Documento informatico
26 Settembre 2025
Inquadramento Tutta la disciplina sul documento informatico muove dalla equiparazione, operata ex art. 15, comma 2, legge n. 59/1997, dei documenti formati su supporto informatico e muniti di firma digitale ai documenti cartacei dotati di sottoscrizione autografa. Con tale disposizione normativa, l'allora legge Bassanini attribuiva, in via generale, valore legale agli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici/telematici e destinati a circolare nell'ambito della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (l'allora RUPA). I “criteri e modalità di applicazione” del c.d. principio di equivalenza furono stabiliti dal d.p.r. n. 513/1997 che individuava nell' “apposizione o l'associazione della firma digitale al documento informatico” lo strumento equivalente alla sottoscrizione autografa dei documenti scritti su supporto cartaceo (art. 10, comma 2) ed attribuiva al documento informatico così sottoscritto “efficacia di scrittura privata ai sensi dell'articolo 2702 del codice civile” (art. 5). Su tali basi, confermate dal d.p.r. n. 445/2000 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”) in cui confluirono le norme sul documento e sulla firma digitale, gli atti del processo potevano assumere “la forma di documento informatico” (cfr. art. 1 del d.p.r. n. 123/2001, ora art. 11 del d.m. n. 44/2011, su cui vedi infra), garantendo in esso la piena fruibilità delle tecnologie di redazione e trasmissione dei documenti informatici. Tuttavia, il recepimento della direttiva 99/93/CE sulle firme elettroniche, ad opera del d.lgs. n. 10/2002, indusse il legislatore ad operare una revisione dell'art. 10 del d.pr. 445/2000, attribuendo al documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica “piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto”. Tale disposizione, ampliamente criticata in dottrina, non solo impediva il disconoscimento del documento informatico sottoscritto, equiparandolo alla scrittura privata riconosciuta od autenticata senza bisogno di alcun riconoscimento e di alcuna autenticazione, ma con tutta evidenza violava le stesse indicazioni della direttiva comunitaria. Quest'ultima, infatti, oltre a riaffermare il principio di piena equiparazione dei documenti informatici ai documenti cartacei, aveva affiancato ad esso a) il principio di neutralità tecnologica, che vieta al legislatore nazionale di condizionare, anche indirettamente, attraverso il riferimento a standard tecnologici adottati da specifici prodotti, la libera circolazione dei prodotti e dei servizi utilizzabili per le firme elettroniche (cui si deve il riconoscimento, accanto alla firma digitale ed alle altre firme elettroniche “avanzate” della firma elettronica c.d. semplice); b) il principio di non discriminazione, che impone agli Stati membri l'adozione di misure “…affinché una firma elettronica non sia considerata legalmente inefficace e inammissibile come prova in giudizio unicamente a causa del fatto che essa è in forma elettronica, o non basata su un certificato qualificato, ovvero non creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura”. Oggi il testo normativo di riferimento è rappresentato dal d.lgs. n. 82/2005 (c.d. codice dell'amministrazione digitale, da ora in avanti “CAD”) in cui sono confluite sia le norme sui documenti informatici che quelle sulle firme elettroniche, ed in particolare dagli articoli 20 e 21 (più volte modificati ad opera del d.lgs. n. 159/2006, d.lgs. n. 235/2010, l. n. 221/2012, d.lgs. n. 179/2016, e da ultimo d.lgs. n. 217/2017) che hanno dettagliato la disciplina intervenendo sul piano dell'efficacia tanto sostanziale quanto processuale. La natura del documento informatico Sebbene il termine “documento” ricorra in diverse disposizioni del Codice civile, il legislatore non ne offre una vera e propria definizione. Una nozione è stata tuttavia elaborata in dottrina, che individua il documento quale “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante” (CARNELUTTI, Voce “Documento” teoria moderna, in Noviss. Dig, VI, Torino, 1957). Tale definizione è stata in parte fatta propria dall'art. 1, lett. p) del CAD, che definisce documento informatico “il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. L'attuale normativa ha, in sostanza, riconosciuto il documento – sia esso informatico o cartaceo – come qualsiasi rappresentazione