, che attribuirebbe al verbo accertare significato di scoperta. L'interpretazione genera qualche perplessità: può dubitarsi, in effetti, che l'atto dispositivo patrimoniale finalizzato a frodare i creditori nell'ambito di una proposta concordataria sia solo quello occultato e successivamente scoperto dall'organo commissariale, come se l'accertamento debba risolversi in un sinonimo di scoperta di un fatto non noto. Quattro profili fanno riflettere in senso divergente. In primo luogo non viene in rilievo un profilo di intangibilità del decreto di ammissione alla procedura di concordato, posto il dettato dell'art. 173, comma 3, l.fall. ed il potere, suo tramite radicato in capo al tribunale, di revocare in ogni momento il decreto di ammissione alla procedura concordataria, rilevata la sussistenza di fatti censurabili ai sensi della norma in commento o riscontrata la mancanza delle condizioni di ammissibilità del concordato. In secondo luogo, giova considerare che il commissario non si atteggia (e non è) un mero consulente del tribunale, ma, piuttosto, un organo della procedura, deputato a tutelare la legalità della stessa sotto la propria responsabilità, assolvendo ad una attività di cognizione finalizzata a contestualizzare un determinato atto in base agli effetti giuridici prodotti, a prescindere dal modus in cui la prova dell'esistenza dell'atto (o del fatto) viene acquisita. Ancora, mette in conto rilevare che, se la facoltà di nomina dell'organo commissariale da parte del tribunale sorge anche in presenza di domanda di concordato «in bianco», cioè quando il debitore non ha formulato alcuna proposta, non avendo neppure dichiarato su quali basi si fonderebbe il connesso piano, ed il legislatore ha inteso anticipare, nondimeno, l'attività di accertamento commissariale ad un momento anteriore, è chiara l'intenzione di rafforzare il potere non di semplice consulente del commissario, ma di organo che, a prescindere dalle prospettazioni del debitore, può svolgere una intensa ed autonoma attività di accertamento, finalizzata a trarre le conseguenze dei fatti posti in essere dal debitore. Infine, non va trascurato che, se il bene giuridico protetto è il voto consapevole dei creditori, non è necessario che si tratti di condotte scoperte ex post, risultando sufficiente che il commissario giudiziale ne abbia, comunque, accertato l'attitudine a dare una rappresentazione distorta della situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice (Trib. Siracusa, 20 dicembre 2012 cit.). In definitiva, quello del commissario è, in altri termini, un potere valutativo «critico», che si esplica attraverso l'utilizzo di tutte le informazioni assumibili che può indurre ad attribuire ad un fatto prospettato dal debitore una rilevanza diversa da quella esposta anche sulla base di elementi aliunde reperiti, pure di natura presuntiva. In buona sostanza, ciò che assume rilevanza non è tanto la scoperta ex post dell'atto, quanto l'accertamento suo loro disvalore da parte dell'organo commissariale, il che implica una valutazione qualitativa dell'atto da parte di detto organo (nel senso della possibilità di riqualificare come frodatorio un atto esplicitato nella domanda concordataria v. anche Trib. Monza, 2 novembre 2011). La più recente giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, soggiunto che la disposizione in esame non esaurisce il suo contenuto precettivo nel richiamo al fatto scoperto perché ignoto nella sua materialità, ma ben può ricomprendere il fatto non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati, e che quindi può dirsi accertato dal commissario, in quanto individuato nella sua completezza e rilevanza ai fini della corretta informazione dei creditori, solo successivamente (Cass. n. 9050/2014). Irrilevanza del voto dei creditoriLa fraudolenza degli atti posti in essere dal debitore, se implica una loro potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, non per questo assume rilievo, ai fini della revoca dell'ammissione al concordato, solo ove l'inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato e si possa quindi dimostrare che, in concreto, i creditori medesimi hanno espresso il loro voto in base ad una falsa rappresentazione della realtà. Invero, rileva il comportamento fraudolento del debitore, non l'effettiva consumazione della frode (Cass. n. 14552/2014). Se così non fosse, se cioè l'accertamento degli atti fraudolenti ad opera del commissario potesse essere superato dal voto dei creditori, preventivamente resi edotti della frode e disposti ugualmente ad approvare la proposta concordataria, non si capirebbe perché il legislatore ricollega invece immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l'ammissione al concordato. Ciò, peraltro, senza la necessità di alcuna presa di posizione sul punto dei creditori, ormai resi edotti della realtà della situazione venuta alla luce, e senza spazio alcuno per possibili successive loro valutazioni in proposito. L'accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell'attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell'esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore, determina la revoca dell'ammissione al concordato preventivo, a norma dell'art. 173 l.fall., a prescindere dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche nell'ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell'accertamento (Cass. n. 9027/2016) Sindacabilità della relazione dell'esperto attestatoreLa giurisprudenza di legittimità ha, piuttosto di recente, osservato che il supporto cognitivo degli approfondimenti del commissario deve intendersi come destinato ai soli creditori per orientarne il voto e non al tribunale, che non se ne potrebbe quindi valere per censurare la relazione dell'esperto neppure nel procedimento ex art. 173 l.fall. (Cass. n. 13818/2011). In realtà, viene in evidenza una chiara natura procedimentale del concordato, talché è coerente e conseguente che il tribunale mantenga un puntuale potere di verifica, mirato al previo controllo sulla tutela degli interessi dei creditori (che sono anche minoritari e dissenzienti). In tal senso, la relazione dell'esperto se, per un verso, non vincola il tribunale, per altro verso, può essere oggetto di verifica e riesame da parte degli organi giudiziali, in quanto la relazione non vale a sopprimere o a sostituire i poteri istruttori del tribunale medesimo, assumendo rilevanza decisiva, ai fini dell'informativa dei creditori e del collegio, anche il contenuto delle relazioni del commissario giudiziale (Trib. Udine, 30 settembre 2011). In questo quadro, il tribunale, se non ha il potere di censurare il merito della relazione, ne può