Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 186 bis - (Concordato con continuita' aziendale) 1 .

Valentino Lenoci
aggiornata da Francesco Maria Bartolini

(Concordato con continuita' aziendale)1.

Quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell'attivita' di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o piu' societa', anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano puo' prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa.

Nei casi previsti dal presente articolo:

a) il piano di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attivita' d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalita' di copertura;

b) la relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell'attivita' d'impresa prevista dal piano di concordato e' funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;

c) il piano puo' prevedere, fermo quanto disposto dall'articolo 160, secondo comma, una moratoria fino a due anni dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto 2.

Fermo quanto previsto nell'articolo 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all'articolo 67 ha attestato la conformita' al piano e la ragionevole capacita' di adempimento. Di tale continuazione puo' beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la societa' cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti. Il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni. Le disposizioni del presente comma si applicano anche nell'ipotesi in cui l'impresa e' stata ammessa a concordato che non prevede la continuita' aziendale se il predetto professionista attesta che la continuazione e' necessaria per la migliore liquidazione dell'azienda in esercizio3.

Successivamente al deposito della domanda di cui all'articolo 161, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove gia' nominato4.

L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l'impresa presenta in gara:

a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), che attesta la conformita' al piano e la ragionevole capacita' di adempimento del contratto;

[b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacita' finanziaria, tecnica, economica nonche' di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si e' impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione piu' in grado di dare regolare esecuzione all'appalto. Si applica l'articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.] 5

Fermo quanto previsto dal comma precedente, l'impresa in concordato puo' concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purche' non rivesta la qualita' di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui al quarto comma, lettera b), puo' provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.

Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l'esercizio dell'attivita' d'impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'articolo 173. Resta salva la facolta' del debitore di modificare la proposta di concordato.

Ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all'articolo 172, primo comma, il commissario giudiziale redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma, e lo trasmette ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma. Conclusa l'esecuzione del concordato, deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma 6.

[1] Articolo aggiunto dall'articolo 33, comma 1, lettera h), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012.

[2] Lettera modificata dall'articolo 20, comma 1, lettera g), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147.

[4] Comma inserito dall'articolo 13, comma 11-bis, del D.L. 23 dicembre 2013 n. 145 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 9 e successivamente sostituito  dall'articolo 2, comma 4, lettera b), numero 2), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla Legge 14 giugno 2019, n. 55.

[6] Comma aggiunto dall'articolo 14, comma 1, lettera d), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

Inquadramento

Il d.l. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/2012 ha inserito nella legge fallimentare l'art. 186-bis, introducendo una disciplina finalizzata alla prosecuzione dell'attività d'impresa in caso di concordato preventivo.

In particolare viene prevista una disciplina specifica del concordato preventivo, quando il piano presuppone la continuità aziendale, e cioè la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore, ovvero la cessione dell'azienda in esercizio o il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società.

Le modifiche e le integrazioni operate sul testo della legge hanno avuto il pregio di aver colmato talune lacune normative riscontrabili in tema di prosecuzione dell'attività di impresa nelle more della procedura di concordato preventivo.

La norma che meglio esplica tale voluntas legis di connubio tra «prosecuzione dell'attività economica» e concordato preventivo è quella proprio di cui all'art. 186-bis l.fall., intitolato «Il concordato con continuità aziendale».

Le disposizioni ivi contenute manifestano il tentativo intrapreso dal legislatore di offrire una regolamentazione tipica ad un modus operandi già noto nella prassi concorsuale, secondo il quale l'imprenditore in crisi prosegue, direttamente o indirettamente, l'esercizio dell'attività economica anche nelle more della procedura.

In dottrina è stato osservato che l'art. 186-bis, che intende essere una risposta alle necessità delle imprese in crisi, è collocato a chiusura dell'intera disciplina riservata alla procedura di concordato preventivo, occupando idealmente il «vuoto» lasciato nel corpo della legge fallimentare dall'abrogata amministrazione controllata; di talché, tale collocazione suggerirebbe l'intento del legislatore di conferire al «concordato con continuità aziendale una certa autonomia sistematica» (Pettirossi, 206).

