Si pubblica la bussola aggiornata della disciplina in tema di diritto penale societario, esaminando con particolare attenzione le principali fattispecie di reato in materia.
Inquadramento
La disciplina in tema di diritto penale societario va rinvenuta, in via pressoché esclusiva, negli artt. 2621 ss. c.c. Le diverse fattispecie di reato ivi presenti sono dal legislatore raggruppate secondo criteri non omogenei e che non ne consentono uno studio sistematico. Per questa ragione, nelle pagine che seguono si seguirà un percorso diverso esaminando con particolare attenzione le principali fattispecie in materia e riservando minore attenzione a delitti che – anche in ragione della riforma del 2001, che ne ha previsto la procedibilità a querela e ridotto significativamente il carico sanzionatorio – hanno minore rilievo.
Il reato di false comunicazioni sociali
Il reato di maggiore rilevanza nel diritto penale societario è da sempre il delitto di falso in bilancio – oggetto, peraltro, nel 2015 di una radicale riscrittura, che ne ha elevato le pene e soprattutto eliminato ogni riferimento a soglie di punibilità presenti invece dopo la riforma del 2001.
La relativa disciplina è contenuta in quattro disposizioni del codice civile, gli artt. 2621,2621-bis, 2621-tere 2622, a seconda che il mendacio contabile promani o meno da una quotata in borsa ed in relazione alla gravità del fatto e della dimensione della persona giuridica coinvolta.
Soggetti attivi del reato sono gli amministratori, i direttori generali, 3) i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci ed i liquidatori. Accanto a costoro può essere valutata la responsabilità per la condotta di mendacio anche di soggetti esterni alla compagine societaria – si pensi, ad esempio, al consulente o ai componenti della società di revisione– nonché di quanti, pur privi delle suddette qualifiche, ne esercitino comunque le funzioni giusto quanto prevede l'art. 2639 c.c.
Le informazioni mendaci debbano essere contenute in documenti analiticamente indicati ed individuati nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico (non rilevano quindi le falsità presenti nelle comunicazioni a destinatario individuale, nonché in quelle interorganiche o in quelle dirette ad autorità pubbliche di controllo).
La condotta può consistere nell'esposizione, in tali atti, di fatti materiali non rispondenti al vero o nell'omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge in relazione alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene ovvero dei beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi e deve avere caratteri tali da essere concretamente idonea ad indurre altri in errore.
Con riferimento, al primo aspetto il reato di falso in bilancio non può ritenersi integrato per la presenza di una qualsiasi irregolarità nel documento contabile della società, occorrendo invece che l'inveridicità dei dati presenti in bilancio si rifletta sulla valenza informativa dello stesso, determinandone il venir meno della sua idoneità a rappresentare correttamente la situazione dell'ente collettivo che lo ha redatto e la sua utilità informativa per quanti in quell'ente volessero eventualmente investire i propri risparmi. Tale considerazione opera anche con riferimento alla condotta di “omissione di fatti materiali rilevanti” riguardo alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società; in tali circostanze, infatti, il delitto non è integrato da una condotta omissiva, in quanto il bilancio in cui sono sottaciute certe circostanze, la cui conoscenza avrebbe modificato il giudizio che il pubblico può avere nei confronti di quella società, non è semplicemente un bilancio “reticente”, in cui manca qualche informazione, bensì una comunicazione che – non dicendo tutto - dice qualcosa di diverso dal vero sulle condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali della persona giuridica interessata.
Quanto alla concreta idoneità ingannatoria della condotta di falso, tale previsione impone non solo che la condotta del soggetto agente deve presentare una connotazione decettiva e fraudolenta sì da rendere la falsificazione dei dati difficilmente individuabile da parte di terzi, ma richiede anche che tale alterazione investa profili del bilancio la cui mendace rappresentazione determini un inganno circa le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali dell'azienda.