sindacare l'adeguatezza, quando essa presenti carenze o salti logici ovvero formuli deduzioni palesemente irragionevoli, per valutare quindi se quanto certificato dall'esperto sia sufficiente, da un lato, ai fini di una informazione compiuta dei creditori sulle prospettive del concordato e, per altro verso, per acclarare se i dati esposti siano sufficienti ed idonei a confermare la fattibilità del piano, in quanto supportati da idonea ed intellegibile motivazione. L'esperto deve prendere esplicitamente posizione sul piano concordatario ai fini di attestarne la fattibilità e dare atto della metodologia seguita per il reperimento dei dati e per la verifica della rispondenza dei valori contabili alla realtà, nonché dei criteri di valutazione utilizzati per la quantificazione dell'attivo concordatario. L'attestatore non è solo chiamato a confermare che i dati desumibili dalle scritture contabili siano conformi ai dati aziendali, ma altresì a valutarne l'attendibilità e la veridicità «concreta», quantomeno per le voci più rilevanti. In tal senso, è stata reputata «incompleta ed irregolare» la relazione limitatasi a riscontrare i saldi di contabilità, posta la sussistenza in capo all'esperto, non solo di formulare un giudizio sulla veridicità dei dati, ma di compiere una vera e propria due diligence, dando conto nella propria relazione delle attività di verifica attuate (Trib. Pescara. 21 ottobre 2005, in Foro. it., 2006, I, 929). In quest'ottica, costituisce vizio di carenza dei presupposti del concordato l'incompletezza della relazione dell'esperto ex art. 161 l.fall., che «non prenda posizione su poste contabili dubbie ed in particolare sulla veridicità di appostazioni contabili atte a ridurre l'attivo destinato al soddisfacimento dei creditori» (Trib. Bari IV, 26 novembre 2011). Si è anche osservato che il fallimento può conseguire ad un mero non liquet riferito ai dati asseverati in modo incompiuto dall'esperto (in tal senso v. Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Fall., 2007, 1441, che ipotizzando che la mancata indicazione di crediti fiscali integrasse dolosa omissione di denuncia dei crediti, ha sanzionato tale carenza con la revoca del concordato). Gravità e importanza degli atti di frodeNella giurisprudenza di merito si è avuto modo di puntualizzare che non tutte le condotte distrattive poste in essere dal debitore antecedentemente alla presentazione della domanda di concordato sono di per sé ostative alla prosecuzione della procedura concordataria, essendo l'applicazione dell'art. 173, comma 1, l.fall. limitato a quei soli comportamenti che per gravità ed importanza siano tali da rendere illegittimo il ricorso da parte dell'imprenditore ad un istituto che assicura, a differenza del fallimento, il beneficio della esdebitazione (Trib. Bergamo, 10 ottobre 2013). In questo scenario, il criterio per selezionare la rilevanza degli «altri atti di frode» non può che dipendere dall'impatto che la condotta in esame abbia avuto sulla causazione e sull'entità della crisi, assumendo rilievo diversi elementi quali l'entità della diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, da considerarsi in rapporto alle dimensioni del dissesto, la maggiore o minore prossimità della sottrazione al momento di manifestazione della crisi, il maggiore o minore disvalore sociale della condotta fraudolenta. Del resto, non può essere attribuita la stessa valenza ad atti dispositivi compiuti in epoca «non sospetta», e comunque non incidenti sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa alla data di proposizione della domanda di concordato, rispetto a quelli che si pongono a ridosso della domanda medesima e che hanno una incidenza causale sulla crisi o sul suo aggravamento (in tal senso v. Trib. Mondovì, 17 dicembre 2008). La necessità che vi sia una correlazione tra atto e concorso nel dissesto dell'impresa ritorna nella giurisprudenza di merito più recente (così anche Trib. Milano, 29 maggio 2013). Il criterio per selezionare la rilevanza degli «atti di frode» ai fini della revoca del concordato preventivo dipende dall'impatto che la condotta abbia avuto sulla causazione ed entità della crisi o sulle dimensioni del passivo; in particolare, una condotta risoltasi nella sottrazione fraudolenta di risorse destinate al soddisfacimento dei creditori, o nella dilatazione delle passività conseguenti ad artifici intesi a non assolvere alle proprie obbligazioni — anche, eventualmente, nei confronti dell'Erario — osta alla prosecuzione della procedura quando risulti che abbia causato o concausato la crisi, ovvero quando abbia dilatato in maniera significativa il passivo con corrispondente diminuzione delle prospettive di soddisfacimento dei creditori. In linea di principio, quindi, nella categoria degli «altri atti di frode» idonei a dare luogo alla risoluzione del concordato preventivo rientrano tutti quelli che valgono ad esibire ai creditori, al fine di captarne il consenso, una surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice; a tal fine è sufficiente che sia ravvisabile una fittizia ed obiettivamente artefatta rappresentazione della realtà complessiva dell'impresa che si sostanzi in un inganno potenzialmente idoneo a ledere gli interessi dei creditori, senza che si debba indagare sull'esistenza in concreto del pregiudizio stesso. Ravvedimento operoso e disclosure preventivaIl c.d. ravvedimento operoso del debitore, che manifesti la propria disponibilità a «riparare i danni», per esempio facendo retrocedere beni ceduti a terzi, non sembra idoneo ad escludere l'operatività dell'art. 173 l.fall. quando l'elisione del danno prodotto da parte sua consegua agli accertamenti del commissario e non ad una spontanea volontà espressa sin da subito al momento della presentazione della domanda di concordato. Nessun ravvedimento può eliminare ex post l'occultamento o più semplicemente la rilevanza dell'atto di frode in quanto fatto che si consuma nel momento stesso in cui esso non viene disvelato spontaneamente al ceto creditorio. Anche la modifica della domanda concordataria non avrebbe il pregio di eliminare in rerum natura la rilevanza frodatoria di un atto fraudolento già concretizzatosi e, in quanto tale, accertato dal commissario. In buona sostanza, il disvalore giuridico che deriva da una frode non è eliminabile attraverso il c.d. ravvedimento operoso, cioè dalla situazione in cui si viene a trovare il debitore che, una volta «smascherato» dal commissario, quasi obtorto collo manifesti la disponibilità a modificare la proposta concordataria mettendo a disposizione del ceto creditorio assets che avevano formato oggetto di preventiva distrazione. Lo strumento del