Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 238 - Esercizio dell'azione penale per reati in materia di fallimento.Esercizio dell'azione penale per reati in materia di fallimento.
Per i reati previsti negli artt. 216, 217, 223 e 224 l'azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento di cui all'art. 17. È iniziata anche prima nel caso previsto dall'art. 7 e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta. InquadramentoIn tema di decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari, ex art. 297, comma terzo, c.p.p. con riguardo ai reati fallimentari nei casi in cui sussistano i presupposti di applicazione dell'art. 238, comma secondo, l.fall., deve guardarsi alla condotta e non già alla dichiarazione giudiziale di insolvenza, ancorché quest'ultima costituisca momento consumativo del delitto di bancarotta prefallimentare, con la conseguenza che in tali casi l'assenza della declaratoria fallimentare, così come non costituisce ostacolo alla applicazione delle misure cautelari, nemmeno impedisce l'operatività della regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare (Cass. pen. V, n. 23627/2012). L'azione penale per i reati di bancarotta può essere legittimamente esercitata, nei casi previsti dall'art. 238, comma secondo, l.fall., anche prima della definitività della sentenza di fallimento e indipendentemente dal fatto che non siano decorsi i termini per la presentazione avverso la stessa del reclamo da parte dei creditori (Cass. pen. V n. 15061/2011). In tema di bancarotta fraudolenta, nelle stesse ipotesi previste dall'articolo 238, comma secondo, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in cui è possibile esercitare l'azione penale anche prima della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, deve ritenersi che sia anche possibile, nelle stesse condizioni, l'applicazione di misure cautelari, i cui presupposti andranno verificati secondo gli ordinari canoni normativi (Cass. pen. V, 8363/2005). Il tempo di commissione dei reati di cui agli artt. 216, 217, 223 e 224 l.fall., è quello che decorre dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, e questo è il tempo che va rapportato al termine di efficacia dell'amnistia o dell'indulto, se non altrimenti specificato dalla legge di previsione (Cass. pen. V n. 7814/1999). In tema di reati di bancarotta previsti dagli artt. 216, 217, 223 e 224 l.fall., poiché l'azione penale per i detti reati, come previsto dall'art. 238 del medesimo r.d. va esercitata indipendentemente dal passaggio in giudicato e, in taluni casi, anche dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, deve ritenersi che sia anche possibile, nelle stesse condizioni, l'applicazione di misure cautelari, i cui presupposti andranno verificati secondo gli ordinari canoni normativi, tenendosi anche conto delle eventuali opposizioni alla sentenza dichiarativa di fallimento, ma senza che la sola esistenza di tali opposizioni possa essere di per sé considerata come incompatibile con la presenza dei «gravi indizi di colpevolezza» richiesti dall'art. 273, comma primo, c.p.p. (Cass. pen. V n. 4191/1993). La sentenza dichiarativa di fallimento costituisce elemento al cui concorso è collegata l'esistenza dei reati di bancarotta, e non una semplice condizione di punibilità. Pertanto, la consumazione del reato di bancarotta va riferita al momento dell'emissione della sentenza dichiarativa di fallimento, anche ai fini di eventuale applicazione di cause estintive. (la S.C. ha precisato che, essendo il P.m. tenuto ad iniziare l'Azione penale anche prima della sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 238 l.fall., non può proseguirla se detta sentenza non interviene, e tuttavia, in ipotesi di intervenuto proscioglimento per mancata dichiarazione di fallimento, può iniziare nuovo procedimento penale se poi intervenga la sentenza dichiarativa) (Cass. pen. V n. 2811/1985). La sentenza dichiarativa di fallimento rispetto alla problematica dell'inizio dell'azione penalePrincipio generale è che l'azione penale per i reati di bancarotta si esercita dopo la pronuncia del fallimento; tale principio, sancito dal comma 1 dell'articolo in esame, trova espressa deroga nei casi richiamati dal secondo comma, e precisamente: nelle ipotesi di fuga, latitanza, trafugamento, sostituzione o diminuzione dell'attivo, chiusura dei locali dell'impresa, previsti dall'art. 7 richiamato; e nelle ipotesi in cui ricorrano gravi motivi, che normalmente si risolvono nel pericolo di ritardo in ordine alla conservazione delle prove o nell'esigenza di assicurare alla giustizia un imputato che sta per scappare, ed esista o sia stata contemporaneamente presentata domanda per ottenere dichiarazione di fallimento (Antolisei). CompetenzaSulla questione della competenza territoriale si assiste ad una netta contrapposizione tra l'orientamento pressoché univoco della giurisprudenza e quello della dottrina maggioritaria. Secondo quest'ultima competente a conoscere i reati di bancarotta sarebbe il giudice del luogo ove vengono compiutamente realizzati i fatti delittuosi (art. 8 c.p.p.). Trattandosi di reati generalmente formali, il giudice dovrebbe essere quello dell'azione, salvo il caso in cui sia previsto un evento in senso naturalistico (art. 223, cpv., n.2), per i quali andrebbe eccezionalmente affermata la competenza del giudice del luogo ove si determina o si aggrava l'insolvenza (Conti, 464). Parte della dottrina e la giurisprudenza sostengono che è in ogni caso competente per territorio il giudice del luogo ove è stata emanata la sentenza dichiarativa di fallimento. BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, Milano, 2016, 243. |