Spese (nell’esecuzione forzata)
25 Agosto 2016
Inquadramento
La regola stabilita dall'art. 95 c.p.c., per la quale le spese del procedimento esecutivo restano a carico del debitore esecutato e nell'ipotesi di più creditori il riparto deve avvenire in accordo con le norme sul privilegio stabilite dal codice civile, non ha applicazione generale, essendo limitata al procedimento esecutivo per espropriazione forzata, laddove la stessa abbia peraltro avuto esito fruttuoso con una massa attiva da dividere. Le spese nei procedimenti di esecuzione forzata in forma specifica, ossia di esecuzione per consegna o rilascio ovvero per esecuzione degli obblighi di fare, sono disciplinate specificamente dagli artt. 611 e 614 c.p.c. In generale, nell'ipotesi di estinzione della procedura esecutiva per inattività delle parti o per rinuncia agli atti, le spese restano a carico, rispettivamente, della parte che le ha anticipate e del rinunciante. La Corte di Cassazione ha inoltre chiarito che all'esito della fase sommaria delle opposizioni esecutive devono essere liquidate le spese, attesa la natura potenzialmente definitiva del provvedimento.
L'art. 95 c.p.c., nel prevedere che le spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile, sancisce una deroga al principio di soccombenza o, meglio, l'inoperatività delle regole dettate dagli artt. 91 e ss. c.p.c. con riguardo al procedimento di esecuzione. In quest'ultimo ambito infatti, almeno in linea di principio, le spese devono essere poste a carico del debitore esecutato (cfr. Pret. Salerno 20 luglio 1996, in Giur. Merito, 1997, 723). L'art. 95 c.p.c. trova tuttavia applicazione soltanto nell'esecuzione forzata per espropriazione, unica forma di esecuzione destinata a concludersi con la distribuzione del ricavato, e non anche nell'esecuzione per consegna e rilascio o nell'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, ipotesi in cui il regime delle spese risulta viceversa disciplinato, rispettivamente, dagli artt. 611 e 614 c.p.c. e che, pertanto, saranno oggetto di specifico esame. Il principio sancito dall'art. 95 c.p.c. non è inderogabile: l' inderogabilità non è sancita da alcuna norma di legge, e non ha ad oggetto statuizioni soggettive indisponibili (Cass. civ., 25 luglio 2002, n. 10909). Sotto un distinto profilo, l'applicazione dell'art. 95 c.p.c., nella parte in cui dispone che le spese del processo esecutivo restano a carico del debitore esecutato, presuppone, facendo espresso riferimento ad un riparto tra il creditore procedente e gli altri creditori intervenuti, che vi sia una massa attiva da distribuire tra gli stessi, di talché rimangono invece a carico dei creditori medesimi le spese sostenute per un'esecuzione rimasta completamente infruttuosa (Cass. civ., 12 maggio 1999 n. 4695). Invero si è osservato che, in virtù della espressa previsione di cui all'art. 95 c.p.c., secondo cui sono a carico di chi ha subito l'esecuzione le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione, il recupero delle spese sostenute dai creditori può trovare realizzazione solo nel caso dell'utile partecipazione di costoro alla distribuzione, all'esito di un'esecuzione risultata fruttuosa, che abbia cioè consentito la realizzazione di una massa attiva da distribuire, formata da quanto proviene dall'assoggettamento ad espropriazione del patrimonio del debitore , comprensivo di beni e di crediti, a carico del quale vengono quindi in definitiva a gravare le spese dell'esecuzione. Di conseguenza, a parte le spese fatte nell'interesse comune dei creditori da soddisfarsi in prededuzione dalla massa attiva in ragione del privilegio che le assiste (artt. 2755, 2770, 2777 c.c.), le altre spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti sono collocate nello stesso grado del credito, e possono pertanto trovare soddisfazione - al pari del credito per capitale ed interessi - solamente in caso di capienza (Cass. civ., 29 maggio 2003 n. 8634). In sostanza, se l'esecuzione forzata non si conclude fisiologicamente mediante la vendita del bene e la distribuzione del ricavato, l'art. 95 c.p.c. non trova applicazione e le spese rimangono a carico del creditore procedente. L'operatività del generale principio sancito per i procedimenti esecutivi per espropriazione forzata dall'art. 95 c.p.c. presuppone poi, in coerenza con il disposto dell'art. 474 c.p.c., che l'esecuzione sia iniziata, ciò che avviene attraverso il pignoramento, da effettuarsi secondo le diverse forme previste dalla legge: pignoramento mobiliare presso il debitore, pignoramento mobiliare presso terzi e pignoramento immobiliare. Il precetto è atto stragiudiziale soltanto prodromico e preliminare all'esecuzione forzata (Cass. civ., 5 aprile 2003, n. 5368). Invero, l'art. 95 c.p.c., nel porre a carico del debitore esecutato le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione, presuppone che il processo esecutivo sia iniziato con il pignoramento eseguito dall'ufficiale giudiziario, di talché tale disposizione, non può trovare applicazione in caso di pignoramento negativo e di mancato inizio dell'espropriazione forzata (Cass. civ., 12 aprile 2011, n. 8298). Distribuzione delle somme tra i creditori per le spese sostenute
Quanto al riparto delle somme acquisite alla procedura esecutiva tra più creditori del medesimo debitore esecutato, l'art. 95 c.p.c. rinvia alla disciplina del privilegio stabilita dal codice civile e, pertanto, soprattutto con rispettivo riguardo alla espropriazione mobiliare ed a quella immobiliare, agli artt. 2755 e 2770 c.c. che attribuiscono detto privilegio alle spese sostenute sia per il compimento di atti conservativi del compendio pignorato sia nell'interesse comune dei creditori.
