Sul danno da perdita di chance

Redazione Scientifica
07 Giugno 2016

La perdita di chance non si identifica con la perdita di un risultato utile sicuro, ma...

La perdita di chance non si identifica con la perdita di un risultato utile sicuro, ma con il semplice venire meno di un'apprezzabile possibilità di conseguirlo, in particolare per essere stato l'interessato privato della stessa possibilità concreta di aggiudicarsi un appalto.

La risarcibilità della chance non può essere subordinata all'offerta in giudizio di una sua prova rigorosa, ciò essendo logicamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando invece sufficiente che gli elementi addotti consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri.

La misura del 10% non è più considerata dalla giurisprudenza come parametro automatico in applicazione analogica del criterio del 10% del prezzo a base d'asta ai sensi dell'art. 345 della l. n. 2248 del 1865, All. F; ciò sia perché tale criterio di liquidazione è riferito a disposizione in tema di lavori pubblici che riguarda un istituto specifico, quale l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di recesso dell'Amministrazione committente, sia perché, quando impiegato al mero fine risarcitorio residuale in una logica equitativa, conduce tuttavia, almeno di regola, all'abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisce per essere, per l'imprenditore, più favorevole dell'impiego del capitale.

Ai fini risarcitori, occorre distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell'adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se fosse stata esclusa la società aggiudicataria, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l'esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.

La dimostrazione della spettanza dell'appalto all'impresa danneggiata risulta configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l'impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell'offerta (come nel caso di specie, in cui l'affidamento dell'appalto era basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa); nella prima ipotesi spetta all'impresa danneggiata un risarcimento commisurato all'utile che effettivamente avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria.

Quando la parte ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando, come nel caso di specie, non prova che l'aggiudicazione dell'appalto spettava proprio ad essa, secondo le regole di gara, in quanto, pur essendo seconda classificata, non è stata dimostrata la non anomalia della sua offerta), la somma commisurata all'utile d'impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.

La perdita di chance va rapportata in termini percentuali all'utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara rinnovata.

La misura presunta del lucro cessante può, ai fini della liquidazione di tale danno, essere stabilita mediante lo strumento previsto dall'art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7 l. n. 205 del 2000, fissando i criteri in forza dei quali la somma dovuta va liquidata.

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