Il mendacio contabile può investire anche la cd. valutazioni di bilancio (Cass. pen., sez. un., n. 22474/2016), secondo cui sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo all'esposizione o all'omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
Il delitto di false comunicazioni sociali richiede un articolato atteggiamento psicologico in capo al responsabile: accanto al dolo generico deve sussiste il fine specifico di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto. Dunque, ai fini dell'integrazione del delitto di false comunicazioni sociali, occorre in primo luogo che il soggetto voglia esporre o occultare la presenza di fatti non veritieri essendo consapevole che tale condotta di mendacio è assunta in maniera idonea ad indurre altri in errore. In secondo luogo, proprio la ritenuta necessità che il dolo del singolo investa anche l'idoneità ingannatoria della comunicazione comporta che il soggetto agente debba sapere di esporre notizie dati mendaci inerenti - non da qualsiasi circostanza della persona giuridica da lui amministrata, ma - vicende di particolare rilevanza, la cui corretta conoscenza e cioè essenziale per i lettori del bilancio per comprendere quali siano le condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie della società.
Il reato in commento è un illecito presupposto per la responsabilità delle società ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale dell'impresa può determinare la contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta da dissesto ex art. 329, comma 2 lett. a) d.lgs. n. 14 del 2019.
I delitti di infedeltà patrimoniale e corruzione fra privati
I reati di infedeltà patrimoniale e corruzione fra privati sono stati introdotti solo nel 2001 – peraltro, il secondo delitto è stato oggetto di un intervento di riforma nel 2017.
Il delitto di infedeltà patrimoniale previsto nell'art. 2634 c.c. è inteso a tutelare il patrimonio sociale. Soggetti attivi sono gli amministratori, direttori generali e dai liquidatori, nonché da quanti di fatto exart. 2639 c.c. esercitano le relative funzioni.
La condotta prevista per l'integrazione del delitto in commento presuppone l'esistenza di una situazione di conflitto di interessi, che si ritiene sussista quando, in una determinata operazione economica, l'interesse della società e quello del soggetto attivo siano collidenti, nel senso di trovarsi in rapporto di obiettivo antagonismo non potendo essere contestualmente soddisfatti in modo completo. Tale contrasto deve essere 1) oggettivamente valutabile, essendo esclusa la rilevanza di antagonismi di natura meramente psicologica e soggettiva, ed il relativo giudizio va condotto secondo rigorosi parametri oggettivi di tipo economico- patrimoniale; 2) effettivo e reale; 3) preesistente all'operazione economica; 4) attuale, non dovendo il conflitto essere venuto meno al momento del compimento dell'operazione economica.
La condotta descritta dalla previsione in commento può assumere due modalità: il diretto e materiale compimento di atti di disposizione dei beni sociale e la partecipazione alla deliberazione relativa ai medesimi atti dispositivi; la previsione di tale duplice modalità di realizzazione della fattispecie rende il delitto in parola realizzabile anche da un organo monocratico.
Nella nozione di beni sociali, oggetto dell'atto di disposizione, rientrano tutti i beni della società avente valenza patrimoniale, quindi i beni mobili, i beni immobili, i beni materiali ed immateriali, i brevetti, l'avviamento ecc., non necessitando che la società abbia sugli stessi un diritto di proprietà, essendo sufficiente un diritto reale limitato o comunque un potere dispositivo che, ridotto o modificato, sarebbe idoneo a cagionare un danno patrimoniale alla stessa società.
Gli atti di disposizione devono incidere sul patrimonio della società. Non rientrano dunque nella fattispecie in commento né gli atti a carattere meramente organizzativo privi di disposizione a contenuto patrimoniale, né i comportamenti omissivi - e ciò anche se l'aggressione degli interessi patrimoniali può ben avvenire, ad esempio, mediante una mancata richiesta giudiziale di prestazione debitoria. Quanto alla condotta delittuosa consistente nel concorrere a deliberare atti di disposizione, perché possa dirsi violata la previsione criminosa occorre che il soggetto abbia apportato un contributo causale effettivo all'adozione della delibera, non essendo sufficiente la mera partecipazione alla votazione, anche se non occorre che il voto del soggetto interessato sia decisivo o determinante per l'adozione della deliberazione. Il concorso nella deliberazione può assumere qualsiasi forma ed è compatibile finanche con la mancata partecipazione alla votazione con voto favorevole alla delibera: si pensi all'amministratore che si astenga dal voto o voti in senso contrario ma si attivi per l'assunzione della decisione favorevole alla sua persona.
La fattispecie in esame è costruita come reato di evento, essendo richiesto il realizzarsi di un danno patrimoniale a carico della società; è quindi esclusa la rilevanza penale di tutte quelle condotte di gestione del patrimonio sociale rischiose ma al contempo necessarie, caratterizzate dalla semplice commistione di interessi, e che l'imprenditore a volte si vede costretto a porre in essere nella gestione dell'impresa.