A tal proposito diremo che la continuità dell'attività d'impresa può attuarsi mediante svariate forme: «può essere lo stesso imprenditore a condurre la propria impresa oppure questa può essere devoluta a terzi mediante un affitto d'azienda» (Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016; Trib. Cassino, 31 luglio 2014; Trib. Monza, 11 giugno 2013).

Più precisamente:  “Il concordato preventivo è qualificabile come in continuità aziendale, salvi i casi di abuso dello strumento, allorquando alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale, tanto al momento dell'ammissione al concordato, quanto all'atto del successivo trasferimento cui l'azienda in esercizio dev'essere dichiaratamente destinata, senza che rilevi in senso ostativo all'applicazione del regime ex art. 186-bis l.fall. l'eventuale intervenuta modificazione di una parte dell'attività produttiva” (Cass. I, ord. n. 17092/2023).

L' art. 390 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, dispone: sono definiti ancora con le norme del r.d. n. 267/1942 i ricorsi per l'apertura del concordato preventivo depositati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. (15 luglio 2022); sono definite secondo le norme del r.d. n. 267/1942 le procedure di concordato preventivo pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. nonchè le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di concordato preventivo.

 

Continuità aziendale come continuità diretta, continuità indiretta e continuità mediata

La disamina circa l'ambito di applicazione della disciplina di cui all'art. 186-bis l.fall. non può non partire dall'intitolazione della norma, che già di per sé vale a tracciare i confini della fattispecie di cui in argomento.

Tali «elementi costitutivi» riguardano in realtà vicende dell'impresa tra loro alternative, in grado ciascuna di rendersi mezzo idoneo allo svolgimento dell'attività economica, ed in particolare: a) nella prosecuzione dell'attività da parte del debitore; b) nella cessione di azienda in esercizio; c) nel conferimento di azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione.

Di immediata osservazione è l'aggregazione in un'unica disciplina tanto delle ipotesi di prosecuzione diretta dell'impresa, quanto delle ipotesi di subentro di terzi soggetti. Tale unitarietà della disciplina suggerisce altresì che sia preferibile parlare, in riferimento all'elencazione di cui al comma 1, non di «pluralità di fattispecie» quanto di un'unica fattispecie, che è quella «con continuità aziendale», articolata in più «sub-fattispecie» (Pettirossi, 211).

Difatti analizzando le sub-fattispecie di cui al comma 1, queste realizzano due forme di continuità, una continuità soggettiva e una continuità oggettiva altresì configurabili alla stregua di continuità diretta e indiretta.

La continuità diretta o soggettiva, che si realizza allorquando è lo stesso debitore insolvente che ha depositato la domanda di ammissione alla procedura che prosegue lo svolgimento dell'attività economica, non sembra dare adito a margini di disquisizioni definitorie nella sua univocità ontologica sebbene sia discusso e discutibile che la prosecuzione dell'attività di impresa nelle more del concordato sia sempre rilevante ai fini dell'applicazione della norma. In questo caso, la soddisfazione dei creditori avviene mediante i flussi di cassa previsti ovvero mediante la distribuzione di utili a favore di titolari di azioni o di strumenti finanziari partecipativi assegnati in esecuzione del piano di concordato.

Quanto alla continuità indiretta od oggettiva, l'ipotesi della cessione dell'azienda sembra prima facie maggiormente compatibile con una prospettiva liquidatoria della procedura di concordato. In effetti, in questi casi la «continuità» si realizza mediante la cessione dell'azienda in esercizio, e la soddisfazione dei creditori avviene mediante l'impiego delle risorse rivenienti dal trasferimento.

L'azienda viene quindi trasferita all'esito di una procedura competitiva (cessione a mezzo di liquidatore ovvero offerte concorrenti nel caso di proposta «chiusa»), e quindi con applicazione, tra l'altro dell'art. 105, comma 4, l.fall., richiamato dall'art. 182, comma 5, l.fall., che esclude la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'azienda ceduta. Peraltro, potrà prospettarsi una influenza diretta della continuazione dell'attività sul ceto creditorio, allorquando la cessionaria si ponga come assuntrice delle obbligazioni della debitrice (secondo lo schema dell'art. 2560, comma 2, c.c.), ovvero quando il prezzo della cessione sia dilazionato e sia previsto il pagamento mediante l'impiego delle risorse di cassa generate dalla prosecuzione dell'attività (Arato, 3549).