Quanto alle spese sostenute nell'interesse comune anche degli altri creditori, rientrano tra le stesse anche le spese incontrate dall'aggiudicatario per la cancellazione delle ipoteche iscritte sull'immobile sottoposto ad espropriazione forzata, in conformità dell'ordine impartito dal giudice della esecuzione con il decreto di trasferimento (Cass. civ., 11 febbraio 1980, n. 929). In sede di merito si è inoltre ritenuto che l'eventuale sequestro conservativo proposto da uno dei creditori sia atto idoneo ad assicurare la garanzia sul bene anche nell'interesse degli altri creditori e che, pertanto, le relative spese godano del privilegio posto dall'art. 2770 c.c. (Trib. Bari, sez. II, 10 aprile 2008, n. 910, in www.giurisprudenzabarese.it). Diversamente, si è affermato che il credito per spese di giustizia sostenute dal creditore per il pignoramento di un bene immobile già gravato da ipoteca in suo favore non è assistito dal privilegio di cui all'art. 2770 c.c., in quanto l'attività esecutiva spiegata non ha l'attitudine - né effettiva, né potenziale - a procurare un vantaggio nell'interesse comune dei creditori (Trib. Firenze 12 maggio 1989, in Fallimento, 1989, 1234). Sempre in sede applicativa si è ritenuto poi che, nell'ambito di esecuzione immobiliare, può ritenersi ammissibile l'istanza - redatta e presentata personalmente - con cui l'aggiudicatario richieda di intervenire nella procedura al fine di vedersi assegnato l'importo corrispondente alle spese per la cancellazione delle formalità pregiudizievoli (Trib. Roma, 1 novembre 2010).
Estinzione della procedura esecutiva
L'art. 95 c.p.c., nel porre a carico del debitore esecutato le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione presuppone che il processo esecutivo si sia concluso e non che si sia arrestato per rinuncia o inattività del creditore procedente, ipotesi per le quali le spese sostenute sono poste, rispettivamente, a carico del rinunciante, in mancanza di diverso accordo tra le parti, ed a carico di chi le ha anticipate (Cass. civ., 4 agosto 2000 n. 10306). Sotto un primo profilo, quanto all'operare del predetto criterio di riparto delle spese del processo esecutivo nell'ipotesi di estinzione dello stesso per rinuncia agli atti, costituisce invero principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629 c.p.c., anche nel processo esecutivo (Cass. civ., 16 dicembre 2010 n. 25439). Ne deriva che rimarranno a carico del creditore rinunciante ad es., anche le spese sostenute dal debitore, la cui attività non è esclusa in questo processo ma è anzi espressamente prevista e può manifestarsi sia con la comparizione di fronte al giudice, nei casi in cui è prescritta l'audizione delle parti, sia con istanze, eccezioni ed osservazioni (Cass. civ., 25 agosto 2006 n. 18514). Si è precisato, sempre in sede di legittimità, che, pertanto, l'ordinanza mediante la quale, a seguito della rinunzia agli atti ed alla conseguente estinzione del processo esecutivo, il giudice dell'esecuzione, nel liquidare le spese ai sensi del combinato disposto degli art. 306 e 629 c.p.c., si limiti, in mancanza di diverso accordo tra le parti, a porre le stesse a carico del creditore rinunciante, non incorre nel vizio del difetto di assoluto di motivazione, trattandosi di determinazione rispetto alla quale non sussiste alcun potere discrezionale del giudice (v., tra le altre, Cass. civ., 12 aprile 2011 n. 8298; Cass. civ., 27 febbraio 2009 n. 4849). In sostanza, il giudice dell'esecuzione ove dichiari l'estinzione della procedura deve di regola porre le spese a carico delle parti che le hanno anticipate, a meno che non vi sia un diverso accordo tra le stesse al riguardo, ovvero ricorrano altre ragioni idonee a giustificare una diversa regolamentazione delle spese, da esplicitarsi in motivazione, non essendo sufficiente il mero richiamo alla richiesta in tal senso di una delle parti: sulla scorta di tali principi, la S.C. ha cassato senza rinvio il provvedimento del Tribunale che aveva posto a carico dei debitori le spese della consulenza tecnica d'ufficio, dando atto che i creditori avevano dichiarato di rinunciare alla procedura esecutiva a