Inibitoria
31 Ottobre 2025
Inquadramento La reazione dell'ordinamento all'atto illecito può consistere non solo nella tradizionale tutela risarcitoria, la quale si volge a compensare gli effetti conseguenti al danno ingiusto, ma anche in una tutela inibitoria, diretta a prevenire la consumazione o ad impedire il perpetuarsi, l'aggravarsi o la reiterazione della condotta illecita. Una tutela ulteriore, pertanto, con funzione preventiva rispetto ad un danno probabile – e, quindi, coeva ad una situazione di pericolo già attuale – ed avente un contenuto specifico, in quanto volta ad imporre un determinato comportamento, negativo o positivo, al responsabile dell'illecito, secondo modalità idonee ad evitare per il futuro la violazione della posizione soggettiva lesa (o minacciata). Si distingue, quindi, dalla tutela risarcitoria sia perché non appresta una mera tutela per equivalente sia perché orientata a fronteggiare la causa – e non gli effetti - dell'illecito mediante l'imposizione di una astensione (non facere) o di una positiva specifica condotta destinata, comunque, ad esaurirsi nell'ambito della sfera patrimoniale del soggetto responsabile; presuppone, tuttavia, come si conviene ad una ordinaria sanzione civile, che un atto illecito sia già perpetrato, anche se il danno «ingiusto» può configurarsi anche solo come situazione di pericolo di un danno di maggiore gravità. In tal senso si è pure ipotizzata in dottrina – anche a fronte della proliferazione delle fattispecie legali di inibitoria – la configurabilità di una fattispecie generale di illecito di pericolo in grado di fondare un principio di tutela inibitoria atipica delle posizioni soggettive del tutto analogo a quello invalso ex art. 2043 c.c. per la tutela risarcitoria. Fattispecie tipiche Le ipotesi nelle quali è riconosciuta espressamente la tutela inibitoria sono divenute nel tempo così numerose da renderne difficile una esauriente elencazione, essendosi evolute dalle originarie tutele della proprietà immobiliare e dei segni distintivi dell'impresa e della persona fino alla rimozione degli ostacoli alla piena realizzazione dell'uomo ed all'equilibrato sviluppo del mercato. A mero titolo esemplificativo si possono ricordare, nel settore dei diritti reali, le tradizionali azioni volte a far cessare le turbative o molestie alla proprietà (negatoria: art. 949 c.c.), alla servitù (confessoria: art. 1079 c.c.) ed al possesso (manutenzione: art. 1170 c.c.), così come quella volta ad impedire immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., oltre che l'azione del creditore a cautela del bene ipotecato (art. 2813 c.c.). Fertile terreno di germinazione delle inibitorie tipiche è costituito dalla tutela della concorrenza tra imprenditori: dalla inibizione degli atti di concorrenza sleale (art. 2599 c.c.) alla tutela preventiva a fronte di clausole inique nelle transazione commerciali in ordine al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero (artt. 7 e 8 d.lgs. n. 231/2002); si connette parimenti alla corretta operatività del mercato anche la tutela preventiva dei consumatori rispetto alla clausole «vessatorie» utilizzate nelle condizioni generali di contratto, con legittimazione collettiva rimessa ad associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti (art. 37 d.lgs. n. 206/2005). Risalente è, poi, la tutela inibitoria nella materia dei diritti dei lavoratori, individuali e collettivi: dalla repressione della condotta antisindacale (art. 28 l. n. 300/1970) ai rimedi contro le discriminazioni di genere nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro e nelle le forme pensionistiche complementari collettive, così come articolati nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna, con legittimazione ad agire delle consigliere o i consiglieri di parità metropolitane, regionali o nazionale (artt. 36 e ss. d.lgs. n. 198/2006). Più in generale, la legislazione processuale sulla semplificazione dei riti civili, d.lgs. n. 150/2011, all'art.28, prevede una specifica tutela inibitoria per fronteggiare tutte le discriminazioni per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi (artt. 44 d.lgs n. 286/1998; 4 d.lgs. n. 215/2003) oppure a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età, della nazionalità o dell'orientamento sessuale (art. 4 d.lgs. n. 216/2003) ovvero per motivi connessi alla disabilità (art. 3 l. n. 67/2006) così come a fronte di ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura (art.55-quinquies d.lgs n. 198/2006). Sono, inoltre, storicamente datate le tutele preventiva assicurate ai diritti di utilizzazione economica delle opere di ingegno, con più recente devoluzione della competenza alle sezioni specializzate in materia di impresa (art. 156, l. 22 aprile 1941, n. 633), all'uso del nome e dello pseudonimo (artt. 7 e 9 c.c.), così come contro l'abusiva esposizione o pubblicazione dell'immagine propria o dei familiari (art. 10 c.c.); i diritti di proprietà industriale sono stati, poi, tutelati attraverso inibitorie giudiziali della fabbricazione, del commercio e dell'uso delle cose costituenti violazioni di tali diritti, le quali hanno trovato di recente ampio riconoscimento nel codice della proprietà industriale (art. 124, d.lgs. n. 30/2005). Il diritto alla riservatezza ha ricevuto parimenti protezione attraverso pronunce interdittive e prescrittive fondate, dapprima, su elaborazioni pretorie e, successivamente, su specifiche basi normative (art.152 d.lgs. n. 196/2003), con soggezione delle relative controversie al rito del lavoro, nel quadro della semplificazione dei riti, e rappresentanza processuale eventualmente conferibile anche ad enti del c.d. terzo settore (art. 10 d.lgs. n. 150/2011). Presupposti oggettivi La funzione preventiva propria della tutela inibitoria è volta, di regola, a fronteggiare una lesione già perpetrata al diritto altrui: la proiezione verso il futuro consiste, quindi, nel far cessare la permanenza, la progressione o la reiterazione di tale lesione. Si possono richiamare, in tal senso, le ipotesi tipiche di reazione alle turbative della proprietà (art. 949 c.c.), del possesso (art. 1170 c.c.), della servitù (art. 1079 c.c.), della libertà ed attività sindacale (art. 28 l. n. 300/1970), così come agli atti di concorrenza sleale (art. 2599 c.c.): in tali fattispecie la tutela si esplica ordinariamente attraverso misure dirette a far cessare pregiudizi già perpetrati, i quali possono, tuttavia, derivare anche dalla incombenza di una situazione di pericolo. In tal senso appare univoca la formulazione dell'art. 156 l. n. 633/1941, in tema di diritti di utilizzazione economica dell'opere di ingegno, laddove si prevede espressamente il rimedio preventivo non solo per impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta ma anche in quanto si abbia ragione di temere la violazione dei diritti stessi; analoga formulazione è rinvenibile nell'art. 2813 c.c., avuto riguardo agli atti da cui possa derivare il perimento o il deterioramento dei beni ipotecati. La tutela preventiva del diritto alla salute è stata, in particolare, costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità anche in confronto della pubblica amministrazione, mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni, a contenuto positivo o negativo, volte ad assicurare il rispetto delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei beni, in ottemperanza al principio del neminem laedere (Cass., sez. I, ord., 12 luglio 2016, n. 14180; Cass., sez. un., ord., 20 ottobre 2014 n. 22116) senza che debba attendersi che l'opera pubblica venga messa in effettivo esercizio, potendosi comunque accertare ex ante se sia configurabile un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio (Cass., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893). E' da ammettere, quindi, che sia sufficiente ad integrare l'atto illecito anche il rischio di un danno ipotetico ma probabile, giustificandosi l'interesse ad agire proprio in relazione alla imminenza del pregiudizio (arg. ex art. 700 c.p.c.: Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, 1982, 390 e s). In tal senso si ritiene che il rischio specifico del danno sia di per sé idoneo ad integrare il danno ingiusto ai sensi della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. (Bianca, Diritto civile, 5, 1994, 583), rilevando di regola l'effettiva consumazione del pregiudizio solo ai fini dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria. Presupposti soggettivi L'illecito assunto a presupposto delle inibitorie tipiche è da intendersi in senso puramente oggettivo, in quanto la tutela apprestata prescinde dalla sussistenza del dolo o della colpa nella condotta lesiva: l'accento viene posto, infatti, sulla esigenza imprescindibile della integrità della situazione soggettiva violata o minacciata. Le tutele inibitorie sono, del resto, proliferate nella legislazione, come si è accennato, proprio in relazione a diritti che, in quanto