Il Parere del Consiglio di Stato sullo schema di correttivo al T.U.S.P.: bullet points delle osservazioni sulle società in house
14 Marzo 2017
La Commissione speciale del Consiglio di Stato ha reso il proprio parere favorevole con osservazioni (Cons. St., comm. spec., 14 marzo 2017, n. 638) sullo schema del decreto correttivo al Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, di seguito “T.U.S.P.”).
Chiamato a pronunciarsi per la prima volta su un “decreto correttivo” della legge Madia, la Commissione speciale ha colto l'occasione per evidenziare i limiti e le potenzialità “dei decreti integrativi e correttivi” sottolineando che gli stessi costituiscono “una figura non prevista dall'art. 76 Cost., ma ormai stabile nella più recente prassi costituzionale”. Partendo dai limiti, la Commissione ha confermato il proprio consolidato orientamento (ribadito, da ultimo, nel Parere n. 855 del 2016, sullo schema del Codice dei contratti pubblici), secondo cui “il mancato recepimento di una parte della delega entro il termine di scadenza consuma definitivamente il relativo potere, e tale mancato esercizio non può̀ essere recuperato in sede di adozione di decreti correttivi. Tramite questi ultimi sono consentite, appunto, “integrazioni e correzioni” (anche rilevanti), a seguito di un periodo di “sperimentazione applicativa”, riguardanti le parti di delega già̀ esercitate, ma non un esercizio tardivo, per la prima volta, delle delega”. Ancora, ha evidenziato la Commissione che “lo strumento del correttivo non può nemmeno costituire una sorta di ‘nuova riforma', pur rispettosa della delega originaria, che modifichi le scelte di fondo operate in sede di primo esercizio della delega, attuando un'opzione di intervento radicalmente diversa da quella del decreto legislativo oggetto di correzione (cfr. Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1; Cons. St., sez. norm., 9 luglio 2007 n. 2660/07; Id., 5 novembre 2007 n. 3838/07; Id., 26 luglio 2011 n. 2602)”. Fermi dunque i suddetti limiti dei decreti correttivi, la Commissione ha tuttavia evidenziato anche le potenzialità di tale strumento normativo e in particolare la sua utilità strettamente connessa alla “fase cruciale dell'attuazione” della riforma, che potrà considerarsi effettiva solo “attraverso la verifica delle disfunzioni – giuridiche, amministrative o anche semplicemente pratiche – del testo originario”.
Sebbene la disciplina dell'affidamento in house non fosse direttamente incisa dallo schema del decreto correttivo trasmesso al Consiglio di Stato dal Consiglio dei Ministri, la maggior parte delle osservazioni contenute nel suddetto Parere riguardano la relativa disciplina e sono volte a sollecitare un nuovo intervento normativo in materia. Si segnalano, in particolare, le osservazioni rese: - sull'art. 2 comma 1, lett. o) del T.U.S.P., recante la definizione di “affidamento in house” che, ad avviso della Commissione, necessita di un coordinamento con le definizioni fornite dalle direttive appalti e concessioni e dall'art. 5 del Codice dei contratti pubblici (su cui cfr. anche le osservazioni rese sull'art. 16 dello stesso T.U.S.P.).
- sull'art. 4, recante l'elenco delle attività che possono essere oggetto di affidamento. La Commissione ha evidenziato la necessità di aggiungere alla produzione dei “servizi di interessi generale” consentita dall'art. 4, comma 2, lett. a), anche quelli “di interesse economico generale”;
- sull'art.4, comma 4 recante la precisazione sull'attività prevalente svolta dall'ente in house. La Commissione, allo scopo di prevenire possibili dubbi interpretativi, ha segnalato l'opportunità di chiarire, “che, in caso di società in house, i vincoli previsti dal medesimo articolo in ordine alle finalità perseguibili con le partecipazioni pubbliche riguardano anche la quota, inferiore al 20% della propria attività, che può essere rivolta al mercato”.
- sull'art. 4, comma 9, seconda parte (aggiunto dall'art. 5 dello schema di decreto correttivo) ai sensi del quale : «Il Presidente della Regione, con provvedimento adottato ai sensi della legislazione regionale e nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità, può deliberare l'esclusione totale o parziale dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo a singole società a partecipazione regionale, motivata con riferimento alla misura e alla qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attività svolta, riconducibile alle finalità di cui al comma», su cui la Commissione ha espresso parere negativo in quanto “tale possibilità̀ provoca un vulnus nell'omogeneità e nell'uniformità dell'applicazione del diritto privato che non trova alcun fondamento, non soltanto nella legge delega, ma neppure nei principi generali dell'ordinamento”.
- sull'art. 5 comma 1, in riferimento al quale l'articolo 6, comma 1, lett. a, dello schema di decreto correttivo intende sopprimere, al comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 175, le parole “in considerazione della possibilità̀ di destinazione alternativa delle risorse pubbliche”. Anche sul punto la Commissione ha espresso parere negativo giacché la suddetta modifica “si porrebbe in contrasto con l'impianto fondamentale tracciato dal parere reso nel 2007 da questo Consiglio (Sez. II, 18 aprile 2007 n. 456) nonché̀ dalla successiva giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2008)”.