condizione che le spese della consulenza venissero poste a carico dei debitori senza, tuttavia, accertare che questi avessero aderito a tale regolamentazione delle spese e senza, comunque, motivare sulle ragioni oggettive che avrebbero potuto giustificare un tale provvedimento (cfr., ex ceteris, Cass. civ., 25 maggio 2010 n. 12701; Cass. civ., 9 maggio 2007 n. 10572). Il richiamato e consolidato orientamento per il quale anche nell'ipotesi di estinzione del processo esecutivo per inattività delle parti le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate è giustificato dalla circostanza che l'art. 632, comma 3, c.p.c., dispone che, in caso di estinzione del processo esecutivo, si applica l'art. 310, comma ultimo c.p.c., il quale stabilisce, per l'appunto, che le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate (cfr., tra le altre, Cass. civ., 14 aprile 2005 n. 7764; Cass. civ., 20 febbraio 1998 n. 1834). In applicazione del richiamato principio, è stato chiarito che la sopravvenuta inefficacia del precetto per mancato inizio dell'esecuzione nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione comporta che le spese del precetto ormai perento restino a carico dell'intimante, trovando il procedimento definizione anticipata in rito per un'inattività del creditore (Cass. civ., 9 maggio 2007 n. 10572) e che, di conseguenza, dette spese non potranno essere richieste mediante l'intimazione di un successivo processo, restando quindi definitivamente a carico delle parti che le hanno anticipate (Cass. civ., 23 giugno 1997 n. 5577, in Giust. Civ., 1997, I, 3060, con osservazione di FINOCCHIARO). L'ordinanza con cui, a seguito della rinunzia agli atti, o della inattività delle parti, il giudice, nel dichiarare la estinzione del processo, pronuncia anche sul diritto al rimborso delle spese processuali, costituisce titolo esecutivo, in quanto provvedimento a carattere decisorio espressamente dichiarato non impugnabile ex art. 306 c.p.c. (Cass. civ., 20 aprile 2007 n. 9495). Peraltro, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, nel dichiarare l'estinzione del processo, pronuncia anche sulle spese, può essere impugnata dalla parte che intende dolersi solo di questa statuizione con ricorso straordinario per cassazione per violazione di legge a norma dell' art. 111 Cost. (Cass. civ., 15 dicembre 2003 n. 19184, in Foro it., 2004, I, 1122, con nota di TOMBARI FABBRINI), trattandosi invero, almeno, sotto tale profilo di c.d. sentenza in senso sostanziale, ossia di una decisione su diritti, per la cui impugnazione la legge non prevede altro rimedio (Cass. civ., 15 gennaio 2003 n. 481). Diversamente, in caso di simultanea impugnazione della dichiarazione di estinzione e della pronuncia sulle spese deve essere proposto per entrambi i capi il reclamo di cui agli art. 178 e 310 c.p.c. (Cass. civ., 6 agosto 2002 n. 11768, in Giur. it., 2003, 1127, con nota di RONCO). Norma di riferimento per la disciplina delle spese del procedimento di esecuzione forzata per consegna o rilascio è l'art. 611 c.p.c., secondo cui nel processo verbale l'ufficiale giudiziario specifica tutte le spese anticipate dalla parte istante e che, quindi, sulla scorta di ciò, la liquidazione delle spese è effettuata dal giudice dell'esecuzione con decreto che costituisce titolo esecutivo, liquidazione che, a seguito della novellazione normativa realizzata dalla l. 14 maggio 2005 n. 80, deve essere compiuta ai sensi degli artt. 91 e ss. c.p.c. La ratio dell'intervento legislativo è quella di consentire, come non ha trascurato di evidenziare la dottrina più autorevole, al giudice dell'esecuzione di liquidare, oltre alle spese vive dell'esecuzione, anche i diritti e gli onorari. Prima della riforma, infatti, è stata tradizionalmente dibattuta in dottrina come in giurisprudenza la questione avente ad oggetto il contenuto e la natura del provvedimento di liquidazione delle spese emanato dal giudice dell'esecuzione ex art. 611 c.p.c. Più in particolare, quanto al contenuto del provvedimento secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità lo stesso poteva infatti riguardare esclusivamente le spese anticipate