È richiesto il dolo specifico del fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, in maniera intenzionale rispetto alla causazione del danno. Mentre il danno che deve essere arrecato alla società deve avere necessariamente carattere patrimoniale, si ritiene invece che il risultato cui l'agente deve indirizzarsi con la propria condotta non deve avere necessariamente natura patrimoniale.
Il delitto in discorso è procedibile a querela della persona offesa, che deve essere individuata nella società.
La violazione della disposizione in commento in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale dell'impresa può determinare la contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta da dissesto ex art. 329, comma 2 lett. a) d.lgs. n. 14 del 2019.
Il terzo comma dell'art. 2634 c.c. prevede che «non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo». Per vantaggi conseguiti si fa riferimento ad un dato storico già definito – e quindi anteriore o al più contestuale al compimento del dannoso atto di disposizione patrimoniale, mentre il richiamo a vantaggi fondatamente prevedili impone che gli stessi siano basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa.
Le fattispecie in tema di corruzione fra privati sono presenti negli artt. 2635 e 2635-bis c.c. Soggetti attivi sono gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci. i liquidatori e quanti “nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato esercita[no] funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti” sopra menzionati, nonché anche quanti non svolgono funzioni apicali nell'ambito dell'imprese ovvero coloro che sono sottoposti alla altrui direzione o vigilanza.
Il reato di corruzione fra privati è un illecito plurisoggettivo, connotato da due condotte speculari, ovvero quella del soggetto – l'intraneus – che riceve il denaro o l'utilità o la relativa promessa o sollecita la dazione o la promessa onde successivamente porre in essere un atto contrastante con gli obblighi del suo ufficio e quella del soggetto che dà o promette la prestazione sulla cui base la controparte si impegna – o si è impegnata - a venire meno ai suoi doveri d'ufficio. Non è punibile la condotta consistita nel dare o promettere un'utilità quando l'atto è già stato posto in essere dal soggetto qualificato ovvero nel caso in cui l'atto, pur posto in essere dopo la proposta corruttiva, non sia comunque contrario ai doveri dell'ufficio rivestiti dall'intraneus. Per la sussistenza del reato non sono richiesti l'effettivo compimento – o la sua omissione - dell'atto oggetto del patto illecito da parte del soggetto corrotto, essendo sufficiente il solo perfezionamento dell'accordo corruttivo.
Oggetto della pattuizione illecita deve essere il compimento da parte del soggetto appartenente alla società danneggiata di un atto o comportamento contrario ai doveri del proprio ufficio – o meglio la circostanza che l'intraneus si obblighi all'assunzione di una tale condotta. Può integrare il reato un accordo avente oggetto l'assunzione di una qualsiasi condotta – in positivo o in negativo - che in qualche modo rappresenti o da cui possa conseguire un possibile effetto negativo per l'ente, con conseguente attribuzione di rilevanza anche ad attività meramente materiali o a scelte incidenti su profili minimali nell'attività dell'impresa, non richiedendo peraltro in alcun modo la norma che gli obblighi violati siano recepiti protocolli aziendali, in istruzioni o in ordini degli organi superiori.
Infine, relativamente all'elemento soggettivo, la fattispecie richiede il dolo generico rappresentato dalla consapevolezza e volontà di concludere un accordo avente ad oggetto il compimento, da parte di uno dei protagonisti, di un atto contrastante con i doveri connessi la sua posizione all'interno della società di appartenenza.
L'art. 2635 c.c. prevede invece il reato di istigazione alla corruzione, nell'intento di punire i comportamenti di offerta non accettata (dal lato attivo) e di sollecitazione non accolta (dal lato passivo). Quanto alla individuazione dei soggetti attivi del reato di istigazione alla corruzione, l'ipotesi della corruzione attiva può essere commessa da “chiunque” sia il soggetto che avanza e formula la proposta illecita, mentre la corruzione passiva è contestabile solo a quanti rivestono nella società una posizione di vertice e vi svolgono funzioni direttive, rimanendo invece penalmente irrilevante la medesima condotta se tenuta da meri dipendenti dell'azienda.
L'elemento soggettivo richiesto è il solo dolo generico, consistente nella consapevolezza di offrire o promettere denaro o altra utilità per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o di sollecitare per sé o per altri una promessa o dazione di denaro o di altra utilità per compiere o omettere l'atto indebito.