- sugli artt. 14 e 21, in merito al fallimento delle società in house. Sul punto la Commissione, richiamando la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3196), ha segnalato la necessità di un intervento, da parte del correttivo in quanto è “necessario chiarire che dall'obbligo di accantonamento di cui al comma 1 dell'art 21 non deriva un obbligo di ripiano, potendo le pubbliche amministrazioni locali partecipanti decidere di non ripianare il bilancio delle società in house, in considerazione della sperimentata necessità di rivolgersi al mercato”. Viene poi evidenziato che “un ulteriore riferimento che appare necessario introdurre in relazione alla possibilità del ripiano delle società partecipate da parte delle pubbliche amministrazioni locali partecipanti attiene al limite che le stesse incontrano allo scopo di evitare che l'intervento finanziario in questione si risolva in un indebito aiuto di Stato”;(sul generale tema del divieto degli aiuti di Stato ai soggetti operanti in regime in house si segnala la recente sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 27 febbraio 2017, n. 2922 che ha annullato per violazione del par. 3, dell'art. 108 del TFUE un d.M. del M.I.U.R. n. 335, dell'8 giugno 2015, nella parte in cui concedeva al CINECA un contributo di 18.700.000 euro).
- sull'art. 16, la cui disciplina, sottolinea la Commissione, non è incisa dallo schema del decreto correttivo sebbene “considerata dalla dottrina e dalla prassi di questi primi mesi come una di quelle che davano adito alle maggiori perplessità e incertezze applicative”. Tra le numerose criticità rilevate dalla Commissione si segnala in particolare la ravvisata “non lieve differenza tra la disciplina contenuta nell'art. 16, d.lgs. 175/2016 e quella contenuta nell'art. 5 del d.lgs. 50/2016” laddove la prima aggiunge ai requisiti per l'affidamento in house che “la produzione ulteriore rispetto al (…) limite di fatturato [80% svolto nei confronti del controllante/controllanti] sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società”.
La Commissione ha quindi proposto di recepire la definizione di ente in house contenuta nel Codice dei contratti e di eliminare dall'art. 16, comma 3 il seguente periodo: “e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società”, cui potrebbe seguire l'inserimento di un comma 3-bis, dal seguente tenore: “È possibile rivolgere a finalità diverse la produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3 a condizione che ciò consenta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società”.
Quanto alle società in house “di tipo misto” (in cui sia presente la partecipazione di capitali privati nei limiti indicati dal comma 1 dello stesso art. 16) per la Commissione sarebbe opportuno specificare che: (i) “la scelta del socio privato debba avvenire mediante gara” (ii) e che “il socio privato può avere solo la qualità di socio finanziatore e non di socio operativo, in considerazione del diverso apporto partecipativo del socio nelle due fattispecie”. A tal fine viene suggerita l'aggiunta all'art. 16 di un comma 1-bis, dal seguente tenore: “La scelta del socio privato finanziatore di cui al comma 1 avviene con procedura di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha ad oggetto la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato”.
Con riferimento al “controllo analogo congiunto” - avverte la Commissione speciale – che in presenza di “enti partecipanti in misura minima” all'ente strumentale, “occorre ribadire che la relazione in house presuppone sempre una relazione di controllo quantomeno congiunto (Corte Giust., 11 maggio 2006, Carbotermo e Consorzio Alisei, C-340/04, EU:C:2006:308, punti da 60 a 62; Id., 8/12/2016 n. C-553/15, punti 33 e 34)” e pertanto il correttivo dovrebbe chiarire che “soddisfatta questa condizione, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti possono mantenere la partecipazione e far gestire direttamente i servizi dalle in house cui partecipano in minima parte”.
Quanto alla dismissione delle attività che superano il limite quantitativo di fatturato di cui al comma 3 dello stesso art. 16 (ai sensi del quale, come già visto, “gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società), la Commissione ha suggerito di eliminare dal comma 5 le parole “di fornitura”, che “sembrano limitare in modo ingiustificato gli obblighi di riduzione ricadenti in capo alle PP.AA”.
Il Parere segnala, infine, che anche con lo schema di correttivo non vengono superati i problemi di compatibilità tra l'in house providing e il “modello azionario”, suggerendo pertanto, di chiarire che: - le modifiche statutarie che consentirebbero l'attribuzione di poteri gestionali al socio hanno carattere meramente facoltativo in quanto “secondo il codice civile, nel modello azionario i poteri gestionali spettano unicamente agli amministratori. Pertanto, in assenza delle modifiche statutarie adottate in deroga all'art. 2380-bis non sarebbe possibile disporre affidamenti in house in favore di società per azioni, perché non potrebbe concretizzarsi il requisito del controllo analogo”; - le modifiche statutarie consentite, quand'anche vengano adottate, “non incidono sul regime di responsabilità degli amministratori, perché la disciplina non deroga espressamente al disposto dell'art. 2364 c.c., n. 5 che mantiene la responsabilità degli amministratori per gli atti eventualmente rimessi alla competenza dell'assemblea. Conseguentemente, gli amministratori sarebbero comunque responsabili per atti imposti dal socio”; - non è prevista la possibilità di derogare all'art. 2355-bis c.c. il quale prevede che ogni vincolo alla trasferibilità delle azioni non possa eccedere il limite quinquennale e che “il superamento del limite quinquennale è consentito solo per i patti parasociali, con chiare differenze rispetto al regime di opponibilità ai terzi”.
|