concordato finirebbe per essere piegato ad instrumentum sceleris come atto finale di una condotta illecita. Una considerazione parzialmente diversa merita, semmai, la discosure preventiva, ossia l'ostensione e la narrazione, da parte del debitore, in ricorso e prima che si compia il vaglio di ammissibilità del tribunale, di eventuali fattispecie riconducibili nell'alveo dell'art. 173 l.fall.. Ove si consideri che il bene giuridico protetto dall'art. 173 coincide con il c.d. consenso informato quale presupposto di validità del negozio concordatario, quel medesimo bene sarebbe nell'ipotesi in questione certamente salvaguardato. Si intende dire che se, prima dell'ammissione al concordato, il debitore esponga l'avvenuto compimento di operazioni che hanno danneggiato il patrimonio sociale e pregiudicato, quindi, la garanzia patrimoniale, non sarà coerente attivare il procedimento di revoca del concordato ai sensi dell'art. 173 l.fall., ogni qualvolta di dette operazioni si sia stato dato minuzioso conto in domanda. In definitiva, assicurato che ai creditori sia data, fin dall'inizio, piena consapevolezza delle alternative in gioco, la tutela dei creditori vede spostato il proprio baricentro dalla sanzione dell'atto fraudolento in sé alla salvaguardia della pienezza del consenso genuino. I creditori potranno apprezzare che la proposta concordataria offre loro utilità competitive ed eventualmente posticipare una valutazione addizionale sulle responsabilità. Ovviamente è imprescindibile che le su richiamate operazioni non siano valse a pianificare il dissesto per finalità disallineate dalla funzione tipica del concordato, quale strumento di salvaguardia dei valori aziendali e di tutela contestuale del credito. E dette finalità disallineate si racchiudono essenzialmente, da un lato, nell'ipotesi delle operazioni poste in essere per allocare, in incognito, altrove quegli stessi valori aziendali, ponendoli al riparo dai creditori e al servizio del proprio esclusivo profitto; dall'altro, nell'ipotesi delle operazioni che siano volte a mascherare le proprie responsabilità, congegnando la soluzione alternativa della crisi in prospettiva essenzialmente esonerativa dalle proprie responsabilità connesse alla conduzione dell'azienda. Nella giurisprudenza di merito è già stato evidenziato che, se il debitore palesa gli atti di frode – e quindi li purifica della loro attitudine decettiva – ciò può impedire la revoca dell'ammissione (Trib. Piacenza, 4 dicembre 2008). Altra pronuncia ha, peraltro escluso che qualora gli amministratori responsabili delle condotte frodatorie siano rimossi e nei loro confronti si avviino azioni risarcitorie, ciò valga ad escludere la rilevanza delle condotte medesime ai fini della revoca (Trib. Milano, 20 luglio 2007: la mera rimozione non basta in quanto atto neutro, che non vale a segnare una cesura nell'imputabilità alla società dell'operato dei precedenti amministratori). Falsificazioni nelle scritture contabiliIn giurisprudenza ci si interroga sulla rilevanza o meno delle falsificazioni riscontrate dal commissario nelle situazioni contabili redatte in epoca anteriore dall'impresa in crisi. La tesi rigorosa ritiene rilevanti tutte le falsificazioni pregresse, ivi compresi i falsi in bilancio (Trib. Monza, 25 novembre 2011, in Fall., 2012, 236). In realtà, in un'importante obiter dictum di una nota pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha, peraltro, evidenziato come la scelta normativa sia stata quella di sopprimere nell'art. 160 l.fall. la prescrizione della regolare tenuta della contabilità ante domanda, sostituendola con la previsione dell'obbligo dell'esperto di certificare la correttezza dei dati aziendali riportati nel piano concordatario e, più in generale, con l'opzione legislativa sia stata quella di favorire la soluzione concordataria attenuando le sanzioni connesse con gli aspetti di moralità dell'imprenditore e privilegiando viceversa l'aspetto negoziale, di modo che non sarebbe sanzionabile una proposta che incontri il favore dei creditori laddove siano stati esposti in modo trasparente i guasti della gestione pregressa (a Cass. n. 2706/2009). È allora emersa, nella giurisprudenza di merito, una posizione meno drastica, tesa a sottolineare che le falsità non assumono comunque rilievo se non abbiano un contenuto economico concreto ed attuale (Trib. Milano 24 novembre 2011, in Fall., 2012, 236). In altri termini, le falsificazioni rilevano in quanto siano tali da influire sulle prospettive concrete di soddisfacimento (Trib. Milano, 28 aprile 2008). La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, rilevato che la condotta decettiva, idonea cioè ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento offerte dalla proposta di concordato preventivo, deve essere valutata solo con riferimento e sulla scorta della proposta e dei suoi allegati e non attraverso le scritture contabili, le quali, contrariamente a quanto previsto nel testo anteriore alla riforma del terzo comma dell'articolo 161 della l.fall., non devono necessariamente essere depositate con la domanda di concordato, trattandosi di documenti estranei ai documenti con il quale il debitore illustra al Tribunale e soprattutto ai creditori la propria proposta di soluzione della crisi (v. Cass. n. 9027/2016 secondo cui la divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale non può, peraltro, essere inquadrata in alcuna delle ipotesi specificatamente tipizzate nella prima parte del primo comma dell'art. 173 l.fall., ossia accertamento o dissimulazione di parte dell'attivo, omessa dolosa denuncia di uno o più crediti, esposizione di passività inesistenti, bensì esclusivamente nell'ipotesi residuale e generica degli «altri atti di frode», con la conseguenza che occorre accertare il carattere doloso di detta divergenza, non essendo concepibile un atto fraudolento, che non sia sorretto da una precisa intenzione di compierlo). In precedenza, la Suprema Corte aveva osservato che gli atti di frode commessi prima dell'ammissione alla procedura di concordato, previsti dall'art. 173, primo comma, l.fall., esigono che la condotta del debitore sia volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, da un lato, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dall'altro, siano state «accertate» dal commissario giudiziale, cioè da lui «scoperte», essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori. Le mere irregolarità contabili, quindi, possono essere configurabili come atti di frode, come tali ostative all'ammissione ed all'omologazione del concordato, solo se ne sia puntualmente dimostrata la valenza decettiva per il ceto creditorio (Cass. n. 