Nel caso, invece, di conferimento dell'azienda in esercizio, il debitore conferisce l'azienda priva di debiti (nella maggior parte dei casi in una newco), ed il soddisfacimento dei creditori potrà avvenire mediante soddisfazione diretta da parte della società conferitaria (divenuta assuntrice e quindi obbligata ex art. 2560, comma 2, c.c.), ovvero mediante altre soluzioni, quali l'assegnazione ai creditori della conferente di quote della conferitaria ovvero di azioni o strumenti partecipativi della stessa, mediante il riparto di utili della conferitaria ovvero mediante la liquidazione della partecipazione detenuta dal debitore nella conferitaria, e quindi nella distribuzione ai creditori del corrispettivo pagato dall'acquirente della partecipazione (Arato, 3550; Stanghellini, 3214).

Il contenuto del piano del concordato

L'articolo in esame richiama la modalità di redazione del piano dell'art. 161, secondo comma, lett. e), l.fall.

In particolare la citata norma stabilisce che, quando è proposta una domanda di concordato in continuità, detto piano deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura. Il debitore deve cioè indicare quali siano i risultati attesi da tale attività e come essa possa essere in concreto finanziata, per tutto il periodo in cui la continuazione dell'impresa sia rilevante per i creditori. Per meglio dire, è necessario che il piano sia credibile, con esposizione di obiettivi raggiungibili; sostenibile, sotto il profilo della gestione finanziaria ed imprenditoriale degli obiettivi; verificabile, con indicazione del dettaglio dei fattori determinanti dei ricavi e dei costi; motivato, con esatta e chiara specificazione delle azioni che consentano il raggiungimento degli obiettivi fissati. Occorre, dunque, «predisporre un piano industriale che contempli la prosecuzione dell'attività per un arco di tempo che consenta di svolgere previsioni ragionevoli, funzionale all'acquisizione delle risorse necessarie» (Fabiani, 201).

A tal proposito, in giurisprudenza è stato osservato che difetta dei presupposti per qualificare un concordato in continuità la mancanza dell'analitica indicazione dei ricavi e costi; inoltre, essendo il concordato con continuità catalogabile come concordato con garanzia, il debitore ha obbligo di assicurare ai creditori una percentuale certa di soddisfazione dei loro crediti (Trib. Milano 30 maggio 2013; Trib. Monza 13 febbraio 2015).

Le condizioni per il concordato in continuità e l'affitto di azienda

Nel caso di affitto di azienda, il fatto che l'art. 186-bis l.fall. non faccia riferimento a tale ipotesi ha portato alcuni commentatori ad escludere la configurabilità di un concordato con continuità aziendale, nel caso in cui la proposta prevedesse, per l'appunto, l'affitto del complesso aziendale.

A tal proposito, si tende tuttavia a distinguere tra l'affitto «fine a se stesso», e l'affitto propedeutico alla cessione.

La prima tipologia di affitto non pare rientrare nel perimetro del concordato con continuità aziendale, non essendo contemplata dall'art. 186-bis l.fall. (Trib. Ravenna 22 ottobre 2014).

Nel caso, invece, di affitto propedeutico alla cessione, occorre distinguere a seconda che la stipulazione del relativo contratto costituisca un elemento del piano concordatario (come tale di futura realizzazione), o che essa, invece, si sia già verificata all'epoca del ricorso ex art. 161 l.fall.

Il primo caso pare senz'altro riconducibile alla fattispecie del concordato con continuità aziendale, e, in questi casi, la fattibilità del piano dipenderà dal pagamento dei canoni e del prezzo di acquisto, sicché il contenuto dell'attestazione dovrà incentrarsi, in questa ipotesi, sull'idoneità dell'affittuario promissario acquirente a far fronte ai propri impegni, grazie anche alla predisposizione di un adeguato piano industriale (Trib. Como 29 ottobre 2013; Trib. Monza 11 giugno 2013).

Più problematica è l'ipotesi in cui l'affitto d'azienda sia stato posto in essere prima della presentazione del ricorso ex art. 161 l.fall.