La commissione del reato di corruzione è un illecito presupposto per la responsabilità delle società ex d.lgs. n. 231 del 2001.
Il reato di ostacolo alla vigilanza
L'art. 2638 c.c. disciplina il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, che può essere realizzato con due diverse ipotesi criminose. I soggetti attivi sono solo amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori di società ed enti nonché dagli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza e da quelli tenuti ad obblighi nei loro confronti.
Il comma 1 della disposizione fa riferimento all'esposizione alle autorità di controllo, nelle relative comunicazioni previste dalla legge, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza, nonché all'occultamento con altri mezzi fraudolenti di fatti concernenti la situazione medesima che si sarebbero dovuti comunicare. Per quanto riguarda la condotta di esposizione, la stessa consiste nel fornire, in presenza di situazioni tassativamente indicate da dettati normativi, una falsa informazione all'organo di controllo, dando vita così ad una falsità ideologica in scrittura privata. Quanto all'occultamento totale o parziale dei fatti che avrebbero dovuto essere comunicati, il nascondimento deve essere realizzato con mezzi fraudolenti, diversi dalla falsità: non una semplice omissione dunque ma un silenzio realizzato con strumenti decettivi, sì da non consentire, almeno in astratto, che il destinatario della comunicazione possa avvedersi della incompletezza della informazione fornita; in secondo luogo, è necessario che il comportamento omissivo investa un dato la cui comunicazione è obbligatoria perché richiesta dalla legge o richiesta dalla autorità di vigilanza.
L'oggetto della falsa esposizione o dell'occultamento deve riguardare la situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza e deve interessare dati rilevanti sulla società sottoposta alla vigilanza.
La seconda ipotesi delittuosa richiamata nel comma 2 della disposizione concerne la frapposizione di ostacoli alle funzioni di vigilanza attribuite agli organi pubblici competenti. Si tratta di un illecito di evento, da individuarsi per l'appunto nell'ostacolo alle funzioni delle autorità di controllo. La condotta è a forma libera, realizzabile in qualsiasi forma, anche mediante il mancato invio all'autorità di vigilanza delle comunicazioni imposte dalla legge o richieste dallo stesso organo di controllo, sempre che da tali comportamenti segua un ostacolo all'autorità pubblica di vigilanza.
La natura dell'elemento soggettivo è, con riferimento alla fattispecie di cui al comma 1, il dolo specifico, mentre per l'ipotesi di cui al comma 2, la presenza, nella descrizione dell'elemento soggettivo, dell'avverbio “consapevolmente”, fa rilievo penale alle sole condotte di ostacolo alle funzioni di vigilanza commesse con dolo sì generico, ma diretto, e quindi escludendo la responsabilità a titolo di dolo eventuale.
Il reato in commento è un illecito presupposto per la responsabilità delle società exd.lgs. n. 231 del 2001 ed in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale dell'impresa può determinare la contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta da dissesto ex art. 329, comma 2 lett. a) d.lgs. n. 14 del 2019.
Il reato di aggiotaggio
Il delitto di aggiotaggio societario è disciplinato dall'art. 2637 c.c. La condotta – che può essere assunta da chiunque – consiste, in via alternativa, nella diffusione di notizie false ovvero nella propalazione in qualsivoglia modo presso un numero indeterminato di persone o, quantomeno, negli ambienti economico-finanziari più direttamente interessati. Non occorre che la notizia si fondi su dati riservati, posto che anche la diffusione di fatti già oggetto di "voci" negli ambienti interessati a causa dell'importanza della fonte o del particolare mezzo di propalazione adottato potrebbe rendere dette "voci" particolarmente credibili e quindi in grado di portare al risultato finale tipizzato; per contro, la notizia avente ad oggetto dati notori non rientrerà nell'economia della fattispecie.
La seconda modalità di condotta incriminata richiede, alternativamente, il compimento di operazioni simulate o l'utilizzo di altri artifici. Quanto alle operazioni simulate, è imprescindibile la "pubblicità" dell'operazione secondo le regole del mercato, posto che soltanto così tali operazioni possono essere in concreto idonee ad incidere sull'andamento delle quotazioni. Nella nozione di altri artifici rientrano atti e nei comportamenti dotati di valenza ingannatoria, carattere questo che può inerire tanto alla condotta in sé, quanto desumersi dal contesto in cui essa è svolta, con la conseguente attitudine ad influenzare l'alterazione dei prezzi o la stabilità del mercato creditizio.