12533/2014). In definitiva, parrebbero irrilevanti le falsificazioni riferite al passato e non incidenti sui dati aziendali inseriti nella domanda. Per converso, sono senz'altro rilevanti le falsificazioni che ingenerano incertezze contabili tali da incidere direttamente sul soddisfacimento dei creditori, sottendendo operazioni ipoteticamente dannose e non adeguatamente spiegate ai fini del consenso dei creditori. Ai fini della sanzione prevista dall'art. 173 l.fall. le irregolarità nelle scritture contabili del debitore anteriori al concordato preventivo assumono rilevanza solo se influiscono sui valori dell'attivo e del passivo (v. Trib. Bari IV, 26 settembre 2011 che ha ravvisato un atto in frode a danno dei creditori nell'esposizione di passività in ipotesi inesistenti verso una società controllata, finalizzata all'eliminazione per compensazione di un rilevante credito). La sanzione non può, dunque, colpire mere irregolarità, ma attinge, piuttosto, la comprovata e presente volontà del debitore di trarre in inganno i creditori con il nascondimento di atti mirati a sottrarre beni all'attivo o a creare passività inesistenti per favorire un terzo. Atti revocabili e pagamenti preferenzialiGli atti di frode, presupposto della revoca dell'ammissione al concordato preventivo ai sensi dell'art. 173 l.fall., non possono più essere individuati semplicemente negli atti di cui agli artt. 64 e ss. l.fall., ovvero comunque in comportamenti volontari idonei a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio, ma esigono che la condotta del debitore fosse volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dall'altro, siano state «accertate» dal commissario giudiziale, cioè da lui «scoperte», essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori. Ne consegue che, ai fini della revoca dell'ammissione al concordato, rilevano solo gli atti non espressamente indicati nella proposta che abbiano una valenza decettiva tale da pregiudicare il consenso informato dei creditori ancorché annotati nelle scritture contabili (Cass. n. 23387/2013). In altri termini, l'art. 173 l.fall. non investe la par condicio creditorum, ma il principio del c.d. voto consapevole, dal che consegue che devono essere considerati di per sé irrilevanti ai fini della apertura del sub procedimento di revoca anche atti di disposizione patrimoniale suscettibili di revocatoria ai sensi dell'art. 67 l.fall. (o dell'art. 2901 c.c. come nel caso di specie, in cui addirittura i creditori della cedente avevano esperito l'azione revocatoria ordinaria ritenendo sussistente il consilium fraudis tra controllante e controllata), che non abbiano natura decettiva in funzione del concordato. Il fatto che il debitore, prima dell'apertura della procedura, possa aver realizzato condotte che configurano illeciti (civili o penali) non necessariamente condiziona l'ammissibilità della domanda concordataria in quanto la nozione di frode contemplata dall'art. 173 l.fall. «non coincide con gli atti di natura civilistica quali i contratti in frode alla legge con causa o motivo illecito simulati ovvero soggetti a revocatoria né con quelli di natura penalistica bensì con gli atti che abbiano una rilevanza interna alla procedura in quanto finalizzati a frodare le ragioni di creditori inficiando il percorso formativo del consenso con una falsa o erronea rappresentazione della realtà» (così Trib. Roma, 21 settembre 2010, parla di «nesso strumentale» tra atto di frode e procedura concorsuale Trib. Bari, 7 aprile 2010, in giurisprudenzabarese.it, 2010). Atti di mala gestioIl requisito del dolo consente di escludere la rilevanza di atti di mala gestio non caratterizzati dalla volontà di trarre in inganno i creditori e derivanti da mera negligenza, qualora non influiscano sulla corretta rappresentazione dei dati aziendali. Detti atti restano esclusi in quanto condotte poste in essere con l'obiettivo di consentire la prosecuzione dell'attività di impresa. In altri termini, viene in evidenza l'estraneità alla categoria degli atti di frode di quelle condotte che, ancorché sfociate in risultati depauperativi, siano state poste in essere non al fine di sottrarre risorse alla gestione aziendale e alla garanzia generica dei creditori, ma con il serio obiettivo di consentire la prosecuzione dell'attività e la tutela del patrimonio del debitore. Del resto, la valutazione dell'atto frodatorio rilevante deve essere scisso da una valutazione di tipo etico o morale sulla persona dell'imprenditore: in altri termini, questi non è più soggetto al giudizio di meritevolezza soggettiva connesso alla specchiatezza delle sue pregresse condotte. Piuttosto, il comportamento tenuto dall'imprenditore deve essere valutato in funzione e nel contesto della domanda concordataria. La connotazione frodatoria degli «altri atti» va considerata sotto il profilo dell'elemento soggettivo dell'atto, ed in particolare di quello doloso, mentre non acquistano rilievo gli atti di mala gestio. Nel paradigma dell'atto di frode rilevante ai sensi dell'art. 173 l.fall., non rientra qualunque comportamento che anche indirettamente possa risultare tale da incidere sulle future aspettative del ceto creditorio, ma solo il comportamento consistente nella condotta volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa e negativa valutazione della proposta; l'atto in frode ai creditori risulta individuabile in ogni attività posta in essere allo scopo di celare il patrimonio del debitore influenzando il giudizio dei creditori, mentre non danno luogo di per sé a revoca della procedura scelte gestionali pregiudizievoli, in quanto non ogni intervento sul patrimonio del debitore è qualificabile come atto di frode, ma solo l'attività del proponente volta ad occultarlo (Trib. Ravenna, 25 ottobre 2015). Una pronuncia ha escluso il carattere frodatorio di operazioni astrattamente idonee a determinare un pregiudizio ai creditori dell'impresa giustificate da ragionevoli valutazioni gestionali e compiute in epoca non sospetta (Trib. Mondovì, 17 dicembre 2008). Omessa denuncia di azioni revocatorie, recuperatorie o risarcitorieIl commissario giudiziale è ora espressamente onerato di indagare, nella relazione ex art 172 l.fall., in ordine all'eventuale sussistenza di azioni revocatorie, recuperatorie o risarcitorie verso terzi e alle utilità che nel fallimento potrebbero provenirne. L'organo anzidetto è, altresì, tenuto a comunicare «senza ritardo» al P.m.. i «fatti» che possano essere di interesse per le indagini preliminari, e di cui venga al corrente nell'esercizio delle sue funzioni; e dunque, non si tratta solo del classico obbligo di segnalare reati, quando egli acquisisca la prova di comportamenti