inerenti alla identificazione ed alla realizzazione della persona oppure coinvolgenti una serie indeterminati di soggetti (imprenditori, consumatori, lavoratori ecc), sono difficilmente suscettibili di idonea riparazione a posteriori mediante la tutela risarcitoria; le misure imposte con l'inibitoria sono, inoltre, volte esclusivamente ad eliminare la fonte delle lesioni, minacciate o già perpetrate, ai diritti altrui, così incidendo sul nesso obiettivo di causalità tra la condotta ed i relativi effetti. Una eccezione a tale configurazione meramente oggettiva viene individuata nella manutenzione del possesso, in quanto la giurisprudenza richiede, ai fini dell'integrazione dell'illecito fronteggiabile ex art. 1170 c.c., non solo la prova dell'atto materiale, ma anche del dolo o della colpa, mediante l'accertamento della sussistenza dell'elemento soggettivo ( c.d. animus turbandi), così come ritenuto in tema di spoglio (Cass. sez. II, sent. 22 febbraio 2011, n. 4279; Cass. sez. II ord. 31 agosto 2018 n. 21475).È, tuttavia, ipotizzabile che tale ulteriore requisito sia richiesto in via eccezionale in ragione della peculiarità della posizione soggettiva da tutelare, consistente in una situazione di mero fatto, oltre che nella cognizione sommaria dell'illecito all'esito della quale è irrogata la tutela (art. 703 c.p.c.). Contenuto Il nomem iuris attributo all'azione (inibitoria) e le stesse formulazioni normative, laddove prevedono ordini di «cessazione» del fatto lesivo, sembrano implicare un contenuto esclusivamente negativo del dictum giudiziale, in quanto volto unicamente ad imporre un “non fare” al fine di evitare la continuazione o il ripetersi ovvero la stessa consumazione dell'illecito. È, tuttavia, da osservare che sotto il profilo della condotta il lamentato illecito può consistete nella violazione di un obbligo di fare (ed essere, quindi, di tipo omissivo) oppure nella violazione di un obbligo di non fare ( ed essere di tipo, cioè, commissivo), talché l'ordine giudiziale idoneo a fronteggiarlo può imporre una condotta positiva nel primo caso, negativa nel secondo (Frignani, Inibitoria (azione), in Enc. dir., XXI, 572). Di qui la distinzione tra una inibitoria positiva ed una negativa, corrispondente a quella invalsa nel common law tra prohibitory e mandatory injunctions. In effetti la tutela apprestata dall'azione inibitoria è volta a prevenire o por fine ad una condotta illecita ed allo scopo può in concreto rivelarsi congrua sia una prestazione positiva che una negativa ovvero una pluralità di prestazioni di fare e di non fare: si pensi, ad esempio, alle immissioni intollerabili provenienti da un'azienda, le quali possono essere evitate sia attraverso la radicale inibizione dell'attività produttiva sia attraverso l'imposizione di idonee modificazioni od innovazione agli impianti. Il termine inibitoria si giustifica, quindi, solo in relazione alla funzione assolta dalla tutela giudiziale, quella cioè di neutralizzare la causa del fatto lesivo, ma non implica, tuttavia, alcuna tipizzazione del contenuto della pronuncia del giudice, al quale è riservata, in ultima analisi, un'ampia discrezionalità nella determinazione delle prestazioni da imporre al fine di perseguire il risultato richiesto. La tutela inibitoria si caratterizza come complementare a quella risarcitoria. Le stesse fattispecie tipiche prevedono espressamente che all'imposta cessazione del fatto lesivo si possa accompagnare il risarcimento dei danni o, comunque, la restitutio in integrum: così, a titolo esemplificativo, gli artt. 7,10,949,1079,2599 c.c., l'art. 28 l. n. 300/1970, l'art. 38 d.lgs. n. 198/2006, l'art. 28 d.lgs. n. 150/11; quanto al tema delle immissioni ex art. 844 c.c. la giurisprudenza afferma da tempo che l'azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l'accertamento dell'illegittimità delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse, deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e può, tuttavia, essere cumulata con la domanda verso altro convenuto per responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato (Cass., sez. II, sent., 15 novembre 2016, n. 23245; Cass., sez. un., sent., 27 febbraio 2013 n. 4848) Il nesso di complementarità si giustifica, comunque, anche a prescindere dagli espliciti riscontri normativi, in ragione della diversa funzione delle due tutele: l'una, quella risarcitoria, volta alla eliminazione degli effetti perpetrati dall'illecito nella sfera giuridica del