Le condotte descritte devono essere concretamente idonee «a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari. Non occorre che questi eventi si verifichino ai fini dell'integrazione della fattispecie in commento – dovendosi in proposito tenere in considerazione la congiuntura di mercato in cui l'azione si è svolta, i mezzi impiegati per realizzare la condotta di riferimento, le caratteristiche del titolo oggetto della manovra fraudolenta, il volume delle negoziazioni che hanno avuto ad oggetto lo strumento finanziario ed ogni altro fattore idoneo ad alterare l'equilibrio delle contrattazioni ovvero ad innescare meccanismi "reattivi" nei risparmiatori.
Per sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari si deve intendere quella modificazione del prezzo o quantitativamente apprezzabile, tale da determinare un differente comportamento del mercato, con valutazione e differenziazione delle oscillazioni fisiologiche da quelle patologiche e con esclusione, quindi, di fatti marginali. Occorre, comunque, sottolineare che il requisito della price sensitivity si presta a differenze notevoli alla luce della variabilità degli strumenti finanziari e pone delicati problemi di accertamento di tale che, come già indicato, la questione si sposta sul ruolo delle eventuali concause. Quanto all'idoneità «ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari» occorre che l'affidamento rischi di essere deteriorato in modo significativo.
Circa l'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di diffondere notizie false oppure di porre in essere operazioni simulate o altri artifici, unitamente alla consapevolezza dell'idoneità di tali condotte a cagionare gli eventi di pericolo normativamente tipizzati.
Il reato in commento è un illecito presupposto per la responsabilità delle società ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale dell'impresa può determinare la contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta da dissesto ex art. 329, comma 2 lett. a) d.lgs. n. 14 del 2019.
I reati che aggrediscono il patrimonio della società
Gli altri reati societari disciplinati nel codice civile hanno decisamente minore rilievo. Per una loro esposizione, gli stessi possono essere esaminati suddividendoli in due gruppi.
In un primo gruppo rientrano i reati che aggrediscono il patrimonio della società. In tale novero rientrano, in primo luogo,
- la contravvenzione di indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.) che punisce i soli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli. Del delitto può rispondere anche il socio favorito quando abbia tenuto una condotta diversa ed ulteriore rispetto a quella tipizzata che si risolva in un contributo di partecipazione “atipico” rispetto alla condotta dichiarata punibile.
Anche le fattispecie previste da:
art. 2627 c.c. (illegale ripartizione di utili e riserve) e
art. 2628 c.c. (illecite operazioni sulle azioni o sulle quote sociali o su quelle della società controllante) possono essere modalità con cui viene realizzata l'indebita restituzione dei conferimenti, ad esempio attraverso la ripartizione di utili non conseguiti o acquistando azioni delle controllante ancora non interamente liberate.
Previsione di chiusura, infine, è quella di cui all'art. 2629 c.c.(operazioni in pregiudizio ai creditori), secondo cui gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Questi illeciti possono essere realizzati dai soli amministratori ed è prevista la loro estinzione nel caso in cui il capitale sociale venga ricostituito o il danno ai creditori risarcito.
Con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 2627 con l'espressione "utile" si fa riferimento al plusvalore del patrimonio sociale netto in un dato momento rispetto al patrimonio iniziale, di guisa che alla sua formazione vengono a concorrere, assieme all'utile dell'ultimo esercizio, anche gli utili conseguiti in esercizi anteriori e non distribuiti, nonché le perdite precedentemente accumulate. La norma, in sostanza intende vietare le distribuzioni di somme di denaro che, in assenza di un positivo risultato economico derivante dalla gestione dell'impresa, determinerebbero una lesione ed un depauperamento del capitale sociale, ovvero il cui pagamento si risolverebbe in una surrettizia restituzione, a titolo di utili, dei conferimenti dei soci: per questa ragione non occorre che l'utile sia liquido posto che il giudizio sull'esistenza di un utile di bilancio va condotto su un metro nominalistico, per cui fin quando il valore del patrimonio espresso in termini monetari corrisponde alla cifra indicata come capitale sociale l'integrità del medesimo non può dirsi intaccato; può altresì escludersi court l'illecita penale delle ipotesi in cui al riparto degli utili effettivamente maturati si sia proceduto in spregio ai criteri di ripartizione soggettiva dei proventi ovvero in violazione della destinazione che a tali utili aveva dato l'assemblea ordinaria della società. Quanto all'individuazione dell'elemento soggettivo, la natura contravvenzionale del reato in questione, infatti, sembrerebbe consentire la punibilità dell'illecito anche a titolo di colpa, anche se non può nascondersi la circostanza che la norma descrive una modalità di comportamento che pare decisamente assistita e connotata da una volontà dolosa.
