Procedimenti camerali contenziosi

Davide Turroni
19 Maggio 2017

I procedimenti in camera di consiglio sono retti da regole comuni, il cui nucleo è notoriamente racchiuso negli artt. 737 ss. c.p.c. Essi formano in realtà una classe alquanto eterogenea, che fanno di questo nucleo un «contenitore neutro» (secondo l'espressione usata da Cass., S.U., 19 giugno 1996, n. 5692).
Inquadramento

IProcedimenti in camera di consigliosono retti da regole comuni, il cui nucleo è notoriamente racchiuso negli artt. 737 ss. c.p.c. Essi formano in realtà una classe alquanto eterogenea, che fanno di questo nucleo un «contenitore neutro» (secondo l'espressione usata da Cass., S.U., 19 giugno 1996, n. 5692) impegnando l'interprete in un costante sforzo sistematico teso a far convivere in questo «contenitore» trattamenti giuridici differenziati. Particolare fortuna ha avuto la ripartizione tra procedimenti camerali «contenziosi» e «non contenziosi» associata a quella più generale tra giurisdizione «contenziosa» e «non contenziosa».

Tutela camerale «contenziosa» e «non contenziosa»

«Procedimenti camerali contenziosi» sono quelli che:

a) sono retti dal modello dei procedimenti in camera di consiglio – pur con deviazioni consistenti dallo schema degli artt. 737 ss. c.p.c. sulle quali diremo infra;

b) hanno ad oggetto «diritti» e non «semplici interessi»

c) regolano un conflitto intersoggettivo in quanto tutelano un soggetto nei confronti di un altro.

La contemporanea presenza di questi requisiti li distingue dai procedimenti camerali «non contenziosi» in cui può mancare l'elemento sub b) o quello sub c) o entrambi.

Per delimitare meglio i due ambiti conviene ricordare cosa si intende per «giurisdizione non contenziosa», visto che la linea di confine delimita l'area di quella contenziosa.

La giurisdizione «non contenziosa» accoglie funzioni molto diverse tra loro, che, secondo una sistemazione generalmente condivisa, fanno capo a due sottotipi: la giurisdizione volontaria e quella c.d. «oggettiva».

La giurisdizione volontaria ha per oggetto non diritti ma «interessi» la cui cura è affidata all'autorità giudiziaria, che è chiamata così a svolgere, con le forme e le garanzie della giurisdizione, una funzione analoga a quella affidata alla pubblica amministrazione. Ad esempio la nomina dell'arbitro nel dissenso delle parti ex art. 810, cpv., c.p.c., la nomina del tutore e del curatore ex artt. 346, 392 c.c. e art. 43 att. c.c.; i procedimenti di convocazione delle assemblee di società per azioni nell'inerzia degli organi gestori ex artt. 2367, cpv., c.c..

Questi «interessi», va aggiunto, non sono entità isolate. Di solito esibiscono «legami funzionali» più o meno intensi con diritti e status, anche se questi ultimi rimangono esclusi dallo specifico oggetto del procedimento. Ciò è evidente nei molti procedimenti di autorizzazione al compimento di negozi giuridici (così le autorizzazioni al tutore per il compimento degli atti elencati negli artt. 374 e 375 c.c.). In altri casi il collegamento con i diritti soggettivi è presente, ma in termini più sfumati: ad esempio nella procedura per la convocazione giudiziaria dell'assemblea dei soci, se l'ordine ordine del giorno è il promovimento di un'azione responsabilità contro l'amministratore ex art. 2393 c.c., la procedura sarà funzionale alla tutela di un credito della società al risarcimento del danno. Inoltre gli interessi sottesi ai procedimenti di giurisdizione volontaria confliggono non di rado con interessi contrapposti; il che pone il problema di garantire un adeguato livello di contraddittorio con i controinteressati (nell'esempio precedente, vi è un conflitto tra gli amministratori che non si attivano e i soci che chiedono la convocazione dell'assemblea). In linea con questa esigenza, nello stesso ambito della volontaria giurisdizione si distingue tra procedimenti camerali «unilaterali» e bi- o «plurilaterali».

La «giurisdizione oggettiva», di matrice essenzialmente dottrinale, si colloca in posizione intermedia tra giurisdizione volontaria e contenziosa. Con un po' di approssimazione, la giurisdizione oggettiva è realizzata da quei procedimenti, camerali o no, che «incidono stabilmente» su diritti e status; ma che non sono «contenziosi» in quanto il loro oggetto è connotato da un preminente interesse pubblico, mentre il conflitto tra soggetti può anche non esservi ed è comunque messo in ombra. Ne sono esempi i procedimenti disciplinari davanti all'autorità giudiziaria; quelli d'interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno; la procedura per dichiarazione di fallimento, anche se oggi la sua collocazione è molto discussa. I procedimenti della «giurisdizione oggettiva» tendono a sfociare in decisioni idonee al giudicato; ma è un'attitudine variabile perché influenzata da opzioni sistematiche su cui non vi è generale consenso.