idonea a rendere percepibile e conoscibile un fatto, un dato o un atto. Il documento informatico dev'essere correttamente inquadrato, dunque, come documento scritto su un supporto informatico. Contrariamente a quanto immaginato in un primo momento da alcuni commentatori – i quali dubitavano della sicurezza del documento informatico, ritenendo più affidabile il documento cartaceo, in cui le alternazioni lasciano inevitabilmente una traccia fisica – l'introduzione del documento informatico non ha svincolato l'essenziale funzione di conservazione del contenuto rappresentativo dall'esistenza di un supporto materiale. Infatti, l'avvento dell'informatica ha consentito di sostituire il tradizionale supporto cartaceo con diversi tipi di supporti alternativi costituiti, ad esempio, da dischi magnetici o a lettura ottica (Floppy disk, cd-rom, dvd-rom); in ogni caso, l'elemento che resta indefettibile è l'informazione diretta all'altrui conoscenza e veicolata da un elemento fisico (il supporto) su cui è registrata l'informazione. Vi sono poi tipologie di documenti informatici che mantengono inalterato il loro contenuto e, di conseguenza, anche il loro valore probatorio. In relazione alla natura del fatto rappresentato e alle modalità della sua rappresentazione, anche per i documenti informatici è possibile distinguere tra le riproduzioni informatiche, che raffigurano direttamente un fatto attraverso il mezzo figurativo (e sono riconducibili all'ambito delle riproduzioni ex machina dell'art. 2712 c.c.), e le scritture informatiche, formate attraverso il ricorso al mezzo verbale e dei segni propri del linguaggio scritto. A prescindere dalla natura di riproduzione o di scrittura, oltre che dal carattere dichiarativo o narrativo di quest'ultima, l'attitudine a soddisfare l'essenziale funzione di perpetuazione di un determinato contenuto rappresentativo nel tempo costituisce condizione necessaria e sufficiente, ai fini della concessione della qualità di documento. Nel caso di specie, il documento informatico pare contraddistinto proprio dalla qualità dei segni che reca impressi: i bit resi per il tramite del linguaggio binario, che offrono la rappresentazione dell'atto o del fatto giuridicamente rilevante. Il supporto che incorpora la concatenazione dei segni è imprescindibile, poiché senza di esso la sequenza diventerebbe evanescente, ma è il carattere del segno, che nel caso di specie prende forma attraverso la sequela d'impulsi elettrici binari, a connotare il documento informatico come insieme di dati espressi in forma elettronica ed utilizzati come metodo di rappresentazione informatica. Altra differenza rilevante sotto tale profilo si ha tra duplicato informatico e copia informatica di documento informatico. Il duplicato informatico viene definito dall'art. 1, lett. i-quinquies) CAD come “il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”. Il duplicato è, pertanto, completamente identico al documento da cui proviene e, di conseguenza, conserva la medesima efficacia probatoria. Diversamente la copia informatica di documento informatico, ai sensi dell'art. 1, lett. i-quater) CAD, ha “contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari”. La differenza tra le due tipologie di documento risiede nel concetto di “identità di contenuto” in quanto solo il duplicato informatico possiede la stessa sequenza di bit del documento organario. Tale differenza ha inevitabilmente conseguenze sotto il profilo probatorio, infatti, ai sensi dell'art. 23-bis, comma 2, CAD, le copie del documento informatico godono della stessa efficacia probatoria dell'originale dal quale sono state estratte solo qualora la conformità fra originale e copia sia attestata da pubblico ufficiale autorizzato o, in via residuale, qualora tale conformità non sia espressamente disconosciuta. Vi sono poi le copie informatiche di documenti analogici il cui valore probatorio è stabilito dall'art. 22 CAD, il quale differenzia tre ipotesi: 1) se il documento contiene copia di atti pubblici, scritture private e documenti formati su supporto analogico avrà piena efficacia ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c., qualora chi lo spedisce o rilascia apponga una firma digitale o altra firma elettronica qualificata; 2) se il documento contiene copia informatica per scansione di documento analogico manterrà lo stesso valore probatorio dell'originale