Secondo una parte della dottrina, in questi casi si è al di fuori dell'idea di continuità aziendale, perché l'impresa è esercitata direttamente dall'affittuario ed il debitore, pur se non perde la qualifica di imprenditore, si trasforma in «imprenditore quiescente», ragion per cui, se l'impresa è gestita da un terzo, non vi sarebbe motivo che il debitore in concordato si avvantaggi delle provvidenze di cui all'art. 182-quinquies e 186-bis l.fall. (Fabiani, 194).

Secondo un'altra impostazione, tuttavia, ove l'affitto concesso prima della presentazione del ricorso sia comunque finalizzato alla cessione post-omologa del patrimonio aziendale, non vi sarebbe motivo di escludere la qualificazione del concordato come concordato con continuità aziendale, tanto più che l'imprenditore non perde tale sua qualità per il sol fatto di avere concesso in affitto l'azienda di cui è titolare (Trib. Udine 5 maggio 2016; Trib. Alessandria 18 gennaio 2016; Trib. Roma 24 marzo 2015; Trib. Bolzano 27 febbraio 2013).

Come è stato correttamente affermato, semmai, lo spartiacque tra concordato con continuità aziendale e concordato senza continuità non è di tipo soggettivo, bensì oggettivo: ciò che conta, infatti, è che l'azienda sia in esercizio (da parte dello stesso debitore, o da parte di un terzo) tanto al momento dell'ammissione al concordato, quanto all'atto del suo successivo trasferimento (cui essa deve essere dichiaratamente destinata), in quanto in tal caso il rischio d'impresa continua a gravare, seppur indirettamente, sul soggetto in concordato e l'andamento dell'attività incide sulla fattibilità del piano (Ambrosini, 119; Arato, 3554).

L'attestazione del professionista

Il concordato con continuità aziendale si caratterizza per la necessità di un piano avente determinate caratteristiche, e di una attestazione «rafforzata» in ordine alla fattibilità del piano.

Secondo l'art. 186-bis, comma 2, lett. a), l.fall., infatti, il piano di concordato deve contenere anche «un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura»; secondo la lett. b) dello stesso comma, inoltre, «la relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori».

La necessità dell'indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale a fornire ai creditori un'adeguata informazione circa le conseguenze della continuità aziendale, affinché essi possano soppesare con attenzione e cognizione di causa l'ammontare delle risorse destinate a tale scopo, e quindi sottratte all'immediato soddisfacimento degli stessi, nonché, nei casi di continuità diretta, dei proventi attesi e destinati specificamente all'esecuzione del concordato. Nei casi di continuità indiretta e pagamento dei creditori con il ricavato della cessione (e dei canoni di affitto di azienda antecedenti alla cessione), l'attestazione è comunque necessaria, al fine di consentire ai creditori di verificare l'eventuale congruità del prezzo di cessione, in relazione ai ricavi attesi fino al momento dell'esecuzione del concordato, così come indicati nella proposta, e quindi al fine di verificare, con cognizione di causa, la convenienza della proposta (Trib. Roma 24 marzo 2015).