La concezione più estensiva (MONTESANO) include nella «giurisdizione oggettiva» tutti i procedimenti camerali destinati alla cura di interessi, ma capaci di «incidere» sui diritti in maniera significativa – anche se non coincidente con la cosa giudicata. In genere si tratta degli stessi procedimenti camerali «plurilaterali» di cui si è detto sopra. Così, il procedimento ex art. 2409 c.c., su denuncia di gravi irregolarità commesse dagli amministratori di società per azioni, può incidere sia sui diritti della società sia su quelli degli amministratori; o la procedura ex art. 2485 c.c. per lo scioglimento giudiziale delle società di capitali, che incide sul regime giuridico della società in base a una valutazione, si ritiene solo incidentale, sulla causa di scioglimento. Si vuole in questo modo rivendicare, per questi processi, un livello di garanzie corrispondente a quello della cognizione piena – in alternativa, sostenere che sia sempre possibile rimuoverne gli effetti lesivi sui diritti attraverso un processo ordinario.

Il sofisticato dibattito sul contenuto della giurisdizione non contenziosa e sul suo confine con quella contenziosa è caratterizzato da due problemi di fondo: uno è la nozione stessa di «diritto soggettivo» e ciò che lo distingue dalle situazioni giuridiche oggetto di «giurisdizione non contenziosa». L'altro problema è quello di dare un significato rigoroso al concetto di «incidenza sul diritto», cui è legata la natura contenziosa o comunque l'osservanza degli standard propri dei procedimenti camerali contenziosi.

Regime della decisione

Il regime associato ai procedimenti camerali contenziosi diverge, in maniera consistente, dal modello camerale «puro» previsto dagli artt. 737 ss. c.p.c..

Anch'essi sfociano in un provvedimento idoneo al giudicato; per cui non opera la regola della revocabilità e modificabilità in ogni tempo stabilita dall'art. 742 c.p.c..

L'attitudine al giudicato comporta a sua volta che, esauriti i rimedi espressamente previsti, il provvedimento finale sia ricorribile per cassazione: ciò anche se la legge non lo prevede e sulla base dell'art. 111, comma 7, Cost. e art. 360, ult. comma, c.p.c..

La ricorribilità in cassazione «per via costituzionale» dei provvedimenti diversi dalle sentenze rispecchia un indirizzo consolidato della Corte di legittimità, a partire da Cass., S.U., 30 luglio 1953, n. 2593, valevole per tutti i provvedimenti cui si riconosce natura decisoria, siano essi ricondotti alla tutela contenziosa o a quella «oggettiva». Questo regime viene esteso dalla giurisprudenza – con una notevole dose di empirismo che lascia poco spazio a una sistemazione rigorosa – a tutti i provvedimenti che, sebbene inidonei al giudicato, siano atti a «incidere» sui diritti.

Ad esempio in materia di revisione delle disposizioni relative all'affidamento dei figli, accessorie alla separazione dei genitori, per le quali opera il procedimento camerale ai sensi dell'art. 710 c.p.c., si ritiene impugnabile per cassazione ex art. 111 Cost. il provvedimento emesso in sede di reclamo «in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonché caratterizzato da stabilità temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure "rebus sic stantibus"»: Cass., 17 maggio 2012, n. 7770. Cass., 22 aprile 2013, n. 9671, nega invece natura decisoria al provvedimento, emesso nelle forme camerali, che dispone la corresponsione diretta di assegno a carico del terzo debitore, ex art. 156 c.c.: il diniego si fonda sulla considerazione che «il provvedimento, all'evidenza, non risolve una controversia sulla esistenza del diritto del coniuge all'assegno, diritto che ne costituisce un presupposto, ma piuttosto attiene alle modalità di attuazione del diritto stesso, non ha dunque carattere di decisorietà, e non è definitivo, potendo essere modificato, seppur a seguito di mutamento delle circostanze».

Disciplina del procedimento

Il modello camerale in funzione contenziosa tende inoltre a differenziarsi da quello «puro» degli artt. 737 ss. c.p.c. per una regolamentazione più analitica dell'attività processuale, sul presupposto che l'attitudine al giudicato richieda, se non una cognizione «piena», una maggiore predeterminazione dell'attività del giudice e delle parti, a maggior tutela del contraddittorio e del diritto di difesa.

Il legislatore ha recepito questa tendenza in modo molto vario, dando vita a innumerevoli «tipi camerali» di tutela dei diritti.