delittuosi, poiché altrimenti la norma sarebbe inutile; si tratta in realtà di un obbligo di raccordo stabile fra l'organo commissariale e la Procura della Repubblica. Le azioni «risarcitorie» rilevanti sono quelle nei confronti di amministratori, sindaci, revisori, soggetti esercenti o partecipanti all'attività di direzione e coordinamento, banche per abusiva concessione di credito, ma anche professionisti o terzi in genere che abbiano recato danno al patrimonio del debitore. Sono «recuperatorie» tutte le iniziative giudiziarie tese ad aumentare l'attivo disponibile per i creditori, quali le azioni di inefficacia/inopponibilità alla massa (artt. 44 ss. l.fall.), ma anche di nullità, nonché quelle di cui all'art. 2467 c.c. In sintesi, viene in evidenza qualsiasi azione astrattamente proponibile verso un «terzo» (tale essendo anche il soggetto economico che governa l'impresa) che possa apportare un contributo positivo al patrimonio del debitore, e che quindi si presenti come situazione giuridica attiva. Il concetto di «utilità» delle azioni evocato dall'art. 172 è tanto ampio da ricomprendere sia le probabilità di accoglimento delle azioni in questione che le prospettive concrete di recupero, tenuto conto della prevedibile capienza dei soggetti passivi in rapporto all'ammontare presumibile delle spese legali necessarie per sostenere tali ragioni in giudizio. Secondo un'opzione giurisprudenziale va esclusa la rilevanza, ai fini della revoca dell'ammissione al concordato, di queste forme di occultamento o di omissione (v. Trib. Milano, 3 novembre 2011: l'omessa comunicazione di fatti di mala gestio, giustificanti l'esercizio di azioni risarcitorie, non costituisce ai sensi dell'art. 173 l.fall. atto di frode in assenza di un danno effettivo alle ragioni della società e/o dei terzi creditori e qualora il risarcimento da responsabilità gestoria sia qualificabile solo come attività potenziale). In realtà, tutti gli argomenti ipotizzabili a supporto dell'orientamento negativo sono suscettibili di andare incontro ad altrettante obiezioni. Alla pretesa violazione del nemo tenetur se detegere, va contrapposta la considerazione per cui il principio attiene alla sola responsabilità penale e non a quella civile e che non in ogni responsabilità civile ex art. 146 l.fall. si cela un fatto di reato, ben differenziati essendo gli elementi oggettivi e soggettivi delle relative fattispecie; in ogni caso – si riflette – i fatti non denunziati possono riguardare membri di organi sociali già cessati dalle cariche, piuttosto che il management attuale. Alla rilevata non iscrivibilità a bilancio delle azioni in esame e alla lamentata difficoltà di stimare il danno e/o le prospettive di successo e/o di capienza nel contesto di esse, va contrapposta la considerazione per la quale ciò che rileva è l'esistenza delle appostazioni, essendo, la convenienza nell'azionarle, aspetto rimesso alla valutazione del ceto creditorio e non del debitore, il quale non può arbitrariamente selezionare quali informazioni somministrare, tanto più quando egli è probabilmente in conflitto di interessi. La dedotta non qualificabilità delle azioni alla stregua di crediti in senso tecnico può esser contraddetta evidenziando che la circostanza che si tratti di crediti illiquidi (per le azioni risarcitorie), oppure di mere aspettative, o di situazioni a formazione progressiva, data la natura costitutiva della sentenza che accolga la domanda (per le revocatorie), è di poca importanza, atteso l'art. 173 l.fall. menziona, accanto all'occultamento di «attivo», anche «altri atti di frode», e atteso che qualsiasi informazione omessa che possa essere rilevante per il voto è per ciò stesso suscettibile di sottendere una frode. La circostanza della esperibilità dell'azione sociale di responsabilità (come l'azione spettante alla controllata ex art. 2497 c.c., nella misura in cui la si ritenga ammissibile) e delle altre azioni risarcitorie che concernano un pregiudizio subito dalla società, nell'esecuzione concordataria, ad opera o del liquidatore giudiziale, oppure del legale rappresentante della società se il concordato non è liquidatorio, non esclude che la frode si consumi con l'omissione dell'informazione in sé, anche perché non è affatto detto che il creditore non stimi più efficiente l'azione del curatore, che come è noto può in genere cumulare più azioni, anche strutturate come «di massa» (artt. 2394-bis, 2497, ult. cpv.), nonché avvalersi di fonti informative e di strumenti di indagine più penetranti. All'indicata esperibilità diretta da parte dei creditori di talune azioni (artt. 2394, 2497 c.c.) contro i responsabili anche nel concordato va contrapposta la considerazione per la quale pure questo profilo attiene ad una valutazione di convenienza spettante soltanto ai creditori, trattandosi fra l'altro di azioni assai costose, ove costoro scontano anche rilevanti deficit informativi. Quel che l'ordinamento sanziona ai sensi dell'art. 173 rimane l'abuso informativo, insito nel non aver messo a disposizione dei creditori i dati che essi avrebbero potuto voler valutare ai fini di esprimere il voto. E nell'orientamento favorevo alla massimizzazione della discovery, in virtù della riforma del 2015, il debitore deve rappresentare i presupposti per l'esistenza di tali azioni, anche se esse attengano a responsabilità gestionali, persino le proprie, senza limitarsi peraltro alla mera dichiarazione del fatto, ma fornendo un'informazione completa anche dal punto di vista qualitativo. Unica circostanza che può escludere la rilevanza ex art. 173 l.fall. di tali comportamenti è semmai la certezza della impossibilità di esperire le azioni correlate, o perché ormai irrimediabilmente prescritte (con l'effetto, peraltro, di dover convertire la valutazione in quella relativa alla responsabilità di chi le abbia lasciate prescrivere), o perché certamente insuscettibili di apportare alcunché di vantaggioso, per l'endemica incapienza dei destinatari. Atti non autorizzatiUna fattispecie a sé, inserita nel comma 3 dell'art. 173 siccome suscettibile di condurre alla revoca dell'ammissione, è rappresentata dal compimento di atti non autorizzati ai sensi dell'art. 167 l.fall., in costanza di procedura. Come noto, il debitore, dopo l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, conserva l'amministrazione dell'impresa, ma deve conseguire l'autorizzazione del giudice delegato per compiere atti di straordinaria amministrazione. In mancanza, l'atto non solo è inefficace, ma comporta la sanzione della revoca. Non vi è unanimità di vedute sull'ammissibilità di una valutazione, per un verso, di intenzionalità frodatoria dell'atto privo di