qualora vi sia l'attestazione del pubblico ufficiale, con dichiarazione allegata al documento secondo il paragrafo 2.2 delle linee guida AgID; 3) se il documento è copia per immagine di documento analogico realizzata secondo le linee guida AgID manterrà l'efficacia e la validità dell'originale, a meno che la conformità non venga espressamente disconosciuta. Riproduzioni informatiche e documento informatico non sottoscritto L'art. 20, comma 1-bis, CAD, prevede che qualora il documento informatico sia privo di una sottoscrizione “l'idoneità (del medesimo) a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”. La norma si riferisce al documento informatico di cui sia impossibile l'ascrizione certa all'autore, condizione che preclude in radice la produzione di effetti sostanziali costitutivi (e, dunque, la stipulazione di negozi formali). La mancata sottoscrizione del documento informatico ha rilevanti ripercussioni sotto il profilo probatorio. La contestazione dei documenti elettronici non scritti, infatti, è comunemente ricondotta alle riproduzioni meccaniche ed alla disciplina offerta dall'art. 2712 c.c., intesa quale clausola generale applicabile in relazione a qualunque rappresentazione documentale prodotta mediante un qualsiasi procedimento tecnico o meccanico, incluso quello informatico. Infatti, l'art. 2712 c.c., come modificato dall'art. 23-quater CAD, contempla un espresso riferimento alle “riproduzioni informatiche”, le quali, come le altre riproduzioni meccaniche, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se la parte contro cui sono state prodotte non ne disconosce la conformità mediante una contestazione chiara, circostanziata ed esplicita, che si concreti nell'allegazione di elementi significanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e la realtà riprodotta (Cass. 28 agosto 2024, n. 23213). La giurisprudenza, inoltre, è solita ricondurre all'interno delle maglie dell'art. 2712 c.c., anche il regime probatorio del documento elettronico non sottoscritto (Cass. 26 agosto 2020, n. 17810, in merito alla conformità della riproduzione cartacea delle risultanze di un sito internet; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3122; Cass. 24 marzo 2003, n. 4297), senza tuttavia operare una opportuna distinzione tra il carattere rappresentativo ovvero dichiarativo del documento, né tantomeno, una adeguata valorizzazione della regola della libera valutazione ex art. 20, co. 1-bis, CAD. La riproduzione mediante mezzo informatico, infatti, può esplicitare una manifestazione di volontà e di scienza del dichiarante, ancorché priva di una firma che denoti la paternità della dichiarazione; tuttavia, l'estensione al regime delle riproduzioni meccaniche è una soluzione che non considera l'inidoneità delle riproduzioni meccaniche ad esprimere una volontà o lo stato di conoscenza di taluni fatti e, più in generale, non incidono sull'esistenza dei fatti che rappresentano, bensì solo sulla loro prova. Piuttosto, il documento informatico non sottoscritto (così come le altre scritture prive di firma) non può essere soggetto ad alcuna forma di disconoscimento, vuoi della autenticità della sottoscrizione, vuoi della conformità della rappresentazione, ma pare da ricondurre al principio generale espresso dall'art. 116 c.p.c., e quindi rimesso al prudente apprezzamento del giudice, secondo un giudizio svincolato dai limiti altrimenti imposti dalla qualificazione del documento come prova piena e che dovrà unicamente tener conto delle sue caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità. Pertanto, l'art. 2712 c.c. andrà riferito ai documenti informatici utilizzati come meri strumenti per la riproduzione meccanica di fatti o cose, mentre il criterio di valutazione offerto dall'art. 20, comma 1-bis del CAD andrà applicato per quei documenti informatici dal contenuto dichiarativo, evitando il paradossale esito di riconoscere valore di piena prova anche ad una scrittura non sottoscritta. Da un punto di vista prettamente processuale, ci si è interrogati sulla validità giuridica del ricorso per cassazione privo di sottoscrizione digitale dell'avvocato redattore. Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che tale atto non è inesistente, ma affetto da un vizio di nullità, che è sanabile per raggiungimento dello scopo ogni qualvolta possa desumersi la paternità certa dell'atto processuale da elementi qualificanti (Cass., sez. un., 12 marzo 2024, n. 6477; Cass. 1° luglio 2025, n. 17731). Scritture informatiche Con riferimento alle scritture informatiche, sempre l'art. 1 CAD ha a lungo offerto (alle lett. q, q-bis, r e s) la definizione di quattro distinte categorie di firme: la firma elettronica, la firma elettronica avanzata, la firma elettronica qualificata e la firma digitale, riconducibili a due categorie principali, rappresentate dalla firma elettronica (“dati associati ad altri dati”) e dalla firma avanzata (“dati associati ad un documento”), in cui alla firma elettronica era riconosciuta la sola funzione indicativa, non anche quella dichiarativa, mentre sia la firma elettronica qualificata sia la firma digitale venivano ricondotte alla firma avanzata (di cui entrambe possiedono i requisiti della “riconducibilità” al titolare, del “controllo esclusivo” sul mezzo di firma e dalla “immodificabilità” dei dati). Tale schema, tuttavia, è stato sensibilmente inciso dall'entrata in vigore del Regolamento UE e-IDAS 23 luglio 2014, n. 910 sull'identificazione e l'autenticazione elettronica, che ha abrogato la direttiva 1999/93/CE ed ha inteso rafforzare il principio della neutralità tecnologica attraverso un sistema che tende a sfumare la differenza dei regimi applicabili ai documenti informatici in base alle tipologie di firme elettroniche utilizzate, in particolare, attribuendo anche alle firme elettroniche c.d. semplici l'efficacia della scrittura privata con funzione dichiarativa e non più meramente identificativa. Proprio l'esigenza di coordinamento ha reso necessaria l'adozione del d.lgs. n. 179/2016, di modifica e adeguamento del CAD, che ha disposto la soppressione, tra le altre, delle definizioni di firma elettronica, firma elettronica avanzata e firma elettronica qualificata, onde evitare il rischio di sovrapposizioni e contraddizioni con le parallele descrizioni offerte dal Regolamento europeo. Residua, nel corpo della disciplina nazionale, la sola definizione di firma digitale, che l'art. 1, lett. s), ulteriormente modificato dal d.lgs. n. 217/2017, descrive come “un particolare tipo di firma qualificata basata su un su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare di firma elettronica tramite la chiave privata e a un soggetto terzo tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”. Inoltre, la nozione di scrittura informatica è ora estesa anche ai documenti formati “attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71”, vale a dire documenti composti nel rispetto delle regole tecniche di conservazione e protezione dei documenti e dati informatici, adottate dall'Agenzia per l'Italia digitale. Invero, appare difficile sostenere che i codici di identificazione inviati al fornitore del servizio di posta (e non al destinatario del messaggio) possano essere utilizzati come firma del documento, figurando piuttosto come momento di adempimento del contratto di servizio e manifestazione della volontà di accedervi. Tuttavia, è altresì vero che, da un lato, l'art. 634 c.p.c. individua tra le prove scritte idonee per la concessione della tutela monitoria, le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, “anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile” — anch'essi documenti non sottoscritti valorizzati in ragione di elementi presuntivi — dall'altro lato, che il regolamento e-IDAS afferma chiaramente la possibilità della firma elettronica semplice di adempiere ad una funzione non più soltanto indicativa, ma anche dichiarativa (ex art. 3, n. 10) e del documento così sottoscritto di soddisfare la forma scritta. Il modello di firma su cui il legislatore ha costruito l'equivalenza del documento informatico alla scrittura privata rimane dunque la firma digitale, che consiste nell'applicazione, sul documento formato con strumenti informatici o trasmesso per via telematica, di una sequenza di caratteri alfanumerici che sono il prodotto di un'operazione di cifratura eseguita con un sistema crittografico a chiavi asimmetriche (ove la chiave usata per cifrare non può decifrare, anche se l'operazione può essere iniziata con uno qualsiasi degli elementi della coppia). La firma digitale consente di prevenire con ampio margine di affidabilità i rischi comunque connessi all'utilizzo di una firma elettronica con rilevanza giuridica e relativi sia all'identificazione del soggetto