dall'istante e specificate dall'ufficiale giudiziario e non anche quelle di difesa tecnica, per ottenere il pagamento delle quali la parte doveva ricorrere alla procedura d'ingiunzione di cui agli artt. 633 e ss. né i diritti di precetto che dovevano essere autoliquidati ad opera del creditore nel precetto stesso (Cass. civ., sez. un., 24 febbraio 1996 n. 1471, in Foro it., 1996, I, 1689, con nota di FABIANI). Dibattuta è stata, altresì, prima dell'intervento normativo sul comma 2 della previsione in esame, la natura del decreto di liquidazione delle spese emanato dal giudice dell'esecuzione all'esito della procedura di esecuzione per rilascio, in quanto, secondo alcuni, lo stesso costituirebbe un provvedimento monitorio con la conseguenza che esso sarebbe suscettibile di impugnazione nelle forme previste per l'opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. un., 27 luglio 1993 n. 8385), mentre, secondo una distinta impostazione interpretativa, il decreto di liquidazione reso ex art. 611 c.p.c. dovrebbe piuttosto essere considerato un decreto autonomo del giudice dell'esecuzione costituente titolo esecutivo, non impugnabile, poiché revocabile e modificabile in ogni momento dal giudice che l'aveva emanato (Cass. civ., sez. un., 24 febbraio 1996 n. 1471, cit.). Nella giurisprudenza di legittimità è stata condivisa l'impostazione interpretativa già affermata dalla dottrina prevalente nell'immediatezza della riforma realizzata dalla l. n. 80/2005 affermando che essendo il giudice dell'esecuzione, in accordo con la nuova formulazione dell'art. 611, comma 2, c.p.c. tenuto a provvedere alla liquidazione delle spese del procedimento a norma degli art. 91 ss. c.p.c., il potere di liquidazione dello stesso, in precedenza limitato alle spese vive, deve ritenersi esteso anche agli onorari ed ai diritti, ossia, nell'assetto attuale, i compensi complessivamente dovuti per l'attività procuratoria. E' stato al contempo chiarito che il provvedimento di liquidazione ha natura monitoria ed è impugnabile nelle forme dell'opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. civ., 12 luglio 2011, n. 15341). L'esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare è una forma di esecuzione forzata in forma specifica nella quale può ottenersi il raggiungimento del risultato indicato nel titolo mediante indicazione, a fronte dell'inottemperanza dell'esecutato, delle modalità di ottenimento dello stesso nell'ordinanza di cui all'art. 612 c.p.c. (Cass. civ., 6 maggio 2010 n. 10959; Cass. civ., 18 marzo 2003 n. 3992). Ai sensi dell'art. 614 c.p.c., al termine del procedimento di esecuzione forzata per obblighi di fare o non fare ovvero nel corso di essa, la parte istante presenta al giudice dell'esecuzione la nota delle spese anticipate vistate dall'ufficiale giudiziario, con domanda di decreto d'ingiunzione. Il giudice dell'esecuzione, quando riconosce giustificate le spese denunciate provvede con decreto a norma dell'art. 642 c.p.c. (ovvero con decreto provvisoriamente esecutivo), che sarà pertanto opponibile secondo le norme dettate dagli artt. 645 e ss. c.p.c. (Cass. civ., 30 novembre 2010 n. 24260). A seguito della riforma realizzata dal d.lgs. n. 51/1998 sull'introduzione del giudice unico di primo grado e l'abolizione delle Preture, non potendo peraltro il giudice di pace svolgere le funzioni di giudice dell'esecuzione ex art. 9, comma 2, c.p.c., non può più porsi un problema di incompetenza per l'opposizione in capo al medesimo ufficio giudiziario del quale fa parte il giudice dell'esecuzione che ha emesso il decreto alla stregua di quanto avveniva nel sistema previgente in relazione al quale la S.C. aveva affermato il principio secondo cui è inammissibile il reclamo al tribunale della parte istante per il rimborso delle spese anticipate in una procedura esecutiva di obbligo di fare avverso il decreto del pretore di liquidazione delle medesime perché la tutela dell'interessato è attuabile soltanto attraverso l'opposizione dinanzi al medesimo giudice che ha emesso il provvedimento, a cui spetta, funzionalmente e inderogabilmente, la competenza a deciderla, in applicazione del principio