Trattasi di un'esposizione particolarmente complessa, che deve tradursi in un vero e proprio business plan, con l'indicazione, se del caso, degli investimenti previsti, dei costi ordinari e straordinari, nonché dei flussi di cassa ragionevolmente attesi.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, secondo la giurisprudenza, l'attestatore deve operare una comparazione tra la prosecuzione dell'attività come prospettata nel business plan della società che prosegue l'attività e come recepita nel piano concordatario e la liquidazione dei beni in sede concorsuale; sicché, la carenza di informazione dei creditori con riguardo ad aspetti rilevanti del piano concordatario e l'inadeguatezza dell'attestazione ben possono essere rilevati anche d'ufficio dal tribunale nel giudizio di omologazione, trattandosi di valutazione che non eccede i confini del sindacato di legittimità, non riguardando né l'area economica del piano né la prognosi di adempimento (Trib. Mantova 9 ottobre 2014). Ed ancora, il professionista attestatore, oltre a dichiarare il possesso dei requisiti e l'assenza delle incompatibilità di cui all'articolo 28 l.fall., non deve limitarsi a dichiarare il possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, comma 3, lett. d), l.fall. ma deve aggiungere espressamente di non aver prestato negli ultimi cinque anni, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo dello stesso, al fine di rendere più esplicita l'osservanza delle nuove disposizioni sulla sua indipendenza, previste dal novellato articolo 161, comma 3, l.fall. (Trib. Terni 28 gennaio 2013). Nell'ipotesi in cui la proposta di concordato preventivo preveda, come condizione per la riuscita del piano, l'avverarsi di eventi futuri ed incerti, questi dovranno essere compiutamente valutati dall'asseveratore, il quale dovrà esprimere un giudizio di verosimiglianza in ordine al fatto che quegli eventi possono in futuro realmente realizzarsi (Trib. Roma 16 dicembre 2015). In virtù di quanto esposto, l'attestazione di funzionalità al migliore soddisfacimento dei creditori deve tener conto di possibili responsabilità debitorie solidali dell'impresa in concordato per i rapporti di lavoro ai sensi dell'articolo 2112 c.c. e per l'ipotesi di retrocessione dell'azienda; difatti, nel concordato con continuità aziendale che preveda l'affitto dell'azienda, il professionista attestatore deve prendere posizione anche in ordine all'andamento dell'impresa affittata dalla sua incidenza sulla soddisfazione dei creditori (Trib. Cassino 31 luglio 2014).

Il miglior soddisfacimento dei creditori

La valutazione comparativa necessaria per stabilire quale sia il «miglior soddisfacimento» dei creditori, va quindi effettuata comparando la prospettiva del pagamento ai creditori in ipotesi di prosecuzione dell'impresa (anche se in realtà la soddisfazione dei creditori è concetto più ampio del pagamento, potendosi ottenere anche nelle forme dell'assegnazione) e quella del pagamento in caso di cessazione dell'attività, e quindi in un'ottica meramente liquidatoria (Zenati). Sembra chiaro che l'accertamento implica una verifica dell'idoneità del concordato con continuità a consentire percentuali di realizzo più favorevoli rispetto a quelle ipotizzabili all'esito della liquidazione atomistica in sede concordataria ovvero in sede fallimentare. A tal proposito, la previsione della funzionalità della prosecuzione dell'attività al miglior soddisfacimento dei creditori ha indotto a ritenere che la formulazione del giudizio da parte dell'attestatore non possa prescindere dalla valutazione dei diritti dei creditori anteriori, in quanto soltanto se sussista anche per costoro una convenienza è possibile proseguire l'attività aziendale, anziché privilegiare ipotesi liquidatorie (Bosticcio, 707).

Sul punto, i giudici di merito, hanno evidenziato che l'eccesiva dilatazione dei tempi è incompatibile con l'esigenza di garantire un riequilibrio, che dovrebbe essere realizzato in un tempo non superiore a 3/5 anni in quanto, la riduzione del tempo di durata della procedura, riduce il rischio della previsione degli sviluppi futuri e, quindi, ad una previsione di tempi più ampi dovrebbe accompagnarsi una adeguata motivazione e la predisposizione di misure in grado di prevenirlo (Trib. Monza 2 ottobre 2013; Trib. Forlì 18 giugno 2014 e Trib. Avezzano 22 ottobre 2014).

La moratoria per i creditori privilegiati

In dottrina è stato osservato che la discrasia, presente nell'ordinamento, tra proliferazione dei privilegi e salvaguardia della continuità dell'impresa è in parte migrata dalla previsione di cui alla lett. c) del 2 comma (Maffei Alberti, 1329). Ferma la necessità che il piano preveda la soddisfazione dei creditori privilegiati in misura non inferiore a quella indicata dalla citata legge e salva la retrocessione a chirografario di quella parte del credito privilegiato di cui non sia prevista la soddisfazione perché non trova capienza nel valore dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno dall'omologazione, per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca (l'art. 20, comma 1, lett. g, del d.l. 24 agosto 2021, n. 118,  ha portato il termine di moratoria a due anni). La moratoria non potrà operare per l'intero importo dei crediti privilegiati, nel caso di loro integrale capienza, e per la parte capiente, o di cui sia comunque prevista la soddisfazione, per i crediti non integralmente capienti. Rispetto alla regola della moratoria, costituisce eccezione, il caso in cui il piano preveda la liquidazione dei beni su cui grava la causa di prelazione. In questo caso l'eccezione dovrebbe valere in una duplice direzione e cioè consentire, se non addirittura imporre, il pagamento prima dell'anno di moratoria. Dunque, i creditori privilegiati sono esclusi dal diritto di voto sia nel caso di soddisfacimento integrale, sia qualora sia prevista la moratoria entro un anno, in quanto ritenuta inidonea ad incidere sul credito, così da far ritenere possibile negare loro il diritto di esprimere il proprio consenso sulla convenienza del concordato, in armonia con la previsione dell'art. 177, secondo comma, costituendo un'interpretazione autentica del concetto di «integrale pagamento» stabilito da quest'ultima.