I delitti di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali proprie o della società controllante (art. 2628 c.c.) e di operazioni in pregiudizio ai creditori (art. 2629 c.c.) apprestano una tutela penale alla violazione della disciplinata in tema di acquisto di azioni proprie, riduzione del capitale sociale e operazioni straordinarie in tema di fusione e scissione societaria.
Amministratori e soci conferenti, invece, possono rispondere del delitto di aumento fittizio del capitale di cui all'art. 2632 c.c., quando costoro procedano a formare o aumentare fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.
Infine, l'art. 2633 c.c. punisce i liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
Tutti questi in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale dell'impresa possono determinare la contestazione del delitto di bancarotta fraudolenta da dissesto ex art. 329, comma 2 lett. a) d.lgs. n. 14 del 2019 e sono illecito presupposto per la responsabilità delle società ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed.
I reati che incidono sul corretto funzionamento della società
L'altra categoria di illeciti fa riferimento a reati che impediscono ed attentano al regolare funzionamento degli organi societari. Rientrano in tale ambito il delitto di:
illecita influenza sull'assemblea (art. 2636 c.c.) che punisce chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea dei soci, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. La condotta vietata deve aver provocato il raggiungimento di un quorum che altrimenti non si sarebbe ottenuto, e quindi non determina l'evento indicato il comportamento di chi si limiti a rafforzare una maggioranza che si sarebbe comunque raggiunta anche senza il suo intervento, purché vi sia il ricorso ad artifici connotati da una componente simulatoria atta all'inganno - ad esempio, valendosi di azioni o quote non collocate, facendo esercitare sotto altro nome il diritto di voto spettante alle azioni o quote intestate agli amministratori, in caso di falsificazione della documentazione relativa alla assemblea dei soci. Di conseguenza, non rilevanti saranno le condotte meramente omissive, ovvero le ipotesi in cui l'influenza sulla formazione della maggioranza venga esercitata a mezzo del mancato esercizio del diritto di voto o di intervento in assemblea. L'elemento soggettivo è il dolo specifico.
impedito controllo di cui all'art. 2625 c.c., che prevede un illecito solo se la condotta vietata cagiona un danno patrimoniale ai soci. L'illecito – contestato assai raramente, in ragione della difficoltà di dimostrare l'esistenza di un nesso causale con il danno patrimoniale – consiste nella condotta degli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione. Il delitto è comunque non integrato in caso di comportamento meramente omissivo (si pensi alla mancata comunicazione del bilancio ai soci non amministratori che non si siano curati di richiederlo; alla nomina quali membri del collegio sindacale di soggetti accondiscendenti nei confronti degli amministratori o di scarsa competenza; alla mancata comunicazione ai sindaci della convocazione dell'assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione). Il delitto in commento è procedibile a querela di parte, il cui diritto spetta a tutti i soci che abbiano subito un danno patrimoniale, indipendentemente dal fatto che questo sia stato immediatamente determinato dal comportamento degli amministratori ovvero indirettamente causato dal pregiudizio recato al patrimonio sociale dallo stesso comportamento.
omessa comunicazione del conflitto d'interessi (art. 2629-bis c.c.), con riferimento all'amministratore o componente del consiglio di gestione che, in violazione degli obblighi previsti dall'art. 2391, comma 1, c.c., omettono di comunicare di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbiano in una determinata operazione, precisandone natura, termini e portata ovvero, nel caso si tratti di amministratore delegato, non si astengano questi dovrà astenersi dal compimento dell'operazione, investendone l'organo collegiale.
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Sommario
I delitti di infedeltà patrimoniale e corruzione fra privati
I reati che aggrediscono il patrimonio della società
I reati che incidono sul corretto funzionamento della società