firmatario, sia all'incertezza in merito al contenuto del documento sottoscritto, e per tali ragioni rappresenta lo strumento di firma più diffuso. La firma digitale, in altre parole, fornisce garanzie concrete circa l'autenticità del documento ed è considerata persino più affidabile della sottoscrizione autografa tradizionale. Infatti, con l'apposizione di detta firma il documento è “sigillato” e non è più possibile apportare neanche una minima modifica al documento senza lasciarne traccia. Da questa va distinta la firma qualificata, — che il Reg. 910/2014, art. 3, n. 12 definisce come “una firma elettronica avanzata creata da un dispositivo per la creazione di una firma elettronica qualificata e basata su un certificato qualificato per firme elettroniche” — alla cui nozione alcuni riconducono il token (apparecchio generatore di un codice numerico pseudocasuale ad intervalli regolari) in uso per l'erogazione dei servizi bancari (anche se con funzione principalmente identificativa), anche se nella pratica essa rimane difficilmente distinguibile dalla firma digitale. Gli effetti giuridici di una firma elettronica qualificata devono essere oggi considerati equivalenti a quelli di una firma autografa. La firma avanzata, invece, è oggi primariamente ricondotta al modello della firma grafometrica, che consiste nella firma autografa apposta con un pennino su una tavoletta elettronica (tablet), che ne rileva istantaneamente non solo il tratto grafico ma anche velocità, precisione, angolo di inclinazione, accelerazione e il numero di volte in cui la penna viene sollevata dal piano di scrittura. Tale firma rappresenta di per sé stessa un dato biometrico, al pari dell'impronta digitale, della geometria del volto o della conformazione della retina, ricavabile dal gesto personalissimo della mano, ma abbisogna, per divenire dato elettronico, della necessaria mediazione tecnologica offerta dal tablet e dal software applicativo , che nelle applicazioni più avanzate può consentire di “incorporare” nella firma i dati e associarli al documento (con l'emergere di esigenze di adeguato trattamento del dato biometrico). La posta elettronica ordinaria e la posta elettronica certificata L'imporsi della posta elettronica ordinaria come sistema maggiormente impiegato per ogni tipo di comunicazione — per accedere alla quale è necessario farsi identificare dal fornitore del servizio inserendo il proprio nome-utente (dato elettronico) associato ad una parola di accesso (altro dato elettronico), vale a dire una firma elettronica c.d. semplice — ha offerto numerose occasioni per definirne il regime giuridico e probatorio, soprattutto rispetto alla possibilità di ricondurre la e-mail alla prova scritta richiesta ex art. 634 c.p.c. ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo. Nonostante l'obiettiva e strutturale incapacità della posta elettronica ordinaria nell'offrire certezza riguardo sia all'identificazione del soggetto mittente sia all'effettiva ricezione e contenuto del documento, il dibattito si è concentrato sulla possibilità di considerare il documento inviato per e-mail come un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice (così Trib. Termini Imerese, 22 febbraio 2015; Trib. Prato, 15 aprile 2011, in Foro it., 2011, I, 3198; Trib. Verona, 26 novembre 2005, in Giur. merito, 2005, 2129) o, piuttosto, come mero documento informatico privo di qualsiasi sottoscrizione (in tal senso, Cass. 14 maggio 2018, n. 11606; Trib. Roma, 3 giugno 2016; Trib. Foggia, 27 novembre 2014). Sul punto è intervenuta la Corte di cassazione, la quale, con una recente pronuncia, ha aderito al primo orientamento, qualificando l'e-mail come documento informatico sottoscritto mediante firma elettronica “semplice”. (Cass. 21 maggio 2024, n. 14046). In concreto, tuttavia, gli orientamenti non operano alcuna distinzione tra i documenti informatici privi di sottoscrizione e quelli muniti di firma elettronica semplice, equiparandoli alle riproduzioni informatiche e, quindi, riconducendoli all'alveo applicativo dell'art. 2712 c.c. Ne consegue che, se il messaggio non viene contestato né nella provenienza né nel contenuto, esso costituisce piena prova dei fatti e delle circostanze in esso rappresentati. In caso contrario, il giudice non può espungere il documento dal materiale probatorio, ma deve comunque valutarlo congiuntamente agli altri elementi