Secondo il Tribunale di Ravenna, sentenza del 1 agosto 2014, il legislatore non avrebbe vietato la dilazione temporale oltre l'anno del pagamento dei creditori previlegiati, ma avrebbe introdotto una facoltà ulteriore rispetto a quella prevista in via generale dal citato art. 160 l.fall., secondo comma: da un lato, prevedendo una moratoria che potrebbe giustificare in ambito concorsuale la stessa sospensione legale del pagamento degli interessi; dall'altro, ribadendo la necessità del rispetto di quanto previsto dal citato art. 160, secondo comma, disciplinando espressamente il diritto di voto con riferimento ai creditori privilegiati generali od a quelli speciali che non vedano liquidato il bene oggetto della garanzia o che subiscano una dilazione ultrannuale e contemporaneamente superiore al tempo di presumibile alienazione del bene stesso. Quindi, una volta assicurato al creditore privilegiato il soddisfacimento che lo stesso può ottenere in sede fallimentare dalla liquidazione del bene su cui grava il privilegio, l'utile generato dalla prosecuzione dell'attività di impresa, il quale costituisce, quindi, un beneficio aggiuntivo, può essere liberamente distribuito tra i creditori chirografari anche qualora i creditori privilegiati non abbiano ottenuto l'integrale soddisfazione; non consentire tale possibilità argomentando con l'inammissibilità della proposta che preveda la violazione dell'ordine delle cause di prelazione, significherebbe, infatti, imporre ai creditori una soluzione per loro pregiudizievole, evidentemente contraria al principio della migliore soddisfazione che, nel concordato con continuità aziendale, deve considerarsi un criterio interpretativo di carattere generale (Trib. Prato 7 ottobre 2015).

Il concordato «misto»

L'individuazione della fattispecie del concordato con continuità aziendale presenta alcune criticità, con riferimento alla differenza con il concordato con cessione di beni.

Il problema, in particolare, si pone allorquando l'imprenditore decida di proseguire l'attività, accompagnando tuttavia tale continuazione con una liquidazione parziale dei suoi beni, che peraltro, in alcuni casi, possono rappresentare la parte preponderante dell'attivo e del piano concordatario (si pensi, ad es., all'ipotesi in cui un imprenditore disponga di un ampio patrimonio immobiliare non strettamente strumentale all'esercizio dell'attività d'impresa).

La questione che si presenta, in questi casi, attiene alla qualificazione del concordato, dalla quale dipenderà l'individuazione delle norme applicabili, sia con riferimento alla percentuale minima per i creditori chirografari (che, come si è visto, per il concordato liquidatorio è ora del 20%, mentre non ve ne è una predeterminata per il concordato con continuità aziendale), sia con riferimento ad alcune prerogative proprie del concordato con continuità, quali, ad es., la possibilità di pagamento dei creditori anteriori (cc.dd. creditori «strategici»: art. 182-quinquies, comma 5, l.fall.), la moratoria nel pagamento dei creditori privilegiati (art. 186-bis, comma 2, lett. c), l.fall.), la nomina di un liquidatore (art. 182 l.fall.)