generale di cui all'art. 645 c.p.c. (Cass. civ., 14 marzo 2001 n. 3735). Si ritiene che, sulla scorta della documentazione costituita dalla nota spese vistata dall'ufficiale giudiziario, la parte ricorrente possa ottenere decreto ingiuntivo anche per il pagamento degli onorari (Cass. civ., 26 maggio 2003 n. 8339; Pret. Buccino 10 dicembre 1988, in AC, 1989, 524). Tuttavia, ove l'intimato proponga opposizione sostenendo di avere già adempiuto l'obbligazione, dal momento che la relativa controversia deve essere decisa con sentenza, la liquidazione delle spese processuali relative alla fase che inizia con tale contestazione va invece operata con il provvedimento che definisce la controversia, e, qualora il giudice non vi provveda, la sentenza può essere per tale parte impugnata, ma sulla liquidazione delle predette spese non può provvedere il giudice dell'esecuzione con il decreto previsto dall'art. 614 c.p.c. (Cass. civ., 26 maggio 2003 n. 8339, cit.). Tra le spese di esecuzione che possono essere liquidate dal giudice dell'esecuzione mediante il decreto ingiuntivo di cui all'art. 614 c.p.c. non rientrano anche le spese di precetto e di notifica, in quanto il precetto è atto anteriore e prodromico all'esecuzione forzata (cfr. Cass. civ., 20 gennaio 1994 n. 457). Sotto un distinto profilo, è pacifico nella prassi giurisprudenziale che in tema di esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo emesso, ai sensi dell'art. 614, comma 2, c.p.c., per il rimborso delle spese anticipate dalla parte istante, ben può l'opponente in tale sede far valere contestazioni circa la congruità delle spese (cfr. Cass. civ., 15 novembre 1993 n. 11270). In ordine alla quantificazione dei diritti e degli onorari, in sede di merito si è evidenziato che l'obbligo di fare, non essendo inquadrabile in uno scaglione determinabile, comportando una serie di attività che prescindono dal puro valore materiale (nella fattispecie il costo del muratore), è correttamente quantificato in base alle previsioni dello scaglione minimo (Trib. Savona, 30 dicembre 2006).
Spese nella fase sommaria delle opposizioni esecutive
Nell'ambito dell'esecuzione forzata possono innestarsi vere e proprie parentesi cognitive in forza della proposizione delle opposizioni esecutive che danno luogo ad un giudizio a cognizione piena ed esauriente in ordine, qualora si tratti di opposizione all'esecuzione, all'an o al quantum della pretesa esecutiva, ed al quomodo dell'esecuzione nel caso di opposizione agli atti esecutivi. Inoltre, può essere proposta opposizione di terzo all'esecuzione da parte, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., di colui il quale assuma di vantare un diritto di proprietà o altri diritti reali sul compendio pignorato. Mediante le riforme realizzate dalle leggi n. 80/2005 e n. 52/2006 i giudizi in tema di opposizioni esecutive sono stati rimodulati nel senso di distinguere, nell'ambito degli stessi, una fase sommaria dinanzi al Giudice dell'esecuzione all'esito della quale, previa decisione sulla sospensione dell'esecuzione ed eventualmente sulla competenza, deve essere concesso il termine previsto dall'art. 616 c.p.c. per l'introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione della causa a ruolo, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163-bis c.p.c. ridotti della metà ed una fase eventuale di merito a seguito della tempestiva introduzione di un siffatto giudizio, Questione di peculiare interesse è quella afferente la sussistenza del potere/dovere del Giudice dell'Esecuzione di provvedere sulle spese della fase sommaria del giudizio di opposizione esecutiva, attesa, peraltro, la mera eventualità e non necessità dell'instaurazione del giudizio di merito, con valenza potenzialmente conclusiva ex art. 91 c.p.c. della decisione pronunciata all'esito della fase sommaria del procedimento di opposizione. Proprio in ragione di tale considerazione, la S.C. ha ritenuto, in motivazione, di risolvere in senso affermativo la questione prospettata osservando, in primo luogo, che una siffatta soluzione si fonda non soltanto sul combinato disposto degli artt. 669-septies e 669-quaterdecies c.p.c., in