disponibili, tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità e immodificabilità. Sono considerati alla stregua della posta elettronica ordinaria i messaggi whatsapp (o più in generale tutti i sistemi istantanei di messaggistica contemporanei). Diversamente la posta elettronica certificata è un sistema di comunicazione in grado di attestare l'invio e l'avvenuta (o mancata) consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornirne le rispettive ricevute. Per tale ragione la PEC è, a differenza della posta elettronica ordinaria, equiparata alla raccomandata con ricevuta di ritorno, in quanto certifica i momenti di avvenuta spedizione e ricezione. In merito alle notificazioni via Posta elettronica certificata, la giurisprudenza ha chiarito che la produzione delle ricevute di accettazione e di consegna in formato pdf, anziché nel formato "eml" o "msg", non consente di verificare la presenza dell'atto nella disponibilità del destinatario e determina, di conseguenza, l'inesistenza della notificazione (Cass. 3 giugno 2025, n. 14879). Efficacia delle scritture informatiche Le diverse tipologie di firme elettroniche hanno un impatto considerevole sull'efficacia della scrittura informatica, condizionando tanto il profilo formale quanto quello probatorio. Sul piano del diritto sostanziale, si distinguono le scritture che devono essere sottoscritte con firma elettronica qualificata o digitale per integrare il requisito di forma scritta ad substantiam ex art. 1350, nn. 1-12, c.c. da quelle sussumibili nel campo applicativo dell'art. 1350, n. 13 c.c., per le quali il requisito della forma scritta ad substantiam s'intende soddisfatto dai documenti informatici sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, ovvero “formati ai sensi dell'articolo 20, comma 1-bis, primo periodo” ex art. 21 comma 2/bis, CAD. Tuttavia, è d'uopo segnalare come si registrino recenti pronunce in giurisprudenza, le quali ritengono – in contrasto con il dato letterale del menzionato art. 21, comma 2/bis, CAD – che il documento informatico sottoscritto con firma elettronica “semplice” sia idoneo a soddisfare ex lege il requisito della forma scritta anche quando detta forma sia richiesta ad substantiam (Cass. 9 aprile 2021, n. 9413). Per le altre scritture informatiche, laddove la forma scritta sia richiesta esclusivamente ad probationem, è possibile apporre ogni tipo di firma o segno di identificazione compatibile con la nozione di firma elettronica, fermo però il libero apprezzamento del giudice in merito alle “caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità” (art. 21, comma 1, CAD). Sotto il profilo dell'efficacia probatoria, l'art. 21 CAD prevede solo due opzioni: il documento informatico cui è apposta una firma elettronica c.d. semplice (o “debole”) è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità; le scritture informatiche munite di una firma elettronica avanzata, qualificata o digitale – incluso il documento formato conforme alle linee guida AgID – fanno invece “piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta” (art. 21, comma 2, CAD). Le peculiarità delle firme qualificate e digitali, che devono rispettare i requisiti di forma di cui all'art. 1350 c.c., si riflette anche sul piano probatorio, in quanto sono considerate riconducibili al titolare del dispositivo di firma “salvo prova contraria” (art. 20, comma 1-ter, CAD), grazie alle significative garanzie di sicurezza e affidabilità riconosciute anche dalla giurisprudenza (Cass. 9 giugno 2023, n. 16454). Si vuole in questo modo rimarcare il ruolo del documento informatico sottoscritto con firma digitale, che il legislatore ha assimilato, in punto di efficacia, all'art. 2702 c.c. per farne nuova prova legale equipollente alla scrittura privata tradizionale; si sottolinea altresì l'ampio margine di sicurezza garantito dal meccanismo crittografico, che rende quasi impossibile la contraffazione della firma. La procedura informatica di validazione, basata sulla chiave pubblica associata al certificato (o comunque resa disponibile dal certificatore), consente, in caso di esito positivo della verifica, di identificare con certezza il titolare della corrispondente chiave privata utilizzata per la firma digitale e, pertanto, l'autore del documento; mentre, in caso di esito negativo, rende evidente e riconoscibile qualsiasi manipolazione o alterazione successiva