In tale situazione, la dottrina propende per l'adozione della teoria della prevalenza o dell'assorbimento, secondo la quale, nel concordato c.d. misto, occorre tenere presenti gli elementi prevalenti della proposta ai fini dell'applicazione dello schema negoziale tipico. Secondo tale impostazione, dunque, tutte le volte in cui la prosecuzione dell'attività d'impresa si riveli funzionale alla liquidazione (come accade quando il temporaneo mantenimento della rete commerciale sia strumentale all'alienazione della merce presente nel magazzino a condizioni più favorevoli, o quando la cessione dell'azienda risulti ancillare in termini qualitativi e quantitativi – rispetto alla liquidazione atomistica della residua parte del patrimonio) non vi è ragione per disapplicare le regole di cui all'art. 182, sicché deve escludersi l'operatività dell'art. 186-bis, salvo che per quegli aspetti comunque compatibili con la fattispecie concreta (in particolare, viene in considerazione la disposizione di cui al secondo comma, lett. b), del predetto articolo, in base al quale l'esperto è chiamato ad attestare la funzionalità della continuazione aziendale al miglior soddisfacimento dei creditori. Al contrario, laddove il piano sia incentrato sulla prosecuzione in proprio dell'attività o sul trasferimento dell'azienda, il regime da osservare è quello dell'art. 186-bis, salva la possibilità d'ipotizzare l'applicazione delle modalità di vendita di cui all'art. 182 in relazione alla dismissione dei beni non strumentali» (Ambrosini, 116).

Va osservato, peraltro, che, nel caso di continuità con cessione parziale dei beni, in giurisprudenza non vi è univocità di vedute neanche sulla necessità della nomina del liquidatore ex art. 182 l.fall., ritenendo, alcune pronunce, che la liquidazione sia rimessa alla libertà negoziale del debitore (in questo senso, da ultimo, App. Roma 23 maggio 2016; Trib. Chieti 15 ottobre 2013; in senso favorevole alla nomina del liquidatore, Trib. Roma 18 dicembre 2015; Trib. Ravenna 28 aprile 2015).

I contratti in corso di esecuzione e quelli stipulati con pubbliche amministrazioni

L'art. 186-bis, comma 3, stabilisce che i contratti in corso di esecuzione «non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura», salve le eventuali autorizzazioni ex art. 169-bis l.fall.

La norma prosegue precisando che «l'ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all'art. 67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento».

Quindi, l'esecuzione può proseguire solo dopo il deposito del piano di concordato (e della relativa attestazione) ed il debitore non può partecipare a procedure per l'assegnazione di (nuovi) contratti pubblici, in quanto egli può farlo solo quando il professionista avrà valutato se il contratto pubblico da ottenere è conforme al «piano».

In argomento, in giurisprudenza è stato osservato che quando è prospettato un concordato con continuità diretta, durante il tempo del concordato in bianco concesso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall. i contratti pubblici in essere al tempo del deposito della domanda proseguono senza necessità di autorizzazione alcuna da parte del tribunale in applicazione del terzo comma dell'art. 186-bis a mente del quale i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura. Sicché l'autorizzazione di cui al comma 4 dell'art. 186-bis è prevista per la partecipazione dell'imprenditore — che ha proposto domanda di concordato in bianco — a procedure di affidamento di contratti pubblici e non per la prosecuzione dei contratti pubblici pendenti (Trib. Mantova 10 settembre 2015).

Invero, proseguendo l'analisi dei contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni, il quarto comma prevede che «successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale». Mentre, quanto alla questione della partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, il comma 5 della norma dispone che l'ammissione al concordato in continuità non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando risultino soddisfatte le condizioni dallo stesso previste.

A tal proposito, appaiono significative alcune pronunce del Consiglio di Stato. In particolare, con la sentenza Cons. St. n. 6273/2013, viene precisato che «non può essere esclusa da una gara di appalto, ai sensi dell'art. 38, primo comma, lett. a), d.lgs. n. 163/2006, come modificata dall'art. 33, secondo comma l, n. 134/2012, una ditta che ha presentato l'offerta prima di avviare la procedura di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, alla luce delle finalità della legge di riforma, che ha quale obiettivo quello di guidare l'impresa oltre la crisi e ciò nell'interesse anche del mercato e degli stessi creditori». Con altra pronuncia Cons. St. n. 101/2014, viene evidenziato che «relativamente alla partecipazione a nuove procedure di affidamento deve invece escludersi il ripristino del requisito nel periodo intercorrente tra il deposito della relativa istanza-ricorso ed il decreto del Tribunale conclusivo del procedimento di ammissione, poiché la novella del 2012 ha inteso incentivare la tempestiva emersione di criticità ed il ritorno in bonis dell'impresa o la conservazione dell'azienda «in esercizio»; ma nella materia delle gare pubbliche, il legislatore ha circondato di cautele l'applicazione di tale normativa di favore, richiedendo in ogni caso opportune garanzie e limitando la partecipazione al concorrente in status di sottoposto a concordato con continuità».

