Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 236 bis - (Falso in attestazioni e relazioni) 1 .

Roberto Amatore

(Falso in attestazioni e relazioni)1.

 

Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, e' punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro2.

Se il fatto e' commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per se' o per altri, la pena e' aumentata.

Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena e' aumentata fino alla meta'.

[1] Articolo inserito dall'articolo 33, comma 1, lettera l), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012.

[2] Comma modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132.

Inquadramento

Il legislatore della novella del 2012 ha introdotto l'art. 236-bis della legge fallimentare, rubricato «Falso in attestazioni e relazioni».

Nel tentativo di fornire un inquadramento sistematico alla fattispecie, parte della dottrina ha ritenuto di poter ricondurre questo reato alla categoria dei delitti contro la fede pubblica, ed in particolare alla fattispecie dei delitti di falsità di atti (Monteleone).

Tale impostazione è stata oggetto di rilievi, in considerazione dell'evanescenza del concetto di «fede pubblica» come bene giuridico, essendo argomento lungamente dibattuto e privo di risoluzione definitiva in dottrina quello della riconduzione ad un'unica ratio dei delitti di falso (Guerini; per una completa disamina dell'argomento, si rimanda a: De Simone, Jeantet).

In una prospettiva differente, oggetto giuridico della tutela apprestata dall'art. 236-bis l.fall., sembrerebbe invece essere l'affidamento che i creditori devono poter riporre nelle relazioni e nelle attestazioni con riferimento al loro contenuto diretto allo svolgimento delle procedure di risoluzione della crisi di impresa (De Simone, Jeantet; in giurisprudenza, vedi anche: GIP Torino, ord. 16 luglio 2014, in www.Ilfallimentarista.it, «l'oggetto giuridico di questa nuova fattispecie pare individuabile nell'affidamento che deve accompagnare le relazioni e le attestazioni del professionista nell'ambito di una procedura che assegna al Tribunale una funzione di controllo di legalità lasciando ai creditori di valutare la fattibilità e la convenienza della proposta, nonché nella tutela di interessi patrimoniali dei creditori»; Bersani).

Il reato in esame è integrato da due distinte tipologie di condotta rilevanti:

(i) una condotta di natura commissiva, che non può prescindere da un comportamento attivo del soggetto qualificato, consistente nell'esporre informazioni false; ed

(ii) una condotta omissiva, legata all'omessa comunicazione di informazioni rilevanti, che può concretizzarsi nelle forme del silenzio e della reticenza (De Simone, Jeantet).

In linea di massima, non può essere escluso che tali condotte possano manifestarsi cumulativamente, potendo una relazione risultare falsa secondo entrambi i punti di vista (De Simone, Jeantet; Maffei Alberti).

Peraltro, la dottrina ha evidenziato come la formulazione della norma appaia caratterizzata da una differenziazione non giustificabile tra le due condotte previste, con la possibilità che falsità commissive prive di rilevanza possano essere considerate penalmente rilevanti, mentre, per converso, le falsità omissive possano configurare una condotta illecita esclusivamente quando rilevanti (De Simone, Jeantet).

In ogni caso, tale fattispecie appare come reato di mera condotta, in considerazione del fatto che non è previsto che tali condotte concretizzino un danno affinché assumano rilevanza penale. Nel caso invece in cui da tali condotte derivi un danno di ordine patrimoniale, questo costituirà esclusivamente una circostanza aggravante del reato (De Simone, Jeantet).

Le informazioni false rilevanti ai fini penali

Si ritiene che le «informazioni false» cui fa riferimento l'art. 236-bis l.fall., debbano essere individuate prevalentemente nei dati aziendali, la cui veridicità il professionista è chiamato ad attestare nel corso del concordato preventivo ex art. 161, comma 3, l.fall., degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall., e del piano di risanamento attestato ex 67, comma 3, lett. d), l.fall., nonché delle c.d. «attestazioni speciali» (De Simone, Jeantet).

Parimenti, parte della dottrina ritiene che siano riconducibili a tali «informazioni false» anche quelle derivanti dai giudizi prognostici che il professionista deve effettuare rispettivamente:

(i) sulla fattibilità del piano di risanamento o del piano di concordato ex artt. 67, comma 3, lett. d), e 161, comma 3, l.fall.;

(ii) sull'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis, comma 1, l.fall. ed in particolare sulla relativa possibilità di consentire il pagamento integrale dei creditori;

(iii) sull'idoneità dell'accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis, comma 6, l.fall. a soddisfare integralmente tutti i creditori che non ne siano parte;

(iv) sulla capacità dei finanziamenti ex art. 182-quinquies di garantire una migliore soddisfazione dei creditori;

(v) sulla necessità delle prestazioni di beni e servizi ex art. 182-quinquies, comma 4, l.fall. al fine di proseguire l'attività d'impresa e di conseguenza garantire la migliore soddisfazione dei creditori;

(vi) sulla necessità di proseguire l'attività d'impresa ex art. 186-bis, comma 2, l.fall. per garantire la miglior soddisfazione dei creditori e sulla aderenza al piano della prosecuzione del contratto pubblico; e

(vii) sulla ragionevole capacità di adempimento ex art. 186-bis, commi 3 e 4, l.fall. (cfr., al riguardo, Monteleone.).

