Ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione
19 Giugno 2017
Inquadramento
L'art. 186-quater c.p.c. disciplina un provvedimento anticipatorio avente la finalità di evitare la necessità che, terminata l'istruttoria, le parti debbano attendere a lungo la decisione della causa con sentenza in ragione dell'eccessivo carico dei ruoli giudiziari (cfr. SANTANGELI, 1 ss.). La S.C. ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione in esame, inquadrata come norma contemplante uno strumento processuale che determinerebbe la soppressione del diritto ad ottenere una pronuncia, in violazione degli art. 24 e 25 Cost., nel caso in cui le domande siano parzialmente accolte o respinte, avendo tale provvedimento anticipatorio esclusivamente la funzione di introdurre una forma di giudizio abbreviato ispirata a fini deflattivi che si realizza mediante il meccanismo di fare acquistare all'ordinanza (esecutiva ex lege) l'efficacia di sentenza a seguito di rinuncia alla pronuncia di merito da parte dell'intimato e rappresentando questa forma di giudizio l'estrinsecazione della potestà discrezionale del legislatore di conformare gli istituti processuali, razionalmente spiegabile in rapporta alla previsione dell'assorbimento dell'ordinanza nella sentenza o nell'acquisto dell'efficacia della sentenza impugnabile (Cass. civ., sez. III, n. 23313/2007).
Ambito applicativo
L'ordinanza può avere ad oggetto la condanna al pagamento di somme quanto alla consegna o al rilascio di cose. Pertanto, il provvedimento è quindi generalmente ammesso nel caso di condanna al risarcimento del danno derivante da fatto illecito extracontrattuale (v., tra le altre, Trib. Como 4 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, 330; Trib. Firenze 2 novembre 1995, in Giur. Merito, 1996, 670, con nota di NEGRO) e di condanna al risarcimento del danno derivante dall'inadempimento delle obbligazioni contrattuali (Trib. Milano 13 ottobre 1995, in Giur. Merito, 1996, 671). La dottrina dominante ritiene che l'ordinanza in esame non possa avere ad oggetto pronunce meramente dichiarative e costitutive di rapporti giuridici (CONSOLO, 1412; SASSANI 194). La giurisprudenza appare incline a condividere questa impostazione: si è invero evidenziato che l'espressione utilizzata dal legislatore (“pagamento di somme, ovvero la consegna o il rilascio di beni”) comporta l'ammissibilità dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. ogni qual volta il provvedimento stesso sia correlato con i processi esecutivi di espropriazione forzata per consegna o rilascio, non potendo, invece, avere ad oggetto gli obblighi di fare e non fare (siano essi fungibili o infungibili,) né riguardare domande costitutive o di mero accertamento (Trib. Torino, sez. III, 23 dicembre 2006). Per alcuni Autori, inoltre, la norma in esame non potrebbe trovare applicazione nei riti da ricorso, come quello del lavoro o locatizio, nei quali la pronuncia della stessa segue direttamente all'udienza di discussione (CONSOLO, 1411; COSTANTINO 321). L'art. 186-quater non si ritiene applicabile al giudizio in appello, sia per la mancanza nel giudizio di appello della figura del giudice istruttore (CAMPESE,111), sia per l'inidoneità dell'ordinanza anticipatoria a modificare un provvedimento a cognizione piena, come la sentenza di primo grado (SASSANI, 195). Sotto un distinto profilo, si è evidenziato che, stante il principio di infrazionabilità della domanda avente ad oggetto somme di denaro, l'istanza ex art. 186-quater c.p.c. limitata solo ad alcune voci del credito azionato, deve considerarsi inammissibile, tanto più perché ormai è conclusa la fase istruttoria, (ulteriore condizione, peraltro, di ammissibilità dell'istanza in esame), sicché appare del tutto incongruo e contrario allo scopo dell'istituto in esame (che è quello di accelerare la definizione del giudizio di primo grado) decidere solo su una parte della domanda e disporre per la prosecuzione del giudizio al solo fine di decidere con sentenza sugli altri capi della domanda (Trib. Bari, sez. II, 24 ottobre 2007). In dottrina non è pacifica l'ammissibilità della pronuncia dell'ordinanza nei processi oggettivamente cumulati. Per alcuni, nulla osterebbe alla presentazione dell'istanza cui potrebbe seguire un provvedimento di separazione delle cause (CALIFANO, 30). Altri sottolineano, per converso, che contrasta con tale soluzione la pronuncia sulle spese che deve essere contenuta nell'ordinanza a differenza di quanto avviene per le sentenze non definitive nonché la valenza di semplificazione dell'istituto (SASSANI, 197). In giurisprudenza, in accordo con il più recente orientamento della Suprema Corte, l'ordinanza anticipatoria prevista dall'art. 186-quater c.p.c., può essere emessa, in caso di proposizione di domanda principale e domanda riconvenzionale, solo sulla domanda principale che si presenti, sulla base degli atti, priva di esigenze istruttorie, attesa la ratio di semplificazione ed accelerazione del processo sottesa alla norma, salva la necessità di disporre contestualmente un provvedimento di separazione dei procedimenti finalizzato alla prosecuzione della trattazione e dell'istruzione in ordine alla domanda riconvenzionale (Cass. n. 2166/2011). Istanza e pronuncia del provvedimento