del documento recante la firma digitale. Tuttavia, non può escludersi che anche la dichiarazione sottoscritta con firma digitale sia resa da un soggetto diverso dall'apparente titolare della firma, restando così aperta la via del disconoscimento (e della successiva verificazione). Tra i molteplici rilievi critici della dottrina, si annovera la considerazione che la presunzione legale di utilizzo del dispositivo da parte del titolare (o comunque la conseguente inversione dell'onere probatorio) indurrebbe a riconoscere alla firma digitale un'attitudine probatoria superiore a quella assegnata alla firma chirografa; per superare tale inferenza, invero, al titolare non resterebbe che ricorrere alla querela di falso. In ogni caso, pare corretto osservare che il titolare di una firma elettronica, ponendo altri soggetti nelle condizioni di farne uso, traccia le premesse per la creazione di una dichiarazione a lui imputabile. Di talché, ciò che appare decisivo è l'effettivo conferimento di un mandato alla formazione ed emissione del documento sottoscritto ovvero di un mandato a firmare inteso come legittimazione all'uso del dispositivo di firma. In assenza del mandato, il documento risulta contraffatto e l'autenticità della firma può divenire oggetto di contestazione in ossequio allo schema disconoscimento-verificazione descritto dal codice di procedura civile, secondo un meccanismo inferenziale (art. 2727 c.c.) che consente di risalire dal fatto noto della segnatura digitale della scrittura informatica l'elemento ignoto (i.e. il suo autore). D'altronde, analogamente a quanto avviene per la sottoscrizione autografa, anche nel caso delle firme elettroniche avanzate, qualificate o digitali, la verificazione non ha ad oggetto il superamento della apparente indistinguibilità esteriore della firma rispetto a quella che si assume “autentica”, ma l'accertamento della effettiva provenienza del documento dal soggetto ne risulta autore sulla base di un insieme di elementi che, per gravità, precisione e concordanza appaiono idonei ad offrire detta prova integrando la presunzione di legge (art. 21, comma 2, CAD). L'accertamento giudiziale dell'autenticità della firma, com'è noto, è introdotto dall'istanza di verificazione proposta dalla parte interessata a valersi della scrittura disconosciuta e può essere raggiunto con l'ausilio di qualsiasi mezzo di prova utile, inclusa la verificazione informatica. Quest'ultima consente di acquisire la prova del concreto utilizzo del dispositivo di firma attribuito al titolare ‒ di là dalla mera esibizione della scrittura informatica ‒ di norma offerta dal certificatore con l'attestato digitale che accompagna il documento e con la “certificazione” che la chiave utilizzata per firmare appartiene ad una coppia generata dal dispositivo attribuito al firmatario. Peraltro, l'inversione che poggia sulla presunzione di cui all'art. 20, co. 1-ter, CAD, sembra valere quale strumento di riequilibrio dell'onere della prova, considerata l'estrema difficoltà per la parte di reperire la prova dell'autenticità del documento posto a fondamento della sua pretesa (o eccezione) una volta che intervenuto il disconoscimento del medesimo. In tal modo, invero, il legislatore pone l'onere di provare l'assenza del controllo sul dispositivo a carico della parte che ha la disponibilità della prova, in ossequio al principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che impone di ripartire l'onere istruttorio, non solo in base alla descrizione legislativa della fattispecie sostanziale controversa, ma anche secondo il principio della riferibilità o vicinanza, o disponibilità del mezzo di prova. Riferimenti BONAFINE, L’atto processuale telematico, Napoli 2017; CARNEVALI, Il documento informatico e la forma scritta ad substantiam, in I contratti, 2025, p. 5 ss; GARGANO-VIOLA, Il sistema della prova civile nell’era digitale, Milano, 2025; DE SANTIS, La disciplina normativa del documento informatico, in Corriere giur., 1998, p. 379 ss.; FINOCCHIARO, Riflessioni su diritto e tecnica, in Dir. inf. e inform., 2012, p. 831 ss; Id., Una prima lettura del reg. Ue n. 910/2014 (c.d. EIDAS): identificazione on line, firme elettroniche e servizi fiduciari, in Nuove leggi civ. comm., 2015, III, 419 ss.; GRAZIOSI, Documento informatico (diritto processuale civile), in Enc. Dir. 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