danneggiato, l'altra, inibitoria, diretta ad incidere, invece, sulla causa di tali effetti e, quindi, sulla sola sfera giuridica del responsabile. Tale diversità di funzione evidenzia, altresì, che entrambe le tutele presuppongono, comunque, un illecito già perfezionato e che non è corretto contrapporle nel senso che l'una si rivolga al passato e l'altra al futuro : si pensi, ad esempio, quanto al risarcimento, al lucro cessante derivante da una invalidità permanente, il quale può proiettarsi lungo l'intera vita lavorativa del danneggiato. Il nesso di complementarietà è, tuttavia, del tutto eventuale in quanto l'illecito fronteggiato con l'inibitoria non integra necessariamente anche una fonte extracontrattuale di risarcimento, ben potendo il fatto contra ius inverarsi senza alcun connotato soggettivo colposo o doloso ovvero senza alcun effettivo danno, economicamente apprezzabile, già riscontrato : la fattispecie dell'illecito presupposto dall'inibitoria è, in tal senso, meno ricca di elementi costitutivi rispetto a quella dell'illecito aquiliano. Oltre che con le sanzioni risarcitorie la tutela inibitoria presenta, poi, un nesso di complementarità anche con quella di accertamento: in talune fattispecie, infatti, l'illecito da fronteggiare con l'inibitoria è stato compiuto proprio sul presupposto della esistenza di un diritto antitetico rispetto a quello fatto valere dall'attore. Si pensi all'usurpazione del nome altrui o del segno distintivo di altra impresa, alle molestie e turbative poste in essere sul presupposto che il bene sia ovvero non sia gravato da uno ius in re aliena : pregiudiziale all'inibitoria è in tali casi la definizione del conflitto tra i diritti contrapposti fatti valere dalle parti e, quindi, il superamento della situazione di incertezza in ordine alla titolarità della situazione soggettiva in contestazione. Attuazione Obiettive difficoltà possono incontrarsi nella attuazione in via coattiva delle prestazioni imposte in via inibitoria, in quanto la violazione dell'obbligo di non fare viene fronteggiato in forma specifica solo attraverso il rimedio successivo della distruzione di ciò che è stato illecitamente compiuto (art. 2933 c.c.), mentre le prestazioni positive si presentano talvolta con connotati di infungibilità tali da renderle insuscettibili di esecuzione forzata. In talune fattispecie si prevede, quindi, espressamente che l'inottemperanza alle misure imposte in sede giudiziale costituisce un illecito penale di carattere contravvenzionale: ad esempio, l'art. 28, comma 4, l. n. 300/1970, in tema di tutela della libertà sindacale, rinvia in tal senso all'art. 650 c.p.; l'art. 38, comma 4, d.lgs. n. 198/2006, in materia di contrasto alle discriminazioni, prevede, invece, una autonoma contravvenzione. L'ausilio della sanzione penale non appare, tuttavia, dotato di idonea efficacia dissuasiva, tenuto conto anche della modestia della gravità del reato. Ulteriore sollecitazione indiretta all'adempimento viene introdotta in talune fattispecie attraverso la tecnica delle astreinte del diritto francese, prevedendosi la possibilità che il giudice possa imporre il pagamento di una somma per ogni ulteriore violazione del diritto o ritardo nell'esecuzione delle misure adottate: così, a titolo esemplificativo, l'art. 124, comma 2, d.lgs. n. 30/2005, in tema di proprietà industriale, e l'art. 163, comma 2, l. n. 633/1941, a tutela del diritto di utilizzazione economica dell'opera di ingegno. Tale tecnica è stata, come noto, generalizzata attraverso le misure di coercizione indiretta disciplinate dall'art. 614-bis c.p.c. che attualmente consente al giudice, sia in sede cognitiva che in sede di esecuzione, su istanza di parte, al di fuori della materia lavoristica, di assicurare le condanne all'adempimento di qualsiasi obbligo diverso dal pagamento di somme di denaro mediante l'imposizione di somme dovute per ogni violazione o inosservanza successiva oppure per ogni ritardo nell'adempimento (per i giudizi amministrativi, in sede di ottemperanza, invece, v. l'art. 114, comma 4, lett. e), d.lgs. n. 104/2010). Anche in materia lavoristica, comunque, è consolidato il principio di diritto che con una sentenza di condanna possono essere imposte anche prestazioni non suscettibili di esecuzione forzata nelle modalità ordinarie, tenuto conto non solo della possibilità della spontanea conformazione del soggetto obbligato ma anche delle conseguenze risarcitorie che possono, comunque, derivare dalla condanna e che