La parte interessata è tenuta a formulare istanza per l'emanazione dell'ordinanza in esame. L'istanza non deve essere necessariamente depositata dalla parte personalmente potendo essere presentata dal difensore (COSTANTINO,329). L'istanza può essere presentata sin dal provvedimento con il quale il giudice dichiari conclusa, anche implicitamente, la fase istruttoria (cfr. SANTANGELI, 144 ss.). In tal senso in giurisprudenza si è evidenziato che la norma, nel richiedere che per la pronunzia dell'ordinanza anticipatoria sia “esaurita l'istruzione”, non fa riferimento ad un formale provvedimento di chiusura dell'attività istruttoria, ritiene sufficiente che il giudice istruttore abbia ritenuto chiusa la fase istruttoria rinviando per la precisazione delle conclusioni, così implicitamente disattendendo istanze istruttorie formulate in precedenti note autorizzate (Cass. n. 9379/2002). Il termine finale per la proposizione dell'istanza e per la pronuncia dell'ordinanza è, in accordo con la tesi prevalente, l'udienza di precisazione delle conclusioni (Cass., n. 1633/2002; contra Cass., n. 6694/2000). La Corte Costituzionale ha chiarito che l'adozione, da parte del giudice del merito, dell'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. non determina l'esaurimento del potere del medesimo giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale, attesa la naturale revocabilità del provvedimento (Corte Cost., n. 64/2006, in dejure.giuffre.it). Il provvedimento deve essere emesso all'esito del contraddittorio tra le parti (SASSANI-TISCINI, 887). L'ordinanza è emessa a cognizione piena, presupponendo che l'istruzione sia completa (SANTANGELI, 146 ss.), il che avviene quando siano state espletate le attività istruttorie, non siano stati richiesti mezzi di prova o il giudice li ritenga superflui per la decisione. Nella giurisprudenza di merito è controversa l'ammissibilità dell'ordinanza nelle cause documentali (per la soluzione affermativa Trib. Milano 27 novembre 1995, in Foro it., 1996, I, 1052; contra Trib. Roma 24 ottobre 1995, in Foro it., 1996, I, 1053). Controversa si è rivelata, tradizionalmente l'applicabilità delle norme sul procedimento cautelare uniforme già alla provvisionale di cui all'art. 24 legge 24 dicembre 1969 n. 1990, in quanto la giurisprudenza, in non è riuscita ad addivenire ad una posizione condivisa circa la natura cautelare o meno di siffatta ordinanza provvisionale e, di qui, in ordine alla compatibilità con la stessa delle norme sul procedimento cautelare uniforme. La pronuncia dell'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione implica la formulazione di una valutazione prognostica da parte del giudice istruttore circa l'esaustività dell'istruttoria esperita o circa l'irrilevanza dell'attività istruttoria richiesta (in analogia con quanto previsto per l'esame delle questioni pregiudiziali di rito e/o preliminari di merito), nonché un certo ambito di discrezionalità: sicché pur alla presenza dei requisiti richiesti dalla legge, possono sussistere ragioni di opportunità per rifiutare la richiesta di concessione del provvedimento (Trib. Torino, sez. III; 23 dicembre 2006, in dejure.giuffre.it). In ogni caso si tratta di provvedimento pronunciato nella forma dell'ordinanza, la quale costituisce titolo esecutivo, nei limiti in cui è pronunciata la condanna (RICCI E.F., 644). E' stato a riguardo precisato, in sede di legittimità, che l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c. che venga annullata dal giudice di secondo grado con rinvio al primo giudice, perde efficacia di titolo esecutivo sia in ordine alle statuizioni di merito che a quelle relative alle spese in essa contenute, in applicazione dell'art. 336 c.p.c., con la conseguenza che il giudice dell'opposizione all'esecuzione deve dichiarare l'improseguibilità del processo esecutivo e la caducazione dei relativi atti. Coerentemente con l'effetto integralmente sostitutivo della pronuncia di grado successivo, il