A tale proposito, recente giurisprudenza ha stabilito che l'ambito di applicazione dell'art. 236-bis l.fall. si estende, sotto il profilo oggettivo, a qualsiasi informazione rilevante affinché i creditori possano esprimere il proprio consenso informato (Trib. Torino, 20 maggio 2014 (decr.), ha previsto che è corretto instaurare il procedimento di revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso di una procedura ex art. 173 l.fall. che abbia ad oggetto la divergenza tra commissario e liquidatore rispetto alle prospettive finanziarie dell'impresa in stato di crisi. In questo caso la valutazione del Tribunale dovrà valutare la correttezza dei procedimenti logici e tecnici adottati dal professionista attestatore in relazione alla valutazione di fattibilità del piano. In particolare, con riferimento al concordato con cessione dei beni ex art. 182 l.fall., il decreto prevede che «Se l'attestazione «espone informazioni false ovvero omette di fornire informazioni rilevanti», la condotta si qualifica come reato proprio dell'attestatore, procedibile d'ufficio (art. 236-bis l.fall.). È coerente con tale qualificazione penalistica che la materia, anche agli effetti della procedura di concordato, ricada nella sfera di controllo del tribunale, ergo non possa ritenersi riservata al solo consenso informato dei creditori; dato e non concesso che abbia una qualche parvenza di credibilità un «consenso informato», magari espresso per silenzio assenso (art. 178 comma 4 l.fall.), su dati di fatto che il tribunale ha verificato essere falsi»).

I giudizi prognostici aventi ad oggetto la fattibilità del piano non devono corrispondere ad un generico ed inapplicabile criterio di verità oggettiva, ma devono invece essere caratterizzati da un margine di discrezionalità tecnica, basato sul parametro della diligenza professionale che il professionista deve applicare nelle relazioni ed attestazioni e nella valutazione dei dati aziendali tramite l'utilizzo di criteri e metodologie di analisi tipizzate e richieste per l'esercizio di tale funzione (Cass.. I, n. 3586/2011 «la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano»; Cass. I, n. 21860/2010, in relazione al giudizio di ammissibilità nell'ambito del concordato preventivo «il Tribunale, in tale sede, è tenuto ad accertare anche la fattibilità del piano, attraverso un controllo della regolarità e della completezza dei dati aziendali esposti ed attraverso una puntuale verifica dell'iter logico attraverso il quale il professionista è giunto ad affermare la fattibilità del piano» (De Simone, Jeantet).

In ogni caso, anche tali giudizi prognostici costituiscono un'informazione che, qualora «falsa» in considerazione di una indagine svolta secondo i necessari canoni di tecnica professionale, può essere ricondotta alla fattispecie penale dell'art. 236-bis l.fall. (Cfr. Trib. Benevento, 23 aprile 2013 (decr.), in Fall., 2013, in cui, considerato il mancato rispetto delle norme di diligenza professionale da parte del professionista attestatore nel corso della verifica di veridicità dei dati aziendali strumentale alla prognosi di fattibilità del piano ex art. 161 comma 3, l.fall., si prevede che «Alla luce dei gravi comportamenti innanzi evidenziati, va disposta altresì la trasmissione degli atti al sig. Procuratore della Repubblica, perché valuti la proponibilità dell'azione penale in relazione alla fattispecie delittuosa prevista e punita dall'art 236-bis l.fall. nei confronti del professionista attestatore»; Mucciarelli).

Resta comunque fermo che, considerata la complessa applicazione dei criteri di valutazione economica ai diversi contributi richiesti al professionista, la sanzionabilità del comportamento dell'attestatore dovrebbe avere ad oggetto esclusivamente le false rappresentazioni idonee ad incidere sul processo decisionale del ceto creditorio (cfr. Ferro, 3013).

Le omissioni rilevanti ai fini penali

Per quanto concerne il differente ambito dell'individuazione della condotta omissiva rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 236-bis l.fall., sono sorti dubbi in dottrina a riguardo dell'individuazione e tipizzazione del requisito di «rilevanza», che deve essere riconosciuto nelle «informazioni» omesse (De Simone, Jeantet).

Tale espressione può essere interpretata in una prospettiva soggettiva, includendo quindi le informazioni omesse che abbiano un rilievo ai fini della creazione della volontà dei creditori, oppure il concetto di rilevanza può essere interpretato secondo una lente quantitativa e oggettiva, configurandosi quindi come rilevanti esclusivamente le omesse informazioni che possano generare importanti conseguenze economiche sulle procedure di risoluzione della crisi d'impresa (Bersani).