si incrementano ove si perpetui l'inottemperanza (Cass., sez. lav., 5 settembre 2014, n. 18779; in senso conforme, Cass. sez. I, 23 settembre 2011, n. 19454). L'inibitoria è, quindi, pienamente da ricomprendere, nell'attuale assetto dell'ordinamento processuale, nel genere della tutela di condanna anche laddove sia non eseguibile, in tutto od in parte, attraverso le vie ordinarie. Inibitoria atipica La giurisprudenza non riconosce, almeno in termini univoci, la vigenza di un principio generale di tutela delle posizioni soggettive attraverso l'inibitoria, la quale è ritenuta, pertanto, adottabile solo nelle materie ove sia espressamente prevista, salva la possibilità, tuttavia, all'interno di ciascun settore, dell'applicazione analogica (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1986, n 4755, ove si è applicato l'art. 2599 c.c., pur in difetto di un atto di concorrenza sleale, in relazione ad un atto comunque lesivo della sfera patrimoniale di un imprenditore). In dottrina si è, invece, variamente argomentata l'operatività di tale principio nel sistema, al fine di giustificare la tutela inibitoria al di là delle ipotesi tipiche specificamente previste nell'ordinamento. Secondo un orientamento l'ammissibilità della tutela inibitoria atipica è desumibile dai connotati propri della tutela cautelare, suscettibile di espandersi a protezione di qualsiasi diritto minacciato da un pregiudizio imminente ex art. 700 c.p.c. e, quindi, idonea a proiettarsi anche sulla tutela definitiva da apprestare in sede di giudizio di merito (Frignani, 562 e ss.; Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 179 e ss.). Secondo altro indirizzo, invece, la clausola generale di tutela inibitoria ha un fondamento sostanziale, deducendosi dall'art. 24 Cost. l'effettività della tutela da garantire a tutte le posizioni soggettive attive (Rapisarda e Taruffo, Inibitoria (azione), I, Diritto processuale civile, in Enc.giur.Treccani, XVIII, 9) ovvero la possibilità di una applicazione analogica delle fattispecie tipiche di inibitoria (Di Majo, La tutela civile dei diritti, III, 1993, 142). Si è pure sostenuta, al riguardo, la configurabilità di un illecito c.d. di pericolo, oltre al tradizionale illecito c.d. di danno, nell'ambito della tutela atipica assicurata dall'art. 2043 c.c., evidenziandosi che il danno ingiusto è integrato non solo dalla effettiva lesione ma anche dalla situazione di pericolo incombente su una posizione attiva meritevole di protezione (Basilico, La denuncia di danno temuto: contributo allo studio della tutela preventiva, in Riv.dir.civ.,2005,I,39; Petrolati, Inibitoria e illecito civile di pericolo, in Foro pad., 1996, II, 26); secondo questa ricostruzione l'effettiva restitutio in integrum comprende anche il ripristino delle condizioni di sicurezza indispensabili al dispiegarsi dei diritti minacciati, sicchè l'inibitoria è, in tal senso, sussumibile nella sanzione aquiliana dell'atto illecito. L'inibitoria atipica ex art. 2043 c.c. presuppone, tuttavia, la dimostrazione anche del requisito soggettivo costituito dal dolo o dalla colpa, dal quale di regola prescindono, come si è visto, le fattispecie tipiche. In giurisprudenza si ammette, in effetti, in diversi campi, che anche la messa in pericolo, oltre l'effettiva lesione, dell'interesse meritevole di tutela possa giustificare la sanzione civile: così, ad esempio, in tema di concorrenza sleale (Cass., sez. I, ord., 10 gennaio 2025 n. 626), tutela delle parti comuni in situazione di condominio (Cass., sez. II, sent., 28 maggio 2007, n. 12491; Cass., sez. II, sent., 10 settembre 2004, n. 18214), stabilità degli edifici in zone a rischio sismico (Cass. sez. II ord. 14 febbraio 2019 n. 4454; Cass., 17 aprile 2009, n. 9319) Più recentemente, inoltre, si è giunti all'affermazione, in sede nomofilattica, che l' inibitoria sia assimilabile alla tutela generale della reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c., in quanto strumento di reintegrazione in natura, atto a ripristinare le condizioni di fatto che consentono il normale svolgimento di un'attività o il normale godimento di un bene (Cass., sez. III, ord., 22 aprile 2024, n. 10724): in tal senso la tutela inibitoria potrebbe essere riconosciuta anche al di fuori delle ipotesi già tipizzate argomentandone il fondamento sostanziale, come già sostenuto in dottrina, nella responsabilità extracontrattuale ex artt. 2043 – 2058 c.c. Casistica
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