Le due pronunce, pur offrendo spunti diversi sulla questione in esame, secondo la dottrina (Cippitani, 417 ss.) affrontano questioni che possono essere ritenersi risolte proprio con il nuovo quarto comma (introdotto dal d.l n. 145/2013). Per meglio dire, la norma è chiara nel precisare che è stato conservato il favor per la partecipazione dell'impresa alla procedura anche nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso e la pronuncia giudiziale di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale; dall'altro, è stata rafforzata la cautela ritenuta opportuna, prevedendo la necessità a tal fine dell'autorizzazione del tribunale, previo parere del commissario giudiziale che, evidentemente, esclude che possa operare nel caso di proposizione di domanda con riserva.

Il controllo del tribunale

L'art. 186-bis, comma 7, prevede che l'ammissione al concordato preventivo possa essere revocata, quando l'esercizio dell'attività d'impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori.

A tal proposito, possiamo riscontrare in alcuni precedenti giurisprudenziali (intervenuti prima del d.l. 23 dicembre 2013) vicende ove il Tribunale adito, dopo aver riscontrato che l'impresa in concordato stava producendo perdite non recuperabili e quindi l'impossibilità del percorso di risanamento, dichiarava inammissibile il concordato in relazione all'omessa esposizione della situazione nei prospetti informativi periodici depositati dall'impresa (Trib. Firenze 7 agosto 2013). In altra vicenda, il giudice dopo aver dato atto del sostanziale venir meno delle prospettive legate alla prosecuzione dell'attività, ha poi concesso termine al debitore per depositare una integrazione basata su ipotesi di cessione a terzi dell'attivo (Trib. Novara 18 marzo 2013). Successivamente alle modifiche legislative intervenute con d.l. n. 145/2013, in giurisprudenza di legittimità è stato evidenziato che il criterio della migliore soddisfazione dei creditori (con specifico riguardo al concordato con continuità aziendale), individua una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato, ivi compreso quello meramente liquidatorio, quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura.

Alla luce di tale criterio può agevolmente escludersi non solo che il compimento dell'atto non autorizzato conduca all'automatica revoca del concordato, ma anche che il disvalore oggettivo di tale atto (pregiudizio che esso arreca alla consistenza del patrimonio del debitore) sia ricavabile, sic et simpliciter, dalla violazione della regola della par condicio, essendo, per contro, ben possibile che il pagamento di crediti anteriori si risolva in un accrescimento, anziché in una diminuzione, della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e tenda dunque all'obiettivo della loro migliore soddisfazione (si pensi, in via meramente esemplificativa, ai pagamenti di crediti di lavoro — che impedisce che sul capitale maturino ulteriormente interessi e rivalutazione monetaria — o ai pagamenti di utenze, eseguiti al fine di evitare l'interruzione dell'erogazione del servizio, di prestazioni di manutenzione, di spese legali sostenute per difendere i beni dalle pretese avanzate da terzi, che risultano volte, direttamente o indirettamente, conservare il valore del patrimonio aziendale, in modo da ricavarne un maggior prezzo in sede di liquidazione) (Cass. I, n. 3324/2016). Ne consegue che i pagamenti eseguiti dall'imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l'automatica revoca, ai sensi dell'articolo 173, ultimo comma, l.fall. dell'ammissione alla procedura, la quale consegue solo all'accertamento, che va compiuto dal giudice del merito, che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori, in quando pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato.

Bibliografia

M. Lucetta Russotto, Riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: ricadute e opportunità, Altalex 10 aprile 2023. V. sub art. 185.

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