supporto autorizzativo, per altro verso, di connotazione effettivamente pregiudizievole dell'atto medesimo o, ancora, di gravità ed importanza del singolo comportamento. Indubbiamente, un atto straordinario non autorizzato potrebbe, a rigore, anche essere favorevole per la massa dei creditori concorsuali e, pertanto, non giustificare un provvedimento di revoca (Trib. Catanzaro, 18 marzo 2013). Una verifica sull'effettiva declinazione pregiudizievole dell'atto non autorizzato parrebbe, in linea generale, coerente con le finalità della disciplina dell'istituto concordatario, dovendosi valutare la corrispondenza dell'atto rispetto al piano e dunque la sua utilità in funzione dell'obiettivo soddisfacimento dei creditori. Alla presunzione iuris tantum di dolosa preordinazione del debitore alla lesione delle ragioni dei creditori può farsi conseguire l'opportunità, per il debitore ammesso al concordato, di superare la presunzione medesima, in sede di procedimento instaurato ai sensi dell'art. 173, comma 2, l.fall. (ove vigono, peraltro, tutte le garanzie disposte dall'art. 15 l.fall.), attraverso la prova della non lesività dell'atto rispetto alle ragioni dei creditori; in altri termini, il debitore è tenuto a dimostrare l'intrinseca utilità dell'atto in funzione dell'obiettivo del soddisfacimento dei creditori nonché la sua conformità al piano. In questa prospettiva, la revocabilità non discende, dunque, ex se dall'accertamento giudiziale in ordine alla mera violazione del sopra ricordato precetto dell'art. 167 l.fall., richiedendosi, ai fini dell'applicabilità della sanzione, l'ulteriore accertamento della lesività in concreto dell'atto non autorizzato rispetto agli interessi del ceto creditorio. In questo ordine di idee, in giurisprudenza è stata esclusa la frode in riferimento alla vendita, in assenza di autorizzazione, di due autovetture per prezzo congruo (App. Torino 15 luglio 2009, in Fall., 10, 248). Nell'orizzonte ermeneutico che, più in generale, tende a valorizzare la caratteristica della effettiva lesività dell'atto, ai fini dell'eventuale revoca del concordato, si inscrive altra pronuncia che ha evidenziato la necessità che gli atti riducano in maniera considerevole la garanzia patrimoniale del debitore ai sensi dell'art. 2740 c.c. (Trib. Cagliari, 12 marzo 2009). Nella giurisprudenza di merito si è ritenuto che il c.d. finanziamento c.d. interinale, e cioè quello erogato nel corso del procedimento di concordato tra il deposito della domanda e l'omologa, è soggetto ad autorizzazione preventiva ai sensi dell'art. 182-quinquies l.fall., sicché – in assenza di istanza preventiva, con corredo di apposita attestazione in ordine alla funzionalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori, e della consequenziale autorizzazione giudiziale – il finanziamento in parola integra fattispecie di atto vietato ex art. 173, comma 3, l.fall., dovendo trovare applicazione tale ultima norma in ogni ipotesi in cui un atto soggetto ad autorizzazione (non solo ai sensi dell'art. 167, ma anche in relazione ad ogni altra norma che ne legittimi il compimento previa autorizzazione giudiziale) venga posto in essere in mancanza di tale condizione legittimante e non potendosi neanche ammettere una sanatoria dell'atto non autorizzato tramite successiva ratifica. In assenza di istanza preventiva, con corredo di apposita attestazione in ordine alla funzionalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori, e della consequenziale autorizzazione giudiziale, il finanziamento in parola integra fattispecie di atto vietato ex art. 173, ultimo comma, l.fall. (Trib. Milano, 2 maggio 2013). Mancanza delle condizioni di ammissibilitàL'art. 173 comma 3 l.fall., nel suo ultimo inciso, stabilisce che il fallimento è dichiarato se il debitore durante la procedura compie atti non autorizzati o diretti a frodare le ragioni dei creditori «o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato». Con riferimento a questa ultima ipotesi, il legislatore non ha indicato come condizione per la dichiarazione di fallimento, l'apprezzamento di circostanze nuove e diverse rispetto a quelle precedentemente esaminate dal tribunale in occasione dell'ammissione al concordato (Cass. n. 1655/2007). In pendenza del procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile, quando è stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non è stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, il concordato è stato respinto; la dichiarazione di fallimento, peraltro, poiché non sussiste un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass. VI, n. 8982/2021). Del resto, nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, dell'assenza di atti o fatti di frode ed, infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione. Ne consegue che, a fronte di atti o di fatti rilevanti ai fini previsti dall'art. 173 l.fall., il tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento (Cass. n. 10778/2014). In definitiva, il vaglio relativo ai presupposti di ammissibilità si pone in sede di revoca negli identici limiti in cui è ab origine consentito, e cioè in base ai presupposti delineati dall'art. 160 commi 1 e 2 ovvero dall'art. 161, seppure alla luce di quegli accertamenti e di quelle analisi operate dal commissario che ne evidenzino una carenza che inizialmente non s'era colta. Anche la rilevazione in corso di procedura di elementi ostativi alla fattibilità giuridica del piano ed idonei ad alterare la percezione dei creditori e che sul piano oggettivo comportino la diminuzione (in danno dei creditori) dell'attivo usufruibile ai fini concordatari, impone al tribunale, secondo il ruolo ad esso attribuito di garante della legalità della procedura, di arrestare il procedimento e dichiarare inammissibile la domanda. Nel contesto riformato, la condotta fraudolenta del debitore non assume rilevanza in quanto promanante da soggetto «indegno» o poco meritevole per la sua «storia», ma sul piano oggettivo, in quanto tale condotta abbia un impatto negativo sulla proposta concordataria in termini di infattibilità giuridica. In sede di procedimento ex art. 173 l.lfall., al collegio è concesso rimettere in discussione la valutazione compiuta in sede di ammissione, in quanto la sommarietà delle verifiche che precedono quella prima decisione impone una nuova verifica successiva, in funzione dei controlli affidati al commissario giudiziale. Profili procedimentaliIl subprocedimento di revoca si apre dietro impulso del commissario giudiziale nelle cinque fattispecie di cui al primo comma. L'organo commissariale, segnatamente, è tenuto a riferire la circostanza acclarata del compimento dell'atto di frode al