Ingiustificato rifiuto della P.A. di sottoscrivere il contratto a seguito di aggiudicazione. Responsabilità precontrattuale e voci di danno risarcibili
03 Maggio 2017
Il comportamento di una P.A. appaltante che, dopo l'adozione dell'aggiudicazione definitiva, ha omesso di addivenire, senza offrire alcuna plausibile giustificazione, alla stipula del relativo contratto, integra un comportamento contrario ai generali doveri di correttezza e di buona fede, i quali trovano applicazione, nonostante la loro derivazione privatistica (cfr. art. 1337 c.c.), anche nell'ambito del procedimento amministrativo, a maggior ragione se si tratta di un procedimento di evidenza pubblica finalizzato alla stipula di un contratto. In tal caso la responsabilità è da comportamento (amministrativo) scorretto, non da provvedimento illegittimo, nascendo dalla violazione di norme che hanno ad oggetto il comportamento della pubblica amministrazione, non l'invalidità del provvedimento. La responsabilità precontrattuale sussiste anche a prescindere dall'invalidità provvedimentale, perché il danno che il privato lamenta non discende dal provvedimento, ma dal comportamento tenuto dall'Amministrazione. In ordine all'elemento soggettivo della colpa, la responsabilità precontrattuale integra una ipotesi di responsabilità c.d. contrattuale da inadempimento di un'obbligazione di protezione (di lealtà e correttezza) che nasce, ex lege, in conseguenza del contatto sociale che si instaura tra le parti nel corso della trattativa precontrattuale. Trattandosi di responsabilità di matrice contrattuale, l'onere della prova trova la sua disciplina nell'art. 1218 c.c. e non nell'art. 2043 c.c. Non è, quindi, il danneggiato a dovere fornire la prova della colpa del danneggiante, ma è quest'ultimo, debitore di un'obbligazione ex lege, a dover fornire la prova liberatoria indicata dall'art. 1218 c.c. L'art. 1218 c.c. prevede una prova liberatoria che non si esaurisce nella prova dell'assenza di colpa. La norma codicistica, al contrario, richiede al debitore uno sforzo probatorio maggiore, dovendo questi dimostrare che l'inadempimento è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da una causa (che lo stesso debitore ha l'onere di individuare, subendo il rischio della c.d. causa ignota) derivante da un fatto a lui non imputabile. Dunque, solo dopo che è stata provata l'impossibilità – da intendersi in senso oggettivo (anche se non assoluto, perché il criterio per determinare fino a quando la prestazione è ancora possibile a sua volta risente del canone generale della buona fede, che impone di considerare impossibile quelle prestazioni che, sebbene ancora astrattamente realizzabili, richiederebbero da parte del debitore, in concreto, uno forzo che travalica il limite di quanto è esigibile in base alle regole della correttezza) – e solo dopo che è stata individuata la causa di tale impossibilità, la colpa assume un ruolo, potendo, solo in questo momento, il debitore dimostrare che non è imputabile a colpa il fatto che ha oggettivamente causato l'impossibilità della prestazione. Spetta al giudice la qualificazione giuridica della fattispecie, ben potendo, quindi, il giudice ritenere la natura precontrattuale della responsabilità, ancorché tale qualificazione giuridica non sia stata formalmente dedotta nella domanda introduttiva, specie nel caso, che è quello che ricorre nel presente giudizio, in cui la ricorrente ha sin dall'inizio fatto valere la scorrettezza comportamentale nella fase successiva all'aggiudicazione come titolo di responsabilità. Esula dall'interesse negativo il c.d. danno curriculare, che, invece, è strettamente correlato al c.d. interesse positivo: esso deriva, infatti, dalla mancata esecuzione (e, quindi, dall'impossibilitò di indicare nel curriculum professionale dell'impresa, con conseguimento mancato rafforzamento della sua immagine professionale) di un contratto che si avrebbe avuto titolo ad eseguire. Esso, quindi, presuppone che l'impresa rivendichi l'aggiudicazione dell'appalto, mentre nel caso di specie l'odierna appellante si duole, facendo valere la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione, dell'inutilità della “trattativa” (svoltasi nell'ambito della, a sua volta, inutile, procedura di evidenza pubblica), che non ha portato, per la scorrettezza del Comune, ad alcun contratto. In materia di prova del danno: a) spetta all'impresa danneggiata offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c.; b) la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno; c) le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente tecnico d'ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta "percipiente", che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti; d) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'«id quod plerumque accidit » (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. Per quanto riguarda le spese di asseverazione, le fatture prodotte integrano, in assenza di una puntuale prova contraria, un indizio grave, preciso e univoco, idoneo a fondare una presunzione semplice (la quale costituisce a tutti gli effetti un mezzo di prova) che consente di ritenere provato il danno nella misura indicata dai primi giudici. Dal quantum del danno riconosciuto deve essere applicata una sostaziale decurtazione laddove sussista un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. del danneggiato, come nel caso in cui l'aggiudicataria, già titolare dell'aggiudicazione definitiva, non ha scongiurato l'esito vano della procedura utilizzando gli strumenti di tutela finalizzati ad ottenere giudizialmente la conclusione del contratto rinunciando ad attivare gli strumenti di tutela volti alla conclusione del contratto, contribuendo, quindi, con il suo comportamento sostanzialmente rinunciatario, all'esito negativo che la gara ha avuto. Il credito risarcitorio è un credito di valore, non di valuta: il riconoscimento della rivalutazione monetaria rappresenta, quindi, una componente necessaria del c.d. danno emergente, nel senso che, come riconosce una giurisprudenza del tutto pacifica, in assenza dell'attualizzazione dei valori monetari, il danneggiato non vedrebbe interamente reintegrata la perdita che ha subito (cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. III, 10 giugno 2016, n. 11893 secondo cui: “Ai fini dell'integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito”). Sull'importo liquidato deve, dunque, essere riconosciuta anche la rivalutazione dalla data dell'aggiudicazione (che segna l'inizio del comportamento omissivo illecito dell'Amministrazione) sino alla pubblicazione della sentenza, utilizzando a tal fine gli indici nazionali dei prezzi al consumo elaborati dall'Istat. |