In tale contesto la Corte costituzionale ha avuto un importante ruolo nell'individuazione di regole uniformi per il «tipo» camerale contenzioso idoneo al giudicato. Pur avvertendo che la Costituzione non impone un collegamento tra tutela giurisdizionale dei diritti e cognizione piena, la Consulta afferma che il modello camerale puro va integrato in modo da garantire il principio della domanda, il contraddittorio e il diritto di difesa, specialmente nella disciplina dei termini e nella formazione della prova – che, peraltro, può avvenire senza il rispetto delle forme che regolano le prove tipiche. Hanno concorso a formare questo orientamento Corte cost., 1975, n. 202; Corte cost., 6 dicembre 1976, n. 238; Corte cost., 14 dicembre 1989, n. 543 e Corte cost., 23 dicembre 1989, n. 573; Corte cost., ord., 17 maggio 2001, n. 140; Corte cost., ord., 26 febbraio 2002, n. 35.

«Pluralismo» dei modelli camerali contenziosi nell'opera del legislatore

Con particolare riferimento all'opera del legislatore, i procedimenti camerali contenziosi seguono diverse tipologie.

Certi modelli, pur ricondotti formalmente ai procedimenti in camera di consiglio, contengono espliciti «innesti» di cognizione piena sia nella fase introduttiva che in quella istruttoria. Un esempio è offerto dal procedimento ex art. 99 l. fall. sulle impugnazioni al decreto di opposizione allo stato passivo; o – per chi ne assume la natura contenziosa – da quello ex art. 15 l. fall. per la dichiarazione di fallimento, entrambi caratterizzati da una disciplina minuziosa della fase introduttiva e da altri elementi che evocano la cognizione piena, non ultimo la impugnabilità in via ordinaria del provvedimento finale.

Altri sono più aderenti allo schema degli artt. 737 ss. c.p.c., ma suscettibili di sfociare, su iniziativa della parte, in procedimenti a cognizione piena o caratterizzati dagli «innesti» di cui si è detto. Ad esempio il procedimento speciale d'impugnazione del licenziamento ex «Legge Fornero» adottato con l. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, commi 48 ss. Oppure il procedimento ex art. 3 e 5 ter «Legge Pinto» per l'equa riparazione da irragionevole durata del processo di cui alla l. 24 marzo 2001, n. 89, che nell'ultima versione prevede una prima fase senza contraddittorio e una seconda «di opposizione» regolata interamente dagli artt. 737 c.p.c. con la sola differenza che il decreto finale è ricorribile in cassazione.

Altri invece seguono modello camerale «puro» degli artt. 737 ss. c.p.c. secondo il dato testuale, ma se ne discostano per i correttivi apportati dal diritto vivente. Così l'art. 710 c.p.c., sulla modifica dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi, che si limita a richiamare la disciplina dei procedimenti camerali; e analoga considerazione vale per le disposizioni relative all'affidamento dei figli ex art. 337-quinquies c.c. – che, peraltro, neppure richiamano in modo espresso gli artt. 737 ss. c.p.c..

Altri infine, in origine camerali, hanno semplicemente cessato di esserlo e sono stati rimodulati secondo schemi diversi, come accaduto a molti dei procedimenti attratti nel campo d'applicazione del d.lgs. 11 settembre 2011, n. 150. Così è del processo sommario camerale per la liquidazione degli onorari dell'avvocato, prima disciplinato dalla l. 794/1942, ora affidato dall'art. 14, d.lgs. 150/2011 al rito sommario di cognizione.

La tesi della «concorrenza» fra tutela camerale sui diritti e cognizione piena

Secondo una nota impostazione dottrinale (PROTO PISANI) i procedimenti camerali contenziosi sono in linea di massima compatibili col modello camerale «puro» degli artt. 737 ss. c.p.c.; nel senso che non esigono una decisione idonea al giudicato né un correlativo potenziamento delle garanzie interne. La sola, fondamentale differenza rispetto ai procedimenti di giurisdizione volontaria è che non escludono una autonoma tutela a cognizione piena: non sarebbero cioè mezzi esclusivi di tutela, nel senso che gli interessati possono sempre far valere i diritti coinvolti in un processo ordinario – o comunque a cognizione piena idoneo al giudicato. Farebbero però eccezione i diritti altamente vulnerabili e di particolare rilievo costituzionale, che secondo questa impostazione dovrebbero affiancare alla fase propriamente camerale uno sviluppo a cognizione piena.

Questa teoria si discosta nettamente dalla via tracciata dal legislatore e dalla giurisprudenza – ordinaria e costituzionale – che hanno chiaramente scelto di escludere il concorso di procedure tra loro autonome, preferendo ricorrere alle tecniche descritte nel paragrafo precedente.