successivo nuovo accoglimento della domanda creditoria originaria, pronunciato dal giudice del rinvio a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado, non è idoneo a rendere nuovamente efficace il titolo esecutivo definitivamente caducato, potendo soltanto fondare il diritto ad una nuova esecuzione forzata (Cass. civ., sez. III, n. 6042/2009). L'ordinanza, immediatamente esecutiva, non costituisce invece titolo per iscrivere ipoteca giudiziale in mancanza di espressa previsione normativa. Peraltro, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186-quater nella parte in cui, diversamente dall'art. 186-ter, non prevede che l'ordinanza dell'art. 186-quater costituisca titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (Corte Cost. n. 357/2000, in Corr. Giur., 2000, 1469 con nota di ONNIBONI). Il provvedimento è revocabile soltanto con la sentenza che conclude il giudizio (cfr. TISCINI,622). L'intimato, prima delle riforme degli anni 2005-2006, a fronte dell'emanazione dell'ordinanza in esame poteva rinunziare alla pronuncia della sentenza notificando l'atto di rinuncia alla controparte e depositandolo in cancelleria, momento dal quale l'ordinanza acquistava l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza. In detto assetto, la S.C. aveva chiarito che l'adempimento degli oneri di notifica e di deposito della rinuncia alla pronuncia della sentenza, ai sensi del comma 4 dell'art. 186-quater c.p.c., attribuisce all'ordinanza stessa, dal momento del deposito, l'efficacia della sentenza pubblicata, con conseguente decorrenza del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., mentre, per la decorrenza del termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. è necessaria una nuova notifica dell'ordinanza con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia alla sentenza (v., tra le altre, Cass. civ., sez. I, n. 21978/2012; Cass., Sez. Un., n. 557/2009, in Giust. Civ., 2010, I, 1, 135, con nota di DIDONE). Nel sistema novellato, invece, l'ordinanza si “consolida” e diviene il provvedimento conclusivo del giudizio se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza. A seguito delle riforme degli anni 2005/2006, il meccanismo è stato invertito, poiché l'ultimo comma prevede che l'ordinanza acquista direttamente l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza a meno che la parte intimata non manifesti, nel termine di trenta giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione, sempre con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà di ottenere la pronuncia della sentenza. In forza della modifica legislativa l'inerzia dell'intimato comporta,quindi, l'acquisto dell'efficacia della sentenza impugnabile, sicché non si pronuncia alcuna sentenza, ancorché l'ordinanza non abbia pronunciato sull'intera domanda. Pertanto, se non interviene rinuncia, l'ordinanza diviene appellabile (App. Palermo, sez. III, 16 gennaio 2016, n. 41). In caso di estinzione, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza (SANTANGELI, L'ordinanza successiva, 211 ss.). La formula della legge lascia aperta la questione del momento di decorrenza dell'impugnabilità, in quanto con « estinzione » si può intendere, sia il momento in cui l'evento estintivo si verifica (BALENA,332), sia quello della dichiarazione di estinzione nel processo (TARZIA, 187), sia quello in cui l'estinzione è divenuta definitiva, cioè quando diviene irrevocabile l'ordinanza di estinzione oppure passa in giudicato la sentenza che pronuncia l'estinzione (LUISO,246). E' sotto altro profilo controverso, poi, quale tipo di termine cominci a decorrere (quello breve o quello annuale) nell'ipotesi in cui l'ordinanza venga notificata all'altra parte prima che si formi il provvedimento impugnabile. Sulla questione, la S.C. ha evidenziato che l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione ex art. 186-quater, acquista natura decisoria, divenendo pertanto, impugnabile a seguito della sopravvenuta estinzione del processo nel corso del quale è stata pronunciata, sicché, in tal caso, il termine di impugnazione ex art. 327 c.p.c., decorre dal momento in cui si perfeziona la fattispecie estintiva e non dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'estinzione, in quanto la sua decorrenza non può essere rimessa alla mera volontà della parte, consentendogli la proposizione di una tardiva riassunzione finalizzata a provocare la dichiarazione di estinzione al solo scopo di prorogare, in questo modo, il termine di impugnazione (Cass. civ., sez. VI, n. 24185/2014). Riferimenti
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