tribunale, il quale officiosamente da corso al subprocedimento anzidetto, avviandolo. All'uopo, l'ultimo inciso del comma 1, introdotto dal d.l. n. 179/2012 conv. in l. n. 221/2012 prevede che la comunicazione dell'apertura del subprocedimento per la revoca è eseguita, in favore del p.m. e dei creditori, dal commissario giudiziale. La comunicazione darà indicazione della finalità del subprocedimento, che è volto alla revoca, ma può implicare il susseguente epilogo consistente nella dichiarazione di fallimento. La giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, di recente affermato non è necessario che il decreto di convocazione delle parti rechi l'indicazione che il procedimento è volto all'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 15, comma 4, atteso che, da un lato, il rinvio contenuto nell'art. 173, comma 2, alla menzionata norma deve intendersi nei limiti della compatibilità e, dall'altro, in siffatta ipotesi, il contraddittorio tra creditore istante e debitore si è già instaurato ed il debitore è già a conoscenza che, in caso di convocazione ex art. 173, l'accertamento del tribunale e, correlativamente, l'ambito della sua difesa attengono ad una fattispecie più complessa di quella della sola revocabilità dell'ammissione al concordato, rappresentando la revoca uno dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (Cass. n. 25165/2016). Il comma 3 della norma non prevede, per le fattispecie ivi contemplate, una sollecitazione commissariale, talché sarà il tribunale medesimo, avvedutosi del pagamento non autorizzato, dell'atto in frode postumo all'ammissione o della mancanza delle condizioni di ammissibilità, ad avviare motu proprio il subprocedimento. Il subprocedimento, ai sensi del comma 2 della norma in commento, si svolge nelle forme di cui all'art. 15 l.fall. (v. commento), in funzione dell'accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 (v. commento). Si procederà, pertanto, in camera di consiglio, davanti al tribunale in composizione collegiale, con possibilità di delega ad un giudice singolo per l'audizione delle parti e l'eventuale espletamento di mezzi istruttori. In particolare, l'audizione del debitore si connoterà alla stregua di passaggio obbligato. Infatti, sebbene il procedimento per la revoca del concordato preventivo ex art. 173 sia unico e non frazionabile e la dichiarazione di fallimento assunta all'esito di detto procedimento non richieda l'instaurazione di procedimenti distinti, va garantita al debitore la possibilità di difendersi a pieno sia in ordine alla richiesta di revoca del concordato, sia in ordine alla dichiarazione di Fallimento, mediante adeguata conoscenza delle relative iniziative (Trib. Venezia, 24 novembre 2011). Se il commissario non è parte in senso proprio del subprocedimento (Cass. n. 4183/2014), certamente, di contro, lo sono sia il p.m. che i creditori, ai quali va riconosciuta, pertanto, piena facoltà di compiere attività processuali, depositando memorie e documenti, richiedendo mezzi istruttori, presenziando all'assunzione di quelli ammessi. Il subprocedimento si concludera con un provvedimento di non luogo a provvedere ovvero con una statuizione di revoca, a seconda che venga accertata la sussistenza o meno dei fatti per i quali esso è stato instaurato. In virtù della nuova formulazione dell'art. 173, partorita dalla riforma di cui al d.lgs. n. 169/2007, il fallimento non può più essere dichiarato d'ufficio, occorrendo necessariamente un'istanza di un creditore o una richiesta del P.m.. In tal caso, la revoca «confluirà» nella sentenza dichiarativa di fallimento, che l'art. 173, comma 2, prevede come contestuale al decreto di revoca. Dal tenore del secondo comma dell'art. 173 emerge chiaramente che a conclusione del procedimento di revoca dell'ammissione e se ne sussistono i presupposti processuali e sostanziali viene emessa la sentenza di fallimento senza ulteriori adempimenti procedurali (Cass. n. 13818/2011; v. anche Trib. Siracusa, 2 maggio 2012). La Corte di Cassazione ha, peraltro, puntualizzato che il P.m. è legittimato a formulare la richiesta di fallimento a seguito della comunicazione del decreto con il quale il tribunale abbia revocato l'ammissione al concordato preventivo, essendo egli, nel sistema della legge, informato sia della domanda di concordato ai fini dell'intervento nella procedura e dell'eventuale richiesta di fallimento (art. 161 l.fall.), sia della procedura d'ufficio per la revoca dell'ammissione al concordato (art. 173 l.fall.), onde è anche il naturale e legittimo destinatario della comunicazione dell'esito di tale procedimento (Cass. n. 4209/2012). Il P.M. ha il potere di formulare la richiesta di fallimento anche nel caso di rinuncia alla domanda di concordato preventivo, dopo l'apertura del relativo procedimento, in quanto la rinunzia non determina la cessazione automatica del procedimento concordatario e non elimina il potere di iniziativa del P.M. (Cass. I, ord. n. 27936/2020, nel caso di ravvisata esistenza di frode). In particolare, l'assenza di un termine entro il quale il debitore e il P.m. debbano assumere l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento porta ad escludere che l'istanza o la richiesta di costoro debbano preesistere al subprocedimento di revoca. D'altronde, il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato preventivo e la conseguente dichiarazione di fallimento è unico e non disarticolabile in subprocedimenti indipendenti, dei quali, peraltro, non si avverte la necessità, attesa la complementarietà delle questioni trattate e la possibilità per la debitrice di difendersi compiutamente nell'ambito del procedimento prefallimentare (App. Venezia, 30 agosto 2011). Sebbene manchi una previsione espressa in tal senso, nulla osta a ritenere la reclamabilità del provvedimento di revoca tout court. Ovviamente, laddove sia pronunciato il fallimento, i motivi di contestazione afferenti la revoca saranno veicolati nell'evocato reclamo ex art. 18 avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, alla medesima stregua di quanto accade ai sensi dell'art. 162, ult. comma. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente puntualizzato che il decreto con cui il tribunale dichiara l'inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi dell'art. 162, comma 2, l.fall. (eventualmente, anche a seguito della mancata approvazione della proposta, ai sensi dell'art. 179, comma 1) ovvero revoca l'ammissione alla procedura di concordato, ai sensi dell'art. 173, senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazioneexart. 