Natura contenziosa e ricorribilità per cassazione: distinzione teorica e confusione pratica

Il problema della ricorribilità in cassazione del provvedimento camerale è teoricamente distinto da quello della natura contenziosa o non contenziosa del relativo procedimento. Ma i due problemi spesso si intrecciano; ed è facile che, nei fatti, la questione sulla natura del procedimento diventi «variabile dipendente» dell'altra, molto più pratica e rilevante sull'economia processuale, se consentire o no l'accesso alla cassazione contro il provvedimento finale; o se ammetterne, viceversa, la modificabilità e revocabilità secondo il modello dell'art. 742 c.p.c.

Così la Cassazione è costante nell'affermare che il procedimento ex art. 2409 c.c. (v. sopra), in quanto «di volontaria giurisdizione», sfocia in un provvedimento non ricorribile per cassazione: Cass., 29 dicembre 2011, n. 30052, nell'affermarlo, dà nondimeno atto che i provvedimenti resi in quella sede incidono sui diritti degli amministratori, che infatti sono parti del procedimento; tuttavia non decidono alcun rapporto di diritto sostanziale e sono revocabili e modificabili secondo quanto dispone l'art. 742 c.c. A sua volta Cass., 27 febbraio 2012, n. 2986, sempre sul presupposto della natura «volontaria» (e in linea con la più nota Cass., Sez.Un., 29 ottobre 2004, n. 20957), nega il ricorso in cassazione contro il provvedimento che definisce in sede di reclamo il procedimento per la revoca dell'amministratore di condominio ex art. 1129 c.c. e 64 att. c.c.. Invece Cass., 21 novembre 2016, n. 23633 ammette il ricorso in cassazione contro i provvedimenti c.d. «de potestate» resi ai sensi dell'art. 330 ss. c.c. in esito a un procedimento tipicamente camerale: la pronuncia – va segnalato – si pone in consapevole contrasto con l'orientamento consolidato che negava il ricorso in cassazione contro questi provvedimenti; e la soluzione accolta è probabilmente destinata ad affermarsi, complice un quadro normativo sempre meno conciliabile con la tesi contraria.

Può aggiungersi, per arricchire un panorama già movimentato, che Cass., 30052/2011, cit., e Cass., 27 febbraio 2012, n. 2986, ammettono la ricorribilità per cassazione contro il solo capo del provvedimento che pronuncia sulle spese processuali, in quanto decisorio su un credito pecuniario che ha sostanza di diritto soggettivo: questa soluzione è del resto in linea con un orientamento giurisprudenziale stabilmente affermatosi, che isola la statuizione sulle spese per ammetterne la ricorribilità in cassazione indipendentemente dal regime assegnato agli altri capi del provvedimento.

Tutela camerale dei diritti e procedimento sommario di cognizione

Il fenomeno dei procedimenti camerali contenziosi si è sviluppato sull' «archetipo» degli artt. 737 ss. c.p.c. e sul suo impiego in funzione «contenziosa». E' tuttavia un fenomeno che si inserisce in un contesto più ampio e in progressiva espansione, che è quello delle tutele «sommarie» non cautelari e idonee al giudicato sui diritti.

In tale contesto si va progressivamente affermando il modello del processo sommario di cognizione delineato dagli artt. 702 ter e quater c.p.c. Dal punto di vista dell'iter assomiglia ai procedimenti camerali integrati da elementi propri della cognizione piena, ma con importanti tratti distintivi:

a) sfocia in una decisione appellabile e l'appello segue le forme della cognizione piena, con qualche variazione volta a controbilanciare la «sommarietà» del primo grado;

b)è atipico, in quanto non limitato a un elenco tassativo di cause;

c) benché il dato testuale non lo dica, si tende ad assoggettare la disciplina delle prove alle clausole «clausole generali» proprie della cognizione piena, quali la disponibilità della prova, l'onere della prova, l'assoggettamento a preclusioni istruttorie, i limiti di ammissibilità dei singoli mezzi istruttori.

Riferimenti
  • Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c. (appunti sulla tutela giurisdizionale dei diritti e sulla gestione di interessi devoluta al giudice), in Riv. dir. civ., 1990, I, 393 ss.;
  • Valitutti, La volontaria giurisdizione, in Chiarloni e Consolo (a cura di), Il procedimenti sommari e speciali, III, Torino, 2005, 217 ss.;
  • Arieta, in Montesano e Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Riti differenziati di cognizione, II, 2, Padova, 2002, 1082 ss.;
  • Denti, I procedimenti camerali come giudizi sommari di cognizione: problemi di costituzionalità ed effettività della tutela, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 1097 ss.;
  • Lanfranchi, La roccia non incrinata. Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti, Torino, 2011.

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