virtù della natura cautelare dei provvedimenti assunti dal Giudice dell'Esecuzione nella fase sommaria sull'istanza di sospensione, ma anche nell'attitudine potenzialmente definitiva di tali provvedimenti, essendo soltanto eventuale l'introduzione del giudizio di merito secondo quanto previsto dall'art. 616 c.p.c. Osserva infatti a riguardo la Corte di legittimità che, a fronte della concessione del termine per la proposizione del giudizio di merito sull'opposizione esecutiva da parte del Giudice dell'Esecuzione, «il processo resta in uno stato di quiescenza provvisoria in attesa dell'attivazione di una delle parti per l'inizio del giudizio di merito, ma nel contempo il provvedimento, sia pure condizionatamente al mancato inizio nel termine perentorio, individua ex lege una possibile sorte del procedimento, cioè l'estinzione per l'inosservanza del termine perentorio per l'introduzione del detto giudizio» (Cass. civ., 24 luglio 2011 n. 22033). Inoltre, la S.C. ha evidenziato che la soluzione individuata trae fondamento, attesa la natura cautelare dei provvedimenti mediante i quali il Giudice dell'Esecuzione si pronuncia sull'istanza di sospensione, anche sul disposto dell'art. 669-septies c.p.c., laddove vi sia stato un provvedimento di diniego della richiesta sospensione. Il giudice cautelare infatti, quando rigetta il ricorso, provvede sulle spese e, nell'ipotesi di accoglimento dell'istanza di sospensione, sull'art. 669-octies, comma 7, c.p.c. sul dovere del giudice della cautela di pronunciarsi sulle spese nel caso in cui emani un provvedimento cautelare anticipatorio. A quest'ultimo proposito, in particolare, la Corte osserva che il provvedimento di sospensione dell'esecuzione deve ritenersi parzialmente anticipatorio del contenuto della decisione sul merito dell'opposizione esecutiva poiché, sebbene non si risolva nell'eliminazione della situazione determinata dall'esecuzione illegittima che comporterebbe una totale anticipazione degli effetti della pronuncia definitiva, comporta nondimeno un'anticipazione parziale, «poiché il blocco dell'esecuzione concreta una negazione dell'ulteriore possibilità che la pretesa esecutiva continui a spiegare i suoi effetti». In sostanza, la Corte, nel qualificare in termini di provvedimento cautelare quello del Giudice dell'esecuzione che decide sull'istanza di sospensione proposta a seguito dell'opposizione esecutiva, applica implicitamente la regola generale affermata dall'art. 669-quaterdecies c.p.c. in ordine all'applicazione, ove compatibili, delle norme sul procedimento cautelare uniforme dettate dai precedenti artt. 669-bis e ss. c.p.c. agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e nella legislazione speciale. Infine, la Corte precisa, in coerenza con il percorso argomentativo seguito in via generale, che dovrà statuire sulle spese anche il collegio adito in sede di reclamo ex art. 624, comma 3, c.p.c. avverso la decisione del Giudice dell'Esecuzione sull'istanza di sospensione Sotto un distinto profilo, la S.C. ha ritenuto peraltro inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., proposto per contestare la decisione del Giudice dell'Esecuzione sulle spese della fase sommaria del procedimento esecutivo e ciò anche nell'ipotesi di omessa concessione, per errore, da parte dello stesso del termine per l'introduzione del giudizio di merito ai sensi dell'art. 616 c.p.c. essendo rimessa in detta situazione alla parte interessata la scelta tra il ricorso al Giudice dell'Esecuzione per l'integrazione del provvedimento ex art. 289 c.p.c. ovvero l'instaurazione del giudizio di merito nelle forme e nei termini normativamente previsti dallo stesso art. 616 c.p.c.
Riferimenti
COTTONE – BATTAGLIESE, Il regime delle spese nel processo esecutivo (disciplina generale e profili problematici), in AA.VV., Le spese nel processo, Suppl. a Giur. Merito, 2009, n. 1, 59 ss.; GIORDANO, Le spese nell'esecuzione forzata e nella fase sommaria delle opposizioni esecutive, in Le spese del processo, Milano 2012, 137 ss.; CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 13a ed., Milano 2015.
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