111, comma 7, Cost., non avendo carattere decisorio. Invero, tale decreto, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato (Cass.S.U. n. 27073/2016). l reclamo avverso la sentenza di fallimento ha effetto devolutivo pieno e riguarda pertanto anche la decisione negativa sulla domanda di ammissione al concordato, perché parte inscindibile di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi. Ne segue che, ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando innanzitutto la decisione del tribunale di revoca dell'ammissione al concordato, il giudice del reclamo è tenuto a riesaminare - anche avvalendosi dei poteri officiosi ex art. 18, comma 10, nonché del fascicolo della procedura – tutte le questioni concernenti la revoca, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado né da questi rilevati d'ufficio ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti ivi costituite (Cass. ord. n. 11216/2021). Sul piano dei rapporti tra concordato preventivo e fallimento, rileva anche nell'ambito ora in esame l'arrêt incaricatosi di chiarire che, in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, comma 6, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.m. può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l.fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass.S.U. n. 9935/2015). CasisticaL'accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell'attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell'esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell'ammissione al concordato, a norma dell'art. 173 l.fall., indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche nell'ipotesi in cui questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento. Nel caso di specie, è stata confermata la decisione impugnata, reiettiva dell'omologa di un concordato preventivo proposto da una società che, come accertato dal commissario e comunicato ai creditori, aveva distribuito utili, pur versando in situazione finanziaria critica, aveva definito un contenzioso in corso mediante una transazione di contenuto pregiudizievole e non aveva incluso, nella relazione sulla situazione patrimoniale, ingenti crediti vantati da società terze nei suoi confronti (Cass. n. 14552/2014) È necessario che la condotta del debitore sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e, dunque, che esse siano state «accertate» dal commissario giudiziale, cioè da lui «scoperte», essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori. Nel concetto di «frode» non rientra qualunque comportamento volontario idoneo a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto creditorio e, quindi, risulta estraneo a tale qualificazione il comportamento del debitore che, già nel ricorso, abbia indicato gli atti di disposizione del patrimonio, stipulati anteriormente, implicanti la concessione di diritti di godimento a terzi e che, successivamente esaminati dal commissario giudiziale, siano ritenuti suscettibili di depauperare il detto patrimonio, così da scoraggiare l'acquisto degli immobili oggetto della cessione ai creditori, pregiudicando la fattibilità della proposta concordataria. È stata valorizzata ai fini della revoca l'esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili, rilevando che, in funzione dell'art. 173 l.fall., sul piano oggettivo vengono in rilievo le condotte volte ad «occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l'idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione». In altri termini, nella specie, la corte territoriale, con statuizione confermata sul punto dalla Suprema Corte, aveva revocato l'ammissione al concordato preventivo per essersi accertato a seguito di relazione del commissario giudiziale, l'esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili e la piena consapevolezza del suo legale rappresentante, e quindi della società medesima, di tale omissione (Cass. n. 17191/2014). Si è anche osservato che la sottrazione o dissimulazione dell'attivo può consistere nel materiale occultamento di denaro o di qualsiasi altro bene destinato alla massa creditoria, ivi compresa l'intestazione fiduciaria o la vendita simulata. (Trib. Ascoli Piceno, 18 dicembre 2009). Recentissima pronuncia ha evidenziato che l'accertamento da parte del commissario giudiziale di atti di frode da parte del debitore (come l'occultamento e la dissimulazione dell'attivo, la dolosa omissione di denuncia di crediti, o l'esposizione di passività inesistenti) determina la revoca dell'ammissione al concordato, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e dunque dalla loro consapevolezza di tale accertamento. Le condotte del debitore che assumono rilevanza in tali termini non devono necessariamente essere accertate secondo il criterio penalistico dell'oltre ogni ragionevole dubbio, bastando il criterio civilistico del più probabile che no. Nel caso di specie, la Corte accoglie il reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato rilevando una specifica condotta gravemente colposa del debitore nell'aver valorizzato un evento sfortunato, quale un incendio di modeste dimensioni, al fine di giustificare la scomparsa di rilevanti rimanenze di magazzino (App. Bari, 12 maggio 2016). Si è dato rilievo alla ingiustificata svalutazione di un credito di rilevante entità in teoria azionabile nella sua interezza una volta approvato il concordato (Trib. Milano, 28 aprile 2008). Si è ritenuto idonea a condurre alla revoca la rappresentazione di un attivo superiore a quello effettivo mediante una proposta di acquisto di un immobile materialmente falsa (Trib. Mantova, 18 settembre 2008). BibliografiaAmbrosini, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo fra dottrina e giurisprudenza, in Dir. fall., 2012, II, 348; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato dir. comm., diretto da Cottino, XI, 1 Padova, 2008, 81 ss.; Bosticco, La resurrezione giurisprudenziale delll'art. 173 l.fall. e la difficile distinzione tra atti di frode e sopravvenienze inattese, in Fall. 2007, 1447; Bozza, Il vecchio, l'attuale e il (forse) prossimo art. 173, ult. parte, della legge fallimentare, in Fall., 2007, 689; Confortini, Il concordato preventivo tra legge del concorso e legge del contratto, Riv. dir. civ., 2018, n. 4; Fauceglia, Revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, 2009, 1700; Filocamo, Sub Art. 173, in La Legge Fallimentare, Commentario teorico-pratico (a cura di Ferro); Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, 730; Liccardo, Commento sub art. 173 in Comm. Nigro-Sandulli-Santoro, 2168; Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2013; Penta, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo: rilevanza della percentuale offerta e della fattibilità del piano, in Fall., 2010, 860. |