A tal riguardo può soccorrere quell'orientamento secondo cui la genericità del requisito di rilevanza per le informazioni omesse «potrebbe essere attenuata qualora si ipotizzasse che il legislatore abbia ritenuto necessario per la configurabilità del reato, che lo scostamento dalla realtà debba considerarsi «rilevante» quando risulti idoneo a falsare, nel complesso e in maniera significativa, la relazione o l'attestazione» (Cfr. Centro Studi Suprema Corte di Cassazione, rel. n. III/07/2012,; v. sempre De Simone, Jeantet).

Di conseguenza, aderendo a tale prospettazione, risulterebbe che il requisito della «rilevanza» vada valutato prevalentemente in relazione al giudizio finale della relazione o attestazione, in modo da considerare consumato il reato ex art. 236-bis l.fall. esclusivamente quando l'omessa informazione rilevante abbia falsato tale giudizio (vedi Sandrelli e Tetto).

L'elemento psicologico del reato

In relazione all'elemento psicologico del reato, il falso in attestazioni o relazioni ex art. 236-bis l.fall. risulta integrato dal dolo generico per quanto concerne la fattispecie base prevista al primo comma (De Simone, Luca Jeantet).

Il dolo generico deve essere riferito a tutti gli elementi della fattispecie di reato e consiste, quindi, nella consapevolezza della falsità delle informazioni esposte e/o della omissione di informazioni rilevanti, e nella volontà di trasmettere o omettere di riferire tali informazioni (Monteleone).

Parte della dottrina ha inoltre affermato che attraverso l'applicazione del dolo generico nella sua forma del dolo eventuale (si rimanda per una esaustiva descrizione del dolo eventuale a n. 38343/2014,, in cui viene, inter alia, individuato che «Il dolo eventuale designa l'area dell'imputazione soggettiva dagli incerti confini in cui l'evento non costituisce l'esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile: l'agente si rappresenta un possibile risultato della sua condotta e ciononostante s'induce ad agire accettando la prospettiva che l'accadimento abbia luogo»), possa considerarsi realizzato l'elemento soggettivo del reato anche nelle ipotesi di negligenza e mancato rispetto della necessaria diligenza da parte del professionista nell'espletamento delle sue funzioni (Fontana).

In particolare, tale fattispecie potrebbe configurarsi quando un professionista attestatore, invece di compiere direttamente tutte le attività a lui preposte, deleghi parte di tale attività a terzi, limitandosi successivamente a rivendicare la paternità della relazione (De Simone, Jeantet). Anche se ignaro della violazione delle norme tecniche e dei principi di diligenza che dovrebbero essere applicati nel corso di tale attività, il professionista si assumerebbe in ogni caso in prima persona il rischio di porre in essere una condotta riconducibile all'art. 236-bis l.fall. (Fontana).

In relazione alla fattispecie prevista dal comma 2 dell'articolo 236-bis l.fall., sembra invece configurabile una punibilità a titolo di dolo specifico, essendo necessaria la coscienza e volontà di conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri (De Simone — Jeantet).

In ogni caso, ed in ossequio ai principi generali in tema di diritto penale, l'accertamento dell'elemento psicologico del reato deve essere provato caso per caso, non potendosi considerare implicito in seguito alla semplice realizzazione del fatto (Fiore).

Bibliografia

Bersani, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell'art. 236-bis l.fall. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in ilcaso.it., 2015; De Simone - Jeantet, L'indipendenza del professionista attestatore e la disciplina della sua responsabilità civile e penale, in Giustiziacivile.com, 4 agosto 2015/Approfondimenti; Fiore, Nuove funzioni e vecchie questioni per il diritto penale nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Fall., n. 9, 2013, 1193 ss.; Fontana, La responsabilità penale del professionista attestatore, in Ilfallimentarista.it, 2014; Guerini, La responsabilità penale del professionista attestatore nell'ambito delle soluzioni concordate per le crisi d'impresa, in Dir. pen. contemp. 2013; Monteleone, La responsabilità penale e civile dell'attestatore nei procedimenti di composizione della crisi d'impresa, in Osservatorio sulle Crisi d'Impresa, in osservatorio-oci.org.; Mucciarelli, Il ruolo dell'attestatore e la nuova fattispecie penale di «Falso in attestazioni e relazioni», in Ilfallimentarista.it, 2012; Sandrelli, Le esenzioni dai reati di bancarotta e il reato di falso in attestazioni e relazioni, in Ilfallimentarista.it, n. 2, 2013; Tetto, Le false o fraudolente attestazioni del professionista ex art. 161, comma 3, l.fall.: alla ricerca di un'evanescente tipicità penalmente rilevante, in Fall. 2012.

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